“Si conobbero.
Lui conobbe lei e se stesso,
perché in verità non s’era mai saputo.
E lei conobbe lui e se stessa,
perché pur essendosi saputa sempre,
mai s’era potuta riconoscere così”.
(Italo Calvino, 1957/93)
1. Introduzione
Nella nostra esperienza, la psicoterapia spesso ci offre l’opportunità di parlare d’amore e di esperienze sentimentali, e la questione problematica “cos’è l’amore?” in molte occasioni sottende le conversazioni con i nostri clienti. Facendo attenzione a spostarci da quelle verità offerte dal senso comune, siamo consapevoli che una spiegazione non abbia a che fare con un’azione di scoperta, ma consista in un processo generativo che appartiene allo specifico dominio entro il quale stiamo operando e dal quale emergono le “cose” di cui parliamo. Quando ci troviamo a parlare d’amore, questa concezione sorge come il risultato di una particolare elaborazione inscritta in uno specifico universo di significati, pertanto la domanda generale “cos’è l’amore?” rimane aperta e irrisolta.
Nel tentativo di avvicinare il tema dell’amore e comprendere come possa essere reinterpretato in modo da permetterci di fare scelte professionali consapevoli, ci chiediamo: da quali presupposti dovremmo partire quando lo affrontiamo in psicoterapia?
Posto che qualsiasi interpretazione implica una prospettiva, sia essa esplicita o implicita, quando parliamo con i nostri clienti delle loro esperienze d’amore o del loro sentirsi innamorati, siamo orientati inevitabilmente da una qualche concezione sull’amore. Per fare chiarezza sui presupposti professionali attraverso i quali operiamo, e tentare di elaborare un modo di comprendere valido e utile al nostro lavoro, affronteremo la tematica dell’amore entro la cornice teorica della Psicoterapia dei Costrutti Personali (PCP) di Kelly (1955), con particolare riferimento all’approccio narrativo-ermeneutico (Chiari, 2016b; Chiari & Nuzzo, 2000; 2010).
2. Presupposti teorici
Nel narrare l’esperienza dell’innamoramento, non ci stupiamo nel leggere le parole di Calvino (1957): “Lui conobbe lei e se stesso” (p. 191 della ed. 1993). Coerentemente con i presupposti della PCP, si può comprendere che nel momento in cui ognuno dei partner si coinvolge nel comprendere il comportamento dell’altro, mettendosi nei suoi panni, contemporaneamente si trovi a ri-conoscere anche se stesso.
Utilizzando questa citazione come spunto iniziale, facciamo ora riferimento ad alcuni presupposti teorici per capire come nei nostri termini si possa intendere questo processo. Nel tentare ciò dobbiamo deviare leggermente dalla tematica dell’amore per esaminare in primis il costrutto persona che Kelly (1955) definisce essenzialmente come una “forma di movimento”, un processo sempre in moto. Considerare la natura cinetica come costitutiva della persona, significa pensarla come costitutivamente parte di una relazione dinamica e operativa con il mondo e non poter più far riferimento ad un soggetto slegato dall’esperienza stessa. Dal punto di vista del costruttivismo narrativo-ermeneutico (Chiari & Nuzzo, 2006; 2010) la relazione ha un ruolo primario nel quale sé e altro da sé non devono essere considerati come entità, sostanze o realtà costituite ed esistenti di per sé, bensì relazioni originarie. Facendo riferimento al “pensiero delle pratiche” del filosofo italiano Carlo Sini (2004), nessuno è in origine un sé isolato, ma sé e altro da sé giocano inizialmente il medesimo ruolo di reciprocità dove uno emerge per differenza dall’altro. “Il fondo di ognuno è quello di essere una relazione, un rapporto, uno scambio: essere anzitutto qualcosa per l’altro e nulla, -in origine-, per sé”. (ibidem, p. 44). Da questa prospettiva, in un contesto psicologico più specifico, la personalità non è meramente una questione di individualità, né semplicemente un prodotto sociale, bensì, come sottolineato da Chiari e Nuzzo in riferimento a Buber (1923), una funzione della relazione, che ha luogo nella “sfera del tra” (Chiari & Nuzzo, 2006); “tra” nel senso che, citando Ricoeur (1993), abbiamo a che fare
con un “un’alterità […] costitutiva dell’ipseità stessa” (p. 78). Come mette in luce il filosofo, l’individualità implica l’alterità non nel senso di una “comparazione – se stesso somigliante ad un altro -, ma di una implicanza: sé in quanto… altro.” (ibidem, p. 78).
L’esperienza dell’innamoramento avviene sempre nell’ottica di un “noi”, che sia corrisposta o meno. Stabilire che la relazione viene prima, ci permette di riflettere sul processo e sulle circostanze entro cui partecipiamo ad un’esperienza condivisa e di provare a immaginare come accade la costruzione di un “noi” nella nostra vita quotidiana. Basandoci sull’analisi di Maturana (1988) del processo di costruzione dei fenomeni sociali, secondo la quale l’amore è l’emozione che specifica il dominio di azioni in cui i sistemi viventi coordinano le loro azioni in modo che implichino accettazione reciproca, possiamo dire che riconosciamo un “noi” quando vediamo due o più persone in interazioni ricorrenti che seguono un ruolo operativo di accettazione reciproca. Le interazioni tra persone hanno quindi luogo entro pratiche sociali, ciascuna delle quali dà vita a un universo di significati, dal momento che, come evidenzia Butt (2004), specifichiamo il senso del nostro agire interpretandolo nel contesto in cui avviene. Di conseguenza, ci riconosciamo come membri di un particolare sistema sociale quando partecipiamo assieme agli altri alla co-ordinazione di azioni che costituiscono tale sistema sociale. L’appartenenza non è una proprietà intrinseca del singolo membro, ma una caratteristica della sua partecipazione alla costituzione del sistema. L’esperienza dello stare assieme ha origine nell’accettazione dell’altro come altro legittimo con cui coesistere e ha luogo in una sorta di gioco asincrono e asimmetrico: dal momento che vediamo l’altra persona come un “co-costruttore”, che contemporaneamente ci costruisce, possiamo vederci riflessi e riconoscerci proprio mentre costruiamo il processo di costruzione portato avanti dall’altro.
Da qui, il “Si conobbero” di Calvino, (1957, p. 191 della ed. 1993); ma, per quanto ampiamente, intimamente e profondamente questa conoscenza dell’altro possa essere sentita, anche in un’esperienza romantica, questa comprensione dell’altro non accade mai interamente, dato che, come asserisce Kelly (1955/2004), “è impossibile entrare dentro una persona e guardare il mondo con i suoi occhi” (p. 37). Potrebbe invece essere vista come una sorta di armonizzazione, danza o gioco, composto da un tentativo di comprensione che avviene sempre entro certi limiti e a una certa distanza. In una relazione, c’è in parte un aggiustamento reciproco di punti di vista: il sistema di costruzione di uno sussume quello dell’altro, e viceversa. La PCP sostiene che l’abilità di relazionarsi si basa sulla capacità di costruire i processi di costruzione dell’altro e, come evidenziato da Kelly (1955) nel Corollario della Socialità, possiamo costruire la prospettiva dell’altro a diversi livelli.
Sulla base di queste considerazioni, dove, entro pratiche sociali, emergiamo in quanto poli che si costituiscono nella relazione e per la relazione senza pre-esisterla, possiamo affermare che l’esperienza romantica convoca all’azione gli amanti, in un processo che contemporaneamente li configura come membri di tale esperienza. Proveremo ora a mettere in luce i processi e la particolare rete di significati entro cui ciò avviene.
3. L’innamoramento secondo il costruttivismo ermeneutico
3.1 Innamorarsi: la scelta di vivere in una “scena del Due”
Prenderemo spunto da alcune riflessioni del filosofo francese Badiou, provando a reinterpretarle entro la cornice teorica della PCP. Come suggerisce Badiou (2009/2013), l’esperienza amorosa inizia con un incontro che ci chiama ad agire entro il suo particolare universo di significati dove “si impara che è possibile fare esperienza del mondo a partire dalla differenza e non soltanto dall’identità” (p. 26), una sorta di “reinvenzione della vita” (ibidem, p. 42). Se consideriamo, come sostiene Badiou, che l’amore romantico abbia a che fare con l’opportunità di scegliere di fare esperienza del mondo dal punto di vista del due anziché dell’uno, nei termini della PCP possiamo affermare che ci si può trovare ad essere coinvolti in un’impresa interpersonale dove una persona, costruendo i processi di costruzione di un’altra, guarda al mondo e a se stessa alla luce di questa co-costruzione. Quando siamo profondamente coinvolti in un’esperienza amorosa, prendiamo parte a un dominio di significati nuovo in cui diviene possibile “ri-conoscere” noi stessi e “ri-vedere” il mondo attraverso la nostra partecipazione alla relazione.
L’incontro diviene lo spazio dell’innamoramento, occasione di poter scegliere di partecipare alla “scena del Due” (ibidem, p. 49) e riconoscersi per differenza in un legame profondo con un’altra persona, dove la possibilità di “noi due assieme” apre a peculiari significati e offre una sorta di nuovo accesso al mondo, agli altri e a se stessi. Possiamo considerare la relazione d’amore come qualcosa che avviene nella sfera del tra, un incontro che genera opportunità dentro e fuori la relazione stessa. Come afferma Ortu (2010), la relazione con l’altro amplia le nostre prospettive verso possibili cambiamenti che inevitabilmente portano a una messa in discussione di alcuni aspetti inerenti il sé. Essere innamorati ci fa sentire di poter essere tutto quello che siamo e ancora di più, tutto ciò che potremmo potenzialmente diventare. Da questa angolazione l’innamoramento, piuttosto che essere descritto come qualcosa che ci cattura, viene delineato come un’occasione, un’esperienza che cogliamo; riprendendo Kelly (1955), una “scelta elaborativa” cioè volta a incrementare l’ambito predittivo del sistema di costrutti della persona. Una scelta che ha a che fare con la possibilità di ampliare la propria esperienza del mondo ricostruendolo da un punto di vista “decentrato” (Badiou, 2009/2013, p. 33), uscendo dalla logica di ri-affermare la propria posizione e accedendo a un’esperienza perturbante che ci sposta in un altro mondo e ci pone nel dilemma tra la certezza di ciò che sappiamo e l’incertezza di ciò che ignoriamo.
Esploriamo ora l’esperienza sentimentale, costruendola come un processo creativo e ricorsivo, in cui i membri della coppia si riconoscono nel loro essere attivamente e reciprocamente coinvolti in un processo che evolve continuamente.
3.2 Validazione e invalidazione nell’esperienza dell’amore romantico
Entro la prospettiva della PCP ogni scelta dipende da ciò che una persona anticipa essere più significativo nel proprio mondo esperienziale. La scelta è l’esito di un processo che punta ad una maggiore opportunità di elaborazione del sistema, ovvero per una sua ulteriore estensione (che ci permette di allargare le nostre vedute) o definizione (che ci permette di vivere con più certezza e fiducia in noi stessi) (Kelly, 1955).
Nelle relazioni sentimentali, come del resto in qualsiasi altra relazione significativa, facciamo esperienza anticipando elaborazioni del sé tali da potenziare la capacità predittiva del sistema.
Posto ciò, diversi autori esaminano l’amore come esperienza di validazione del sé evidenziando anche il ruolo attivo dell’invalidazione. McCoy (1977) definisce l’amore come “consapevolezza della validazione della propria struttura nucleare comprensiva” (p. 109), ma come sottolineato da Winter, Duncan e Summerfield (2008), nelle relazioni amorose è possibile sperimentare ed elaborare la costruzione di se stessi in un processo che implica tanto la validazione quanto l’invalidazione. Nella loro analisi gli autori sostengono che le invalidazioni sperimentate non sono necessariamente distruttive, ma possono condurre ad un’utile elaborazione del proprio sistema di costruzione.
Ne deriva che possiamo identificare il partner, come afferma Stella (2017), come un’importante fonte validazionale/invalidazionale o, con le parole di Ortu (2010), come una persona comprensiva e accettante, ma anche una potenziale minaccia, una persona perturbante, portatrice d’ansia. L’esperienza amorosa è per Epting (1977): “un processo di validazione e invalidazione che conduce alla migliore elaborazione di noi stessi come persone complete” (p. 52, trad. nostra) ed è un’esperienza che, come afferma Bourne (2017), nel suo essere ricettiva a nuovi eventi può generare validazione così come “caos”.
L’amore romantico è dunque un’esperienza ricostruttiva dove i significati personali e le loro relazioni sono reinterpretati nella “scena del Due”. Si tratta di un processo che coinvolge ampie aree del nostro sistema di costruzione, dove essere coinvolti nella vita e nei significati di un’altra persona richiede il consolidamento di alcuni aspetti del nostro punto di vista e la revisione e l’abbandono di altri. Potremmo dire che la scelta di sperimentarsi nella coppia con un partner avviene alla luce dell’anticipazione che co-costruire una rete di significati e co-ordinare le nostre azioni in questa relazione, perturbandosi reciprocamente, ci permetterà di “riconoscerci” in un modo tale da favorire un ampliamento del nostro orizzonte mettendo in discussione alcuni aspetti inerenti il sé.
Entro questa cornice possiamo ipotizzare che, in un’esperienza sentimentale, i partner validino i loro sistemi di costruzione, in larga misura e particolarmente riguardo alcune dimensioni nucleari, ma allo stesso tempo questa validazione possa diventare una precondizione per compiere revisioni ed elaborazioni in grandi aree del sistema stesso. Più specificatamente, validazioni di dimensioni di costrutto sovraordinate potrebbero permetterci di attraversare delle invalidazioni di costruzioni subordinate, senza impattare troppo sulla organizzazione del sé.
Pertanto, nelle relazioni amorose, possiamo sperimentare un generale clima di validazione, entro cui le invalidazioni possono anche promuovere una revisione costruttiva ma, come afferma Stella (2017): “I costrutti invalidati non dovrebbero essere sovraordinati a quelli validati, ossia a quei costrutti dalla cui validazione deriva la transizione d’amore” (p. 96, trad. nostra).
Facciamo un esempio. Se il mio partner non apprezza i miei sforzi e risultati in una attività che, a suo parere, è “dispersiva”, la mia previsione di “fare qualcosa di interessante” risulta disconfermata e questa invalidazione minaccia il mio costrutto di ruolo di persona interessante. Allo stesso tempo però, la possibilità che questo episodio fornisce nel farmi capire l’interessamento del mio partner verso la mia “realizzazione personale” come se la mia vita lo riguardasse e lo interessasse fortemente, va a confermare la mia rilevanza nel suo mondo. Questa consapevolezza mi guida verso la revisione dei miei processi costruttivi tramite l’assimilazione di un punto di vista decentrato, che stabilizza le implicazioni sovraordinate della dimensione di costrutto inerente al mio “valore”. Riconoscendomi, mediante la differenza degli sguardi, come persona capace e di valore, posso cogliere l’occasione di affrontare una revisione costruttiva che, benché generata da un’invalidazione, mi porta ad una elaborazione aggressiva nell’area delle mie occupazioni.
Ciò che abbiamo voluto evidenziare finora è che, nell’estendere l’efficienza del sistema predittivo costruendo il mondo a partire dalla “scena del Due”, una nuova prospettiva significativa coinvolge l’organizzazione del sé in grado di offrire un ancoraggio nell’area delle sue possibili elaborazioni. È questa possibilità di ancoraggio che permette di spostare i confini della nostra disponibilità di revisione del sistema costruttivo coinvolgendo inevitabilmente dimensioni nucleari. In una revisione costruttiva, come Walker, Oades, Caputi, Stevens e Crittenden (2000) suggeriscono:
“Data una tale costruzione sovraordinata della validità del processo di costruzione di una persona, allentare la costruzione di una persona potrebbe portare a periodi di invalidazione in cui nuovi elementi, e nuove combinazioni di elementi, potrebbero renderci in grado di vedere le cose in nuovi modi” (p. 111, trad. nostra).
Di sicuro, possiamo compiere scelte diverse entro la stessa relazione in diversi momenti, o in riferimento a diverse aree del nostro sistema di costruzione, ma in senso più generale possiamo affermare che potremmo vivere relazioni romantiche dove le nostre scelte vanno nella direzione della sperimentazione, dell’avventura e della trasformazione, o potremmo vivere relazioni dove la scelta conduce ad una conferma e ad una stabilizzazione del nostro sistema personale di costruzione. In altri termini, riferendoci alla differenziazione indicata da Winter, Duncan e Summerfield (2008) (citando Hatfield & Walster, 1978), tra amore “passionale” e amore “amichevole”, possiamo affermare che il processo di scelta di una persona potrebbe andare verso un’esperienza che implica un maggiore o minore rischio di invalidazione nucleare di ruolo. In ogni caso, quando scegliamo di stare con una specifica persona, anticipiamo che questa storia d’amore ci fornirà una prospettiva di senso su cui poggeranno specifiche elaborazioni nucleari del sistema costruttivo. Allo stesso tempo accediamo ad una prospettiva di coppia in cui, a prescindere da come essa evolva, diventeremo “necessari” l’uno per l’altro per quelle costruzioni di ruolo implicate con i significati evocati dalla coppia.
Proviamo a fare un esempio.
4. La storia di Emma e Alberto
4.1 Quali significati si aprono nell’incontro?
Emma e Alberto arrivano in terapia poiché si trovano in una fase di impasse molto dolorosa, nella quale sembra difficile decidere se continuare la loro relazione nella modalità attuale o separarsi. Ricordano la prima fase del loro incontro, caratterizzata per ciascuno di loro da una forte “attrazione”, a loro dire “destabilizzante”, fatta di “paura e gioia” allo stesso tempo. Dicono che sin da subito si erano sentiti “unici” e “speciali” l’uno per l’altra, con un forte “desiderio di condivisione e scambio”.
In un periodo caratterizzato per entrambi da una forte insoddisfazione a causa delle loro precedenti storie, Emma e Alberto si sono incontrati e “innamorati a prima vista”. Il loro modo di essere una coppia, di amarsi, diviene una sorta di “desiderio di infrangere le regole”, o meglio di “stravolgimento” delle loro vite caratterizzato, per Emma, da un “sentirsi come mai si sarebbe aspettata di potersi sentire”, mentre, per Alberto, “qualcosa che ti coinvolge, finalmente, con grande facilità”. Una nuova prospettiva densa di significati polarizza Emma-più-Alberto offrendo possibilità alternative nell’area della elaborazione del sé. Nella relazione con Alberto, Emma dice di essersi sentita “speciale”, una “risorsa per l’altro”, ma anche più “femminile” di quanto si fosse mai sentita in passato. Alberto racconta che Emma, a differenza delle altre, l’aveva “coinvolto” al punto che sentiva “il cuore battere così forte da sentirsi un nodo alla gola”, e come “spogliato dei suoi panni abituali”.
4.2 Quale scelta elaborativa avviene nella “scena del Due”?
Dallo spazio intersoggettivo della coppia nasce la possibilità per Emma di sperimentare la validazione del proprio ruolo di persona “vitale”, “incisiva”, “una risorsa per l’altro”. Tale ruolo diventa significativo e percorribile nella misura in cui Emma anticipa il desiderio corrispondente di Alberto di “tornare a vivere”, “provare piacere”, e “godersi la vita”. Allo stesso tempo questo incontro permette ad Emma di dilatare sull’area, sino ad allora raramente sperimentata, dell’essere “vista” anche nella sua “femminilità”. L’intensità e il coinvolgimento che Alberto dimostra nella loro intimità la fa sentire “molto desiderata” e questa conferma nell’area della sua femminilità, le permette di esplorare nuovi modi di vivere la relazione di coppia.
Viceversa, Alberto anticipa che l’intensità delle proprie emozioni possa sollevare Emma dal dolore del non essersi sentita “vista” in passato, ripristinando al contempo il proprio ruolo, sino ad ora difficile da giocare, di uomo “capace di far stare bene la propria partner”. Nel ruolo di uomo “virtuoso che vive nel sacrificio e nel dovere”, Alberto ha infatti sempre costretto su tutto ciò che aveva a che fare con le “emozioni” (“non provo niente”).
È nell’incontro con Emma che Alberto, messo di fronte a queste emozioni, si accorge che Emma torna a sentirsi “apprezzata” e “piena di voglia di vivere”. Nella relazione con Emma, Alberto reinterpreta il proprio sentire in una “scena del Due”, dilatando così su aspetti di sé (riguardanti alcune dimensioni di costrutto come piacere vs dovere, essere coinvolto vs rimanere distaccato) su cui aveva a lungo costretto; la minaccia che anticipava rispetto al sentirsi “dipendente” da qualcuno, dunque “feribile”, si riduce, permettendogli di sperimentarsi in modo nuovo. In un amore che fa “infrangere le regole”, così diverso da tutto il resto, prova a guardare il mondo con gli occhi di Emma, e ciò permette ad Alberto di considerare di poter vivere le emozioni “senza perdersi” e coltivare il proprio “interesse per la vita”. Con un punto di vista “decentrato”, le emozioni possono essere reinterpretate come un’opportunità (di essere “autentico con la vita”) e non solo come un rischio (di trovarsi a “tradire la propria dedizione alla vita” e di “essere ferito”); in quest’ottica, tornare ai sentimenti diventa per Alberto una nuova possibilità elaborativa.
L’esperienza fatta entro la cornice del loro amore permette ad entrambi un’evoluzione delle costruzioni nucleari rendendole più comprensive e proposizionali o, nei loro termini, di “andare oltre”, dove normalmente non è consentito, perché “una cosa così capita una volta sola nella vita” (per Emma) o perché “normalmente la vita non te ne dà l’opportunità” (per Alberto). Nella misura in cui entrambi ravvisano la possibilità di evolvere e sostenere la propria identità entro una cornice di significati condivisa e nella reciprocità dei ruoli, il loro amore diventa una grande opportunità di estensione del sistema di costrutti personale: percorrono una scelta che va nella direzione di una “rinascita”.
4.3 L’apertura di una nuova fase della relazione
Quando l’idea di convivere porta la possibilità di vivere la relazione in un modo tale da poter incidere significativamente su varie aree delle loro vite, la gioia che li caratterizzava come coppia si affievolisce ed entrambi vivono una crisi caratterizzata dalla “paura”. Per Alberto la paura è quella di “perdere il controllo” e “dipendere da una donna”, che lo porta sempre più frequentemente a prenderne le distanze o a chiudersi, ovvero facendo ricorso alla costrizione per far fronte alla minaccia di colpa e all’ansia. Allo stesso tempo il senso di “impotenza” vissuto da Emma diventa sempre più rilevante, fino al punto in cui, nonostante Alberto avesse rappresentato una possibilità di “rinascita”, afferma di “non sapere più cosa fare” con le continue “uscite di scena” di Alberto che la mettono di fronte ad una minaccia di colpa (“non sono così importante per lui”). Quest’ultimo, nello spiegare il significato delle sue paure, afferma di non voler essere una persona “in balia delle emozioni e dei piaceri” perché bisogna “vivere coi piedi per terra”, in quanto “la vita vera è altro”.
Per entrambi diviene minaccioso sia elaborare aggressivamente le dimensioni nucleari su cui giocavano un ruolo nell’esperienza di coppia, sia interrompere il loro legame. Nel perdurare della loro relazione notiamo il passaggio da processi ricorsivi a processi ripetitivi (Chiari, 2016a). Arrivano in terapia presentandosi come una “coppia in crisi”, scelta che permette loro di preservare l’organizzazione della propria identità personale.
Dopo una fase iniziale in cui la loro esperienza sembrava favorire nuove strade percorribili, la relazione diviene fonte di reciproche invalidazioni delle rispettive anticipazioni, cui fanno fronte con la costrizione e talvolta con ostilità. In questo modo da un lato Alberto può portare avanti il ruolo di persona che vive con i piedi per terra senza essere trasportato dalle emozioni, dato che “la vita reale è diversa” e, dall’altro, Emma può continuare a costruirsi come quella che combatte i limiti dell’altro e a pensarsi come risorsa per l’altro pur sentendosi “non valorizzata”. In questa fase, la scelta elaborativa va nella direzione di una stabilizzazione del sistema personale costruttivo.
5. Diventare noi stessi con l’altro
Abbiamo provato finora a evidenziare che l’identificarsi come membri di una “scena del Due” emerge dal riconoscersi partecipi alla stessa, e che questo processo implica che ogni membro tenga in considerazione lo sguardo dell’altro. Per comprendere in che modo abbia luogo il processo attraverso cui ogni partner “ri-conosce se stesso”, faremo riferimento all’elaborazione di Chiari sui percorsi di riconoscimento (2016b; 2017a; 2017b). Considerando la natura della persona costitutivamente relazionale ed intersoggettiva, Chiari (2016b) considera “il riconoscimento della propria identità come derivante necessariamente da un riconoscimento sociale. […]. Questa reciprocità del riconoscimento intersoggettivo consiste nella disponibilità a riconoscersi l’un l’altro come dipendenti l’uno dall’altro, ma al tempo stesso come pienamente individualizzati” (p.157). Secondo Ricoeur e Honneth (Chiari, 2016b), il riconoscimento si realizza in un equilibrio intersoggettivo tra due poli: quello della “fusione” da un lato, e quello dell’“affermazione di sé nella solitudine” dall’altro (ibidem, p.158), equilibrio che può oscillare, portando a una maggiore vicinanza a un polo o all’altro. Lo sviluppo della propria identità avviene in una struttura dialettica attraverso un equilibrio dinamico tra queste due polarità. Nei termini della PCP potremmo dire che questo equilibrio è connesso ad una dispersione della dipendenza più o meno ampia e, di conseguenza, alla possibilità di stabilire relazioni di ruolo con gli altri (Walker, 1997; Chiari, 2017b).
Chiari ipotizza diversi percorsi di riconoscimento, basati sull’esperienza della relazione con le proprie figure di attaccamento in cui i processi di riconoscimento reciproco possono essere inquadrati come più o meno completi. Secondo Chiari, il grado di validazione sperimentato dal bambino nelle proprie anticipazioni incide sulle capacità dello stesso di elaborare aggressivamente il proprio sistema di costruzione, costruendo se stesso e gli altri in vari modi possibili, stabilendo relazioni di ruolo con molte persone diverse e, nel far questo, disperdendo la propria dipendenza su più persone.
Quando la narrazione ha a che fare con un’esperienza di scarso riconoscimento, in cui il processo di reciproca comprensione e accettazione nella relazione con le figure di attaccamento non è stato largamente sperimentato, è più probabile che ci muoveremo all’interno delle relazioni provando ad ottenere quel mancato riconoscimento, nel costante tentativo di validare l’anticipazione di essere “visti” o “presi in considerazione”. L’altro diventa un “oggetto” più o meno in grado di soddisfare i nostri bisogni. Chiari (2016b) fornisce una definizione molto esplicativa, descrivendo ciò come la sensazione di “essere tra gli altri”, piuttosto che “con gli altri” (p. 160).
Come affermano Ognibeni e Zoppi (2015), quando la relazione è canalizzata da “ruoli di dipendenza”, lo sforzo in cui siamo coinvolti è quello di cercare continue validazioni. Pertanto, al fine di preservare l’integrità e la coerenza del proprio sistema di comprensione, le persone possono propendere per una stabilizzazione del sistema personale, diventando restie a tener conto delle invalidazioni o a costruire un’esperienza di sé e degli altri parzialmente diversa così come potrebbe essere reinterpretata attraverso significati condivisi.
Quando la narrazione ha a che fare con un’esperienza di riconoscimento relativamente ampia, siamo più inclini a costruire i processi di costruzione degli altri, creando relazioni di Ruolo. Sperimenteremo qualcosa di più simile a stare con gli altri, in quel tipo di reciproca condivisione che non esclude la nostra individualità. Quando giochiamo un Ruolo nella relazione con gli altri, “il focus è la relazione che si crea, in cui risulta difficile distinguere chi fa cosa” (Ognibeni & Zoppi, 2015, p. 199), e le possibili invalidazioni di dimensioni nucleari verranno interpretate più “come un limite della relazione stessa che come impossibilità personale” (ibidem, p. 199,).
Tornando alla storia di Emma e Alberto, possiamo presumere che nella prima fase della relazione, le loro interazioni ricorrenti favorissero l’integrazione di una rete di significati tale da implicare sia una certa dipendenza che la conservazione della propria individualità. In un’esperienza condivisa che “infrange le regole” potevano sentire confermata la loro presenza nel mondo dell’altro scegliendo entrambi di sperimentarsi nella direzione di un cambiamento. La sensazione di essere con il partner permetteva ad entrambi di elaborare aggressivamente le personali dimensioni nucleari e, nel fare ciò, di estendere il proprio sistema di costruzione.
Di fronte alla possibilità di una convivenza, le loro anticipazioni sono andate in una direzione diversa e ampiamente minacciosa. Quando le loro nuove anticipazioni hanno iniziato ad essere verificate e parzialmente invalidate hanno compiuto una scelta non-validazionale (Walker, 2002; Chiari & Nuzzo, 2010). Per mantenere un adattamento nella loro storia d’amore, si sono mossi entro la relazione scegliendo di non verificare quelle anticipazioni, che, se invalidate, lo avrebbero messo a repentaglio. Alberto torna ad operare una costrizione sugli aspetti di sé su cui aveva scelto di dilatare, per far fronte alla minaccia di trovarsi dentro una relazione troppo intima, come se un’eccessiva vicinanza alla sua compagna implicasse una dipendenza non sostenibile per lui ed una limitazione della sua possibilità di movimento. Prendendo distanza da Emma sospende la messa a verifica sia della possibilità di sentirsi “vicino”, pienamente “coinvolto”, sia di mettere definitivamente a distanza la sua compagna. Emma, di fronte al comportamento di allontanamento di Alberto, entra in una logica che la porta a testare costantemente il compagno per essere considerata “una risorsa per lui”, sospendendo la messa a verifica sia di sentirsi davvero “importante” per Alberto sia di non esserlo. Il preservare un adattamento nella relazione poggia per entrambi sul tentativo reiterato di vedere validate le proprie anticipazioni riguardanti il tipo di persona che anticipavano di essere nel loro investimento nella relazione.
Come terapeuti possiamo identificare aspetti specifici delle narrazioni personali, riferite alla relazione sentimentale, coinvolti nel processo di riconoscimento intersoggettivo e ipotizzare come ciascun partner si sia riconosciuto e si muova nella relazione d’amore. Sulla base delle dimensioni di costrutto con cui i partner giocano un ruolo nella relazione, si viene a costruire una peculiare rete di significati nello spazio del tra e certe azioni piuttosto che altre sono costruite come “atti d’amore”. Questo significa che entro ogni singola relazione sentimentale, le interazioni mostrano logiche specifiche che hanno la funzione di confermare la nostra appartenenza ad essa.
6. Conclusione
In questo lavoro abbiamo ipotizzato che l’innamoramento abbia a che fare con la possibilità di fare esperienza del mondo sulla base della differenza degli sguardi e di ricostruirne i significati entro la “scena del Due”. L’esperienza amorosa inizia con un incontro che ci invita ad agire in un particolare universo di senso e, coinvolti in questa impresa, creiamo una peculiare rete di significati condivisi in cui ci “riconosciamo” nuovamente a partire dal nostro prendere parte alla relazione. È un’esperienza che legittima, che guida ad una costituzione della nostra identità attraverso la ricorrente co-ordinazione di azioni col partner. Attraverso il coinvolgimento nella relazione possiamo espandere le nostre prospettive con uno spostamento del punto di vista dalla nostra personale posizione a un punto di vista doppio e decentrato, che ci permette di guardare al mondo, agli altri e a noi stessi in un modo nuovo, mettendo inevitabilmente in discussione alcuni aspetti nucleari del nostro sistema costruttivo.
In una relazione romantica la creazione di una nuova prospettiva significativa coinvolge l’organizzazione del sé; possiamo sperimentare un generale clima di validazione che facilita un’elaborazione di ampie aree del sistema stesso. Le relazioni amorose possono diventare opportunità di trasformazione e portare “meraviglia”, ma anche fornire occasioni per la conferma e la stabilizzazione del nostro personale modo di vedere il mondo.
In amore vengono fatte scelte diverse che coinvolgono un maggiore o minore rischio di invalidazione di dimensioni nucleari di ruolo, ma abbracciare il principio della “scelta elaborativa”, significa comprendere le scelte del cliente (inclusa la scelta di non agire che in sé è ancora un’azione) considerandole come ciò che la persona anticipa essere più significativo in base al proprio mondo esperienziale.
Quando ci si innamora di una specifica persona, e quando si vive una relazione d’amore, stiamo agendo per nostra definizione una “scelta elaborativa”.
Il nostro operare come terapeuti consiste nel favorire maggiori opportunità di elaborazione del sistema del cliente e necessita di ipotesi professionali sulle condizioni correlate alla disponibilità alla revisione. Pertanto, quando affrontiamo le problematiche d’amore, diviene importante elaborare una lettura del processo di riconoscimento intersoggettivo specifico attraverso cui la persona si è potuta “riconoscere” nella “scena del Due” e delle diverse possibilità di preservarne l’adattamento.
Bibliografia
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Bourne, D. J. (2017, Febbraio). Love: A havoc on the construct system or ultimate validation? PCP & human needs: From theory to experience. Workshop presentato ad Alpine Tales, ICP, San Martino di Castrozza (TN), Italia.
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Note sulle autrici
Anna Celli
Centro Studi In Psicoterapia Cognitivo – Costruttivista (CESIPc), Firenze, Italia
Anna Celli è una psicologa e psicoterapeuta di approccio costruttivista narrativo-ermeneutico e didatta della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Costruttivista CESIPc di Firenze, Italia. Lavora come psicoterapeuta individuale e di coppia a Prato e Pontassieve (FI). Membro del comitato dell’A.I.P.P.C., Associazione Italiana di Psicologia e Psicoterapia Costruttivista, e reviewer di Costruttivismi.
Giovanna Malangone
Centro Studi In Psicoterapia Cognitivo – Costruttivista (CESIPc), Firenze, Italia
Giovanna Malangone è una psicologa psicoterapeuta di approccio costruttivista narrativo–ermeneutico. Si è specializzata al CESIPc di Firenze e da allora ha collaborato nelle attività didattiche del CESIPC di Padova. Lavora a Feletto Umberto (Udine) come psicoterapeuta familiare, di coppia e individuale. Da ottobre 2015 frequenta i corsi tenuti da Carlo Sini presso “Mechrì, laboratorio di filosofia e cultura” di Milano.
Note
- Ringraziamo gli editori della rivista Personal Construct Theory & Practice e le autrici per aver gentilmente concesso la traduzione dell’articolo. L’originale è disponibile al link: http://www.pcp-net.org/journal/pctp19/celli19.pdf. Celli, A., & Malangone, G. (2019). The experience of love and romantic choices. Personal Construct Theory & Practice, 16, 22-31. ↑
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