1. Introduzione
Una descrizione sintetica e rappresentativa della crisi ambientale odierna è riportata dallo scrittore Guido Viale (2012):
l’orizzonte esistenziale delle nostre vite è dominato dalla crisi ambientale: non solo dai mutamenti climatici, che rappresentano ovviamente la minaccia maggiore, ma anche dalla scarsità di acqua e suolo fertile (non a causa della loro limitatezza naturale, ma dell’inquinamento e della devastazione a cui sono sottoposti); dalla distruzione irreversibile della biodiversità; dall’esaurimento del petrolio e degli altri idrocarburi (che sono anch’essi “risorse naturali”, anche se utilizzate per devastare la natura); dall’esaurimento di molte altre risorse, sia geologiche che alimentari (il nostro “pane quotidiano”); dall’inquinamento degli habitat umani che riduce progressivamente la qualità della vita e delle relazioni interpersonali. (p.30)
In questo articolo si mira ad individuare le cause e i processi che hanno determinato o hanno reso possibile l’avvento di questo scenario catastrofico precedentemente descritto; le domande generatrici dalle quali si è partiti sono le seguenti: come ha potuto l’essere umano arrivare fino a questo punto? Quali sono stati i fattori epistemologici e i processi culturali che hanno condotto a questo scenario? Quali sono gli impedimenti che tutt’ora non ci permettono di applicare un’adeguata risposta a tale crisi ambientale? Quali strade e quali scelte si possono adottare per modificare la costruzione che l’essere umano ha di se stesso e del mondo con il quale si relaziona?
Per rispondere a queste e ad altre questioni si utilizzerà il pensiero di alcuni autori che hanno fondato la Biologia della Conoscenza, il Pensiero Teorico Sistemico e il Pensiero Teorico Costruttivista, come, tra i più importanti, Humberto Maturana, Francisco Varela, Gregory Bateson e George Kelly.
2. Umano e natura: due entità distinte?
2.1 Il contributo di Maturana e Varela
2.1.1 Sistemi viventi come sistemi autopoietici
Per affrontare il rapporto tra uomo e natura crediamo sia importante provare a partire dalle basi, ossia dalle fondamenta epistemologiche che ci permettono innanzitutto di provare a comprendere che cosa sia un sistema vivente e quali caratteristiche lo rendono tale. Nel celebre libro “L’albero della conoscenza” (1987), Maturana e Varela affrontano il problema dell’epistemologia individuando il rapporto tra biologia e conoscenza come il fulcro dell’indagine dei processi cognitivi; ogni atto di conoscenza non può essere compreso senza includere l’organizzazione di colui che conosce, per tanto ogni azione conoscitiva viene vista come fatta da qualcuno in particolare in un luogo particolare. “Ogni cosa detta, è detta da qualcuno” (ibidem, p. 46), ribadiscono più volte i due autori. Con questa premessa, il punto di partenza dell’indagine epistemologica di Maturana e Varela diventa quello di riconoscere quali siano le caratteristiche che ci permettono di parlare di sistemi viventi: comprendere un sistema vivente significa, in primis, comprendere quali siano le relazioni che devono aver luogo affinché esso esista come unità. Gli autori chiamano l’insieme di queste relazioni organizzazione. Questo non è, però, sufficiente a definire un essere vivente:
il possesso di un’organizzazione non è, naturalmente, esclusivo degli esseri viventi, ma è comune a tutto ciò che possiamo studiare come sistema. Quello che è però tipico degli esseri viventi è il fatto che gli unici prodotti della loro organizzazione sono essi stessi, per cui non c’è separazione tra produttore e prodotto. (ibidem, p. 63)
In questo senso gli autori definiscono i sistemi viventi come sistemi autopoietici, ossia in grado di autoprodurre e mantenere la propria organizzazione. Per comprendere il pensiero degli autori è utile fissare alcuni concetti: per organizzazione di un sistema si intende l’insieme delle relazioni tra le componenti che
costituiscono un’unità composita in quanto unità. L’organizzazione è data quindi dalle relazioni tra le componenti che devono rimanere invariate e che ci permettono di individuare quel sistema come appartenente ad una certa classe di sistemi. Per struttura di un sistema gli autori intendono l’insieme di componenti e di relazioni attuali e concrete attraverso le quali l’organizzazione del sistema si manifesta in un ambiente particolare in un tempo particolare. In altri termini, per struttura di un sistema si intendono i modi concreti e particolari in cui un sistema, definito da una certa organizzazione, si realizza in uno spazio-tempo determinato. Pertanto, l’organizzazione di un sistema deve rimanere invariata affinché esso possa continuare ad appartenere ad una determinata classe, invece la struttura di un sistema può variare; tale variazione strutturale, di fronte agli stimoli ambientali, è funzionale al fine di garantire l’invarianza dell’organizzazione stessa. Gli autori arrivano così ad affermare che un sistema vivente lo si può definire come sistema chiuso dal punto di vista organizzativo, ma al contempo sistema aperto dal punto di vista strutturale. L’autonomia di un sistema vivente si incarna proprio in questa capacità di cambiare la propria struttura al fine di garantire un’invarianza organizzativa.
2.1.2 Determinismo strutturale, accoppiamento strutturale e adattamento
Uno dei presupposti principali che determina la costruzione della relazione tra essere umano e natura, e che si ipotizza abbia condotto all’attuale crisi ambientale, poggia le proprie radici sull’assunto che distingue l’individuo umano da tutto ciò che lo circonda; secondo tale concezione, cioè, la mente individuale risulta distinta dal proprio ambiente e dal proprio contesto, l’individuo in quanto tale è un elemento scisso e indipendente da ciò che lo circonda. Possiamo definirla una posizione epistemologica di tipo realistico, secondo la quale esiste una realtà separata dall’osservatore, che può essere studiata attraverso metodi oggettivi e raccogliendo dati, seguendo quindi un frammentalismo accumulativo, con l’idea di avvicinarsi sempre più ad una vera conoscenza. Per comprendere la relazione uomo-natura in modo tale da poter aprire nuove prospettive è necessario un salto paradigmatico verso un’epistemologia postmoderna costruttivista nella quale il dualismo uomo-natura è superato in favore di una realtà che non può più essere indipendente dal suo osservatore e viceversa, accedendo ad una visione complessa ed interdipendente dei fenomeni. Senza dubbio uno dei maggiori contributi nel favorire un cambiamento epistemologico nella relazione Osservatore/Osservato arriva dalla Teoria della Conoscenza di Maturana (1987), nella quale si arriva ad una profonda integrazione tra sistema vivente chiuso ed organizzato e la sua stretta interdipendenza con l’ambiente in cui è inserito. Nel pensiero di Maturana la mente non è più concepita come distinta e separata dal proprio contesto, bensì viene intesa come un fenomeno che appartiene alla dinamica relazionale dell’organismo con il suo ambiente; ciò che chiamiamo mente, secondo l’autore, è un fenomeno relazionale, sorge cioè nella relazione tra l’organismo e l’ambiente, allo stesso modo come il respirare nasce da un movimento del diaframma e dei polmoni in relazione all’ossigeno presente nell’atmosfera.
Dell (1986), riportando i presupposti cardine della Teoria della Conoscenza di Maturana, afferma che l’asserzione ontologica di quest’ultimo descrive il mondo come strutturalmente determinato, e che il comportamento di tutte le unità composte, sia che si tratti di sistemi viventi o di oggetti inanimati, è interamente determinato dalla loro organizzazione e struttura (cioè dalle componenti dell’unità e dalle relazioni tra queste componenti). Secondo la nozione di determinismo strutturale le operazioni di un sistema vivente, sia la sua dinamica interna, sia la sua dinamica relazionale, dipendono dalla sua organizzazione e struttura. In altre parole, il concetto di Maturana di determinismo strutturale è la generalizzazione della sua idea originaria sulla chiusura dei sistemi viventi dal punto di vista organizzativo. Il comportamento di un sistema vivente nel suo medium non è altro che un caso particolare di una realtà più generale, cioè, che noi viviamo in un mondo di entità strutturalmente determinate.
Il concetto di determinismo strutturale appena descritto implica direttamente un fenomeno che Maturana (1987) chiama Accoppiamento Strutturale. Con questo termine egli indica la relazione esistente fra un’entità strutturalmente determinata e il medium in cui essa esiste. L’accoppiamento strutturale rappresenta il fenomeno fondamentale del determinismo strutturale; esso è infatti il processo da cui è scaturito l’universo organizzato in cui viviamo. L’accoppiamento strutturale organizza ed è costitutivo di ogni sistema complesso che sia mai esistito. Secondo Maturana (ibidem) il vivere di un sistema vivente è un processo di interazioni ricorsive tra il sistema vivente e l’ambiente che decorre come un fluire di cambiamenti strutturali reciproci e congruenti.
Maturana e Varela (1987) descrivono l’essere vivente e l’ambiente in cui esso nasce, come due unità dotate di una dinamica strutturale propria e operativamente distinta dall’altra; tra di esse si realizza una congruenza strutturale necessaria all’interno della quale, però, una perturbazione dell’ambiente non contiene in sé la specificazione dei suoi effetti sull’essere vivente, ma è quest’ultimo, con la propria struttura, che determina il suo stesso cambiamento in rapporto alla perturbazione. Sempre Dell (1986) afferma che:
l’accoppiamento strutturale è il fenomeno che sottende e, di fatto, costituisce ciò che di solito chiamiamo «cognizione» o «intelligenza». Essere accoppiato strutturalmente significa avere comportamenti intelligenti. Il comportamento fondamentale è esistere; la conoscenza fondamentale è conoscere come esistere. Una roccia sa come esistere. Analogamente, per un organismo vivente la conoscenza chiave è sapere come sopravvivere.
Se un organismo è in grado di continuare a funzionare come unità vivente, autopoietica, significa che esso è accoppiato strutturalmente con il suo medium. Cioè, le sue interazioni con il medium in cui esiste non portano alla sua distruzione. Dell (ibidem), infatti, continua la sua analisi affermando che:
ciò che esiste deve essere accoppiato strutturalmente con il mondo (in cui esiste); ciò che non è accoppiato strutturalmente con il mondo non può esistere (in quel mondo). L’accoppiamento strutturale, inteso come la relazione di complementarità tra un’unità e il suo medium, è una condizione costitutiva dell’esistenza di qualunque unità.
Il concetto di unità di sopravvivenza e il concetto di accoppiamento strutturale aprono alla formulazione teorica del concetto di adattamento che Maturana e Varela (1987) descrivono come il mantenimento della compatibilità tra gli organismi e il loro ambiente:
di fronte al fenomeno di accoppiamento strutturale fra organismi e ambiente, come sistemi operazionalmente indipendenti, se prestiamo attenzione al mantenimento degli organismi come sistemi dinamici nel loro ambiente, questo mantenimento ci apparirà sotto forma di una compatibilità fra gli organismi e il loro ambiente che chiamiamo adattamento. (p. 72)
L’adattamento di un’unità a un ambiente, secondo i due teorici, è una conseguenza necessaria dell’accoppiamento strutturale di tale unità con il suo ambiente; in questa prospettiva ciò che diviene primario della nozione di adattamento è la conservazione dell’autonomia del sistema, cioè la conservazione della chiusura dei cicli vitali che definiscono la sua organizzazione.
2.2 Il contributo di Gregory Bateson: il concetto di mente
Un altro autore che ha ampiamente affrontato il tema della distinzione uomo-natura è Gregory Bateson, il quale, attraverso un’ampia costruzione di un’epistemologia ecosistemica e cibernetica ha rivoluzionato l’approccio nei confronti dello studio relativo alla relazione uomo-mondo e all’evoluzione dell’adattamento umano.
Anche secondo Bateson (1972/1977) la separazione tra mondo fisico esterno e mondo mentale interno non sussiste, cioè, secondo l’autore la mente non può essere pensata come confinata dall’epidermide; nella descrizione di mente individuale egli infatti comprende tutti quei canali d’informazione posti al di fuori dell’epidermide che contribuiscono a spiegare, attraverso l’analisi delle differenze tra i messaggi informativi, il comportamento umano nella sua completezza, e cioè considerando circuiti totali, completi. Tale sistema cibernetico elementare, con i suoi messaggi in circuito, costituisce, secondo Bateson, l’unità mentale più semplice, e la trasformata di una differenza che viaggia in un circuito è vista come l’idea elementare. La mente individuale, secondo Bateson, non è delimitata dal confine del corpo e rappresenta solo uno dei tanti sottosistemi che compongono la “Mente” nell’accezione più ampia:
la mente individuale è immanente, ma non solo nel corpo; essa è immanente anche in canali e messaggi esterni al corpo e vi è una più vasta mente di cui la mente individuale è solo un sottosistema. Questa più vasta mente è paragonabile a Dio, ed è forse ciò che alcuni intendono per «Dio», ma essa è ancora immanente nel sistema sociale totale interconnesso e nell’ecologia planetaria. (ibidem, p. 479)
Dell (1986) afferma che, secondo Bateson, la “Mente” nell’accezione più ampia è:
la Creatura, il mondo del vivente, costituisce una mente coerente e organizzata che elabora le informazioni. La totalità della Creatura (l’ecologia planetaria) e ciascuna delle sue componenti (organismo individuale, sistemi interattivi, ecosistemi, etc.) sono dotati di processi mentali. La Creatura, in tutte le sue manifestazioni, è mente.
Il pensiero di Bateson tenta dunque di illuminare l’interdipendenza tra tutti i sistemi viventi, arrivando a parlare di sacra unità della biosfera dotata delle proprietà della mente. Se la mente individuale, quindi, non può esistere se non compresa all’interno di un sistema più ampio, ciò che risulta utile per la comprensione dei viventi e la loro relazione con il mondo è il concepimento dell’unità di sopravvivenza, che non è più rappresentata da un singolo sistema (organismo, famiglia, società) che interagisce con altri sistemi, ma che è costituito dalla relazione dell’organismo nel suo ambiente.
Bianciardi (2014), parafrasando Varela, riprende tale concetto di unità descrivendo come il “soggetto del conoscere” sia da cercare nella relazione organismo-ambiente:
negli sviluppi teorico epistemologici proposti da Francisco Varela i processi cognitivi sono da considerarsi embodied (ovvero ‘incarnati’) non solo nell’organismo e nelle sue caratteristiche fisiologiche, ma anche nella nicchia ecologica di cui l’organismo stesso è parte attiva. Ne consegue che il soggetto, per così dire, del conoscere, non è l’organismo, bensì è la relazione tra organismo e ambiente, una relazione ove ‘l’organismo e l’ambiente si inviluppano l’uno nell’altro e si sviluppano l’uno dall’altro in quella circolarità fondamentale che è la vita stessa’ (Varela, Thompson, & Rosch, 1991/1992, p. 255). Varela afferma esplicitamente che usando il termine conoscenza ‘incarnata’ intende sottolineare sia il fatto che la cognizione dipende dall’esperienza senso motoria del nostro vivere come corpo concreto, sia il fatto che ‘queste capacità sensomotorie individuali sono esse stesse incluse in un contesto biologico, psicologico e culturale più ampio’ (ibidem, p. 206). La realtà, quindi, non viene costruita da un osservatore per così dire ‘disincarnato’, o che vive la propria esperienza nel vuoto; il soggetto del conoscere inteso come costruzione è un organismo nel suo ambiente: è, al limite, la relazione organismo-nicchia ecologica. (p. 4-5)
Le teorie di Maturana, Varela e Bateson, quindi, sembrano essere in antitesi con la concezione che vede l’essere umano come entità indipendente dal proprio ambiente, essi cioè concepiscono l’individuo, e in misura più ampia la società umana, come sistemi in grado di esistere e di sopravvivere solo se collegati al loro contesto ambientale, medium, o nicchia ecologica. Alla luce di queste considerazioni, come spiegare l’attuale crisi ambientale? Quali sono cioè i presupposti culturali che hanno condotto la civiltà umana alla continua distruzione dell’ambiente in cui vive? Ancora, come mai, nonostante sia ormai acclarato il nesso che unisce la distruzione dell’ambiente con la distruzione dell’essere umano, si continua ad utilizzare un approccio che “consuma” il mondo invece di preservarlo preservando noi stessi? L’errore forse sta proprio nel costruirsi scissi e indipendenti dall’ambiente in cui si vive.
3. Presupposti e vicoli ciechi
3.1 Interazioni istruttive e perturbazioni distruttive
Per avvicinarci ad una maggior comprensione di come l’essere umano sia arrivato a porsi di fronte al suo medium totalmente scisso e, anzi, in una relazione di manipolazione e dominio, è necessario rivedere i concetti di causalità e di controllo con cui ci muoviamo nel mondo.
Come dobbiamo spiegare la nostra convinzione (ed esperienza) che una cosa ne causa un’altra? Secondo Dell (1986) per Maturana, la parola causa è sinonimo di interazione istruttiva, un fenomeno impossibile. In un‘interazione istruttiva A determina unilateralmente la risposta di B: la lezione tenuta da un professore determina in tutti gli studenti un identico livello di comprensione e fa sì, quindi, che essi diano agli esami risposte identiche. La nostra esperienza non ci conduce tuttavia a tale conclusione; quando Maturana afferma che la causalità è impossibile, intende dire che la lezione del professore non determina le risposte degli studenti (il che significherebbe che si tratta di un’interazione istruttiva); essa seleziona le risposte degli studenti, ma è la loro struttura che le determina. In altri termini, Maturana sostiene che il nostro uso abituale del termine causa implica sempre, o rischia di implicare, un determinismo del tipo interazione istruttiva, mentre la causalità è sempre solo un processo di selezione. La causalità così come la intendiamo comunemente non esiste. Quanto stiamo dicendo non è altro che una conseguenza del determinismo strutturale, precedentemente descritto, con cui Maturana legge il mondo: i sistemi vengono visti come autonomi e chiusi a livello organizzativo, determinati dalla loro struttura più o meno plastica, in accoppiamento strutturale con il proprio ambiente o con altri sistemi. Tutte le interazioni implicano dunque accoppiamenti strutturali tra gli oggetti. Se siamo in grado di interagire con essi in modo da ottenere il risultato desiderato o previsto, viviamo l’esperienza psicologica della causalità, la quale però non sottende mai un’interazione di tipo istruttivo; sono le strutture coinvolte nell’interazione che si adattano reciprocamente per generare un certo esito. In questa interpretazione, basata sull’autonomia e la chiusura organizzativa dei sistemi viventi, l’ambiente è visto come una sorgente di perturbazioni indipendente dalla definizione dell’organizzazione del sistema, quindi intrinsecamente non istruttiva. Poiché la causalità è impossibile ne consegue che anche il controllo risulti impossibile. Dell (ibidem) ci riporta un esempio che chiarifica molto bene quanto stiamo dicendo:
i metodi educativi di una madre possono funzionare bene con il primo figlio, ma fallire miseramente con il secondo. Perché? Perché è la struttura del bambino che determina come si comporterà, non i metodi pedagogici della madre. Perciò, se la madre vuole avere successo con il secondo figlio, deve scoprire ed usare con lui solo quelle modalità di intervento che sono in sintonia con le sue tendenze e con la sua personalità.
Torniamo adesso al rapporto uomo e ambiente e andiamo a vedere che tipo di interazioni possono definirsi. Secondo Maturana e Varela (1987), l’essere vivente e il suo ambiente sono da considerarsi unità distinte e operativamente indipendenti l’una dall’altra, fra le quali si realizza una congruenza strutturale necessaria, pena la scomparsa dell’unità. Gli autori distinguono successivamente i quattro domini specificati dalla struttura di ogni unità: 1) dominio dei cambiamenti di stato: tutti quei cambiamenti strutturali che un’unità è in grado di sopportare senza che la sua organizzazione cambi, cioè mantenendo la sua classe di identità; 2) dominio dei cambiamenti distruttivi: tutti quei cambiamenti strutturali per cui l’unità perde la sua organizzazione e, pertanto, scompare come unità di una certa classe; 3) dominio delle perturbazioni: tutte quelle interazioni che innescano cambiamenti di stato; 4) dominio delle interazioni distruttive: tutte quelle perturbazioni che provocano un cambiamento distruttivo. Le interazioni distruttive descritte nell’ultimo punto segnalano un cambiamento distruttivo che porta alla disintegrazione dell’unità e al mancato conseguimento dell’accoppiamento strutturale. Dell (1986), parafrasando Maturana, afferma infatti che:
un oggetto strutturalmente determinato è accoppiato con il mondo (in cui esiste) fino a che le interazioni con esso non portano alla sua disintegrazione. Se le interazioni con il medium portano alla disintegrazione dell’oggetto, esso cessa di esistere e, ovviamente, non è più accoppiato strutturalmente (con il medium in cui esisteva).
Maturana e Varela (1987) sottolineano inoltre come la conservazione dell’autopoiesi e la conservazione dell’adattamento siano condizioni necessarie per l’esistenza degli esseri viventi; la modificazione strutturale di un essere vivente in un ambiente sarà sempre un cambiamento strutturale congruente tra l’essere vivente e l’ambiente.
Non è, forse, quindi lecito pensare che le interazioni distruttive che l’essere umano compie nei confronti del proprio ambiente siano da considerarsi come perturbazioni che distruggono la compatibilità e la conservazione dell’adattamento, e quindi della propria esistenza? Se viene meno la compatibilità con il proprio medium, viene meno la stessa conservazione della propria autopoiesi. Tali interazioni distruttive possono essere rappresentate dal costante inquinamento dell’acqua, dell’aria e della terra, e dallo sfruttamento continuo delle risorse naturali; e tali perturbazioni distruggono e inquinano quell’ambiente dal quale noi dipendiamo per la nostra sopravvivenza.
Così come afferma Kenny (1989), la società occidentale sembra non aver appreso appieno come i presupposti sui quali muove la costruzione della relazione uomo-ambiente siano essenzialmente inefficaci, cioè non in grado di mantenere un accoppiamento strutturale adeguato per il mantenimento della propria esistenza:
nell’ambito del fino ad ora popolare modello «di sfruttamento» del capitalismo occidentale si immagina che un sistema possa agire sul suo ambiente in maniera unilaterale, manipolandolo per ottenere da esso il massimo di redditività col minimo di responsabilità. L’assunto di base della unilateralità, cioè che un sistema possa, impunemente, estorcere profitto dall’ambiente, e nel frattempo esportarvi i propri rifiuti, ha contribuito in maniera drastica alla contaminazione dell’ecosistema con la quale ora dobbiamo vivere. L’assunto della separazione autonoma dal mondo è chiaramente sbagliato.
Egli afferma inoltre che tale assunto appare ancora credibile e applicato a causa della latenza, e cioè dell’intervallo di tempo necessario prima che ci si accorga degli effetti catastrofici di tutti i tipi di rifiuti che ci ritornano attraverso la catena alimentare o per altre vie. La soluzione a tale catastrofe è immaginata da Kenny attraverso la definizione di una nuova cornice che indichi come le organizzazioni possano accoppiarsi con il loro ambiente in modi alternativi, facendo proprio il presupposto che vede il sistema umano come sistema esistente in quanto parte del proprio medium:
la miglior motivazione per non dare origine a quei prodotti non deve essere trovata nei problemi di ordine sociale, politico, internazionale, finanziario derivanti dall’essere scoperti a giocare scorrettamente, ma piuttosto nella definizione di una nuova cornice che indichi come le organizzazioni possano accoppiarsi col loro ambiente in modi alternativi. Il paradigma costruttivista preferisce addirittura evitare l’uso del termine ambiente, perché esso suona come se fosse qualcosa di separato dal sistema operativo. Il termine medium è usato, in alternativa, per sottolineare il fatto che il sistema ed il suo medium non sono due entità separate che interagiscono a distanza. Un sistema esiste come parte di un medium e non come un oggetto separato dentro di esso. (ibidem)
3.2 Costruzioni che consumano e il processo stocastico
Bateson (1972/77) individua tre fattori principali a cui connettere le grandi minacce alla sopravvivenza dell’uomo:
1-Il progresso tecnico
2-L’aumento della popolazione
3-Certi errori nel pensiero e negli atteggiamenti della cultura occidentale. I “valori” errati.
Egli prende in considerazione tali fattori posizionandoli all’interno di un sistema autocatalitico e descrivendone la loro interazione; secondo l’autore, l’aumento della popolazione stimola il progresso tecnico e crea quell’ansia che ci oppone al nostro ambiente come a un nemico; mentre la tecnica da una parte facilita l’aumento demografico, dall’altra rafforza la nostra arroganza, o hybris, nei confronti dell’ambiente naturale. Per quanto riguarda l’aumento demografico, egli afferma che abbia creato uno squilibrio fra il tasso di natalità e quello di mortalità; grazie allo sviluppo tecnico e medico abbiamo progressivamente diminuito il tasso di mortalità con il controllo delle malattie e con l’aumento della qualità della vita; ma in ogni sistema ecologico, afferma Bateson, ogni squilibrio crescente, produce fattori che lo limitano, e tali fattori sono “utilizzati” dalla natura per correggere tale squilibrio, cioè sostanzialmente per distruggere l’essere umano.
Il terzo punto è quello che risulta più interessante nell’analisi dei fattori che hanno portato la civiltà umana a confrontarsi con l’attuale crisi ambientale e forse con la propria autodistruzione; Bateson parla di valori errati, idee che si sono dimostrate false alla luce della moderna storia ecologica.
Attraverso la Teoria dei Costrutti Personali (Kelly, 1991/2004) si tenterà di individuare quali valori e idee possono aver co-generato la situazione attuale; non si parlerà però di idee ma di costruzioni, costruzioni che la civiltà occidentale ha scelto nell’intento di anticipare e di sviluppare la propria comprensione del mondo, e del rapporto tra essa e il proprio ambiente.
Secondo il Corollario della Scelta (ibidem) una persona sceglie per sé quell’alternativa in un costrutto dicotomizzato per mezzo della quale anticipa la maggior possibilità di elaborazione del suo sistema. In questo articolo si ipotizza che i costrutti principali che hanno guidato l’essere umano nella scelta delle direzioni più elaborative per il proprio sistema siano:
- Uomo vs Ambiente
- Consumo vs Preservo
- Controllo vs Comprendo
- Manipolo vs Accetto
- Profitto vs Compatibilità
- Risorse Infinite vs Risorse Finite
Il primo vede la distinzione tra uomo e ambiente che, come affermato precedentemente, è forse l’errore più grave, ossia considerarsi indipendenti e distinti dal proprio medium; la scelta del polo uomo ha determinato la costruzione della relazione uomo ambiente, nella direzione che vede l’uomo come unico protagonista della storia, e l’ambiente come materia da utilizzare per fare la storia. Se l’ambiente è considerato materia da utilizzare, allora ne consegue che la scelta ricadrà sul consumare rispetto al preservare, al controllare rispetto al comprendere, al manipolare rispetto all’accettare il mondo così come si presenta, al perseguire il profitto invece di ricercare la compatibilità con l’ambiente e al considerare le risorse da consumare come infinite rispetto a finite. Considerare tali costruzioni semplicemente come parole, non ci aiuta a capire fino in fondo le implicazioni che determinate scelte determinano nella costruzione del mondo che abitiamo; così come affermano Maturana e Varela (1987), le parole sono azioni, le parole delineano dimensioni di senso che sono incarnate nelle interazioni ricorrenti, permettendoci un accoppiamento strutturale a livello interpersonale e con il mondo al quale partecipiamo.
Bateson (1972/1977) continua sostenendo la tesi secondo cui la civiltà umana sia entrata all’interno di un vicolo cieco evolutivo che probabilmente condurrà a conseguenze disastrose. Questo processo viene definito processo di tipo stocastico; secondo Minissi (1999), sia Bateson che Lorenz ritengono che l’evoluzione dei sistemi di interpretazione dell’uomo possa essere descritta attraverso questo tipo di processo. Infatti, l’analisi di Bateson (1972/1977) rispetto a questo verte sulla capacità di alcune interpretazioni del mondo di sopravvivere, rispetto ad altre, nel corso della storia; egli sostiene che alcune idee sopravvivono grazie al loro uso ripetuto, favorendo in tal modo la formazione di abitudini che ricorsivamente confermano e mantengono le stesse idee che diventano sempre più premesse implicite, spesso al di fuori della consapevolezza degli individui.
Utilizzando la Psicologia dei Costrutti Personali (Kelly, 1991/2004) possiamo provare ad accomunare le idee appena descritte di Bateson alle repliche descritte da Kelly; egli descrive le repliche come ripetizioni di alcuni aspetti che possono essere astratti da ciascun evento per poi essere mantenuti indipendentemente dalle contingenze spaziali o temporali; tali regolarità permettono all’essere umano di fare esperienza, di costruire, di prevedere la realtà e di rendere il mondo gestibile.
Continuando il confronto tra i due autori, Bateson (1972/1977) descrive come le idee più generali e astratte siano maggiormente in grado di sopravvivere all’uso ripetuto, e come tali idee tendano a divenire premesse da cui dipendono altre idee, e come queste premesse divengano relativamente rigide e mantenute nel tempo; allo stesso tempo queste premesse divengono nuclei o nodi entro costellazioni di altre idee e qualsiasi cambiamento di tali nuclei porterebbe al cambiamento in tutte le costellazioni ad esso legate. Tali premesse potrebbero essere accomunate ai costrutti sovraordinati di cui parla Kelly (1991/2004), e cioè costruzioni in grado di “ospitare” costrutti subordinati, i quali essendo subordinati dipendono e si modificano anche in base ai cambiamenti che subiscono i costrutti sovraordinati che li contengono.
Ciò che si sta cercando di ipotizzare è che le costruzioni (divenute repliche nel tempo e poi costruzioni sovraordinate) descritte in precedenza (uomo/ambiente, consumo/preservo, controllo/comprendo, manipolo/accetto, profitto/compatibilità, risorse infinite/risorse finite) siano state selezionate e mantenute nel corso della storia della civiltà occidentale in quanto in grado di fornire all’essere umano quella prevedibilità e quella capacità di gestione del mondo di cui parla Kelly; tali costruzioni lungi dall’essere giuste o sbagliate in termini assoluti hanno permesso all’essere umano di sopravvivere fino ad oggi, e cioè gli hanno permesso di mantenere quella relazione con il proprio ambiente che Maturana chiama accoppiamento strutturale.
Alla luce delle ipotesi avanzate fino ad ora, però, sembra evidente come tali costruzioni non siano più in grado di mantenere una prevedibilità e una gestione del mondo adeguata, in quanto esse stanno conducendo l’esperienza umana alla propria autodistruzione. Si auspicherebbe quindi ad una revisione che permetta una costruzione diversa della relazione uomo-ambiente, o che perlomeno vi sia un cambiamento per contrasto in cui vi sia uno spostamento verso i poli dei costrutti che attualmente, nella maggior parte dei casi, vengono scartati nella scelta delle direzioni da seguire (preservo, comprendo, accetto, ecc.). Allora come mai ciò non accade? Come mai è così difficile per la civiltà occidentale cambiare?
4. L’ipotesi costruttivista: l’ostilità occidentale
Secondo George Kelly (1991/2004) l’ostilità è il tentativo ripetuto di ottenere delle verifiche sperimentali attraverso una serie di previsioni sociali che hanno già dimostrato la loro inefficacia. La persona ostile non può permettersi di accettare un’invalidazione, non può permettersi di andare a revisione delle proprie anticipazioni; di fatto non ha un’alternativa se non cercare appunto di estorcere prove validazionali al fine di veder validate delle anticipazioni che non può permettersi di abbandonare. Nel parlare di ostilità Kelly (2016) va oltre al soggetto singolo e individua l’ostilità anche all’interno delle comunità umane, quando descrive i processi estorsivi davanti a determinati fallimenti:
è questa estorsione di conferme che caratterizza l’ostilità. Una nazione che si accorga del fallimento dei suoi sforzi in difesa della vita umana, può distruggere milioni di vite, se queste vite mostrano l’evidenza del fallimento del sistema. Una nazione può scegliere la guerra per rimuovere la responsabilità dei suoi fallimenti.
L’autore prosegue e arriva a toccare il punto cardine della questione proposta in questo elaborato, considerando i sistemi umani come soggetti in grado di essere ostili, nel momento in cui, pur di preservare la propria costruzione del mondo, risultano distruttivi verso gli altri e poi verso se stessi:
e comunque l’ostilità, che sia intrapresa con metodi aggressivi oppure passivi, in un sistema teoretico di costrutti personali, è un’impresa estorsiva progettata dalla persona per proteggere un grosso investimento nella sua interpretazione della vita. E se per caso la sua ostilità si dimostra distruttiva per gli altri, ciò, sfortunatamente, è come deve essere. L’economia deve essere preservata: il fatto che gli anziani muoiano di fame in India o nella stessa tua città è incidentale. L’eresia deve essere controllata: purtroppo la curiosità intellettuale nei campus universitari va negata. Le bombe vanno gettate, con la sicurezza che i bambini ne moriranno. Ma non siamo mica stati noi a metterli sul bersaglio da bombardare. Dal nostro punto di vista è un prezioso stile di vita quello che stiamo difendendo, con le Cadillac e tutto il resto. Ma quello che l’uomo ostile non sa, è che è lui la vittima definitiva della sua stessa estorsione. Adottando l’ostilità rinuncia alla capacità di giudicare i risultati del suo stile di vita e senza questa capacità si perderà inevitabilmente. (ibidem)
Come afferma Kelly, ci ostiniamo a difendere un prezioso stile di vita, mantenuto in piedi sia dall’applicazione di un sistema consumistico che “consuma” il mondo e le relazioni tra gli individui che lo abitano, sia dall’applicazione della tecnica che promuove tale sistema amplificandone gli effetti a breve e a lungo termine.
Andare verso un’alternativa, scegliere di revisionare la propria costruzione della relazione uomo-ambiente, e revisionare le costruzioni che permettono all’essere umano di gestire e controllare il proprio mondo e la propria esistenza, potrebbe portare ad una minaccia difficilmente sostenibile, data da una prospettiva di cambiamento che potrebbe condurre a caos o ansia. Per questo, ostilmente continuiamo a consumare e a distruggere il nostro ambiente in vista di un profitto, all’interno di quella costruzione del rapporto uomo-mondo in cui il profitto è l’unico obiettivo necessario al di sopra di tutto. Vi è quindi sia ostilità di coloro (produttori, politici, ecc.) che pur di mantenere il proprio potere e quindi il proprio profitto continuano a promulgare una costruzione del mondo da consumare, e sia “ostilità passiva” di coloro che si adattano a tale costruzione pur di non rivedere e modificare il proprio stile di vita (consumatori). Sia i soggetti che detengono il potere, sia quelli che lo subiscono contribuiscono quindi al mantenimento dell’ostilità dell’essere umano occidentale.
Esiste, inoltre, come afferma Kenny (1989) una costante pretesa della continuità, e cioè la preferenza per una posizione di stasi che mantenga sostanzialmente le cose come stanno, impedendo la nascita di nuove modalità di costruire il proprio mondo e la relazione con esso:
in terzo luogo, possiamo focalizzare il nostro modo di vivere sulla riproduzione dell’invarianza, oppure, all’altro estremo, sul cambiamento e sul fluire. La preferenza per la posizione di stasi indica un investimento sulla legge della continuità – cioè sul fare in modo che le continuità continuino ad accadere. Spesso ciò significa imporre delle costrizioni al sistema di riferimento per forzare l’emergere dell’omogeneità. L’ostilità, quindi, è spesso necessaria per estorcere la pretesa continuità.
Mantenere tale continuità, e cioè nel nostro caso, continuare a costruire la realtà solo attraverso le “lenti consumistiche” conduce progressivamente allo svilimento del nostro sistema umano e dei suoi componenti. In questo caso Maturana e Varela (1987) parlerebbero di plasticità comportamentale dei componenti, caratteristica essenziale affinché i sistemi umani mantengano la capacità di cambiare la loro struttura e trovare nuove forme di accoppiamento strutturale più funzionali alla sopravvivenza stessa. Seguendo invece Kelly (1991/2004), se dovessimo paragonare il sistema umano ad un sistema costruttivo individuale, parleremmo di un sistema poco permeabile, e cioè difficilmente in grado di acquisire nuove informazioni in grado di promuovere dei cambiamenti, con tutte le implicazioni del caso; un sistema impermeabile non permette l’accesso a nuovo materiale in grado di produrre possibili perturbazioni, rendendo in tal modo la persona sempre più in difficoltà a comprendere i cambiamenti del proprio mondo.
Inoltre, rimanere all’interno della visione consumistica del mondo può condurre ad una costruzione della propria persona e dei rapporti umani che rimane esclusivamente all’interno di una logica utilitaristica che legge le interazioni sulla base del presupposto “esisti in quanto consumatore e fornitore di servizi” e non in quanto persona in grado di scegliere e produrre cambiamenti all’interno della propria società.
Dal punto di vista costruttivista, costruire l’altro esclusivamente come “fornitore di servizi”, o designare il valore di una persona considerando solamente la sua efficienza o la sua capacità di dare o produrre qualcosa, significa leggere i rapporti umani utilizzando relazioni di dipendenza e non di ruolo. Viene meno cioè, quella possibilità di relazionarsi all’altro cercando di mettersi nei suoi panni, tentando di giocare un ruolo con lui sulla base della comprensione delle sue costruzioni personali, lasciando spazio solo ad una strutturazione di chi mi è accanto:
l’inevitabile conseguenza di pensare agli altri come a macchinette è la scarsa importanza attribuita alla personalità individuale degli altri componenti del sistema. Analogamente, i loro desideri individuali, le loro intenzioni e i loro bisogni per essere soddisfatti o realizzati, hanno scarso rilievo. (Kenny, 1999)
Il rischio al quale tutti andiamo incontro è quello di percepirci inadatti qualora non si persegua una costruzione della realtà basata sull’efficienza, sulla produttività, sul consumo, esclusi cioè da quella visione del mondo che eleva il profitto e l’utilità al di sopra di tutte quelle costruzioni alternative della realtà che promuovono relazioni autentiche di interdipendenza e di creatività tra le persone.
5. Conclusioni: come uscirne?
Da quanto affermato fino ad ora sembra evidente come le soluzioni messe in campo dalla civiltà occidentale per la risoluzione della crisi ambientale odierna siano forse poca cosa rispetto all’ordine del disastro che ci aspetta e che è già alle porte; esistono minoranze culturali e diversi movimenti ecologisti che tentano, con le loro campagne e con le loro battaglie, di invertire e di modificare i processi che hanno condotto a tale situazione, ma rimangono tuttavia solo minoranze.
Come abbiamo visto, le costruzioni adottate dall’uomo nella definizione della propria relazione con il proprio ambiente seguono, nella maggior parte dei casi, la strategia consumistica che fino ad oggi ha permesso di produrre il benessere occidentale nel quale viviamo. Ma tale condotta ha e avrà sempre di più un prezzo da pagare, ovvero, nello scenario più catastrofico, l’estinzione del genere umano; negare tale previsione, pari a negare il proprio fallimento rispetto alla propria capacità di costruire un mondo in grado di garantire la nostra sopravvivenza, ci conduce, come menzionato in precedenza, ad un’ostilità che indebolisce la natura dell’impresa umana nel suo complesso.
Continuare a credere che l’unica soluzione alla crisi ambientale sia l’utilizzo della tecnica senza un cambiamento radicale dei presupposti epistemologico-culturali che pongono le basi della relazione uomo/mondo, non ci condurrà molto lontano; continuare a ricercare una gratificazione immediata in nome del mantenimento di un certo stile di vita consumerà il mondo e quindi noi stessi.
Ciò che sembra mancare, allora, è una revisione di quelle costruzioni e di quei processi culturali che sono ancora in essere, e tale revisione non può che essere promossa attraverso un’educazione che sappia trasmettere una costruzione alternativa rispetto al proprio modo di relazionarsi al mondo e agli altri; quindi, non “sono al mondo e consumo il mondo”, ma “io sono il mondo che costruisco e preservandolo preservo me stesso”. Tale revisione può essere sviluppata a partire da una ridefinizione della relazione tra uomo e l’ambiente, più in linea con quell’interdipendenza originaria che autori come Maturana (1987) e Bateson (1972/1977) hanno messo in luce; essere consapevoli di non essere contro l’ambiente ma di “essere ambiente” ci conduce a quell’assunzione di responsabilità di cui parla Bianciardi (2014):
sappiamo di non essere contro l’ambiente ma di essere ambiente: per questo ne siamo responsabili. E sappiamo che le nostre realtà sono convenzionali e co-create con l’altro: per questo ne siamo co-responsabili. E poiché la realtà comprende l’io e l’altro (le definizioni e le narrazioni di me e dell’altro) io sono responsabile dell’altro nell’essere responsabile di me, e l’altro è responsabile di me nell’essere responsabile di sé. Essere responsabile dell’altro è essere responsabile di sé. È per questo motivo che siamo corresponsabili l’uno dell’altro. Ed è per questo motivo che siamo entrambi responsabili dei contesti che incorniciano il nostro essere co-responsabili. (p. 11)
Se l’essere umano è ormai in grado di generare la propria natura attraverso la continua co-costruzione con l’Altro, allora il primo passo verso una direzione alternativa a quella odierna dovrebbe consistere in una presa di consapevolezza di questa possibilità e soprattutto della conseguente responsabilità che ne deriva; il secondo passo dovrebbe essere quello di fare propria l’idea kelliana di Alternativismo Costruttivo, che ci invita a inventare continuamente nuove prospettive nei confronti di ciò che stiamo per incontrare o che abbiamo già incontrato, all’interno di quel pensiero che afferma che qualunque cosa costruita può essere ricostruita in modo differente e a partire da presupposti alternativi. Forse, solo in questo modo si potranno mettere le basi per dare il benvenuto al cambiamento.
L’Uomo Ecologico, quindi, è colui il quale non si ferma alla passiva assunzione del modello universale consumistico proposto, ma consapevole che tale modello sia una tra le tante possibili costruzioni della relazione tra sé e il mondo (ambiente, persone, ecc.), agisce, nella costruzione della propria esistenza, nell’ottica di poter co-costruire assieme all’Altro modalità alternative di relazione e di visione del mondo; egli cioè non persegue ostilmente la modalità consumante il mondo e le relazioni che lo abitano, ma utilizza responsabilmente la propria capacità creativa per conservare il proprio mondo, e di conseguenza per conservare se stesso.
Bibliografia
Bateson, G. (1977). Verso un’ecologia della mente. (G. Longo, Trad.). Milano: Adelphi. (Opera originale pubblicata 1972).
Bianciardi, M. (2014). Soggettività cibernetica e etica della responsabilità. Riflessioni Sistemiche, 10, 4-14. Consultato da http://www.aiems.eu/files/rs_10_-_saggio_bianciardi.pdf
Dell, P. F. (1986). Bateson e Maturana: Verso una fondazione biologica delle scienze sociali. Terapia Familiare, 21, 35-60. Consultato da
http://www.formare.it/rete/Bateson%20e%20Maturana%20verso%20una%20fondazione%20biologica%20delle%20scienze%20sociali.htm
Kelly, G. A. (2004). La psicologia dei costrutti personali. (O. Realdon & V. Zurloni, Trad.). Milano: Raffaello Cortina Ed. (Opera originale pubblicata 1991).
Kelly, G. (2016). L’ostilità. Consultato da https://www.interattivamente.org/lostilit/
Kenny, V. (1989). I clienti, i concorrenti, il caos e il costruttivismo. Psicologia del lavoro, 74- 75. Consultato in Aprile,2016, da http://www.oikos.org/vincconstr.htm
Kenny, V. (1999). Verso un’ecologia della comunicazione – Discorsi viventi e discorsi morenti in psicoterapia. Consultato in Aprile, 2016, da http://www.oikos.org/vinccomunic.htm
Maturana, H. R. (1987). The biological foundation of self consciousness and the physical domain of existence. In E. R. Caianiello (Ed.), Physics of Cognitive Processes (pp. 324-379). Singapore: World Scientific.
Maturana, H. R., & Varela, F. J. (1987). L’albero della conoscenza. (G. Melone, Trad.). Milano: Garzanti Editore.
Minissi, E. (1999). Il contributo dell’etologia alla soluzione dei problemi umani. Consultato in Aprile, 2016, da http://www.oikos.org/etologia.htm#1
Varela, F. J., Thompson, E., & Rosch, E. (1992). La via di mezzo della conoscenza: Le scienze cognitive alla prova dell’esperienza. (I. Blum, Trad.). Milano: Feltrinelli. (Opera originale pubblicata 1991).
Viale, G. (2012). La sostenibile leggerezza della riconversione. QualEnergia, 2, 30-32. Consultato da https://www.qualenergia.it/sites/default/files/articolo-doc/30-32_QE_n2-2012_viale.pdf
Note sugli autori
Ciro Nanetti
Institute of Constructivist Psychology
Psicologo psicoterapeuta, diplomato presso l’Institute of Constructivist Psychology di Padova, svolge attività clinica privata con adulti e adolescenti.
Massimo Strada
Institute of Constructivist Psychology
Psicologo, Counselor Maieutico, specializzando in psicoterapia presso la Scuola di Specializzazione dell’Institute of Constructivist Psychology di Padova. Si interessa principalmente di sostegno psicologico e psicoterapeutico per adolescenti e adulti.
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