1. L’espansione del medium video-ludico e la strada per il Gaming Disorder
Negli ultimi anni il mondo dei videogiochi si è configurato come un universo in continua espansione, sostenuto da migliorie tecnologiche, design innovativi e alimentato da un bacino di utenti sempre più ampio. Storicamente associata all’infanzia e all’adolescenza, l’industria del videogioco si è rivolta ad un pubblico più adulto e variegato, rendendo il videogame un fenomeno intergenerazionale (AESVI, 2019).
La crescita del numero di utenti interessati a questo medium è stata però affiancata dall’insorgenza di diverse problematiche legate al suo utilizzo. Negli ultimi anni è aumentata l’attenzione verso le problematiche legate a un eccessivo uso di videogiochi, simili a quelle presenti nella dipendenza da sostanze, nelle dipendenze comportamentali e nel gioco d’azzardo. L’impatto di questo problema sembra essere prevalente nella popolazione giovanile composta sia da adolescenti sia da giovani adulti (www.theesa.com), dato dalle implicazioni potenzialmente problematiche considerando che la maggior parte dei giocatori nel territorio italiano fa parte della fascia di età compresa tra i 19 e 35 anni (AESVI, 2019).
Il recente dibattito scientifico in merito alla plausibilità del Gaming Disorder poggia le sue basi su un terreno accidentato, composto da un corpus di studi incentrati sugli effetti sulla salute prodotti dai videogiochi. Da questo filone di ricerche, sviluppatosi sin dagli inizi degli anni duemila, emerge, infatti, una situazione in cui è difficile ottenere una definizione univoca rispetto all’influenza del mezzo video-ludico sul benessere individuale (Van Rooj et al., 2018). Il videogioco sembra configurarsi come un canale di socializzazione molto usato dalle generazioni più giovani, capace di veicolare un supporto relazionale attraverso l’interazione con gli amici (Lenhart, 2015) e che può promuovere comportamenti sani (Baranowski, Buday, Thompson, & Baranowski, 2008; Granic, Lobel, & Engels, 2014; Hofferth & Moon, 2012). Studi longitudinali suggeriscono che esso non ha effetti dannosi nel tempo, anche se è praticato ad alti livelli di gioco (Parkes, Sweeting, Wight, & Henderson, 2013). Aspetti critici, invece, sembrano emergere quando il videogioco si configura per l’individuo come un canale di soddisfazione esclusivo di bisogni che non trovano appagamento nell’ambiente sociale della persona. Il controllo esercitato sull’attività da parte della persona inizia a diventare carente, aspetto che spesso è concomitante a condizioni psicopatologiche, quali disturbo d’ansia e depressione (Deci, Koestner, & Ryan, 2001), disturbi dell’alimentazione (Bartholomew, Ntoumanis, Ryan, Bosch, & Ntogersen-Ntoumanis, 2011) e disturbo borderline di personalità (Ryan, 2005). Il gioco disregolato può essere dannoso per sperimentare la soddisfazione del bisogno psicologico attraverso altre vie e può escludere ulteriori attività psicologicamente edificanti (Chen, 2015). La mancanza di controllo sulla propria attività video-ludica potrebbe interferire direttamente con il perseguimento di altri obiettivi di vita significativi che soddisfano bisogni relazionali, lavorativi e sociali (Niemiec & Ryan,2009). Inoltre, manifestazioni ossessive legate all’attività video-ludica sembrano produrre isolamento e desolazione nell’utente problematico, facendogli percepire un senso di impotenza rispetto al controllo della propria attività (Lalande et al., 2015).
La complessità del tema ha condotto la comunità scientifica ad interrogarsi sulla portata del fenomeno della dipendenza da videogioco, con l’obiettivo di formulare dei criteri utili a riconoscere l’insorgenza del problema e il suo impatto in modo più chiaro e preciso sul benessere individuale.
Nel maggio del 2019, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), riunitasi nella settantaduesima World Health Assembly, ha deciso di inserire il Gaming Disorder nell’ICD-11, la nuova Classificazione Internazionale delle Malattie che entrerà in vigore il 1° gennaio 2022 (www.gamesindustry.biz; icd.who.int/en). La dipendenza dai videogiochi, pertanto, è stata ufficialmente riconosciuta come disturbo, ed è definita in base ai seguenti criteri:
- compromissione del controllo sul gioco (ad esempio esordio, frequenza, intensità, durata, risoluzione, contesto);
- crescente priorità data al gioco nella misura in cui il gioco ha la precedenza su altri interessi di vita e di attività quotidiane;
- continuazione o escalation dei giochi nonostante il verificarsi di conseguenze negative. Il modello comportamentale è di gravità sufficiente a causare una compromissione significativa in aree di funzionamento personali, familiari, sociali, educative, professionali o di altro tipo.
È importante ricordare che questi criteri devono essere riscontrabili in modo continuativo per almeno 12 mesi, che tuttavia possono essere ridotti nei casi più problematici.
I criteri individuati dall’OMS hanno ricevuto pareri contrari da parte della Interactive Software Federation of Europe (ISFE), dello United Kingdom Interactive Entertainment (UKIE) e dell’Entertainment Software Association (ESA), che denunciano la necessità di raccogliere un maggior numero di evidenze oltre alle possibili conseguenze negative che l’impatto sociale derivante dalla diagnosi potrebbe avere sui giocatori, sulla cultura e sull’economia legata al videogioco. Inoltre, il percorso che ha portato la comunità scientifico-sanitaria a realizzare dei criteri diagnostici per il Gaming Disorder sembra esser stato caratterizzato da posizioni diverse e talvolta critiche sul senso di questo disturbo. Dgamina un lato, il ricorso ad una formulazione incentrata sulle caratteristiche comportamentali e sui criteri temporali legati alla dipendenza è emerso dalla necessità di realizzare un inquadramento del fenomeno che potesse cogliere la varietà delle manifestazioni cliniche legate alla problematica, oltre ad agevolare la raccolta di evidenze empiriche di maggior qualità e a migliorare le possibilità di intervento clinico (Rumpf, Achab, & Billieux, 2018). A queste posizioni si contrappongono le tesi di altri studiosi e clinici che si definiscono scettici rispetto all’utilità di criteri diagnostici e che invitano a una maggiore cautela nel loro utilizzo (Van Rooj et al., 2018; Przybylski, Weinstein, & Murayama, 2016). Un punto critico rilevato da questi autori è inerente alla concettualizzazione stessa del disturbo, che risulta inconsistente da un punto di vista nosografico come categoria a sé stante per via della mancanza di definizioni univoche sul significato dei costrutti impiegati alla base delle indagini sperimentali e sul loro riscontro a livello empirico (Aarseth, Bean, & Boonen, 2016). In linea con quanto già rilevato dall’American Psychological Association, la dipendenza da videogiochi potrebbe risultare più affine a una condizione concomitante ad altri disturbi, in cui il comportamento di gaming potrebbe essere riletto più alla stregua di un meccanismo di coping rispetto a un complesso di condizioni di maggior rilievo e gravità clinica.
Sussiste, inoltre, la preoccupazione per le conseguenze stigmatizzanti che l’eventuale definizione di un disturbo da videogioco potrebbe implicare nella realtà clinica e nell’opinione pubblica (Van Rooj et al.,2018). Insieme al possibile aumento di falsi positivi (Przybylski et al, 2016), la tendenza alla medicalizzazione dell’attività video-ludica potrebbe portare a conseguenze sociali controproducenti, spostando l’attenzione dei clinici solo sul comportamento problematico legato al videogioco e inducendoli così a trascurare la complessità del fenomeno (ibidem). Perplessità emergono anche in merito alla tendenza di numerose ricerche a confermare le stesse ipotesi su cui queste sono erette senza una loro accurata valutazione (Aarseth et al., 2016), problema che potrebbe limitare la possibilità di generare un background teorico solido e di esplorare aspetti al confine tra la patologia e la normalità che questa condizione sembra veicolare nelle sue manifestazioni cliniche.
Rispetto ad un quadro così caratterizzato, sembra essere emersa all’interno del dibattito scientifico e della scena pubblica la necessità di sviluppare un maggiore equilibrio tra le diverse posizioni e argomentazioni inerenti alla salute dei videogiocatori. Ciò implica non cadere in posizioni allarmistiche e demonizzanti dell’attività video-ludica, al contempo prendendo in seria considerazione le possibili conseguenze negative derivanti da un consumo abnorme e poco consapevole del medium. Rimane ancora da chiarire quale potrà essere l’impatto di una tale definizione diagnostica all’interno della comunità degli utenti negli anni a venire, specie in considerazione del fatto che il gaming si è strutturato, per molti utenti, come una vera e propria attività lavorativa e come un’economia decisamente imponente a livello planetario.
2. Il contesto dell’indagine
Nell’analisi della letteratura è stato utile rileggere i diversi contributi alla luce di una dicotomia che riflette due tendenze principali con cui il tema della dipendenza è trattato. Da un lato, sembra predominante una lettura della dipendenza in cui il videogiocatore risulta un passivo recettore dell’effetto del medium e ne subisce le conseguenze in modo rigido e deterministico. Dall’altro lato, sembra persistere una tendenza a considerare il videogiocatore come attivo protagonista della sua esperienza di gioco. La sua capacità di interazione con il medium non preclude l’elaborazione personale dell’esperienza e il fenomeno della dipendenza è riletto come modalità per far fronte a situazioni problematiche. Una considerazione emersa, su cui si basa la ricerca qui proposta, è che all’interno di questa dicotomia sembra poco rappresentata la prospettiva dei diretti interessati a questo fenomeno. Si è riscontrato, infatti, come di rado nell’analisi clinica del fenomeno sia dato sufficiente rilievo al significato personale rivestito dall’attività video-ludica nella prospettiva del giocatore che presenti o meno una condizione di dipendenza dal medium. Il “come” e il “perché” la persona sviluppi un legame potenzialmente così invalidante con il videogioco è spesso riletto alla luce di un processo patologico in cui il giocatore cade vittima in modo analogo a una possessione da parte del medium o, in alternativa, come una soluzione residuale per affrontare circostanze di vita complesse, aggravate da condizioni patologiche pregresse.
Il senso di questa soluzione, tuttavia, non sembra essere stato esplorato nelle sue implicazioni nella prospettiva dei videogiocatori interessati dal fenomeno della dipendenza, così come sembra essere mancante una cornice di riferimento utile a comprendere il significato assunto dal videogioco all’interno dell’esperienza che la persona vive quotidianamente con il medium, e come questo influisca nel mantenimento di una condizione di sofferenza.
Alla luce di queste riflessioni, la matrice epistemologica del Costruttivismo e della Psicologia dei Costrutti Personali potrebbe essere una cornice di riferimento per comprendere le dimensioni di significato implicate nella prospettiva di chi vive quotidianamente il videogame. L’idea alla base di questa ricerca è quella di esplorare, attraverso uno studio pilota, alcune possibili implicazioni dell’attività video-ludica con utenti che abbiano sperimentato in maniera diretta o indiretta condizioni analoghe alla dipendenza, nell’idea di generare una mappa di possibili modi di canalizzare il rapporto personale con il medium.
Dal confronto con la letteratura si è quindi ipotizzato che fosse possibile operare una rilettura del fenomeno utilizzando i principi epistemologici del Costruttivismo. In linea con l’alternativismo costruttivo (Kelly, 1955), il fenomeno dell’utilizzo di videogiochi può assumere un significato diverso in relazione a chi su di esso opera un processo di costruzione. In tal senso, ogni essere umano costruisce il suo personale modo di vivere l’esperienza della realtà che è profondamente radicato nelle sue esperienze sociali e nella sua storia. Ne consegue che anche l’esperienza video-ludica risulta essere soggetta ad una attività di costruzione che è sorretta dalla unicità della persona e dal rapporto che ha con l’ambiente sociale, culturale e relazionale in cui essa è immersa. Un tale presupposto, se considerato alla base di un’osservazione critica del fenomeno video-ludico e delle sue implicazioni sul benessere psicologico, consente di concepire il videogame più come un canale (Von Glasersfeld, 1998), un modo peculiare di fare esperienza, i cui connotati sono contornati dalla specificità e dalle caratteristiche di interazione tra la situazione virtuale e il soggetto che lo costruisce. Il videogioco, in tal senso, può essere letto come un veicolo espressivo attivamente scelto dal suo utente in base alla propria esperienza e ai propri bisogni, non sempre descrivibili consapevolmente.
Queste considerazioni sono state la guida nella formulazione delle seguenti domande di ricerca:
– In che modo viene costruito dai giocatori il significato dell’attività video-ludica? Quale significato riveste il medium nella vita dei partecipanti?
– Quali aspetti identitari e sociali sono canalizzati attraverso il videogioco? Che senso ha il videogame all’interno dei rapporti sociali dei videogiocatori?
– Quando e come si configura una dipendenza nella prospettiva dei videogiocatori? Quali bisogni personali soddisfa il medium?
Il focus dell’indagine è incentrato, quindi, sui processi personali che portano il videogiocatore a sviluppare un rapporto con il videogame e sul valore simbolico, nel senso delineato da Kelly (1955), assunto dal medium nell’esperienza del videogiocatore. Rispetto a queste considerazioni, sono state definite le anticipazioni in merito al senso della scelta compiuta in questi termini dalla persona. Questa operazione è stata essenziale per definire gli obiettivi dell’indagine e le ipotesi guida della ricerca, di seguito elencate.
2.1 Prima ipotesi: Aggressività e Costrizione
La domanda alla base di questa ipotesi è incentrata su quale sia il tipo di scelta alla base del giocare e, per contrasto, cosa voglia dire collocarsi su un polo opposto ipotetico, cioè non giocare. In particolare, potrebbe essere utile rileggere queste possibili scelte. In questa ipotesi, si è supposto che l’aggressività, per come intesa da Kelly (ibidem), sia implicata in dimensioni nucleari e di ruolo che vengono sperimentate e vissute attivamente dalla persona. Essa, pertanto, potrebbe ritrovare nel videogioco un campo di pertinenza utile per l’espressione dei propri significati personali. In aggiunta, si è ipotizzato che la persona possa operare una costrizione (ibidem) rispetto a vissuti ed esperienze poco elaborabili al momento, concentrandosi sul videogioco in quanto campo più vantaggioso per l’elaborazione del proprio sistema di costrutti. L’uso della costrizione potrebbe, inoltre, essere implicata nella possibilità di verbalizzare le proprie esperienze video-ludiche ad un livello di consapevolezza cognitiva maggiore.
2.2 Seconda ipotesi: gaming e Socialità
Nell’opinione pubblica il videogioco è stato interpretato, spesso con preoccupazione, come una fonte di alienazione dalla vita relazionale e dai contesti di vita quotidiana. In questo contesto e alla luce dell’ipotesi precedentemente formulata, è stato ipotizzato che il fenomeno dell’utilizzo del videogame necessiti, invece, di una lettura che tenga conto del contesto sociale e relazionale in cui è collocato dalla persona che lo agisce, e delle sue implicazioni a livello relazionale. In quest’ottica il videogioco, e di conseguenza anche chi ne fa uso, tenderebbe ad assumere un significato diverso in base ai presupposti con cui questa attività viene interpretata dai diversi attori di un ipotetico contesto sociale. Pertanto, si ipotizza che per meglio comprendere il significato che riveste l’attività video-ludica per la persona sia necessario comprendere anche come questa attività contribuisca a definire una costruzione di ruolo come videogiocatore nel suo contesto sociale, cioè come questa attività impatti sulla definizione di sé e sul rapporto con gli altri. Potrebbe essere utile, in sintesi, indagare il contesto delle relazioni familiari e amicali per cogliere le possibili implicazioni e alcune connessioni con situazioni di rilievo clinico.
La definizione di queste due ipotesi ha fatto emergere la necessità di approfondire, attraverso l’indagine pilota che costituisce questo lavoro, le possibili modalità con cui l’essere videogiocatore viene incarnato dagli utenti dei videogiochi e le implicazioni di questa attività nella loro definizione di sé e nella loro storia di vita. Con questa prospettiva, l’esplorazione dei significati implicati in questa attività potrebbe aiutare a meglio comprendere la costruzione di senso di questi aspetti e alcuni dei possibili significati implicati nell’esperienza della dipendenza da videogiochi.
3. Lo scopo della ricerca
Lo scopo dell’indagine è quello di esplorare i possibili significati costruiti intorno all’attività video-ludica in una popolazione di giovani adulti interessati al fenomeno del videogioco. Lo studio mira a cercare un riscontro sul campo della qualità delle ipotesi e delle domande di ricerca precedentemente descritte. L’idea è quella di generare un quadro teorico di riferimento utile alla comprensione clinica del fenomeno che tenga conto della complessità che lo caratterizza, partendo dalle percezioni stesse dei partecipanti anziché dalla definizione ufficiale del fenomeno.
Precisamente, la ricerca si pone di raggiungere i seguenti obiettivi:
1) Esplorare i costrutti “essere videogiocatore” e “dipendenza da videogame” nella popolazione target;
2) Ampliare la comprensione del fenomeno dell’utilizzo del mezzo video-ludico all’interno delle relazioni interpersonali e del contesto sociale dei partecipanti.
Rispetto al primo obiettivo, saranno esplorate le narrazioni personali e di gruppo legate all’essere videogiocatore. Si suppone che queste dimensioni siano importanti per la definizione identitaria dei partecipanti allo studio e che possano essere utili per avere un riscontro in merito alle costruzioni nucleari di ruolo e di dipendenza così come dei processi di aggressività e costrizione delineati nella prima ipotesi precedentemente illustrata. Si cercherà, inoltre, un confronto diretto con i partecipanti in merito alla loro stessa costruzione di “dipendenza da videogame”, cercando di cogliere come questo evento possa configurarsi all’interno della loro esperienza personale, come si possa sviluppare e quale impatto p0trebbe aver avuto sulle scelte di vita di chi ne è soggetto.
Rispetto al secondo obiettivo, sarà esplorata la percezione di se stessi da parte di altri attori sociali del contesto di vita dei partecipanti, con particolare attenzione ai genitori dei giovani intervistati. In linea con la seconda ipotesi, l’interesse è quello di comprendere come, nella prospettiva dei partecipanti, venga costruita la relazione genitori-figli per quanto riguarda l’utilizzo del mezzo video-ludico e come questo influisca sull’identità di sé come videogiocatore.
4. La metodologia e gli strumenti di indagine
Lo studio si configura come una ricerca esplorativa di tipo qualitativo, incentrata sui criteri della Grounded Theory (Glaser & Strauss, 1967; Charmaz, 2000). La scelta di questo impianto teorico e metodologico è risultata la più idonea a rispondere agli obiettivi della ricerca, focalizzati all’esplorazione delle teorie personali dei partecipanti. Sono stati adottati due metodi di ricerca principali: interviste individuali semistrutturate e focus group (Denicolo, Cole, & Long, 2016). In totale, sono state condotte 7 interviste individuali e 3 focus group. L’utilizzo dei focus group e dell’intervista semistrutturata è basato sull’anticipazione che questi due metodi di intervista possano favorire l’emersione di modalità differenti di elaborazione personale. Nelle interviste semistrutturate si è cercato di comprendere la prospettiva del giocatore attraverso la generazione di uno spazio di espressione in cui vissuti corporei, personali e sociali potessero essere elaborati e liberamente espressi dai partecipanti. Nei focus group l’attenzione è stata dedicata agli aspetti di comunanza e di differenza negli interventi dei singoli partecipanti al dibattito, con l’intento di favorire un confronto che mettesse in risalto la scalarità e la proporzionalità (Kelly, 1955) delle costruzioni individuali e interpersonali. Lungi dallo strutturare le interviste singole e i focus group in senso clinico, si è ritenuto che questi metodi potessero favorire un contesto idoneo per dare ai partecipanti l’opportunità di operare una riflessione sul proprio rapporto con il medium, attraverso domande che permettessero di rielaborare la propria storia con il videogioco e di operare una revisione sulle proprie modalità attuali di utilizzo. Per entrambi i metodi di ricerca, in linea con il principio della triangolazione (Miles & Huberman, 1994), le sessioni di ricerca sono state strutturate come segue: un’attività di disegno (Ravanette, 1999; Humphryes & Leitner, 2007; Stein, 2007), seguita dall’intervista individuale, o dal dibattito nel focus group, la realizzazione delle Perceiver Element Grid (PEG) (Procter, 2005) e la fase conclusiva dell’incontro, in cui è stato lasciato spazio per chiarimenti e ulteriori interventi dei partecipanti.
Tab. 1: Sintesi della struttura dei metodi di ricerca impiegati con relative fasi di sviluppo.
Metodo di ricerca | Intervista semistrutturata | Focus Group (FG) |
Fasi di intervista |
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L’attività iniziale ha previsto la realizzazione di due disegni: il primo in cui era richiesto di disegnare un simbolo o un’immagine che per gli intervistati rappresentasse il videogame; il secondo in cui era richiesto di disegnare l’opposto di ciò che si era appena disegnato, cioè cosa non è il videogame secondo il proprio punto di vista. La scelta di iniziare le sessioni in questo modo è basata sull’anticipazione che, in particolare nel contesto dei focus group, i partecipanti potessero vivere delle difficoltà nel raccontare episodi tratti dalla propria storia di vita di fronte ad altre persone sconosciute. In tal senso, l’attività di disegno è stata individuata per favorire il processo di rilassamento e di allentamento dei partecipanti e ridurre l’eventuale minaccia esperita nelle fasi iniziali dell’intervista. Successivamente, sono state proposte agli intervistati le domande centrali focalizzate sugli obiettivi della ricerca. La forma delle domande è stata riadattata per essere coerente al contesto dei focus group e delle interviste singole, in modo da non comportare alterazioni significative del loro contenuto. Le domande sono state elaborate col fine di delineare lo sviluppo del rapporto dei partecipanti con i videogiochi nel corso della loro vita. Si è partiti dall’elaborazione dei primi contatti con il medium per poi arrivare ad elaborare il senso che esso assume nel proprio presente. La scelta di questo criterio è stata formulata con l’intento di favorire nei partecipanti un processo di restringimento rispetto alle proprie costruzioni di ruolo relative al significato che i videogiochi hanno avuto nel corso della propria vita. In chiusura dell’intervista, la PEG ha permesso di esplorare gli aspetti di socialità, nell’accezione riferita da Kelly (1955), relativi all’oggetto “essere videogiocatore” in modo da porre i partecipanti in un processo di costruzione delle prospettive degli altri più significativi rispetto al tema dell’indagine. Gli elementi della tabella sono stati: Io, Amici, Famiglia. Nel caso degli Amici e della Famiglia, è stato richiesto di individuare una persona particolare tra quelle appartenenti al gruppo indicato e di mantenere costante la persona scelta per tutta l’attività.
5. Partecipanti
La popolazione di riferimento di questo studio è un campione di partecipanti di età compresa tra i 18 e i 34 anni, di sesso maschile. Il reclutamento è avvenuto tramite Internet e annunci pubblicati in luoghi molto frequentati (università, mense, spazi comuni per universitari). L’adesione allo studio è stata volontaria. I partecipanti sono stati informati dei vincoli legati alla privacy e hanno fornito il loro consenso al trattamento dei dati e alla registrazione audio degli incontri.
Tab. 2: Caratteristiche dei partecipanti alla ricerca.
Totale partecipanti:23 | Occupazione | Quanto spesso gioco durante la settimana? | Quante ore di gioco al giorno? |
18-23 anni: 9
24-29 anni: 9 30-34 anni: 5 |
Inoccupato: 2
Studente: 5 Dipendente: 13 Libero professionista: 3 |
1-2 volte: 8
3-4 volte: 3 5-7 volte: 12 |
Meno di un’ora: 3
1-2 ore: 17 3-4 ore: 3 |
Il campione è stato suddiviso in modo che ogni partecipante potesse essere coinvolto in una delle due modalità di ricerca. Ai partecipanti che hanno risposto all’annuncio è stata data la possibilità di scegliere a quale delle due modalità partecipare, per favorire un contesto più agevole per la narrazione della loro esperienza. Le sessioni si sono svolte nell’aula principale dell’Institute of Constructivist Psychology di Padova e in altri contesti di formazione e clinica del Veneto. La scelta di reclutare un campione volontario che non presenta una diagnosi di Gaming Disorder si inscrive in parte come una necessità e in parte come un interesse primario, in linea con quanto delineato nello scopo della ricerca. In altre parole, la necessità si inscrive nell’impossibilità di individuare persone con una diagnosi di Gaming Disorder nel periodo di realizzazione dell’indagine avvenuta nel corso del 2019, in quanto la definizione dei criteri diagnostici era in corso di convalida da parte dell’OMS. La scelta del criterio anagrafico, invece, deriva dal confronto con la letteratura sul tema. In questa fascia di età, a livello nazionale, sono spesso associati rischi legati all’uso eccessivo di videogame (AESVI,2019)[2]. La letteratura internazionale, inoltre, mette in evidenza come l’emergenza di problematiche e le conseguenze sul piano personale, lavorativo e sociale siano maggiori nella popolazione dei giovani adulti (Przybylski et al., 2016; Wang, Ren, Long, Liu, & Liu, 2019). L’interesse verso questa fascia di età risulta rilevante a fronte della possibilità offerta dal videogioco di diventare un’alternativa percorribile per i partecipanti rispetto a difficoltà presenti in altri contesti personali. La scelta di reclutare un campione esclusivamente maschile, infine, deriva dalla maggiore disponibilità di partecipanti di sesso maschile che hanno fornito il loro consenso alla ricerca nel periodo di reclutamento.
6. Metodo di analisi e di presentazione dei risultati
Per l’analisi delle interviste e dei focus group è stato scelto il metodo dell’analisi tematica, in linea con i principi della Grounded Theory (Glaser & Strauss, 1967). La scelta di questo metodo è stata valutata come coerente con lo scopo esplorativo dello studio e con l’idea di generare quadri teorici mantenendo un buon livello di coerenza e di fedeltà rispetto agli interventi dei partecipanti. L’obiettivo è stato quello di elaborare un quadro di riferimento teorico in cui potessero emergere le narrazioni prevalenti nella popolazione indagata.
6.1 Fasi di analisi
L’analisi delle interviste e dei focus group è stata realizzata riadattando le sei fasi descritte da Braun e Clarke (2006) per l’analisi tematica. L’analisi dei dati è stata realizzata nelle seguenti quattro fasi:
1) Raccolta e organizzazione dei dati: in prima istanza, si è proceduto ad un ascolto attento e focalizzato delle registrazioni per delineare i contenuti principali delle interviste, al fine di comprendere, in un primo momento, i contenuti salienti e i significati più rilevanti elaborati dai partecipanti. Dopo una prima valutazione di quanto emerso, in questa fase sono state trascritte le risposte di ogni singolo partecipante all’interno di tabelle di codifica specificamente realizzate per l’analisi. All’interno delle tabelle è stato riportato il verbatim delle risposte dei singoli partecipanti più pertinenti al fine di cogliere il senso generale della loro risposta. Ogni verbatim è stato collocato all’interno di un quadrante della tabella corrispondente alla domanda a cui faceva riferimento. In questo modo, è stato possibile associare il testo della risposta data da ogni partecipante a una specifica domanda dell’intervista. Questo metodo è stato scelto per permettere un primo confronto tra le risposte prodotte dai partecipanti in modo da agevolare l’elaborazione teorica nelle successive fasi di analisi (in particolare nella terza fase). Per la realizzazione delle tabelle di codifica sono stati usati software di calcolo e di composizione testuale del pacchetto Microsoft Office (Excel e Word). Sono state costruite tre tabelle: una per le interviste individuali, una per i focus group e una riassuntiva dei contenuti delle PEG.
2) Analisi comparativa, identificazione e mappatura dei costrutti: una volta realizzate le tre tabelle, si è passati ad una fase di rielaborazione teorica iniziale delle risposte dei partecipanti all’intervista. Per questo momento della fase di analisi si è proceduto a una riformulazione di ogni singolo intervento attraverso l’identificazione di un costrutto attraverso cui fosse possibile riassumere il senso della risposta del partecipante. Per individuare i termini che avrebbero costituito i poli del costrutto sono stati utilizzati due criteri: l’utilizzo di termini riportati direttamente dai partecipanti nel corso dell’intervista e la scelta di termini che meglio potessero rappresentare il senso dell’elaborazione personale complessiva elaborata dal partecipante rispetto allo specifico momento dell’intervista. Oltre alla definizione dei poli, ogni costrutto è stato associato a un codice identificativo in modo da poter riconnettere i costrutti così rielaborati al singolo partecipante che ha prodotto il corrispettivo intervento. Queste operazioni hanno consentito di mappare i costrutti rispetto alla struttura delle domande e una valutazione dei risultati emersi in modo trasversale tra i partecipanti.
3) Confronto ed elaborazione teorica iniziale: la terza fase ha visto il confronto tra le singole elaborazioni dei partecipanti in momenti diversi dell’intervista. Nel corso di questa fase sono stati elaborati alcuni raggruppamenti provvisori dei costrutti sottoposti a confronto, nell’idea di individuare delle possibili similarità semantiche e di temi sovraordinati emergenti. In questa procedura, il criterio di riferimento è stato quello di mettere nello stesso raggruppamento costrutti che potessero essere maggiormente simili per dimensione di senso, cercando di mantenere, ove possibile, una coerenza con il significato originale prodotto dai singoli partecipanti. Questa operazione ha portato alla definizione di un totale di cinque gruppi tematici provvisori.
4) Definizione dei nuclei tematici: l’ultima fase di analisi ha portato alla definizione delle principali macro-categorie tematiche, definite nuclei tematici, presentati nel paragrafo dei risultati. All’inizio di questa fase si è operata un’attenta valutazione dei cinque gruppi tematici provvisori. Per agevolare questo processo, a ciascun gruppo tematico sono state assegnate delle etichette. La loro funzione era quella di sintetizzare le dimensioni di significato che rendevano particolare uno specifico tema e fissare il macro-tema emerso nelle precedenti fasi di analisi. Nell’identificazione di queste etichette sono stati usati, in alcuni casi, dei costrutti particolarmente ricorrenti e rappresentativi del raggruppamento, in altri casi termini tratti da field notes elaborate nel corso delle fasi precedenti che meglio esprimevano il senso dell’interpretazione teorica elaborata rispetto a quel tema. Possibilità vs restrizioni, divertimento vs lavoro, unione vs isolamento, dentro vs fuori e gamification vs assenza di videogiochi sono le etichette elaborate in questa fase. Dopo questa operazione, si è passati al confronto tra i vari gruppi provvisori e alla definizione dei nuclei tematici principali. In questa fase si è verificata la consistenza e la coerenza interna di ogni singolo gruppo, valutando la numerosità degli interventi in essi presenti e la significatività delle tematiche emerse. Questa operazione ha consentito di ridefinire i gruppi tematici precedenti per numero e valenza semantica, in modo che potessero essere in essi delineate le narrazioni emergenti dal campione coinvolto nell’indagine. Il risultato di questa operazione è descritto nei tre nuclei tematici riportati nel successivo paragrafo. Infine, sono stati identificati due codici, rinominati teorie di sviluppo del rapporto con il medium e teorie di sviluppo della dipendenza, che sono stati utili per indicare gli interventi riferiti dai partecipanti relativi rispettivamente alle teorie implicite sullo sviluppo del rapporto con i videogiochi e sullo sviluppo della dipendenza da gaming. L’identificazione di questi due tipi di elaborazioni è stata possibile ricollegando i codici identificativi precedentemente realizzati per distinguere i costrutti degli interventi dei partecipanti all’interno di ogni raggruppamento tematico. In tal modo, è stato possibile arricchire la descrizione di ogni nucleo tematico integrando e rielaborando le teorie di sviluppo e di dipendenza di quei partecipanti i cui interventi risultavano essere particolarmente frequenti all’interno di uno specifico raggruppamento tematico. Nell’ambito dell’analisi delle PEG, si è provveduto a individuare manualmente i termini utilizzati all’interno di ogni casella rappresentante l’incrocio tra gli elementi di ogni PEG. Si è poi cercato di individuare un costrutto per ogni singolo incrocio che potesse sintetizzare i temi prevalenti all’interno delle PEG prodotte dai partecipanti, riportati in tabella 4.
7. Risultati dell’indagine: i nuclei tematici
Di seguito sono presentati i nuclei tematici elaborati nell’analisi nelle interviste. Per ognuno di essi sono descritte le principali dimensioni di significato emerse nelle narrazioni dei partecipanti, le teorie sullo sviluppo e le teorie sulla dipendenza identificate all’interno di ogni gruppo.
Tab. 3: Sintesi dei principali nuclei tematici elaborati nell’analisi delle interviste e dei costrutti che sintetizzano le principali dimensioni di significato emerse nel corso delle interviste e dei focus group.
Nuclei tematici | Virtuale vs Reale | Gamification: la vita come un videogioco | Gioco sociale vs Individuale |
A) Dimensioni di
significato B) Teorie sullo sviluppo C) Teorie sulla dipendenza |
Realtà del videogioco / Realtà esterna
Giocatore occasionale / Ossessionato Svago / Droga Passatempo / Sogno |
Passione / Passatempo
Attivo / Passivo Sfida / Troppo facile Apprendimento, crescita / Superficialità |
Gioco se ci sono gli altri / Mi occupo di altre attività
Gioco come momento di intimità / Vita in società Gioco come forma di socializzazione / Isolamento e solitudine |
7.1 Primo nucleo tematico: virtuale vs reale
A) Il primo tema di maggior rilievo è la contrapposizione fra ciò che è virtuale e ciò che è reale nella costruzione dell’attività video-ludica dei partecipanti. Il costrutto virtuale vs reale sembra essere usato in modo regnante: vi è un criterio che tende a discriminare rigidamente ciò che è fuori, la realtà esterna, da ciò che è dentro, ossia il virtuale nel videogioco. Questi partecipanti sembrano costruire il videogioco come una modalità di evasione dalla realtà, alla stregua di una droga che permette di evadere dai problemi del quotidiano. L’evasione è intesa anche come opportunità per sperimentare qualcosa che solitamente non è possibile fare nel quotidiano. Di conseguenza, alcuni di questi partecipanti svalutano i giochi di simulazione, dove prevale la componente realistica, e preferiscono giochi che fanno lavorare la fantasia e l’immaginazione. Diversi contributi grafici prodotti da questi partecipanti mettono in risalto il contrasto fra la realtà quotidiana e l’evasione nel regno della fantasia. La prima, spesso, viene rappresentata da oggetti quali libri, orologi, scadenze, o lo stesso computer visto solo come strumento di lavoro, contrapposti a nuvole e stelle che trasportano via dall’ordinarietà in un regno di fantasia virtuale (immagine a sinistra). Il reale viene rappresentato anche come “ambiente esterno” (immagine al centro), dove lo scorrere del tempo è definito a priori, in contrasto con il tempo della fantasia, rappresentato dal simbolo dell’infinito. Altri contributi grafici (immagine a destra) evidenziano il senso del videogioco come droga: un disegno rappresenta i videogame come forbici che permettono di “staccare” dalla realtà, a cui si contrappone il disegno delle forbici senza lame, ad indicare uno strumento vuoto e inefficace perché carente di quell’attitudine necessaria a renderla uno strumento di evasione.
Il videogioco, in sintesi, sembra essere costruito da questi partecipanti prevalentemente come opportunità di allentamento del proprio sistema di costrutti personali (Kelly, 1955), che consente loro proprio di sognare, usare la fantasia, passare del tempo. Per molti partecipanti, giocare ai videogame implica anche il rischio della perdita del controllo, nel caso in cui l’evasione dal “mondo reale” diventi eccessiva. Troppo tempo passato sul videogioco potrebbe compromettere, infatti, lo svolgimento delle attività quotidiane e potrebbe rendere la persona troppo violenta, aggressiva e asociale, come un drogato.
In linea con questa logica, il giocatore di videogiochi, nella prospettiva di questi partecipanti, sembra ricadere all’interno della regnanza di un costrutto per cui si può essere giocatori occasionali oppure si è dei drogati. Il giocatore occasionale, in cui si identificano questi partecipanti, è più connesso al reale di quanto possa essere il giocatore ossessionato-drogato che rimane troppo tempo nella dimensione virtuale. Giocare ai videogiochi per questi partecipanti, quindi, è difficilmente un evento che è costruito come nucleare, fondamentale per la costruzione di se stessi. Il videogame stesso sembra costruito più alla stregua di una droga, un agente esterno capace di modificare uno stato di malessere indesiderato, una finestra da cui osservare un mondo alternativo in via del tutto temporanea e occasionale.
B) Il rapporto con i videogame, nel corso del proprio sviluppo, sembra essere in linea con la regnanza del costrutto occasionale vs drogato, tale per cui, per tutti questi partecipanti, i videogiochi hanno rappresentato solo uno strumento di evasione legato ad alcuni momenti della loro vita. Questa modalità di utilizzo, incentrata su un processo di costrizione (ibidem), sembra essere diventata prevalente nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza dei partecipanti, per i quali i videogiochi avevano la funzione di alleggerire le difficoltà della vita in modo più efficace rispetto ad altre attività ricreative. Il videogame, per alcuni di questi partecipanti, è un elemento legato in modo esclusivo al periodo di vita infantile e difficilmente si coniuga con le responsabilità e i doveri dell’adulto. Nel loro presente, infatti, quando il videogioco è presente permette di fuggire dalle “prigioni” degli obblighi lavorativi e sociali e dai doveri della vita adulta nella dimensione di fantasia prima citata. Sembra inoltre diffusa, in questo gruppo, la teoria per cui il periodo storico in cui si è nati possa incidere in modo rilevante sul proprio approccio alle tecnologie. Le persone nate e cresciute nell’epoca degli smartphone, dal 2010 in poi, sarebbero più inclini a perdere il controllo sulle loro attività con i videogiochi e tenderebbero a restare nel mondo virtuale per più tempo. Emerge, quindi, un quadro in cui i più giovani sembrano meno capaci di staccarsi dal mondo virtuale, a differenza di chi, come questi partecipanti, abbia iniziato a usare più tardi i mezzi tecnologici. Un’implicazione di questo discorso è che chi è nato prima di quest’epoca ha una maggiore capacità di usare la fantasia e le emozioni, mentre le persone nate dopo sono percepite come più distaccate e dipendenti dai videogiochi.
C) Le teorie personali legate allo sviluppo di una dipendenza di questi partecipanti mettono al centro il costrutto droga, come descritto in precedenza. Di conseguenza, la dipendenza deriva dalle stesse caratteristiche intrinseche dei videogiochi, che determinano la condizione problematica. I partecipanti citano come sia la stessa “struttura del gioco che ti rende dipendente”, come accade per i “giochi free to play” o nei “pay to win”, simili a slot machine. In coerenza con questa concezione, se si mantiene un equilibrio tra dovere e piacere, si può trarre il beneficio ricercato dal videogame senza intercorrere in conseguenze negative. Queste teorie potrebbero essere ricondotte a transizioni di minaccia di colpa, che sembrano focalizzate sul mantenimento di una coerenza del sé rispetto ai propri obiettivi personali e professionali e al non ricadere all’interno di una dimensione personale minacciosa come quella del giocatore ossessionato.
7.2 Secondo nucleo tematico: gamification: la vita come un videogioco vs assenza di senso
A) Se nel tema virtuale vs reale emerge una netta divisione, di tipo regnante, fra i due ordini di realtà, i contributi collocati in questo gruppo lasciano intendere come, per i partecipanti del gruppo “gamification” sia possibile costruire una continuità tra il mondo virtuale e la vita quotidiana. Il virtuale e il reale, quindi, sembrano essere costruiti in modo scalare e permeabile alla varietà dell’esperienza personale di questi partecipanti. Il videogame è vissuto come un elemento importante per la definizione di sé e degli altri, al punto che la stessa scelta della tipologia videogioco “riflette il carattere della persona”. Il videogioco costituisce per molti una passione, un interesse verso l’innovazione e le possibilità offerte dalla struttura logica ed espressiva del medium. L’attenzione riposta nella scelta del contesto di gioco è un aspetto caratteristico di questi partecipanti, per cui il videogioco è qualcosa di più di un mero svago. Quest’idea risuona all’interno di diversi contributi grafici offerti da questi partecipanti, per i quali il videogioco ha rappresentato, e per alcuni ancora rappresenta, un riferimento importante per comprendere gli eventi della loro vita. In linea con questa dimensione di significato sembrano rientrare alcune rappresentazioni offerte nell’attività di disegno. In un contributo, il videogame è raffigurato come un drago (immagine a sinistra di questa pagina), simbolo di potere, energia e passione, contrapposto al tristo mietitore, simbolo di morte fisica e spirituale. In un altro contributo grafico (immagine a destra), un altro partecipante ha raffigurato il videogame attraverso uno schema in cui esso è intendibile come una “periferica” che consente l’accesso a una serie di esperienze diversificate (l’azione, le relazioni con gli altri, l’esplorazione). Ciò che conta, all’interno dello schema, è la libertà di scelta data al videogiocatore, l’insieme di possibilità in cui si concretizza l’attività del giocare. L’opposto di questa dimensione sembra essere caratterizzata dalle attività di gioco più tradizionali, come il calcio o gli sport, in cui la grossa differenza è data dalle minori possibilità in termini di varietà e dall’essere più vincolati alle scelte degli altri. Questo tipo di contributi fa supporre come questi partecipanti elaborino, nei termini del ciclo dell’esperienza (Epting, 1984/1990), anticipazioni articolate e un ampio investimento verso l’attività del giocare ai videogiochi, assurto da alcuni a “metafora della vita reale”.
Altre dimensioni di significato emerse in questo gruppo riguardano le costruzioni personali di ruolo riferite al proprio modo di “essere videogiocatore”. Per alcuni di questi partecipanti, ad esempio, è centrale la dimensione della sfida, che implica il superamento dei propri limiti personali, in contrasto con la facilità del livello di gioco. Sembra implicita, in tal senso, una visione incrementale dello sviluppo personale attraverso il gioco in cui il progredire nel virtuale è connesso con un senso di miglioramento personale. Vincere il gioco non riguarda solo il mero appagamento personale, ma è una modalità per dimostrare a se stessi di essere “tenaci”, di “cercare la sfida” e non persistere in un atteggiamento “passivo” e “superficiale” di fronte all’opportunità costituita dal videogame. L’idea di fondo, per molti di questi partecipanti, è quella per cui i giochi possono essere utili per “crescere”, “imparare da essi” e “possano lasciarti qualcosa” che è possibile applicare alla propria esperienza di vita.
B) Caratteristica emergente nelle narrazioni di questi partecipanti è proprio lo stretto legame costruito nel corso della loro infanzia, come evidenziato attraverso le teorie sullo sviluppo del rapporto con il medium. Essi riportano episodi riferiti a momenti di difficoltà nel corso delle fasi precedenti del loro sviluppo e come siano “cresciuti grazie al videogioco”. In alcune di queste narrazioni, sembra che il videogioco abbia sostituito aspetti importanti della propria vita, talvolta coincidenti con opportunità mancate o persone distanti o assenti. Il videogame offre, in queste prospettive, una possibilità di sperimentare un campo attivo di elaborazione in cui la persona scopre lati positivi e negativi di sé. Ciò sembra connesso al costruire il videogioco come una possibilità verso cui la persona sente di avere un “ruolo attivo” in contrasto con una modalità “passività”, un’inerzia nel vivere l’esperienza dei videogiochi che, per analogia, sembra riflettersi anche nella propria vita. Alcuni partecipanti, a tal proposito, riportano come sia stato fondamentale nella loro esperienza riuscire a sviluppare un equilibrio nel loro rapporto con il medium che permettesse di attribuire ai videogiochi un significato costruttivo (come tramite per soddisfare la propria curiosità, divertirsi da soli e con gli altri) e non unicamente incentrato sulla canalizzazione delle frustrazioni personali. Il videogame, quindi, sembra essere costruito come un campo in cui questi partecipanti rivolgono la loro aggressività (Kelly, 1955) e pongono delle importanti basi per la loro identità.
C) In merito alle teorie sullo sviluppo della dipendenza, prevale l’idea che molti dei problemi che si creano con i videogiochi non siano causati dalle caratteristiche del mezzo, quanto dall’approccio personale al medium. L’attenzione di questi partecipanti, infatti, è focalizzata sui problemi personali e relazionali del giocatore che lo portano a costruire l’opportunità del gioco come un “rimedio” per difficoltà personali che necessitano di essere trattate però in maniera diversa. In quest’ottica, il videogame può essere utile per migliorare alcuni aspetti della propria vita, non come soluzione a problemi di natura personale. Alcuni partecipanti avanzano anche l’idea della necessità di una “educazione al videogioco” e al suo corretto uso, che consentirebbe di evitare molte complicazioni derivanti da un uso smodato e problematico di questo medium e di superare lo stigma per cui “i videogiochi fanno male”.
7.3 Terzo nucleo tematico: gioco sociale vs individuale
A) In questo nucleo tematico sono stati ricondotti gli interventi dei partecipanti che hanno posto un maggior rilievo alla dimensione sociale del videogioco. Per molti di questi partecipanti, il giocare ai videogiochi è prettamente caratterizzato dal condividere questa attività con altre persone, lì dove l’isolamento e il gioco in solitaria risultano essere le polarità più frequentemente contrapposte.
B) I contributi inerenti allo sviluppo del rapporto con il medium sembrano mettere in risalto l’importanza della socializzazione nel corso dei primi approcci al medium, dove sono stati rilevanti gli attori sociali in gioco: amici, fratelli e sorelle e, raramente, genitori. I videogame rappresentano, quindi, un’opportunità in cui la relazione con l’altro canalizza il modo di approcciarsi a questo medium. Se la dimensione sociale è ciò che maggiormente caratterizza il significato personale legato al videogioco di questi partecipanti, non è univoco il modo in cui essi si collocano rispetto all’attività video-ludica. Un primo gruppo di partecipanti, infatti, costruisce la dimensione sociale in modo regnante rispetto alla stessa possibilità di utilizzo dei videogiochi: “gioco se posso farlo con altri, altrimenti faccio altro”. Quindi il videogame è essenzialmente un’opportunità di socializzazione e difficilmente viene utilizzato in solitaria. In contrasto rispetto alla precedente posizione, un secondo gruppo di partecipanti è orientato all’uso dei videogame solo nei momenti di solitudine. Per dirla con le parole dei partecipanti, “gioco ai videogiochi se sono solo, altrimenti preferisco stare con gli altri”. Giocare da soli, quindi, sembra essere un’attività che sopperisce alla mancanza di alternative di intrattenimento e di socializzazione dei partecipanti di questo sottogruppo, condizione spesso riportata nelle loro narrative relative al periodo dell’infanzia. Con l’età adulta e nuove opportunità, il videogame assume un valore diverso, una tra le varie possibilità di passare il tempo con gli altri. Infine, è degno di nota come, per alcuni di questi partecipanti, il giocare da soli diventi un’opportunità di maggiore intimità con se stessi che viene ricercata soprattutto quando il medium consente di sospendere eventuali pressioni derivanti dal dover essere sempre connessi con altri nel quotidiano.
Un contributo grafico sembra essere particolarmente esplicativo di questa dimensione di senso: la porta socchiusa della propria camera, in cui si svolge l’attività video-ludica, contrapposta a un gruppo di persone (gli altri, la famiglia, il lavoro): due polarità che non trovano elementi comuni. In quest’ottica, la ricerca di un’intimità con se stessi nel videogioco sembra rappresentare una soluzione utile a sospendere il senso della propria presenza con gli altri, talvolta reso più difficile da comunicazioni conflittuali e imprevedibili.
C) Le teorie legate allo sviluppo della dipendenza delineano come proprio il senso di solitudine sia centrale nel determinare situazioni problematiche. Essa sembrerebbe caratterizzare il comportamento della persona dipendente nel momento in cui smette di essere una soluzione e assume connotati problematici nel momento in cui si struttura come una presa di posizione stabile nei confronti degli altri e della società più in generale, nell’idea che l’evitamento del confronto con l’altro sia alla radice dei comportamenti riconducibili alla dipendenza.
7.4 Risultati della Perceiver Element Grid
Di seguito è presentata una rappresentazione grafica della PEG che riassume l’analisi delle principali dimensioni di costrutto emerse in questa fase dell’intervista per ogni incrocio tra gli elementi in riga e in colonna.
Tab. 4: Rappresentazione della Perceiver Element Grid in cui sono sintetizzate le principali dimensioni di significato prodotte dai partecipanti.
Essere Videogiocatore | IO | AMICI | FAMIGLIA |
IO | Occasionale / Appassionato | Occasionale / Competitivo- dipendente | Giudicanti / Disinteressati |
AMICI | Occasionale / Competitivo | Occasionale / Patologico- dipendente | (assenza di risposte) |
FAMIGLIA | Infantile / Adulto | Perditempo / Responsabile | (assenza di risposte) |
Nelle PEG, i partecipanti sembrano costruire il proprio essere videogiocatore all’interno del costrutto occasionale vs appassionato, dimensione di significato che sintetizza i termini più ricorrenti tra i partecipanti e prettamente incentrata sulla sfida e sulla competizione (“sono troppo forte”, “tattico” e “determinato” sono alcuni esempi). Quest’ultimo aspetto sembra essere particolarmente emergente nel confronto tra gli elementi IO e AMICI, a tal punto da caratterizzare molte delle PEG realizzate nel corso delle interviste. Questo sembra indicare che i partecipanti tendono a costruire se stessi e gli altri in termini di maggiore o minore comunanza rispetto alle modalità preferenziali di costruzione del senso personale dei videogame. Il costrutto occasionale vs appassionato, quindi, sembrerebbe essere usato in modo costellatorio all’interno di questa dimensione di significato, sia per se stessi che nel definire il punto di vista di altri (amici). Un caso particolare è costituito dagli interventi di alcuni partecipanti che, identificandosi come giocatori occasionali, sembrano delineare nel polo di contrasto parole che si riferiscono a una dimensione patologica. Essere “ossessionato”, “irresponsabile” e “patologico” sono le etichette che descrivono gli esiti di un investimento eccessivo e percepito distante da sé e, pertanto, indesiderabile. Più spesso questa accezione è stata usata per caratterizzare il comportamento di un amico o un conoscente famigerato per il suo attaccamento eccessivo ai videogiochi.
Infine, per quanto riguarda l’elemento FAMIGLIA, i costrutti prevalenti fanno riferimento alla dimensione di significato che descrive ciò che è infantile e ciò che è adulto. I partecipanti riportano spesso come i familiari tendano a costruire il loro essere videogiocatori, così come quello dei loro amici, più come una “perdita di tempo”, un allontanarsi dagli impegni in quanto “giocare è per i piccoli”. I familiari sembrano costruire anche gli amici alla luce di questa dimensione di significato. Un aspetto importante emerge quando sono i familiari a definire loro stessi come videogiocatori: i partecipanti, infatti, immaginando prevalentemente genitori o nonni, frequentemente non sono riusciti a trovare un termine per descrivere l’incrocio Famiglia/Famiglia nelle loro PEG. Ciò potrebbe indicare come gli attori pensati per il terzo elemento della PEG (più spesso i genitori) siano costruiti al di fuori del campo di pertinenza del costrutto essere videogiocatore, che pertanto siano costruiti poco in termini di socialità e di più in termini di strutturazione (“sono dei rompiscatole”, “fanno i genitori”, “non capiscono”).
8. Discussione dei risultati
Rispetto alla prima domanda di ricerca sul significato dell’attività video-ludica nella vita dei partecipanti, l’indagine ha consentito di far emergere come il videogame sia un canalizzatore di esperienze che hanno un impatto diverso nella definizione identitaria della persona, in base all’importanza storica assunta dal medium nelle narrazioni di ogni singolo partecipante. Questo aspetto emerge all’interno dei tre nuclei tematici, nei quali sembra delinearsi una costruzione dell’essere videogiocatore diversa in base a una definizione che può essere o incidentale (per i partecipanti dei gruppi “virtuale/reale” e “gioco sociale/individuale) o comprensiva (per i partecipanti del gruppo “gamification”) di che cosa sia il videogioco e di quali possibilità offra all’individuo. Questa differenza nel modo di costruire dei partecipanti potrebbe essere riletta alla luce di quanto delineato all’interno dell’ipotesi sull’aggressività e sulla costrizione su cui si basa l’indagine.
Nelle interviste è emerso come il videogioco possa essere un mezzo per operare una costrizione rispetto al proprio mondo abituale, come fonte di distrazione e modalità di evasione dal quotidiano, in modo analogo a quanto descritto per il nucleo tematico virtuale vs reale. La scelta del videogioco come veicolo di costrizione sembra essere legata al passato di alcuni partecipanti, come soluzione per far fronte a problemi scolastici, familiari o personali. Questa modalità sembra essere stata adottata con una scarsa consapevolezza delle loro azioni e delle implicazioni della loro scelta, talvolta nell’idea di poter così rispondere a bisogni che non potevano essere soddisfatti altrimenti.
In riferimento all’ipotesi di aggressività, il videogioco può essere costruito come un’opportunità per sperimentare qualcosa che, solitamente, non è possibile fare. Diversi partecipanti riportano, infatti, la loro curiosità verso il medium e l’idea che esso possa coincidere con una possibilità di crescita personale, come accade per i partecipanti del nucleo tematico “gamification”. Ciò porta a supporre che il videogame venga da loro costruito in modo nucleare all’interno del sistema della persona e, quindi, abbia una certa rilevanza per il mantenimento e l’adattamento al proprio contesto di vita. Inoltre, i numerosi riferimenti alla dimensione sociale presenti nei nuclei tematici emersi nell’indagine sembrano delineare un collegamento fra la componente sociale del gioco e l’elaborazione attiva delle costruzioni inerenti se stessi e gli altri. Attraverso il videogioco, quindi, la persona metterebbe in atto un esperimento con cui esprime nuove parti di sé in relazione alla costruzione del proprio contesto sociale, il che potrebbe portare la persona a scegliere il videogame come strumento di aggregazione con gli altri, come soluzione a temporanee frustrazioni relazionali, o come canale di relazione alternativo alla relazione diretta.
Rispetto alla seconda domanda di ricerca, volta a indagare gli aspetti identitari e sociali implicati nell’utilizzo del videogame, i partecipanti, come riportato nel terzo nucleo tematico, costruiscono il medium in termini di un evento che può canalizzare esperienze sociali in modo significativamente diverso da persona a persona. Se per alcuni è un tramite di socializzazione, per altri costituisce una sospensione dalla necessità di contatto con gli altri, più o meno ricercata. Si potrebbe rileggere questa diversità nei termini del Corollario della Scelta (ibidem), per cui la persona costruisce il videogame in termini più elaborativi per il suo sistema.
Per quanto concerne la terza domanda sul tema della dipendenza e sul modo con cui i partecipanti costruiscono il diventare dipendenti dal medium, essi si dividono tra chi costruisce il videogame in termini di una tossicodipendenza, come accade nel primo nucleo tematico, e chi colloca il problema negli ambiti della vita personale del giocatore (relazioni sociali, lavoro, eventi gravi come lutti o perdite). Essere dipendente dal videogame è spesso associato a un atteggiamento passivo verso il medium, finalizzato a colmare una carenza percepita negli affetti o nella realizzazione di altre aree importanti della vita quotidiana. In altre parole, dalla prospettiva dei partecipanti, chi è “dipendente” dal videogame non elabora attivamente il senso della propria attività e dei problemi che lo hanno portato a questa condizione. Ciò sembrerebbe essere in linea con quanto delineato rispetto alla prima ipotesi, nei termini in cui la costruzione della “dipendenza” dei partecipanti implicherebbe uno scarso livello di consapevolezza cognitiva e costrizione su di sé e sugli altri.
Nelle PEG (Procter, 2005) sembra prevalente il ricorso a termini che fanno riferimento a una stessa dimensione di costrutto, occasionale vs appassionato, sia per descrivere se stessi che gli amici, in linea con quanto discusso nel sottoparagrafo 7.4. In pochi casi sono state realizzate alcune PEG con dimensioni di significato differenti dalle altre e difficilmente sintetizzabili entro la dimensione occasionale vs appassionato. In un caso, ad esempio, la PEG è stata opportunità per il partecipante di definirsi “felice” del suo rapporto con i videogiochi e della possibilità di rafforzare il suo legame con l’amico pensato per la PEG e “responsabile” alla luce del rapporto con il familiare immaginato per l’esercitazione. Un’altra PEG era incentrata sulla dimensione assente vs presente, nei termini in cui il partecipante rifletteva su come l’essere videogiocatore aveva comportato per lui isolarsi da affetti importanti e amici. In questi due casi, la PEG ha permesso di ampliare la narrazione prodotta da questi partecipanti nel corso dell’intervista, dando l’opportunità di approfondire alcuni temi della loro storia con il videogioco. Differentemente, sembra che le PEG, soprattutto all’interno dei focus group, siano state opportunità per riconfermare in maniera sintetica quanto già emerso nel corso dell’intervista. Ciò potrebbe in parte dipendere dalla struttura dell’intervista scelta per questa indagine, forse particolarmente impegnativa per alcuni partecipanti.
Infine, se la dimensione di significato prevalente con cui sono costruiti gli amici è quella della competizione, sembra carente, se non del tutto assente, una costruzione del punto di vista dei genitori in merito all’essere videogiocatori. L’assenza di risposte sugli incroci degli elementi relativi ai familiari potrebbe essere ricondotta all’idea diffusa tra i partecipanti che i propri familiari costruiscono il videogame in modo prelativo, regnante e tendente alla strutturazione all’interno di un costrutto per cui esistono attività adulte e attività infantili. Sembra prevalere nel campione, con rare eccezioni, un’idea per cui il videogame è ritenuto dagli adulti di un’altra generazione essenzialmente come una “perdita di tempo”, un allontanamento dai “doveri” del quotidiano che distoglie dal raggiungimento di risultati scolastici e lavorativi. Alcuni intervistati sembrano rileggere questa dinamica come un’invalidazione del proprio ruolo da parte delle figure genitoriali che potrebbe portare il videogiocatore ad esperire transizioni di minaccia, minaccia di colpa o di ostilità (Kelly, 1955). In tutti questi casi è possibile ipotizzare scenari di relazione tra genitori e figli incentrati su una scarsa comprensione in termini di socialità da entrambe le parti. In un possibile scenario, la persona minacciata, ad esempio, potrebbe operare una costrizione rispetto al proprio mondo e isolarsi nel mondo virtuale. Se fosse prevalente la minaccia di colpa, la persona potrebbe optare, invece, per un confronto diretto con i propri genitori. Il partecipante potrebbe vivere una transizione di ostilità rispetto ai suoi genitori e provare a estorcere prove validazionali al fine di salvaguardare il proprio ruolo di videogiocatore. Queste sono solo alcune delle possibili configurazioni di un quadro relazionale certamente complesso e variegato, in cui è fondamentale considerare il punto di vista di tutti gli attori coinvolti.
9. Conclusioni e possibili sviluppi futuri
La ricerca pilota ha permesso di individuare alcune possibili implicazioni a livello identitario e sociale legate all’utilizzo dei videogiochi da parte di un gruppo di giovani adulti con differenti background personali e culturali rispetto al loro rapporto con il videogame. I temi dello svago e delle responsabilità, il vivere i videogiochi come strumenti per orientarsi nel mondo, oltre alle implicazioni sociali e relazionali emerse attraverso le PEG rappresentano le narrazioni emerse con cui i partecipanti allo studio danno senso al loro rapporto con il medium e all’insorgenza di fenomeni di dipendenza nella loro prospettiva personale. L’importanza attribuita alla narrativa individuale e alla dimensione interpersonale elaborata sull’essere videogiocatore potrebbe costituire un elemento interessante all’interno di un ambito di ricerca frammentato e conflittuale come quello legato al Gaming Disorder. Comprendere la scelta di adottare il videogame come modalità di vita prevalente e/o come soluzione a difficoltà personali e interpersonali potrebbe portare a una comprensione diversa e forse più ampia di quella ottenibile dall’analisi della mera fenomenologia comportamentale legata a questo disturbo. L’emersione delle narrative legate al proprio rapporto con il videogame potrebbe fornire importanti informazioni all’interno del contesto della clinica della dipendenza, in cui la comprensione del significato rivestito da questa attività potrebbe essere cruciale nell’individuazione di possibili percorsi terapeutici.
Un possibile sviluppo di questa ricerca potrebbe riguardare il consolidamento di un background teorico costruttivista incentrato sulle esperienze legate allo sviluppo da dipendenza da videogioco. Le ipotesi sulla costrizione e sull’aggressività qui proposte costituiscono un primo possibile approccio interpretativo alle problematiche inerenti all’utilizzo del medium che necessitano di ulteriore verifica, revisione e ampliamento attraverso il confronto con un campione focalizzato sul Gaming Disorder, una volta che questa diagnosi sarà confermata in via definitiva. Un approfondito studio comparativo tra un campione che presenta la diagnosi e uno che non presenta la diagnosi, inoltre, potrebbe aiutare a comprendere le eventuali differenze e specificità nei processi di significazione dei due gruppi. Potrebbe essere rilevante, inoltre, approfondire la prospettiva dei genitori rispetto al tema della dipendenza da videogiochi e alle relazioni con i figli, nell’idea di sviluppare un quadro maggiormente comprensivo delle costruzioni familiari inerenti all’attività video-ludica e in situazioni problematiche legate all’uso del medium, nell’ottica di ampliare la comprensione del fenomeno della dipendenza.
9.1 I limiti dello studio
Un limite di questa ricerca è legato al campione. Da un lato, un campione caratterizzato esclusivamente da partecipanti di sesso maschile costituisce una limitazione della generalizzabilità dei risultati di questo studio. Un necessario sviluppo per future indagini dovrebbe riguardare la partecipazione di un campione femminile, in modo da poter cogliere possibili differenze e peculiarità basate sulla variabile di genere. Un altro aspetto legato ai limiti della ricerca è il metodo di reclutamento, che si è basato sull’adesione volontaria allo studio. L’assenza di una conferma ufficiale dei criteri diagnostici del Gaming Disorder nel periodo di realizzazione dello studio (2019) non ha consentito di individuare partecipanti che potessero soddisfare i criteri nosografici del Gaming Disorder. In ragione della natura esplorativa e dell’impianto qualitativo è implicita la limitazione legata alla generalizzabilità dei risultati, riferibili pertanto primariamente ai partecipanti intervistati (Denzin & Lincoln, 2005; Macrì & Tagliaventi, 2001). Un ulteriore limite potrebbe essere legato alle caratteristiche dei ricercatori: entrambi appassionati di videogiochi sin dall’infanzia, il videogioco è stato per noi un mezzo di crescita personale e relazionale. Il nostro rapporto con il mezzo video-ludico ha ispirato questo studio al fine di dare ad esso una dignità nel rispetto delle sue potenzialità a livello sia educativo sia di sviluppo personale. Il nostro investimento personale nell’indagine ha senz’altro permesso l’emergere delle dimensioni di significato descritte in questo articolo, inevitabilmente limitando la comprensione di altre dimensioni implicate in un fenomeno senz’altro complesso e articolato come quello della dipendenza da videogame.
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https://icd.who.int/en
www.theesa.com
www.who.int
Ringraziamenti
Desideriamo ringraziare tutti i partecipanti alla ricerca per la loro disponibilità e l’interesse dimostrato nel corso degli incontri. Ringraziamo, inoltre, l’Institute of Constructivist Psychology per l’opportunità data alla realizzazione di questo lavoro.
Note sugli autori
Marcello Bandiera
Institute of Constructivist Psychology
marcellobandiera.psy@gmail.com
Psicologo specializzando in psicoterapia presso l’Institute of Constructivist Psychology di Padova.
Davide Scapin
Institute of Constructivist Psychology
Psicologo specializzando in psicoterapia presso l’Institute of Constructivist Psychology di Padova.
Note
- Progetto di ricerca vincitore del bando di concorso 2020 promosso dal Centro di Ricerca e Documentazione Costruttivista (CRDC) dell’Institute of Constructivist Psychology di Padova. ↑
- Secondo i dati AESVI 2019 la maggior parte dei giocatori si concentra nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni, seguita da quella tra i 35 e i 44. ↑
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