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I percorsi del processo di radicalizzazione rivelati dall’analisi dei costrutti personali dei terroristi jihadisti

Terrorismo, griglie di repertorio, Jihad, radicalizzazione | terrorism, repertory grid, Jihad, radicalisation

Themes of radicalisation revealed through the personal constructs of Jihadi terrorists

di

Sudhanshu Sarangi
Università di Liverpool, Liverpool, UK

 

David Canter, Donna Youngs
Centro di Ricerca Internazionale di Psicologia Investigativa, Università di Huddersfield, Huddersfield, UK

 

Traduzione a cura di

Francesca Del Rizzo e Marta Casarin

Abstract

Il lavoro qui presentato si propone di comprendere le caratteristiche psicologiche individuali che caratterizzano gli individui che compiono atti di terrorismo. A tal fine si ipotizza che i terroristi islamici costruiscano le proprie azioni sulla base di quattro distinti temi di base così identificati: Jihad Islamica, Jihad Politica, Tematiche Sociali e Criminali. Questi temi sono stati ricavati da interviste a persone incriminate per atti terroristici di matrice jihadista in India. Le interviste hanno adottato lo strumento della Griglia di Repertorio di Kelly. Ciò ha permesso di esplorare il Sistema di Costrutti Personali degli intervistati parallelamente alle narrazioni delle loro vite. In questo modo sono stati i terroristi stessi a fornire preziosi spunti per la comprensione del fenomeno. I dati indicano la presenza di importanti similitudini ma anche di specifiche differenze nelle strutture di pensiero alla base delle convinzioni radicalizzate dei terroristi. Proprio a partire da queste similitudini e differenze è possibile immaginare approcci di intervento diversificati volti a una presa di distanza dalle suddette convinzioni.

To contribute to an understanding of the individual psychologies that characterise people who carry out acts of terrorism, four distinct themes are proposed that can each dominate Islamic terrorist’s conceptualisations of his/her own actions: Islamic Jihad, Political Jihad, Social and Criminal. These themes are illustrated from interviews with people convicted of Jihadi-related acts of terrorism within India. The interviews utilised Kelly’s Repertory Grid procedure, thus allowing the Personal Construct System of the interviewees to be explored in association with their accounts of their lives. These case studies provide rare insights from the terrorists themselves, indicating important similarities across individuals as well as distinct differences in the structure of their thinking that inform considerations of radicalisation and approaches to facilitating disengagement.

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1. Introduzione

Sono state fatte varie ipotesi sulle ragioni che portano una persona ad avvicinarsi al terrorismo (per una rassegna vedere Atran, 2003; Dalgaard-Nielsen, 2010; Hutson, Long & Page, 2009; McCauley & Moskalenko, 2008; Ranstrop, 2009; Silke, 2008). Queste prospettive possono essere ricomprese nelle seguenti macro-categorie: individuali, sociali, ideologiche e politiche.

Le spiegazioni che si focalizzano sull’individuo enfatizzano il ruolo della scelta del singolo, scelta che trae le sue origini da esperienze strettamente personali. Nel loro modello sulla radicalizzazione jihadista nel Medio Oriente, Hutson, Long & Page (2009) propongono una forma di “dinamica personale” di radicalizzazione, soffermandosi sul ruolo di processi interni quali il locus of control (Rotter, 1954), l’impotenza appresa (Seligman, 1975) e l’auto-efficacia (Bandura, 1997). Per quanto concerne la Cecenia, basandosi su interviste rivolte ai familiari dei 34 terroristi ceceni coinvolti nell’attentato al teatro Dubrovka di Mosca, Speckhard & Akhmedova (2005) hanno concluso che tutti gli attentatori avevano vissuto dei lutti e il trauma di perdere persone a loro care. Ne hanno dedotto che i fattori ideologici potrebbero rappresentare giustificazioni a posteriori per esperienze di natura personale e traumatica.

Pape (2005) ha criticato questa prospettiva personale sottolineando che “le motivazioni egoistiche e amorali non sono sufficienti; anche moventi altruisti, di per sé o in relazione ad altri fattori, giocano un ruolo importante” (p. 184). Questa visione enfatizza spiegazioni di matrice prevalentemente ideologica. Atran (2003) avvalora questa prospettiva sulla base delle “interviste rivolte a sopravvissuti kamikaze di Hamas e prigionieri membri di Al-Qaida per indicare come l’ideologia e la contestazione rappresentino fattori implicati in entrambi i gruppi anche se il valore e le conseguenze a loro associate possono variare” (p. 1538). Al riguardo, appare centrale ciò che Houston, Long e Page (2009) definiscono come “l’unica narrativa della Jihad nel mondo” (p. 21), ossia la riduzione dell’attuale politica musulmana di Al-Qaeda, ad un’unica battaglia ideologica mondiale.

Una terza linea di pensiero riguarda i fattori sociali, interpretati da Kruglanski, Chen, Dechesne, Fishman & Orchek (2009) come “i doveri e gli obblighi sociali, siano essi interiorizzati o indotti dalla pressione del gruppo dei pari” (p. 333). Questa prospettiva è evidenziata negli scritti di Bloom (2005), Goodwin (2006), Gambetta (2005) e Merrari (2007) ed è fondata sugli assunti della psicologia sociale dei processi di gruppo. Gli autori si basano sui numerosi studi che dimostrano il potere dei valori normativi indotti dal senso di appartenenza a un gruppo, e il ruolo influente giocato dall’approvazione/disapprovazione sociale nelle attitudini e nelle azioni di un individuo. In merito alla radicalizzazione politica, anche McCauley & Moskalenko (2008) enfatizzano l’importanza dell’identità di gruppo in relazione a dieci dei venti meccanismi di radicalizzazione da loro presentati.

Kruglanski et al. (2009) hanno proposto il termine ombrello “ricerca di valore personale” per unire le tre macro prospettive “ideologica, personale e sociale” promosse dai vari ricercatori. Essi considerano, infatti, gli attacchi terroristici, soprattutto gli attentati kamikaze, come una ricostruzione di valore personale. L’inevitabilità della morte, che riduce la persona a “un granello di polvere”, è trascesa da una morte socialmente glorificata, con la promessa ulteriore che essa rappresenti una fase di passaggio per la conquista del paradiso. Tale ricerca di valore “potrebbe favorire un «passaggio collettivo» verso un’ideologia che legittima il terrorismo” (Kruglanski et al., 2009, p.353).

Moghaddam (2005) individua come cause della radicalizzazione la mancanza di forme democratiche e pacifiche di riparazione e la frustrazione che ne deriva. Queste si collegano alle spiegazioni che enfatizzano moventi di natura socio-politico-economica, fra cui la disoccupazione e le relative deprivazioni alla base di varie forme di terrorismo (Gurr, 1970). Quest’ampia prospettiva è approfondita nei lavori di Kepel (2004), Khosrokhavar (2005) e Roy (2004) soprattutto in relazione alla radicalizzazione di giovani musulmani in Occidente. Un limite di queste interpretazioni è che non permettono di differenziare fra l’esigua minoranza che sceglie di abbracciare il terrorismo e la maggioranza che invece decide diversamente.

Come sostenuto da Silke (2008), sebbene sia indubbio che ognuna di queste prospettive possieda una certa validità, “anche la migliore di queste ricerche è quasi interamente basata su un’analisi dei dati secondaria, nello specifico su materiale di archivio” (p. 101). Gli stessi Kruglanski et al. (2009) hanno sviluppato l’efficace concetto di “ricerca di valore” prevalentemente attraverso l’analisi dei video delle ultime “Volontà e Testamenti” dei kamikaze. Questi video rappresentavano una legittimazione delle azioni che la persona avrebbe intrapreso, e avevano il chiaro intento di documentarne la significatività. Il sistema

concettuale psicologico che ha portato all’azione può solo essere vagamente delineato all’interno di un’attività volta a creare un’immagine pubblica.

Secondo Bloom (2009), il limite di molte fonti usate per spiegare il fenomeno del terrorismo consiste nel fatto che i dati provengono da “fonti altamente politicizzate di Israele o Pro-Israele”, basate in larga parte su materiale propagandistico creato da organizzazioni terroriste. Queste informazioni non vengono attentamente contestualizzate prima di essere diffuse, e hanno l’evidente obiettivo di influenzare l’opinione pubblica. Di conseguenza, nonostante tale materiale rispecchi senza dubbio il pensiero dei leader di gruppi terroristi, esso non è particolarmente esplicativo della psicologia dei miliziani che eseguono i loro ordini.

Al fine di arricchire ulteriormente la comprensione dei processi di radicalizzazione, può servire prendere in considerazione due criticità. In primis, è necessario un modello concettuale che copra diverse possibili costruzioni personali, permettendo così di riconoscere differenze tra terroristi in termini di percorsi individuali senza però rinunciare a individuare i processi centrali generali all’interno dei quali questi temi operano. Inoltre, in un’area come questa, con connotazioni così significativamente politicizzate ed emotive, è necessaria una metodologia per la raccolta di dati empirici che si colleghi direttamente con la visione del mondo dei terroristi; dati che non siano stati distorti dal bisogno di presentare una certa immagine al mondo, o di giustificare o legittimare azioni violente.

 

2. La Psicologia dei Costrutti personali e la Griglia di Repertorio

Una recente indagine sui processi di radicalizzazione interni a una rete tunisina affiliata ad Al-Qaeda dimostra l’importanza di ottenere informazioni direttamente dai terroristi stessi (Vidino, 2011). Tuttavia, le analisi delle narrazioni dei terroristi condotte attraverso l’uso di tecniche della Psicologia dei Costrutti Personali potrebbero fornire risposte formalmente più idonee, rispondendo all’esigenza evidenziata da Taylor e Horgan di approfondire i “contesti decisionali” degli individui.

Il fondamento della Psicologia dei Costrutti Personali verte sull’idea di Kelly (1955/1991) che le azioni di una persona siano basate su giudizi inerenti la somiglianza o la diversità fra entità, siano esse persone, cose o eventi, che Kelly definisce “elementi”. Le costruzioni di tali confronti sono definite “costrutti”. I costrutti vengono modificati, abbandonati o rinforzati dalle esperienze. Gli “elementi” più importanti nella vita di un individuo sono le persone per lui significative. Di conseguenza, secondo Kelly (1955/1991), i costrutti attribuiti a queste persone e il modo in cui gli elementi sono contrapposti gli uni agli altri rappresentano la via maestra per comprendere il sistema di costrutti di un individuo.

Kelly (1955/1991) ha sviluppato la tecnica della “Griglia di Repertorio” come metodo per esplorare i sistemi di costrutti personali che guidano le azioni delle persone. La griglia di repertorio rappresenta un’esplorazione del sistema di costrutti di un individuo in grado di ridurre al minimo la presenza di bias derivate dai presupposti del ricercatore. È inoltre una tecnica ampiamente utilizzata; Fransella, Bell, & Bannister (2004, pp. 168-229) hanno raccolto più di 240 pubblicazioni di ricerche che hanno utilizzato la tecnica della griglia di repertorio in ambiti eterogenei quali contesti clinici, studi sull’abuso infantile, indagini di mercato e sul modo in cui le persone costruiscono gli animali.

La ricerca qui presentata ha approfondito i sistemi di costrutti personali di alcuni individui condannati per terrorismo. La metodologia adottata ha il potenziale di favorire analisi incrociate di spiegazioni psicologiche derivate da altre fonti e di valutare l’applicabilità delle teorie focalizzate sull’individuo, sociali, ideologiche e politiche presenti in letteratura. Inoltre, permette di mettere a confronto gli individui per valutare se una teoria possa essere più appropriata per una persona rispetto a un’altra.

 

3. Metodologia

Quarantanove uomini (13 Pakistani e 36 Indiani) coinvolti in crimini di matrice terrorista in India sono stati invitati a fornire un racconto della loro vita. La tecnica della narrazione della storia di vita, presentata da McAdams (1993), si basa sull’assunto che narrare una storia di vita è parte della comune esperienza umana e che attraverso l’approccio narrativo le persone rivelano chi sono e chi vorrebbero essere, attribuendo giustificazioni, significato e auto-efficacia alle proprie vite. Inoltre, la tecnica tende a facilitare lo sviluppo di una relazione con gli intervistati, fattore utile al momento della proposta della compilazione della griglia di repertorio, psicologicamente più impegnativa. La narrazione della storia di vita fornisce informazioni dettagliate e utili ai fini dell’elaborazione dei significati delle risposte fornite nella griglia.

Le interviste sono state condotte con ogni persona individualmente all’interno di prigioni a cui aveva accesso il Comitato Internazionale della Croce Rossa e sono state rivolte a individui sottoposti ad un equo processo legale. Gli intervistati hanno firmato un consenso informato in cui venivano messi a conoscenza della possibilità di rifiutarsi di rispondere a qualsiasi domanda o di interrompere l’intervista in ogni momento. È stato anche esplicitato agli intervistati che partecipare o meno al colloquio non aveva implicazioni per il loro futuro dentro o fuori la prigione. La completa riservatezza è stata garantita rimuovendo ogni riferimento ai nomi dei partecipanti e qualsiasi altra informazione che avrebbe potuto rivelarne l’identità.

Tutte le interviste sono state condotte nella lingua ritenuta preferenziale dall’intervistato. Nella maggior parte dei casi la lingua prescelta è stata l’hindi, spesso nella sua variante Urdu, ma in alcuni casi è stata il Punjabi e in un caso l’Inglese. Tutte le interviste sono state registrate con il consenso dei partecipanti e delle autorità. Le registrazioni sono state sbobinate e le trascrizioni tradotte in inglese per essere analizzate, con un rimando agli audio originali nei casi in cui le sbobinature apparivano poco chiare.

 

4. La Griglia di Repertorio

La prima fase della procedura della griglia di repertorio prevedeva di chiedere ai partecipanti di nominare persone o cose che ritenevano avessero avuto un ruolo significativo nella loro vita. Tali fattori significativi sono diventati gli elementi della griglia. Questi potevano essere, ad esempio, “mio padre”, la “magistratura”, “la persona che mi ha spinto a unirmi al gruppo terrorista”. Agli elementi spontaneamente forniti dai partecipanti sono stati aggiunti tre elementi inerenti il sé; nello specifico, “io prima di arruolarmi nella Jihad”, “come sono diventato dopo l’arruolamento”, e “il mio io ideale”. Tutti gli elementi elicitati sono stati trascritti su schede. Avvalendosi del ben noto metodo triadico (Fransella et al., 2004), tre elementi sono stati selezionati casualmente e presentati ai partecipanti. A questo punto, all’intervistato veniva chiesto di descrivere una peculiarità per la quale riteneva che due degli elementi fossero simili fra loro e, al tempo stesso, diversi dal terzo. Il criterio specificato diventava un costrutto. I partecipanti dovevano inoltre fornirne il polo opposto per generare un costrutto bipolare come, ad esempio, “spirituale-materiale” o “auspica il bene del prossimo-carico d’odio”.

Nella fase successiva è stata creata una griglia in cui gli elementi forniti dall’intervistato sono stati disposti nelle colonne e i suoi costrutti nelle righe. Al partecipante è stato poi chiesto di valutare ogni elemento rispetto a ogni costrutto su una scala da 1 a 5, in cui il valore 5 indicava un’elevata somiglianza con il polo emergente del costrutto mentre il valore 1 una significativa conformità con il polo di contrasto. I partecipanti sono stati informati della possibilità di assegnare i valori intermedi 2, 3 o 4 per descrivere il grado di rappresentatività di un dato costrutto rispetto a una persona specifica.

Esistono vari modi di analizzare le griglie di repertorio ma uno dei più efficaci è rappresentato dall’utilizzo di una specifica variante dell’Analisi delle Componenti Principali (Fransella et al., 2004). Tale approccio aiuta a individuare i due assi principali alla base delle valutazioni espresse nella griglia, definite per l’appunto componenti principali.

 

5. Scelta dei Case Studies

L’analisi iniziale dei 49 casi ha mostrato come ogni individuo fosse tendenzialmente caratterizzato da una concettualizzazione dominante. Si sono dunque cercati esempi potenzialmente riconducibili alle teorie dominanti. Tali esempi coprivano l’intera gamma presente tra i 49 partecipanti. Per illustrare la struttura di costrutti collegabile ad un’ideologia islamica è stato scelto un intervistato il cui sistema di costrutti sembrava prevalentemente canalizzato in quella direzione. La spiegazione di matrice politica rimarcata da numerosi studi è stata a sua volta chiaramente identificata in vari esempi, permettendo così di distinguerne un prototipo. Sono stati identificati anche partecipanti i cui sistemi di costrutti apparivano centrati sulle loro relazioni sociali, e ne è stato scelto uno di particolarmente rappresentativo. Tuttavia, non sono stati riscontrati esempi riconducibili alla prospettiva personale dei sistemi di costrutti proposta da Speckhard & Akhmedova (2005). Inoltre, è emersa una costruzione in qualche modo inaspettata, non contemplata dalle spiegazioni sopra discusse. Nello specifico, si tratta del coinvolgimento in attività di natura criminale.

Nonostante Gupta, Horgan & Schmid (2009) sottolineino il legame fra crimine organizzato e terrorismo, la possibilità che l’appartenenza a gruppi criminali costituisca un aspetto centrale del sistema di costrutti di un terrorista non è stata analizzata nell’ambito delle varie teorie esplicative. Il caso di questo partecipante fornisce dunque un insight particolarmente interessante rispetto alle caratteristiche psicologiche di alcuni terroristi e, al tempo stesso, offre una nuova prospettiva sulla “ricerca di valore personale” proposta da Kruglanski et al. (2009). Per chiarezza, i partecipanti di questo studio non possono essere definiti “insurrezionalisti”. Facevano parte di reti terroriste informali, non di movimenti di guerriglia altamente organizzati. Conseguentemente, non erano coinvolti nella varietà di attività criminali finalizzate a finanziare campagne militari. Il soggetto menzionato, similmente ad alcuni degli altri intervistati, era leader di una banda criminale e aveva sfruttato la propria influenza nell’ambiente della malavita per entrare in contatto con gruppi terroristici. Egli illustra quindi un aspetto del fenomeno del terrorismo a oggi prevalentemente inesplorato.

 

6. Caso 1: La Jihad Islamica di MJ27[2]

 

6.1. Background

MJ 27 proviene da una famiglia benestante del Kashmir. In passato è stato uno studente mediocre e un appassionato di sport. Ha studiato in un college prestigioso e in seguito ha lavorato per un’importante organizzazione internazionale. È stato condannato per uno degli attentati di più alta portata perpetrati in India, per il quale ha fornito supporto logistico.

 

6.2. La narrazione di MJ 27

MJ 27 descrive il clima familiare come “non particolarmente religioso, non così conservatore, ma una famiglia musulmana ordinaria. Eravamo musulmani moderni… Non fanatici… Potremmo dire moderati”. Per MJ, fanatico significa “sostenere di essere nel giusto e che gli altri hanno torto”. MJ 27 si descrive come testardo sin dall’infanzia. “Se volevo fare qualcosa lo facevo, altrimenti no”. Si è anche definito egoista ed egocentrico.

MJ 27 sostiene di essere stato una persona spirituale sin da bambino. “Il mio atteggiamento da bambino era lo stesso che ho ora. Il mio approccio alla vita, pensare a cose di elevato spessore ha fatto parte anche della mia infanzia”. Racconta di aver passato ore a osservare il cielo dimenticandosi del tè che finiva per raffreddarsi. Sostiene di essere maturato con “l’esperienza e gli studi”, ma che il suo approccio esistenziale è sempre stato quello di aspirare a una vita più profonda, aspetto che considera “innato”, ascrivibile alla sua natura personale.

All’università, MJ 27 ha iniziato a risvegliare la propria mente, “i dibattiti erano stimolanti ed ero attratto dall’atmosfera intellettuale”. Sente di aver reagito sempre più filosoficamente a un “livello metafisico”, termine da lui più volte ripetuto nel corso dell’intervista.

“Sin da bambino osservavo le stelle e riflettevo. Ma dopo l’università sono diventato più consapevole dell’altro mondo. La maturità e lo studio rendono più consapevoli… io ricordo sempre Dio. Ha quindi più a che vedere con la crescita o con la maggiore consapevolezza che con l’essere diventato un fanatico. Ma la coscienza di Dio è sempre stata lì per me, a 13 come a 30 anni. Questa è sempre stata una questione personale… Potremmo dire che sono una persona innamorata di Dio… Credo che tutto sulla terra sia una creazione di Dio…”.

Pur avendo sempre avuto coscienza della “vita dopo la morte”, ne era diventato più intensamente consapevole. “Diventa più evidente quando affronti la realtà della vita. Si diviene, consciamente e concretamente, più consapevoli della vita dopo la vita”. Nell’Islam MJ 27 ha trovato la sua filosofia di vita:

“Allah ha avuto un grande ascendente su di me. Dunque, essendo io musulmano, è stata un’ideologia islamica… Se uno analizza attentamente la vita, trova sempre una forza motrice dietro ogni istituzione indipendentemente dalla propria religione, casta o credo. È importante riconoscere questa forza e che cosa essa ti comunichi, secondo l’ideologia della tua comunità di appartenenza. Io so cosa l’ideologia islamica mi trasmette. Perché riconoscere questa forza è molto importante per me. È sempre stato così. Ma con il tempo ne sono diventato sempre più consapevole. Studiare aiuta a comprendere queste dinamiche. Ossia che esiste una forza dietro ogni cosa, anche se le persone tendono a non riconoscerla. Quelli che non la comprendono, finiscono per commettere errori”.

MJ 27 “ha trovato le risposte in Sayeed Qutub”. Ha citato Qutub nei seguenti termini “Le leggi di Dio sono superiori perché si applicano sia a questo mondo sia a quello dell’aldilà” e se le leggi di Dio e quelle degli uomini entrano in conflitto “uno è legittimato a violare quelle degli uomini”. Nel tempo è diventato “più incline alle leggi della natura sancite da Dio”. L’inclinazione verso le leggi di Dio, per come espresse nella Sharia, è stata per lui fonte di pace. Ha sottolineato come l’origine del suo pensiero sia radicata “nel Corano, nella lettura e nella comprensione del Corano e nell’agire concretamente in nome delle leggi di Dio”. È apparso categorico sul fatto di non essere stato influenzato da nessuno, “solo dalla Sharia. Queste sono le leggi del profeta”. Dal punto di vista di MJ27, agire concretamente comprendeva la Jihad, che rappresenta un’implicazione coerente con la sua comprensione del Corano e con la sua devozione alle leggi di Dio.

Per MJ27, dunque, la Jihad era, per citarlo testualmente, un’estensione del suo “sé metafisico”. Faceva parte di un’ideologia islamica, cui lui si sentiva legato in quanto musulmano. Tale ideologia religiosa estrema riflette la prospettiva dominante nel terrorismo jihadista.

 

Figura 1. La griglia di repertorio di MJ27.

 

6.3. Analisi delle componenti principali della griglia di repertorio

L’enfasi ideologica può essere ulteriormente approfondita grazie ai dettagli della sua griglia di repertorio riprodotta in Figura 1. I sette elementi elicitati includono Madre, Amico d’Infanzia “X”, Amici del College, il proprio Figlio, Allah, la sua esperienza con la Magistratura e le Agenzie di Sicurezza. I valori indicano il grado di relazione fra i costrutti presenti ai lati del grafico e gli elementi in basso. Nello specifico, il valore 5 denota un’elevata correlazione con il polo di destra, mentre il valore 1 con il polo di sinistra del costrutto. Gli altri numeri caratterizzano valori intermedi all’interno della scala.

La griglia di repertorio è stata analizzata utilizzando una variante dell’analisi delle componenti principali con l’obiettivo di identificare i due assi dominanti (o componenti principali) della griglia. Per una visualizzazione grafica, gli elementi sono tracciati come punti in relazione agli assi dominanti identificati. La lunghezza delle linee nel tracciato e la posizione dei punti indicano i valori effettivi. Come illustrato da Jankowicz (2004):

L’ampiezza dell’angolo formato dalle linee di due costrutti qualsiasi riflette il grado di correlazione fra i costrutti: minore l’ampiezza dell’angolo, maggiore la somiglianza dei valori. L’angolo formato da un gruppo di linee di costrutti e dalle linee che rappresentano le componenti principali riflette quanto una data componente possa essere considerata rappresentativa del gruppo di costrutti considerato; minore l’ampiezza dell’angolo maggiore la rappresentatività della componente (p.130).

Per convenzione, l’asse X rappresenta la prima componente (responsabile della massima percentuale di varianza), mentre l’asse Y ne illustra la seconda (responsabile della successiva percentuale più elevata di varianza). Quando l’asse X e l’asse Y formano angoli retti, la correlazione fra le componenti è nulla, pari a zero (Jankowicz, 2004, p. 131).

Il vantaggio di una PCA è che estrapola le informazioni chiave sulle relazioni fra costrutti ed elementi, che possono così essere analizzati per identificarne i significati sottostanti. Una tale riduzione della potenziale complessità di una griglia a un esiguo numero di costrutti è resa possibile dal fatto che tende a esserci un significato psicologico latente comune fra i costrutti; tale significato riflette le tematiche dominanti dei processi cognitivi di una persona. In linea con quanto recentemente proposto da Youngs & Canter (2012), questi temi alimentano le narrazioni personali dei partecipanti in merito alle figure significative della loro vita. In questo modo, esse forniscono un insight sui punti di vista dei partecipanti rispetto alla propria vita.

 

La rappresentazione grafica della griglia di MJ27 è presentata in Figura 2.

Figura 2. Analisi delle componenti principali della griglia di repertorio di MJ27.

 

Il grafico dell’Analisi delle Componenti Principali in Figura 2 mostra come l’asse X (Prima Componente) spieghi l’88.5% della varianza. Il dato denota un valore di varianza rilevante, ne consegue che il tema può essere ritenuto nucleare e significativamente predominante.

Il fatto che gli elementi Madre, Figlio e Allah si collochino in prossimità dell’asse X con Allah, componente principale che definisce l’asse X, dimostra come esso rappresenti una tematica chiaramente inerente la Jihad islamica. Per contro, gli elementi Magistratura, Agenzie di Sicurezza e dell’Intelligence, Io prima di arruolarmi, Amico d’Infanzia X e Amici del College si collocano sul lato opposto degli elementi Madre, Figlio e Allah.

Inoltre, l’accettazione incondizionata da parte di MJ27 del suo ruolo all’interno della suddetta concezione religiosa è dimostrata anche dalla posizione degli elementi Io dopo e Io ideale, che si collocano sullo stesso lato di Allah, Madre e Figlio. MJ27 si considera una persona religiosa, devota, che ha assolto un dovere previsto nella religione islamica. Egli si costruisce inoltre come rispettoso delle leggi della natura, un eufemismo per indicare le leggi di Dio, il che lo rende innocente anche qualora abbia infranto qualche legge sancita dagli uomini.

La vicinanza degli elementi “io dopo il coinvolgimento nella Jihad” e “io ideale” dimostra che questa persona non desidera cambiare. Il suo concetto di sé è integrato con la sua visione di Allah, aspetto che rende difficile una sua apertura a una presa di distanza dalle azioni compiute.

Questo partecipante è dunque illustrativo di come il tema islamico venga interiorizzato, e di come esso possa divenire centrale all’interno del sistema di costrutti di una persona. Esso si basa su un’interpretazione dell’Islam inflessibile, letterale e fondamentalista riconducibile, secondo Sarangi & Canter (2007), almeno al XIII secolo, agli scritti di giuristi medievali quali Taqi al-Din e Ahmad ibn Taymiyya (1263-1328).

In questa sua teorizzazione, l’approccio islamico alla vita è considerato superiore a qualsiasi altro modo di vivere e le leggi di Dio superiori a qualsiasi legge promulgata dall’uomo.

 

7. Caso 2: La Jihad Politica di MJ1

 

7.1. Background

MJ1 proviene da una famiglia di bassa estrazione sociale ed è cresciuto in una baraccopoli di Mumbai. La sua famiglia è originaria dello stato del nord dell’Uttar Pradesh. MJ1 ha otto fratelli. Ha frequentato una scuola pubblica che ha però abbandonato a causa di quelli che lui definisce problemi di memoria. Insieme a altri affiliati, MJ1 ha compiuto una serie di attentati concomitanti che hanno provocato oltre 40 morti e più di 100 feriti.

 

7.2. La narrazione di MJ1

Il tema dell’ingiustizia è apparso centrale nella narrazione di MJ1. Egli ha enfatizzato la propria opposizione a qualsiasi forma di ingiustizia: “Nella vita non ho mai apprezzato l’ingiustizia né ho preso decisioni ingiuste. Quando i bambini litigavano venivano da me per stabilire chi avesse torto. I bambini avevano fiducia nella mia capacità di giudizio e nella mia correttezza. Non ho mai preso una decisione ingiusta. Non è mai stato nella mia natura fare del male agli altri o arrecare altre forme di ingiustizia… Dobbiamo essere retti e difendere la giustizia”.

MJ1 ha espresso chiaramente che il suo crimine “non aveva nulla a che vedere con l’Islam. È stato un atto di valenza politica in risposta alle atrocità perpetrate dagli Indù, e alla lotta contro il loro dominio”. Dal suo punto di vista, le forze governative indù cercano la supremazia e commettono atrocità ai danni dei musulmani. Inoltre, secondo MJ1, le agenzie investigative e dell’intelligence indiane non riescono a proteggere la popolazione musulmana dalle uccisioni e dagli stupri perpetrati da gruppi Indù che mirano all’egemonia: “Vedi, se afferri un uccellino questo farà del suo meglio per sfuggire al tuo controllo. Allo stesso modo, non puoi controllare degli esseri umani trattenendoli in stato di arresto per lunghi periodi senza che abbiano commesso nulla. Arriverà il momento in cui faranno tutto ciò che è in loro potere per ottenere libertà dalla prigionia”.

Secondo MJ1, la supremazia dell’etnia Indù è dimostrata anche dalle violenze perpetrate a Gujarat o dalla distruzione della moschea di Babri. Questa concezione fa parte di una narrazione più ampia in cui il mondo non musulmano viene presentato come in opposizione ai musulmani. Dal suo punto di vista, l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre ha rappresentato, a sua volta, un complotto contro i musulmani, “I mass media hanno diffuso la versione delle autorità. Non si saprà mai la verità… Perché tutti gli ebrei non erano al lavoro quel giorno?” Questa risposta mostra come la propaganda e le teorie complottiste tendano a diffondersi fra questi individui, soprattutto in carcere. Nelle prigioni ad alta sicurezza, i detenuti accusati di terrorismo hanno l’opportunità di discutere questi argomenti e di elaborare questo tipo di teorie. Spesso è difficile distinguere fra ciò che è stato appreso prima o durante la reclusione, o durante il processo nella fase della difesa e del contro-interrogatorio. Comportamenti violenti possono essere giustificati come risposte politiche legittime.

Dal punto di vista di MJ1, le persone di religione musulmana devono combattere contro l’ingiustizia e la scelta dello strumento è personale. Nei suoi termini, “Ghandi preferiva… la non violenza, altri hanno preferito l’occhio per occhio. Se un individuo usa il suo potere contro di te tu dovresti fare lo stesso… Per raggiungere un obiettivo, persone diverse adottano strumenti differenti”.

La disponibilità di MJ1 a commettere i suddetti crimini è maturata durante “un breve periodo” di cambiamento personale. “Gujarat è stato orribile. Le ingiustizie commesse mi hanno fatto infuriare”. MJ1 si è rifiutato di discutere tutti i dettagli del piano, riferendo solo “Sono salito su una macchina in corsa”. Tuttavia, ha sottolineato che si è trattato di una sua decisione. “Nella mia vita non ho mai dato molta importanza agli altri. Ho seguito ciò che ritenevo giusto e rifiutato ciò che era sbagliato”.

Il coinvolgimento di MJ1 non aveva neppure a che vedere con la percezione di essere di supporto alla comunità. “Nessuno sta pensando a tutelare la comunità”. Né i membri della sua famiglia né altri suoi conoscenti erano al corrente delle sue intenzioni e dei preparativi annessi. “Questa è sempre stata una cosa su cui giaceva un velo, da fuori non era facile da vedere”. I suoi familiari non hanno saputo nulla finché non è stato arrestato. Poiché tutte le persone per lui significative erano state tenute all’oscuro, non si può dire che l’ispirazione sia giunta dai familiari o da altri conoscenti. Nessuno era al corrente della situazione eccetto le persone della rete terroristica: è stata a tutti gli effetti una sua decisione personale. “Questo è stato un atto politico. Ci saranno delle conseguenze. Questo non ha nulla a che vedere con l’Islam”.

Dunque, nonostante faccia parte di un’organizzazione islamica interdetta dall’ONU, MJ1 sostiene che sia il nemico il responsabile degli attacchi, non l’Islam.

 

7.3. La griglia di repertorio e l’analisi delle componenti principali

La posizione prettamente politica è evidente nella griglia di MJ1 presentata in Figura 3 e nella PCA in Figura 4. Il partecipante ha elicitato i seguenti sette elementi: Padre, Madre, Amore X, Co-accusato Y, Co-accusato Z, Leader della comunità Indù H e Amico Indù F. Il tracciato della PCA in Figura 4 mostra come l’asse delle X (prima componente) spieghi il 97.8% della varianza. Una componente straordinariamente comprensiva, a dimostrazione della nuclearità dei costrutti inerenti il sacrificarsi per il bene del prossimo. MJ1 utilizza un’unica dimensione di significato in modo particolarmente rigido, escludendo a priori qualsiasi altro criterio alternativo.

Nel tracciato della PCA, gli elementi Padre, Madre, Amico Indù F, Io ideale, Io prima e Io dopo si posizionano sullo stesso lato del grafico, mentre Co-accusato Y, Co-accusato Z e Leader della comunità Indù H si collocano in modo netto nel lato opposto. Ciò riflette la divisione ingroup vs outgroup, noi vs. loro, contrapposizione comunemente presente nei processi di identità di gruppo. Tuttavia, nel caso specifico, viene espressa collegandola alla politicizzazione e a “una vita straordinaria”.

MJ1 non riconosce la presenza di un cambiamento nella propria vita poiché tutti i costrutti relativi al sé presentano caratteristiche simili, riconducibili alla sua credenza predominante secondo cui egli sarebbe mosso dalla volontà di garantire il benessere del prossimo. Come evidente dagli aneddoti della sua infanzia, questo tipo di pensiero caratterizza un uomo che ritiene di aver sempre combattuto per una buona causa.

 

Figura 3. La griglia di repertorio di MJ1.

 

Tale sistema di costrutti enfatizza dunque il concetto di rivendicazione politica, in cui il terrorismo diviene uno strumento necessario per raggiungere certi obiettivi. Il focus non è necessariamente di tipo religioso o associato alla volontà di instaurare le leggi della Sharia nel mondo. Gli interessi riguardano maggiormente il qui e ora in questo mondo, in particolare le atrocità di cui sono vittime le persone di religione musulmana, piuttosto che il mondo dell’aldilà. La convinzione è che la situazione geo-politica nel mondo sia contro i musulmani, costruiti a loro volta come impotenti davanti a tale disumanità e incapaci di combattere i poteri egemonici attraverso guerre convenzionali. Da questo punto di vista, la soluzione è vendicarsi attraverso attacchi terroristi in una guerra asimmetrica per fermare e intimidire il nemico, costringendolo a cambiare le politiche anti-islamiche.

 

Figura 4. Analisi delle componenti principali della griglia di repertorio di MJ1.

 

8. Caso 3: L’Influenza Sociale di MJ37

 

8.1. Background

MJ37 non ha ricevuto un’educazione particolarmente religiosa; da bambino pregava, ma non cinque volte al giorno come previsto nella religione islamica. A 16 anni, quando frequentava le scuole medie, ha attraversato il confine tra il Pakistan e il Kashmir per combattere al fianco degli Hizbul Mujahideen. Ha perso interesse per lo studio al secondo anno delle scuole medie; l’anno successivo un giorno non è rincasato da scuola: è scappato di casa senza avvertire nessuno. Sapeva che se la sua famiglia fosse stata al corrente delle sue intenzioni, non gli avrebbe permesso di andarsene. “Se in qualche modo i miei familiari avessero saputo che stavo pianificando di fuggire in Pakistan, non mi avrebbero permesso di uscire da casa”. Nessuno nella sua famiglia si era unito ai Mujahideen prima di lui.

 

8.2. La narrazione di MJ37

Nella narrazione di MJ37 appare centrale la convinzione che tutti i ragazzi della sua età volessero diventare Mujaheeds. Ha affermato: “Non so se sia stata la vista di una pistola o qualcos’altro ad attrarmi. Ho deciso di diventare un militante. Tutti i ragazzi della mia età la pensavano così… Sin da bambino desideravo diventare un Mujaheed”.

MJ37 ha sottolineato che nessuno l’ha costretto. Voleva diventare un Mujaheed ed è quello che ha fatto non appena è riuscito a entrare in contatto con una rete terrorista che l’ha aiutato a varcare il confine e a entrare in un campo di addestramento.

“È stata una mia decisione” afferma MJ37, aggiungendo “forse un po’ era nei miei pensieri e probabilmente un po’ nell’aria… Tutti i ragazzi avevano lo stesso progetto. La pensavano tutti allo stesso modo… Non mi era chiaro perché dovessi partire per il Pakistan. Ma ero comunque determinato ad andare”.

MJ37 ha iniziato a pregare con regolarità cinque volte al giorno solo una volta giunto in Pakistan, dopo essere entrato in un campo di addestramento terrorista. A scuola ai bambini veniva richiesto di pregare cinque volte al giorno e di recitare il Corano. Pur avendo una conoscenza prettamente elementare dell’Islam, aveva imparato che “i Mujaheed seguivano il volere di Allah”, che la Jihad rappresentava un dovere islamico e che il martirio doveva essere glorificato. Un martire “grazie al proprio martirio si guadagna il diritto al paradiso per il resto dell’eternità”. A parte questi principi generali, la sua conoscenza dell’Islam era piuttosto rudimentale. Il clima generale gli aveva trasmesso l’idea che le forze di sicurezza indiane stessero occupando il Kashmir e commettendo atrocità ai danni della popolazione di religione musulmana. Conseguentemente, in quanto musulmano, era suo dovere aderire alla Jihad. “Pensavo che diventare un Mujaheed fosse la cosa giusta da fare”.

MJ37 ha deciso di unirsi agli Hizbul Mujaheedin (HM) poiché “essi erano i più attivi”. Al momento dell’adesione all’interno dell’organizzazione ha ricevuto un addestramento militare finalizzato a renderlo un combattente. Ha imparato a usare le armi e ha ricevuto una formazione di base sugli esplosivi. Tuttavia, con il tempo, ha iniziato a vedere le cose diversamente e a voler abbandonare il gruppo. Si è reso conto che “tutti i ragazzi non prestavano fede alla Jihad… Molti… Erano in cerca di potere”. Inoltre, ha scoperto che il leader degli HM possedeva una macchina di lusso. “Il Mujaheed comune va lì per combattere. Considera deplorevole assistere a un tale sfoggio di lusso in mezzo alla rovina e alla miseria generale”. MJ37 riteneva che tale lusso “stonasse con le pretese di combattere fino all’ultimo sangue”.

Si era reso conto di aver preso una decisione in modo “immaturo”. Tuttavia, abbandonare un’organizzazione terrorista non è semplice. È stato catturato mentre cercava di scappare e picchiato. Gli è stato inoltre comunicato che avrebbe dovuto trovare qualcuno che lo rimpiazzasse. Aveva sognato di diventare un Mujaheed sin dall’infanzia: “Le persone avevano una buona considerazione dei Mujaheed”. Ma MJ37 si era disilluso. “Ho iniziato a provare rammarico per la situazione”. Ciò nonostante, è dovuto rimanere nell’organizzazione per altri sei anni, temendo che “le milizie di Hizbul mi avrebbero fatto fuori se me ne fossi andato”. A 16 anni è diventato un combattente ma a 21 aveva perso la motivazione. Le caratteristiche psicologiche dell’intervistato sono ulteriormente approfondite nella sua griglia in Figura 5 e nella PCA in Figura 6.

 

8.3. La griglia di repertorio e l’analisi degli elementi principali

Come è evidente in Figura 5, i sette elementi elicitati includono i Genitori, la persona che l’ha aiutato a lasciare l’organizzazione F, Salauddin (Leader degli Hizbul Mujaheedden), lo Zio Y, il Motivatore X, la Guida che lo ha condotto in Pakistan Z, Amir dell’organizzazione che l’ha addestrato. Essi sono individui distinti con una rilevanza sociale diretta per MJ37.

 

Figura 5. La griglia di repertorio di MJ37.

 

Figura 6. Analisi delle componenti principali della griglia di repertorio di MJ37.

 

Il tracciato della PCA in Figura 6 mostra come l’asse X spieghi l’86.8% della varianza. Il Motivatore X, Salahudeen, la Guida Z e Amir dell’organizzazione si collocano su un lato del grafico mentre gli elementi non terroristi sul lato opposto. Anche i costrutti possiedono una rilevanza personale diretta per MJ37. Egli costruisce le persone basandosi su dimensioni di significato quali l’attenzione verso il suo interesse personale, la capacità di dargli buoni consigli e la rinuncia ad addestrarlo alla Jihad. MJ37 desidera vivere in pace, senza particolari ambizioni. Costruisce inoltre le persone attraverso le dimensioni di significato “non bramare il potere” e “non conoscere il mondo dei Mujahideen” contrapposte a “spingere gli altri ad atti terroristi”.

L’”io prima” e l’“io ideale” sono correlati a costrutti non terroristi, anche se va sottolineato che MJ37 non si è mai considerato pienamente devoto alla Jihad. Questo dato è conforme con il profilo di una persona che, come egli afferma di aver provato, desidera allontanarsi dall’ideologia terrorista. Il dato è inoltre riconducibile al profilo di una persona il cui iniziale coinvolgimento è dipeso dalla pressione sociale e da presupposti poco delineati. Nel momento in cui le persone prima costruite come influenti non hanno, dal suo punto di vista, corrisposto alle sue aspettative, il suo grado di investimento nei loro confronti e verso la loro causa è diminuito.

La tematica sociale caratterizza maggiormente le società contraddistinte dalla presenza di conflitti, in cui i terroristi sono costruiti come modelli e diventare un terrorista è associato a una condizione di potere, influenza e riconoscimento. Questi individui possono essere condizionati da pressioni da parte del gruppo dei pari e dalla percezione di doveri sociali. Il caso di MJ37 dimostra l’assenza di costrutti religiosi o politici o di una consapevolezza delle conseguenze degli attacchi terroristi.

 

9. Caso 4: MJ13 il criminale

 

9.1. Background

Il padre di MJ13 è morto quando lui frequentava le scuole medie e, conseguentemente, lui è stato cresciuto dalla madre con il supporto economico di cinque zii. Ha conseguito una laurea triennale in psicologia ed è stato in seguito ammesso in una facoltà universitaria di legge per diventare avvocato come suo padre, legale di diritto civile presso tribunali di primo grado. Tuttavia MJ13 ha abbandonato presto gli studi preferendo unirsi a DT, leader di un gruppo criminale, che lo ha introdotto nel mondo delle estorsioni e dei rapimenti.

Egli rappresenta la piccola percentuale di persone che passano dalla criminalità al terrorismo.
È importante ricordare che le organizzazioni islamiche tendono a essere moraliste e a non tollerare crimini finalizzati a guadagni personali. Esse pretendono punizioni severe per chi si macchia di questi crimini. Di conseguenza, l’unione fra Islam e criminalità è piuttosto incongruente e dunque poco comune. Tuttavia, MJ13 è la dimostrazione che terrorismo e criminalità possono interagire, a prescindere dalle differenze ideologiche che li caratterizzano. Inoltre, egli illustra come, a fini strategici, le organizzazioni terroriste possano compiere scelte non coerenti con le loro ideologie, come ad esempio entrare a far parte di una rete criminale, che è in grado di fornire nuovi combattenti e il supporto logistico per commettere dei crimini.

Uno dei crimini di MJ13 è stato commissionare un attacco terrorista.

 

9.2. La narrazione di MJ13

MJ13 riferisce di essere stato affascinato da DT, leader della banda criminale, perché “egli era molto conosciuto… Aveva un gran numero di seguaci… Era molto potente. Ne ero come ipnotizzato… Ho affrontato un cambiamento nella mia vita. Il mio desiderio di potere e il fascino della malavita mi hanno portato a spingermi troppo oltre. Ho iniziato a commettere dei crimini, anche se di minore entità”.

Dopo essere diventato un affiliato della gang di DT, MJ13 ha iniziato a stare lontano da casa per mesi, facendo raramente visita ai familiari. In un’occasione ha accompagnato DT in una missione per estorcere denaro a un uomo d’affari. Quando però sono arrivati nei pressi della casa della vittima designata, la polizia li stava aspettando. Nello scontro a fuoco che ne è seguito, DT è stato ucciso e MJ13 arrestato e incarcerato. Come affermato da MJ13, la sua vita attuale è iniziata in quel momento. In carcere ha conosciuto ARK, sotto processo per il suo coinvolgimento in attività di matrice terrorista. Nel corso del processo l’accusa non è riuscita a dimostrare le imputazioni contro ARK, che è stato rilasciato.

Durante il suo periodo di reclusione, MJ13 è entrato in contatto con leader Jihadisti di spicco. Come sostenuto da MJ13, “Una volta rilasciato, ho pensato che non avesse senso commettere crimini minori. Ormai ero stato schedato, tanto valeva puntare a crimini più efferati… Volevo ottenere riconoscimento ad ogni costo, anche a titolo di uomo malvagio. Se devi essere malvagio, devi essere il migliore fra i malvagi. Bisognerebbe sempre eccellere nel campo che si sceglie”. Ha dunque deciso di trasferirsi in una città nel Medio Oriente, da dove ha iniziato a organizzare una rete di estorsioni e rapimenti nelle città indiane.

Il rapporto iniziato in carcere con i Jihadisti, ARK e gli altri, continuava. I jihadisti gli hanno fornito armi di qualità, soprattutto di piccolo taglio, necessarie alla sua banda per eseguire le estorsioni e i rapimenti. Gli hanno procurato anche un nuovo passaporto e un indirizzo. Nel giro di poco tempo possedeva un passaporto pakistano, un appartamento a Islamabad e aveva sposato una donna di origine pakistane, sorella di un jihadista amico di ARK. Inoltre, intratteneva relazioni con persone affiliate a presunti leader di spicco jihadisti in Pakistan quali Azim Cheema e il professor Hafiz Sayeed. Era in contatto con l’Intelligence dei servizi segreti Pakistani, l’ISI, visitava campi di addestramento terroristi, intratteneva discussioni politiche e teologiche con leader jihadisti. Paradossalmente, MJ13 conosceva bene i principi della Jihad ma ne era in disaccordo. In altri termini, nonostante non appoggiasse la retorica jihadista, egli ha approfittato del contesto del fondamentalismo islamico per raggiungere i propri scopi personali. Ha affermato che, in ultima analisi, si trattava di una questione di disposizione e scelta personali. Il suo obiettivo era arricchirsi e vivere una vita di successo.

”Sin dal principio non ero interessato alla Jihad… Pensa che il 90% delle persone che lavoravano per me era Indù. Se avessero saputo che sostenevo la Jihad non avrebbero collaborato con me. Chiunque venga coinvolto nella Jihad è un uomo finito. È stato grazie alla mia relazione con ARK che ho guadagnato la reputazione di jihadista”.

I crimini commessi da MJ13 non avevano nulla a che vedere con la Jihad, tuttavia, tutto è cambiato quando ARK è stato ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia. Il fratello e i soci di ARK, che operavano nel territorio di Calcutta, volevano vendicarne la morte. ARK operava nella malavita per guadagnare denaro da investire nella Jihad. Aveva anche fornito supporto logistico per diverse organizzazioni jihadiste con base in Pakistan per crimini terroristi perpetrati in India. Ma, dopo la sua morte, il fratello minore e i suoi soci hanno deciso di portare avanti la loro Jihad personale.

MJ13 ha commissionato un importante attentato terrorista di cui ha rivendicato telefonicamente la responsabilità.

MJ13 ha dichiarato di aver appoggiato l’attacco poiché riteneva che un attentato di tale portata l’avrebbe reso “grande”. Dunque avrebbe guadagnato, come criminale, la credibilità necessaria a estorcere telefonicamente denaro a ricchi uomini d’affari dal suo nascondiglio in Medio Oriente, attraverso la sua banda in India. Nonostante abbia commesso l’errore di associarsi a gruppi Jihadisti, crimine che sta attualmente scontando, egli sostiene di essere stato solo un criminale, non uno jihadista.

 

9.3. La Griglia di Repertorio e l’Analisi delle Componenti Principali

La sua griglia di repertorio, presentata in Figura 7, mostra come dei sette elementi da lui elicitati, tre siano costituiti da signori della guerra e uno da un socio criminale, ARK, imputabile per i suoi contatti con il mondo jihadista. Il tracciato della PCA della griglia di repertorio di MJ13 in Figura 8 mostra un asse X che spiega l’80.5% della varianza. Pur essendo un valore elevato, il dato è significativamente inferiore a quelli sopra presentati, a indicare che l’intervistato non possedeva un’unica dimensione di significato dominante sulle persone per lui significative.

 

Figura 7. La griglia di repertorio di MJ13.

 

Figura 8. Analisi delle componenti principali della griglia di repertorio di MJ13.

 

La ricerca di una vita di successo è una componente significativa nel suo asse dominante e appare correlata all’influenza di persone fuorvianti e alla ribellione. Al tempo stesso, è interessante notare che la ricerca di successo non risulta correlata ad un eventuale coinvolgimento della persona nella Jihad, componente dell’asse Y. Nel caso di questo intervistato, non sono stati identificati costrutti politici o ideologici, a dimostrazione che la ricerca del successo può rappresentare una ricerca di valore personale indipendente da convinzioni religiose o geo-politiche marcate.

Le costruzioni del sé di MJ13 si posizionano sull’asse dominante in modo peculiare. Prima di essere coinvolto in attività Jihadiste, egli si costruiva in equilibrio tra dimensioni di ribellione e di comportamento accettabile, a indicare come egli sia consapevole di aver sempre rischiato un proprio potenziale coinvolgimento nella criminalità. I suoi contatti gli hanno aperto questa strada. A suo avviso, ha intrapreso la direzione della malavita fino al momento del suo arresto. Tuttavia, attualmente desidera essere quanto più possibile diverso da quel tipo di persona.

Il caso di MJ13 è la prova che il coinvolgimento di criminali o di organizzazioni criminali all’interno di reti terroriste rappresenta una scelta opportunistica. L’affiliazione a reti terroriste permette a questi individui di raggiungere i propri obiettivi criminali, fra cui, ad esempio, arricchirsi e godersi la fama che ne deriva.

 

10. Discussione

Il lavoro qui presentato dimostra come il processo di radicalizzazione di un individuo possa essere meglio compreso integrando con la Griglia di Repertorio la tecnica dell’intervista aperta centrata sulla narrazione della storia di vita. I risultati mostrano che il pensiero radicalizzato assume forme psicologiche differenti, basate su costrutti e concettualizzazioni diverse. Fra queste, troviamo la Jihad islamica e politica e temi di natura sociale e criminale. Gli esempi selezionati arricchiscono le spiegazioni di tipo ideologico, politico e sociale presenti in letteratura. Inoltre, essi espongono un’ulteriore possibilità, meno considerata in letteratura, legata al coinvolgimento in organizzazioni criminali. Nonostante siano stati presentati solo quattro casi, essi sono rappresentativi delle tematiche emerse nei dati originali. Questo lavoro dimostra, dunque, che l’approccio della Psicologia dei Costrutti Personali può essere particolarmente utile per approfondire le peculiarità delle strutture cognitive, dei costrutti e delle concettualizzazioni potenzialmente all’origine di questi processi di radicalizzazione.

È interessante notare che i dati raccolti non forniscono tuttavia evidenza di un sistema di costrutti personali governato da problemi o esperienze di natura personale e traumatica. Nonostante Kelly enfatizzi il ruolo giocato dall’esperienza nel plasmare un sistema di costrutti personali, questo non implica che il sistema di costrutti di una persona sia necessariamente una semplice e diretta rappresentazione delle sue esperienze personali. L’ipotesi è dunque che eventuali processi motivazionali personali, alla base di alcune spiegazioni sul terrorismo, rappresentino fattori facilitanti piuttosto che il nucleo centrale del pensiero radicalizzato. Ad esempio, nonostante il secondo caso presentato attribuisca una certa rilevanza al senso d’ingiustizia, potenzialmente riconducibile a un’esperienza personale di sopraffazione, questo non sembra strutturare il suo sistema di costrutti. Ancora una volta, dunque, l’ipotesi è che aspetti ed esperienze personali possano manifestarsi in varie forme di pensiero radicalizzato senza necessariamente strutturarlo. In termini di prospettive d’intervento, questo dato indica che i sistemi di costrutti personali non sono necessariamente esplicativi delle motivazioni personali implicate nella struttura cognitiva della persona.

I sistemi di costrutti di tutti gli intervistati appaiono caratterizzati da un numero limitato di tematiche dominanti. Queste sono conseguentemente responsabili di buona parte dei loro sistemi di pensiero, a dimostrazione di quanto le loro visioni del mondo siano limitate. Questo dato appare particolarmente significativo e supporta i risultati di Savage & Liht (2008), secondo i quali una “bassa complessità integrativa” svolgerebbe un ruolo centrale nel pensiero religioso estremista. Al riguardo, una possibile implicazione è che le differenti tematiche individuate rappresentino le conseguenze di una più ampia prospettiva secondo cui principi morali o religiosi specifici alla base di queste azioni confliggono con le leggi terrene. Questa è per esempio la convinzione di MJ27 che contrappone “le leggi di Dio a quelle degli uomini”. Anche MJ37 ha espresso una prospettiva simile affermando che “essere un Mujaheed significava rispettare il volere di Allah”. In modo più sottile, MJ1 costruisce l’azione politica come forma di condanna all’operato dello Stato. Il concetto di sfida nei confronti della società appare centrale anche nel sistema di costrutti di MJ13. Coerentemente, la ricerca sul terrorismo potrebbe trarre beneficio da studi che approfondiscano i modi in cui costrutti dominanti vs. determinati dalla legge si manifestano all’interno di un numero limitato di tematiche inerenti i contesti di vita specifici degli individui.

La povertà di costrutti rilevata nei partecipanti dimostra dunque che le principali spiegazioni presenti in letteratura possono avere una validità a livello individuale ma che, per ogni individuo, un singolo costrutto, sia esso di tipo politico o ideologico, tende a svolgere un ruolo dominante. In questo senso, le diverse teorie sulle cause psicologiche del terrorismo non sono in competizione l’una con l’altra, bensì appaiono complementari, alcune applicabili a certi individui, altre ad altri. In linea con i recenti modelli di McCauley & Moskalenko (2008) e di Hutson, Long & Page (2009), i risultati forniscono un primo supporto empirico all’ipotesi di percorsi diversi che conducono al terrorismo.

L’importante lavoro di McCauley & Moskalenko (2008) illustra dodici meccanismi di radicalizzazione operanti a livelli individuali e di piccolo e grande gruppo. Fra questi troviamo processi di “cambiamento radicale in gruppi di persone che la pensano in modo simile”, “coesione significativa in condizioni di isolamento e minaccia” e “competizione-fissione nel gruppo di appartenenza”. In futuro, un’interessante linea di ricerca potrebbe riguardare l’integrazione delle ipotesi su tali meccanismi di radicalizzazione con i risultati della ricerca qui presentata. Ciò permetterebbe, infatti, di esplorare le dinamiche specifiche alla base dei diversi percorsi di radicalizzazione qui identificati.

Al riguardo, sembra ragionevole che i quattro percorsi qui presentati possano essere specificatamente rilevanti per le diverse forme di coinvolgimento nel terrorismo. Ricerche future potranno stabilire quali fra i percorsi di Jihad islamica, politica o dei fattori sociali o criminali siano meglio applicabili ai ruoli terroristici di Leader, Protetto, Disadattato e Instabile identificati da Nesser (2006).

L’associazione dei risultati della griglia con le narrazioni dei partecipanti ha permesso inoltre di rilevare che i temi espressi da ogni intervistato sono radicati nel suo background. Nessuno è stato costretto o persuaso a compiere azioni violente; queste sono dipese dai loro modi di costruire il mondo e dalle loro aspirazioni personali, già insite in loro prima che la prospettiva del terrorismo si paventasse. Questi dati indicano la necessità di sviluppare strategie di de-radicalizzazione non tanto basate sulla rimozione della retorica radicale cui questi individui sono stati esposti, quanto piuttosto in grado di affrontare problemi più ampi. Un altro dato curioso è la frequenza con cui gli intervistati hanno citato le proprie famiglie come persone significative nelle loro vite; questo stona con il fatto che tutti hanno scelto di tenere i propri familiari all’oscuro delle loro intenzioni e attività terroriste. Ci sono evidenti implicazioni in questo studio su potenziali approcci di de-radicalizzazione, fra cui il coinvolgimento della famiglia. Ciò nonostante, lo studio mostra anche che, nel caso in cui siano disponibili opportunità clandestine di coinvolgimento, la famiglia non sembra essere una forte risorsa per la prevenzione precoce della radicalizzazione.

I costrutti personali e le storie di vita narrate dai quattro partecipanti ci aiutano a comprendere meglio le spiegazioni dominanti sulla radicalizzazione e sul coinvolgimento nel terrorismo. Sia l’intervistato caratterizzato da costrutti religiosi particolarmente nucleari sia il partecipante con concettualizzazioni politiche dominanti forniscono supporto alle prospettive sul terrorismo basate sul concetto di “scontro fra culture” e su aspetti geo-politici di deprivazione e abuso, elementi spesso proposti per comprendere come persone apparentemente intelligenti possano arrivare a uccidere altre persone con le quali non hanno alcun conflitto personale.

Gli altri due esempi, illustranti l’importanza delle relazioni sociali e del confine permeabile fra terrorismo e criminalità organizzata, mettono in discussione le prospettive secondo cui il terrorismo può essere spiegato unicamente in termini politici o come forma di atto altruista. Indubbiamente è presente una costruzione distorta del concetto di altruismo nei sistemi di costrutti di alcuni terroristi ma, altrettanto chiaramente, vi sono anche individui che agiscono considerando solo le proprie aspirazioni personali.

Le differenze riscontrate all’interno dei diversi sistemi di costrutti hanno delle implicazioni dirette per gli approcci volti a un allontanamento da questo mondo e per le strategie utili a prevenire in prima istanza la radicalizzazione. L’implicazione più evidente è che alcune persone condannate per terrorismo sono disposte a prenderne le distanze se viene offerta loro una via d’uscita. Le persone più aperte a questa possibilità sono quelle non guidate da concettualizzazioni di tipo ideologico o politico. Queste non si avvicineranno al terrorismo se non gliene si presenterà l’opportunità .

D’altra parte, gli individui con ideologie radicali non considerano queste prospettive come se fossero idee interessanti ma argomentabili. Essi sono intrappolati in concettualizzazioni dominanti di se stessi e di ciò che la loro vita dovrebbe essere. Con queste persone, per porre fine al loro coinvolgimento nel terrorismo, si può solo cercare di incanalare il loro senso del dovere prevalente nella direzione di risvolti non violenti.

Infine, è importante sottolineare i limiti riconducibili a risultati derivati da un campione di soli quattro individui accusati di terrorismo jihadista in India. La possibilità di generalizzare questi risultati può essere dimostrata solo da ulteriori ricerche e approfondimenti. Ad oggi, le prospettive sulla radicalizzazione sono tendenzialmente legate alla specificità dei contesti. In particolare, Hutson, Long & Page (2009) hanno sottolineato come il loro modello analizzi i processi di radicalizzazione in Medio Oriente, l’ampia rassegna di Dalgaard-Nielsen (2010) considera i medesimi processi in attivisti operanti in Europa, e l’importante lavoro svolto da McCauley & Moskalenko (2008) è centrato sulla radicalizzazione politica. Il quadro fornito da questo studio pone le premesse per lo sviluppo di future ricerche centrate sulle differenze contestuali proprie dei percorsi di radicalizzazione e all’interno di forme diverse di radicalizzazione, ad esempio indagando i diversi processi di radicalizzazione jihadista in varie parti del mondo.

I risultati di questo lavoro supportano la validità generale delle spiegazioni inerenti la psicologia del terrorismo presenti in letteratura, arricchendone però al tempo stesso la qualità. L’approccio della Psicologia dei Costrutti Personali, grazie al suo interesse per i costrutti psicologici, potrebbe facilitare lo sviluppo di un modello applicabile in diversi contesti di radicalizzazione. In effetti, è degno di nota il fatto che la Jihad caratterizzi solo uno dei sistemi di costrutti descritti nelle narrazioni dei quattro terroristi arrestati in India.

 

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Note sugli autori

 

Sudhanshu Sarangi

Università di Liverpool, Liverpool, UK

La prima bozza dell’articolo è stata preparata da Sudhanshu Sarangi, un alto ufficiale del servizio di polizia Indiana nel grado di ispettore generale di polizia, come parte del suo progetto di dottorato presso l’Università di Liverpool fra il 2006 e il 2008. Il progetto è stato presentato al suo supervisore, il prof. David Canter, che ha svolto una revisione dell’articolo in collaborazione con la dott.ssa Donna Youngs. In seguito, Canter ha inviato il lavoro affinché venisse pubblicato prima che Sarangi lasciasse il Regno Unito dopo aver ottenuto un diploma di Dottorato dall’Università di Liverpool.

 

David Canter

Centro di Ricerca Internazionale di Psicologia Investigativa, Università di Huddersfield, Huddersfield, UK

Il Professor David Canter è il direttore del Centro di Ricerca Internazionale di Psicologia Investigativa dell’Università di Huddersfield, nonché professore emerito di psicologia all’Università di Liverpool. Ha lavorato con la Psicologia dei Costrutti Personali sin dai tempi dei suoi primi contatti con Don Bannister e Bill Warren negli anni ’60.

 

Donna Youngs

Centro di Ricerca Internazionale di Psicologia Investigativa, Università di Huddersfield, Huddersfield, UK

La dottoressa Donna Youngs è docente a contratto in Psicologia Investigativa presso il Centro di Ricerca Internazionale di Psicologia Investigativa dell’Università di Huddersfield, dove dirige il programma di dottorato IRCIP. Le sue ricerche si focalizzano sui processi di imitazione dei modelli di azione offensiva e dei loro correlati psicologici in varie forme di criminalità, dalla rapina, allo stalking fino a omicidi seriali e terrorismo. Insieme a David Canter, sta lavorando allo sviluppo di un approccio di psicologia narrativa per comprendere i processi che influenzano i crimini e i trasgressori che è strettamente legato a varie idee derivate da recenti lavori sui costrutti personali dei terroristi.

 

Note

  1. Ringraziamo gli editori della rivista Personal Construct Theory & Practice per aver gentilmente concesso la traduzione dell’articolo. L’originale è disponibile al link http://www.pcp-net.org/journal/pctp13/sarangi13.pdf. Sarangi S., Canter D., Youngs D., (2013), Themes of radicalization revelead trough the personal constructs of jihadi terrorist. Personal Construct Theory & Practice, 10, 40-60.
  2. 26 Nelle narrazioni dei quattro intervistati alcuni elementi marginali sono stati modificati e altri sono stati resi meno espliciti per garantire l’anonimato dei partecipanti.