Tempo di lettura stimato: 15 minuti
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Socialità e negoziazione nell’intervista con griglia in ambito di ricerca

Sociality and negotiation in the research grid interview

di

Devi Jankowicz

Edinburgh Business School, Università Heriot Watt, Edimburgo, Regno Unito

 

Traduzione a cura di

Chiara Martinelli

Abstract

Quando usiamo una griglia per comprendere qualcuno, descriviamo ciò che stiamo facendo in termini di elicitazione di costrutti, usando la nostra esperienza e competenza come se volessimo estrarre i denti di una persona dalla testa (il riferimento è al modello dentale che duplica ciò che è già presente nel paziente n.d.t.). L’immagine di un dente disponibile e accessibile all’estrazione, qualcosa che è chiaramente lì, distinto e separato, ci offre una metafora che invita ad un’ulteriore discussione per evitare un’eccessiva semplificazione. Una breve riflessione sulla procedura della griglia indica che accade qualcosa di più sottile: stiamo negoziando sul significato. Questa negoziazione è un processo interattivo in cui entrambe le parti, intervistatore e intervistato, devono influenzarsi a vicenda se i rispettivi obiettivi vogliono essere raggiunti. L’accurata gestione della socialità da parte dell’intervistatore è essenziale se vuole rendere giustizia al modo di costruire dell’intervistato. Qualcosa di simile accade nel rapporto tra l’intervistatore e i dati ottenuti.

When we use a grid to understand someone, we describe what we’re doing as eliciting constructs – using our expertise as if we were pulling teeth out of a person’s head. This image of a tooth available for extraction – something that is clearly there, distinct and separate, provides a metaphor inviting further discussion to avoid an oversimplification. A moment’s reflection on grid procedure indicates that something more subtle is going on: we are negotiating over meaning. This negotiation is an interactive process in which both parties, interviewer and interviewee, have to influence the other if their distinct aims are to be achieved. The interviewer’s careful management of sociality is essential if s/he is to do justice to the interviewee’s construing. Something similar happens in the relationship between the interviewer and the data obtained.

Keywords:
Griglie di ricerca, socialità, negoziazione del significato | research grids, sociality, negotiating meaning
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1. Introduzione

Il punto nodale della trattazione che segue è che una griglia di repertorio dipende sostanzialmente dalla negoziazione tra intervistatore e intervistato, di cui la reciproca socialità è requisito primario. Tale aspetto è probabilmente ovvio in un contesto clinico, oppure quando una griglia è utilizzata come strumento di una formazione o per incrementare lo sviluppo di un gruppo di lavoro, ma vi può essere il rischio che in un ambito di ricerca venga dimenticato/bypassato. Il presente lavoro si riferisce proprio a quest’ultimo contesto.

Il nocciolo della questione può essere sintetizzato in quattro punti:

  1. “Se vuoi sapere cosa pensa una persona, perché non chiederglielo; potrebbe semplicemente dirtelo”. Questo in realtà parafrasa il ragionamento di Kelly (1991, p. 241) rispetto all’uso della tecnica dell’autocaratterizzazione, ma si applica a maggior ragione alla procedura della griglia di repertorio. Tuttavia… “Le persone intendono quello che dicono?” (Kelly, 1963, p. 110). A volte potrebbero e a volte no; oppure potrebbero non esserne sicure. E così via…
  2. L’intervista tramite griglia è un atto di socialità: meglio definito come processo sociale che comporta delle sottili interazioni tra intervistatore e intervistato al fine di verificare i significati dell’altro attraverso il reciproco punto di vista, che pertanto dà forma e influenza i costrutti ottenuti e registrati in griglia.
  3. Infine, anche il modo in cui la griglia viene analizzata risulta essere un esercizio di socialità da parte del ricercatore che interagisce con i dati, soprattutto se è parte di un insieme di contenuti condivisi.

 

2. Cosa pensa l’intervistato/a?

Il domandare, come processo, non è un mero procedere step by step utilizzando in modo standard la tecnica di elicitazione che la griglia permette – vedi per esempio Fromm (2003, pp. 35-43) o Jankowicz (2004, pp. 24-26). Parte del problema potrebbe derivare dall’espressione coniata originariamente da Kelly, “Test di repertorio dei costrutti di ruolo”. Chiaramente, la griglia non è una procedura psicometrica che dipende da un insieme di norme standardizzate. È prevalentemente utilizzata in un’ottica idiografica, mentre la standardizzazione riguarda una procedura semi-strutturata. Nell’uso attuale che ne facciamo, “test” è un termine improprio.

Tuttavia, i ricercatori spesso conducono un’intervista attraverso l’utilizzo di una griglia abbracciando l’assunto psicometrico che postula di poter misurare una caratteristica personale, qualcosa che è “dentro”, una componente strutturale della personalità da cui si evince un profilo, qualcosa che risiede nella testa della persona. Si parla di “elicitazione” seguendo ciò che qualcuno definirebbe “modello dentale” basato sull’estrazione dei denti, in cui i costrutti della persona sono già lì presenti, e attribuendoli a loro in modo palese, già disponibili all’estrazione.

Questo potrebbe non essere un modo molto utile di pensare al processo.

Butt & Burr (2004) chiariscono molto bene il punto:

la condotta umana è un mistero ed è meglio affrontarla chiedendo alle persone cosa sono impegnate a fare e come questo riflette il loro modo di costruire. C’è una sostanziale differenza rispetto al ritenere che le persone possiedano i costrutti e che questi siano in qualche modo responsabili delle azioni messe in atto. (p.124)

Mentre ci può essere consapevolezza del coinvolgimento nell’interazione sociale, è facile per l’intervistatore dimenticare quanto attivamente stia plasmando i costrutti che vengono registrati. Esaminando le componenti di base del processo:

  1. L’argomento. In una griglia di ricerca è solitamente scelto dal ricercatore, che chiede all’intervistato di affrontare una specifica parte del suo repertorio. Può essere che l’argomento scelto incontri l’interesse dell’intervistato, così come può esserne altrettanto indifferente. Se solitamente l’intervistato è impegnato in altre questioni come guadagnarsi da vivere o godersi un meritato riposo, l’intervistatore assume più i toni di qualcuno che concede meramente una piccola distrazione.
  2. Gli elementi. Se il proposito è quello di analizzare un insieme di griglie, il ricercatore potrà o imporre lo stesso insieme di elementi a tutti gli intervistati, oppure elicitare gli elementi di ciascun individuo secondo un elenco da applicare all’intero campione: “il tuo collega più apprezzato”, “il nostro capo attuale”, ecc. Per raggiungere quel tipo di uniformità che facilita l’analisi, è insolito invitare l’intervistato

a determinare il numero, la natura e la gamma di elementi che rientrano nell’ambito dell’argomento in questione.

  1. I costrutti. Sono determinati principalmente da un processo di mutuo accordo, piuttosto che esclusivamente attraverso l’utilizzo dell’“approccio credulo” (Jones & Jankowicz, 1998) così come caldeggiato per i neofiti della tecnica in questione. Questo aspetto è preso in esame più nel dettaglio in seguito.
  2. L’attribuzione dei punteggi. Attribuire punteggi agli elementi dei costrutti può essere particolarmente problematico, richiedendo all’intervistatore di esprimere giudizi che possono avere un impatto sui particolari numeri registrati. Ad esempio, ricavare i punteggi quando tutti i costrutti sono stati elicitati può portare a valutazioni in qualche modo diverse rispetto a quelle ricavate un costrutto alla volta, quando è ancora ben presente nell’intervistato il peculiare contrasto che quel costrutto esprime (si veda ad esempio: Neimeyer, Neimeyer, Hagans e Van Brunt (2002); la discussione in Fransella, Bell e Bannister (2004, pp. 59-65) fornisce ulteriori esempi).

Un altro esempio. Le considerazioni espresse dall’intervistatore potrebbero non essere necessariamente coerenti tra i diversi intervistati del campione, ed è mia impressione che ciò possa dipendere dalla natura dell’interazione con un particolare intervistato. Pertanto, può essere utile ricordare all’intervistato che una scala di punteggi da 1 a 5 è composta da valori relativi, non assoluti, e che potrebbe essere inutile evitare di assegnare un punteggio agli estremi della scala ad un elemento nella convinzione di “tenerlo di scorta” a favore di un elemento di un altro costrutto percepito come particolarmente estremo. Tuttavia, per l’intervistatore è più probabile riportare questa osservazione ad un intervistato che valuta prevalentemente con valori intermedi oppure ad una delle estremità della scala da 1 a 5, piuttosto che ad un intervistato che ricorre all’intera ampiezza della scala per ciascun costrutto.

 

3. Gli intervistati intendono quello che dicono?

Rispetto a questo argomento, Kelly si rivela particolarmente interessante (1963, pp. 110-111).

Sappiamo che gli intervistati possono avere difficoltà a tradurre un costrutto in parole, e quindi cerchiamo di aiutarli ad articolare le loro intenzioni, facendolo in modo cauto, chiedendo direttamente quale significato attribuiscono piuttosto che sussumerlo.

Tuttavia, dal punto di vista dell’intervistato:

  1. l’intervistato potrebbe aver creato una distinzione che applica per la prima volta alla triade di elementi. Potrebbe non aver mai avuto quel pensiero prima, sia rispetto a quegli elementi che addirittura su qualsiasi altro presente nella griglia. Tale discriminazione potrebbe essere appena stata coniata.
  2. Oppure la distinzione è disponibile ma viene messa sotto forma verbale per la prima volta e l’intervistato necessita di un po’ di tempo per pensarci…
  3. …con una labile relazione con il passato e la conseguente azione. Il comportamento a cui l’intervistato ricorre per operare la distinzione potrebbe essere andato perso; il comportamento che anticipa nel proporre il costrutto ora potrebbe risultare diverso da quello messo in atto se chiamato ad agire, sorprendendo sia l’intervistato che l’intervistatore stesso.

Ciò che viene proposto dall’intervistato può essere abbastanza definito o piuttosto incerto e, in questo caso, l’elicitazione diventa un processo delicato. Inoltre, dal punto di vista dell’intervistatore:

  1. potrebbe rendersi necessario un suo intervento per aggiustare l’espressione verbale così da rendere più idonei i contrasti che in prima istanza l’intervistato non riesce a produrre, operando dicotomie e restringendo (ciò che Yorke (1983) ha chiamato “dicotomico” e “costrutti piegati”). Kelly (1963, p. 111) cita l’esempio di un costrutto emerso per la prima volta, “Mary e Alice hanno un’indole gentile, ma nessuna delle due è attraente come Jane”. Spetta all’intervistatore separarlo in due costrutti distinti: gentile vs brusco e attraente vs sgradevole; ovviamente, la natura dei due significati viene verificata con l’intervistato.
  2. In effetti, questo passaggio viene svolto con cura e richiede un attento aiuto al fine di giungere alle parole con cui l’intervistato ha maggiore dimestichezza. Si noti, però, che si tratta di un’imposizione del nostro sistema di costruzione: delle nostre regole kelliane rispetto a ciò che costituisce un costrutto, necessarie tuttavia affinché qualsiasi tipo di analisi sia possibile.
  3. L’intervistato è perfettamente soddisfatto di come sono stati stimati i costrutti, tanto da percepire una familiarità con la versione originaria. Il fatto che l’intervistatore possa ricorrere alla Teoria dei Costrutti Personali (PCT) per respingere la forma originale considerata potenzialmente prelativa, e sicuramente difficile da utilizzare, avvalora l’ipotesi che il processo di elicitazione sia altamente interattivo.

 

4. L’intervista basata sulla griglia come un atto di socialità

Secondo l’undicesimo corollario di Kelly, la socialità crea relazioni di ruolo efficaci. Ciò è particolarmente importante quando i ruoli implicano un’interazione terapeutica (sebbene il legame con l’efficacia sia piuttosto complesso – le questioni chiave sono state utilmente esaminate da Winter (1992, pp. 177-179)), e quando c’è una differenza significativa di potere tra le due parti, come quella che si instaura tra un supervisore e un subordinato all’interno dell’habitus (Bourdieu, 1991), dell’organizzazione in cui lavorano.

Certamente, laddove i ruoli siano quelli di ricercatore-intervistato, c’è un limite a ciò che è possibile. Chiaramente, ci sono diverse importanti differenze tra il contesto di ricerca e quello clinico/aziendale; ma qui, una differenza particolarmente importante riguarda il tempo. Ci manca il tempo della continuità presente, per contro, nelle relazioni di ruolo degli altri due ambiti menzionati.

Durante i sessanta minuti contati di un’intervista con griglia nell’ambito di una ricerca (in cui solitamente si usa una sola intervista), per quanto possa tentare, il ricercatore non ha la possibilità di avventurarsi in profondità, di indossare le scarpe dell’altro senza deformarle, alla fine, almeno parzialmente.

I nostri piedi, in quanto scienziati di stampo accademico, hanno forma sostanzialmente differente da quelli dell’intervistato, paragonabile per Kelly ad uno scienziato laico; ciò deriva dalle differenti esperienze occorse, non da ultime quelle più prettamente del contesto professionale.

Questo si manifesta in diversi modi. Per esempio:

  1. La formulazione che l’intervistato accoglie come rappresentativa del costrutto (in particolare quando il costrutto è recente) porta delle differenze nelle valutazioni attuate. In alcuni casi questo può essere chiaro, mentre in altri potrebbe richiedere parecchio tempo all’intervistatore per recuperare esperienze passate dell’intervistato, per comprendere i significati con precisione. È necessario dedicare del tempo alla tecnica del laddering verso il basso (Jankowicz, 2004, pp. 64-66) o a quella piramidale (Fransella et al., 2004, pp. 43-44; Jankowicz, 2004, pp. 67-68) per chiarire il significato inteso.
  2. Inoltre, la formulazione precisa della distinzione effettuata può essere modificata man mano che l’intervistato applica il costrutto a ciascuno degli elementi “lungo la riga”, ciò può significare modificare i valori degli elementi trattati in precedenza in quella riga, oppure no; o farlo sistematicamente per ogni costrutto… quando il tempo lo consente.

Un’eventuale differenza anche solo di una o due valutazioni su un paio di costrutti può fare la differenza per le relazioni registrate nella griglia. Ad esempio, in un’analisi dei cluster della griglia possono emergere cluster molto diversi.

Ci si potrebbe chiedere se tutto ciò sia davvero importante. In un certo senso, non lo è. Gli intervistatori non sono negligenti; fanno il meglio che possono, lavorando con quello che hanno, e prestano molta attenzione per assicurarsi che l’intervistato legittimi l’accuratezza.

Non è questo il mio focus. Ciò che conta è arrivare ad una griglia completa che sia il risultato di un processo di negoziazione sul significato, piuttosto che attraverso un atto di estrazione di ciò che è già lì.

Esaminando ulteriormente questo punto, iniziamo con una definizione. La negoziazione come processo in cui due parti

– cambiano la loro posizione su qualche questione

– mediante uno scambio di punti di vista

– in modo tale da alterare la personale visione della propria posizione iniziale

– verso un definitivo (non negoziabile) atteggiamento di accordo

– che, in caso di successo, lascia entrambe le parti soddisfatte.

Come molte negoziazioni, quella che avviene sul significato in un’intervista con griglia è sbilanciata, solitamente a causa di differenze di potere che entrambe le parti, se sufficientemente esperte, sapranno come gestire. Tuttavia, in una griglia, il processo di negoziazione è sbilanciato in modo particolare. Nell’intervista con griglia l’intervistatore sa in anticipo qual è la posizione finale: in fondo sta seguendo le regole della tecnica a griglia e sa fino a che punto potrebbero allontanarsi prima che i dati ottenuti siano inutilizzabili.

Dall’altra parte, l’intervistato può scoprire quel punto solo durante il processo in cui decide se la formulazione del costrutto che viene registrata rappresenti o meno il significato che voleva intendere. L’intervistato potrebbe impiegare del tempo per essere sicuro di questo tipo di decisione, dopo aver elicitato diversi costrutti… diversi significati negoziati.

La griglia di repertorio è una procedura piuttosto singolare per chi la incontra per la prima volta, essendo il ruolo di intervistato differente da quello richiesto nelle più convenzionali procedure di intervista e di scala di valutazione.

È un modo strano di porre e rispondere alle domande, che deve essere appreso, e molto rapidamente, dall’intervistato.

Al contrario, l’intervistatore ha familiarità con il processo e con le diverse opzioni che è probabile si verifichino.

Considerate le sottigliezze che rendono l’elicitazione dei costrutti più di una semplice estrazione di ciò che è già lì, ci si potrebbe aspettare che alcuni di questi problemi di socialità emergano anche in quelle situazioni in cui il ricercatore ha a che fare con un gruppo, in cui ogni membro segue le istruzioni del ricercatore sulla procedura di base della griglia, ma, a differenza della situazione individuale, è lasciato a se stesso nel determinare l’etichetta del costrutto e i valori precisi da registrare.

Una volta compresa la spiegazione del ricercatore e le istruzioni di base, ogni membro del gruppo è da solo – non vi è alcun ulteriore “effetto intervistatore” sui dati – ma ha comunque luogo una forma di negoziazione.

La negoziazione è interna ad ogni persona: mentre pondera; quando prende una decisione; nel decidere esattamente cosa desidera rendere pubblico e cosa sarebbe meglio mantenere privato; e nel fare una scelta finale sotto forma di parole e punteggi che registrano il modo in cui gli elementi devono essere interpretati.

Si potrebbe vedere questo processo come una negoziazione interna che coinvolge due o più Comunità di Sé proprie di ciascun individuo (Mair, 1977).

Non stupisce che questo tipo di intervista, pur durando un’ora, affatichi sia l’intervistato che l’intervistatore, qualunque sia il setting, individuale o di gruppo!

 

5. L’analisi della griglia come atto di socialità?

Considerazioni simili possono essere fatte sui dati, sia che il ricercatore esegua l’analisi di una singola griglia o di più griglie messe insieme in un campione.

Il ricercatore esamina i dati per i risultati che contengono.

Per trarne delle conclusioni, il ricercatore interroga i dati in modo da poter stabilire quali conclusioni sono plausibili e quali no. Le procedure di induzione e deduzione possono seguire un processo di ragionamento logico relativamente informale oppure possono essere rafforzate dall’analisi statistica e dalla costruzione di un modello.

È possibile considerarlo un processo di socialità? Tecnicamente non si potrebbe, poiché la socialità implica l’azione da parte di entrambi i partecipanti e, sebbene il ricercatore sia un agente, i dati non lo sono: non sono attivi nel modo in cui qui si intende.

Tuttavia, il processo sembra implicare una forma di negoziazione del significato.

Il ricercatore applica tecniche di analisi in grado di identificare un particolare significato nei dati, interagendo con essi verso un determinato punto finale (si noti che i dati non si spostano molto verso il ricercatore e, in qualsiasi modo il ricercatore “affetti il salame”, i dati esercitano il proprio vincolo).

Può questo tipo di negoziazione, come quella che intercorre tra intervistatore e intervistato, essere vista come sbilanciata?

Può esserlo. Uno degli aspetti non negoziabili della tecnica che riguarda l’analisi del contenuto di un insieme di griglie è che le categorie utilizzate, e la codifica dei costrutti in categorie, devono essere affidabili. L’affidabilità dell’analisi dei dati pone un limite alla validità delle conclusioni che si possono trarre.

Se le categorie sono state ricavate da un progetto precedentemente pubblicato (si veda ad es. Landfield, 1971, pp. 165-175; Winter, 1992, pp. 28-33) il ricercatore, prima di procedere nel dimostrare l’affidabilità della codifica di quelle categorie, deve provare che lo schema di categoria a cui si riferisce sia affidabile.

Se sono stati tratti dai dati dello studio in corso, è fondamentale, per le due persone coinvolte nel processo, ricavare e codificare i costrutti in categorie in modo indipendente, prima di discutere il risultato e concordare definizioni di categoria più precise al fine di aumentare l’affidabilità che alla fine si ottiene.

Di solito, questo funziona; si possono ottenere affidabilità accettabili; valori Kappa di Cohen e Perrault-Leigh (si veda Perrault & Leigh, 1989) superiori a 0,9, per circa 300 costrutti all’interno di 12 categorie sono valori standard.

Una volta stabilita l’affidabilità, si possono quindi valutare le informazioni disponibili dall’analisi, con una ragionevole possibilità di essere soddisfatti dell’accuratezza delle conclusioni.

Di tanto in tanto, però, i due ricercatori hanno difficoltà a giungere ad una serie affidabile di conclusioni… mentre i dati restano lì e non si spostano!

Si potrebbe imbrogliare; ad esempio, mediante la generica pratica di “ignorare i valori anomali” o, nel caso dell’analisi del contenuto, consentendo a grandi numeri (ad esempio, più del 5% dei costrutti) di essere considerati “non classificabili” o “vari”. Ma questo è un atto del ricercatore, non dei dati.

I dati mantengono la loro integrità, dopotutto non cambiano.

Se vale la pena fare ricerca allora è meglio evitarlo, il potere in questo tipo di negoziazione è necessariamente sbilanciato – il ricercatore dovrebbe riconoscere che i dati devono avere l’ultima parola.

Un’ultima considerazione è che potrebbe esserci un’utilità particolare nella discussione pubblica rispetto a ciò che i dati potrebbero implicare.

Ci sono alcune prove che un’interazione con il ricercatore, nell’interpretare le implicazioni da trarre dai significati registrati in una griglia, sia vista come utile. Eden e Sims (1981) hanno utilizzato i dati della griglia come parte del processo di inserimento di nuovi dipendenti in un’organizzazione.

Essi riportano che l’analisi, da parte del neoassunto, di una griglia fornita dal precedente datore di lavoro potrebbe essere un utile ausilio all’inserimento del nuovo dipendente, che si trova a gestire l’implicita, ma anche l’esplicita, serie di aspettative – il cosiddetto contratto psicologico – che quella posizione comporta.

Nello specifico, gli autori hanno riferito che il processo era ritenuto particolarmente prezioso se il nuovo dipendente era in grado di discutere con il ricercatore le implicazioni relative al lavoro dedotte dalla griglia.

Pensare in termini di negoziazione del significato apre linee di indagine che, si potrebbe sostenere, non sono state studiate a sufficienza fintanto che osserviamo l’elicitazione dei costrutti utilizzando l’alquanto primitivo “modello dentale”.

I ricercatori sono abituati a riconoscere e cercare di minimizzare l’effetto intervistatore quando affrontano interazioni basate sulla tecnica di intervista convenzionale.

Una volta riconosciuto che le informazioni rese disponibili per mezzo di una griglia di repertorio sono il risultato di una sottile negoziazione sul significato, la domanda del ricercatore diventa non “come potrei minimizzare il mio impatto?” – in quanto ciò è visto come impossibile quando i significati sono un risultato del processo negoziale – ma “qual è la natura del mio impatto e come potrei gestirlo al meglio, aiutando l’intervistato a condividere il suo significato con il mondo?”.

 

Bibliografia

Bourdieu, P. (1991). Language and symbolic power. Cambridge: Harvard University Press.

Butt, T., & Burr, V. (2004). An invitation to personal construct psychology (2nd edition). London: Whurr.

Eden, C., & Sims, D. (1981). Computerised vicarious experience: The future for management induction? Personnel Review, 10(1), 22-25. doi:10.1108/eb055427

Fransella, F., Bell, R., & Bannister, D. (2004). A manual for repertory grid technique (2nd edition). Chichester: Wiley.

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Jones, H., & Jankowicz, A. D. (1998). Bringing two worlds together: Personal and management development in the health service. Human Resource Development International, 1, 341-346. doi:10.1080/13678869800000042

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Perrault, W. D. J., & Leigh, L. E. (1989). Reliability of nominal data based on qualitative judgements. Journal of Marketing Research, 26(2), 135-148. doi:10.1177/002224378902600201

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Note sull’autore

 

Devi Jankowicz

Edinburgh Business School, Università Heriot Watt, Edimburgo, Regno Unito

animas@ntlworld.com

Devi Jankowicz ha conseguito una prima laurea in Psicologia (1969) seguita da un dottorato in Cibernetica gestionale (1975), entrambi presso la Brunel University. Ha insegnato comportamento delle organizzazioni e metodi di ricerca presso Università site in Irlanda, USA, Polonia e Regno Unito, e ha contribuito alla formazione manageriale sviluppando due programmi MBA e un programma DBA prima di entrare a far parte della facoltà presso la Edinburgh Business School, dove insegna nei Programmi MSC e DBA. I suoi interessi di ricerca includono la trasmissione delle conoscenze oltre i confini culturali, l’uso di ambienti virtuali nell’apprendimento a distanza e le applicazioni della teoria e delle tecniche costruttiviste nel mondo delle aziende e delle organizzazioni. Ha al suo attivo circa 95 pubblicazioni, inclusi quattro libri di testo sui metodi di ricerca aziendale, uno in traduzione cinese. Collabora per consulenze con JPL/NASA, Unilever, Rolls-Royce (Bristol) e Employment Service UK; ha partecipato come relatore a seminari di briefing ministeriale nel Regno Unito e ha ricoperto un ruolo di Esperto dell’UE per il Ministero dell’Istruzione in Polonia.

 

Note

  1. Ringraziamo gli editori della rivista Personal Construct Theory & Practice e l’autore per aver gentilmente concesso la traduzione dell’articolo. L’originale è disponibile al link: http://www.pcp-net.org/journal/pctp19/jankowicz19.pdf. Jankowicz, D. (2019). Sociality and negotiation in the research grid interview. Personal Construct Theory & Practice, 16, 94-99.