“Non mi piace quell’uomo devo conoscerlo meglio”.
(Gianrico Carofiglio)
Gianrico Carofiglio, magistrato, politico e non solo: scrittore, narratore, saggista e anche cintura nera e quinto Dan di Karate. Con queste premesse biografiche credo di non aver nemmeno esitato nell’acquisto del libro. Un titolo che è una promessa di anticipazioni invalidate: “Della gentilezza e del coraggio”, dove la gentilezza non ha a che fare solo con la delicatezza dei modi, o la bontà d’animo e il coraggio non ha a che fare solo con gli eroi, gli impavidi e la forza. Un sottotitolo che mescola ancora di più le certezze e spinge il lettore in uno spazio ignoto: “Breviario di politica e altre cose”. Cosa c’entra la politica con la gentilezza e come esse vanno a braccetto con il coraggio? E poi le altre cose… quali sono le altre cose? Leggere questo libro è un po’ come cadere nel buco dal quale è caduta Alice (Lewis, 1993) e ritrovarsi smarriti e increduli nel paese delle meraviglie dove tutto appare non al proprio posto. Anche la copertina ha evocato in me scomodità e precario equilibrio, esattamente ciò che mi ha accompagnata durante tutti i capitoli del libro. Abbandonate ogni ipotetica certezza voi che entrate. Insomma è un libro per gente sovversiva, per lettori che George Kelly (1955) avrebbe descritto come “irriverenti costruttivisti”, ossia persone inclini a porre e porsi le più scomode domande. Non è un libro per sudditi, ossia per coloro che credono nell’esistenza di un’unica realtà, magari raccontata da altri. È invece un libro per esploratori, pronti a salpare in mare aperto per pescare nuovi, inediti significati delle parole e allo stesso tempo sgranare gli occhi a nuovi orizzonti. L’autore, per spiegare cosa personalmente intende con le parole “gentilezza” e “coraggio”, non sceglie di trascrivere nel libro la definizione esatta trovata aprendo un dizionario della lingua italiana, bensì sceglie di partire con il dire, di queste parole, il loro opposto, il loro contrario ossia ciò che quella parola non è. La gentilezza di cui si parla in questo libro non riguarda le buone maniere, non è la buona educazione o il garbo; piuttosto si riferisce a un’arte combattiva, all’attitudine dell’uomo a non ritrarsi da un incontro nel ciclo
dell’esperienza anche se esso potrebbe implicare minaccia, paura, colpa. Questo incontro viene riconosciuto da Carofiglio nell’esperienza del conflitto, inteso non come un incontro gridato e volto alla sconfitta dell’altro, costruito come un avversario da eliminare, bensì un conflitto nel quale la persona esercita “cedevolezza” per far spazio alle ragioni altrui. Ecco allora che la gentilezza acquista un valore etico, così come il Criterio della Persona (Giliberto, 2017) ci invita e ci esorta a fare: solo se impegnati in un processo di reciproco riconoscimento dei nostri e altrui sistemi di costruzione è possibile l’incontro di Persone tra le Persone. In questo punto del libro, dove Carofiglio presenta la propria teoria dell’incontro ho riconosciuto nelle sue parole l’inconsapevole e straordinaria vicinanza al Corollario della Socialità di George Kelly (1955), un corollario il cui obiettivo non è “vincere”, “prevaricare”, bensì uscire da una transizione di ostilità al fine di accogliere l’Altro: fare spazio nel nostro sistema di significati senza la sensazione di essere stati sconfitti. È un significato di gentilezza mutuato dalle arti marziali, in particolare dal ju-jutsu, secondo cui chi combatte non è quello che oppone forza alla forza, bensì è colui che ha acquisito l’arte di cedere. In questo sta il coraggio: nella scelta spesso inedita di rifiutare un potere, rifuggire la tentazione di difendersi costruendo l’altro come minaccia; è vedere il conflitto come occasione di incontro e, ancora, è il contrario dell’indifferenza. Questo libro è un breviario, ossia un manuale di resistenza alla manipolazione illegittima, direbbe van Dijk (1988, 2006), così diffusa nella politica e nei discorsi social. Per questo il manoscritto dovrebbe abitare le nostre case, le nostre librerie, le scrivanie e perché no, anche le scuole, perché in esso vi sono pagine che rappresentano un antidoto al totalitarismo e all’incapacità di porsi domande. In una società nella quale prevaricare è sinonimo di vittoria e nella quale vincente è colui che non dubita, Carofiglio introduce l’invito all’umorismo, all’autoironia intese come veri e propri amplificatori di relazione, pratiche di sopravvivenza della specie umana ossia armi contro il fanatismo e la paura dell’errore. Una sorta di invito ad una cibernetica di secondo livello, direbbero Maturana e Varela (1984/1987), un invito ad acquisire la capacità di guardarci dall’alto, supervisionandoci e sorvegliandoci per rifuggire la tendenza a prenderci troppo sul serio, a credere troppo in ciò che costruiamo come vero, al fine di permetterci di revisionare anche con una certa leggerezza costruzioni prelative del mondo, dell’altro e di noi stessi. E infine, il libro consiste anche in un salto epistemologico nel quale la gentilezza e il coraggio sono una scelta e si sceglie di essere cedevoli per ridare senso alle relazioni e per restare umani.
Bibliografia
Giliberto, M. (2017). Per un’etica esperienziale non normativa. Rivista Italiana di Costruttivismo, 5(2), 9-24.
Kelly, G. A. (1955). The psychology of personal constructs (vol. 1-2). New York, NY: Norton.
Lewis, C. (1993). Alice nel paese delle meraviglie. Milano: Giangiacomo Feltrinelli Editore
Maturana, H. R., & Varela, F. J. (1987). L’albero della conoscenza (G. Melone, Trad.). Milano: Garzanti. (Opera originale pubblicata 1984).
van Dijk, T. A. (1988). Social cognition, social power and social discourse. Interdisciplinary Journal for the Study of Discourse, 8(1-2), 129-157. doi:10.1515/text.1.1988.8.1-2.129
van Dijk, T. A. (2006). Discourse and manipulation. Discourse & Society, 17(2), 359-383. doi:10.1177/ 0957926506060250
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