1. Introduzione
Affrontare il fenomeno dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale da una prospettiva sistemico-relazionale implica assumere un’epistemologia ecologica cibernetica della complessità. Oggi più che in passato, le evidenze scientifiche e le esperienze terapeutiche mettono in evidenza la necessità di disporre di metodologie (modelli e metodi) funzionali alla comprensione e all’accoglienza autentica dell’estrema varianza e unicità che ogni individuo manifesta nell’esprimere i diversi aspetti della propria sessualità, superando i limiti epistemologici a cui rimanda il moltiplicarsi esponenziale delle categorie descrittive inerenti all’identità sessuale. Il proliferare di queste ultime, se da una parte nasce dall’esigenza di riconoscere le differenze e le specificità individuali, dall’altra non permette di differenziare i meccanismi mentali e biologici che li generano. Ancora oggi i termini identità di genere e orientamento sessuale possono venire sovrapposti in modo confusivo al concetto di identità sessuale; inoltre, le categorie descrittive inerenti all’identità di genere non spiegano le differenze tra identità di genere ed espressione di genere così come quelle relative all’orientamento sessuale non spiegano i casi di asessualità, bisessualità, pansessualità (Ferrari, 2019).
2. Cenni epistemologici
2.1 Le origini
L’ottica sistemica trova le sue basi epistemologiche nella cibernetica e nella teoria generale dei sistemi di Von Bertalanffy, unite da un rapporto di reciproco scambio. Per la cibernetica, la comunicazione e la retroazione auto correttiva sono qualità fondamentali del funzionamento di tutti i sistemi, viventi e non viventi. Ogni sistema costituisce un’unità, per cui il tutto non corrisponde alla somma delle sue parti. La cibernetica acquisì ampia risonanza in ambito scientifico a seguito di una serie di conferenze, note come Macy Conference (M. C.), tenutesi a New York dal 1946 al 1953, a cui parteciparono scienziati appartenenti a diverse discipline, con l’obiettivo di individuare linguaggi e leggi universali del funzionamento dei sistemi viventi e delle macchine.
2.2 Il pensiero di Gregory Bateson
Gregory Bateson (1904-1980), in qualità di antropologo interessato allo studio delle interazioni e della comunicazione umana, nonché fondatore del gruppo di Palo Alto in California, entrò in contatto con il pensiero cibernetico in occasione degli incontri M. C. Con il suo pensiero contribuì in modo significativo e propulsivo allo sviluppo di una nuova epistemologia cibernetica della complessità, basata su un metodo olistico (Bateson, 1972/1977; Bateson, 1979/1984) di comprensione dei processi biologici, cognitivi e mentali, secondo cui l’evoluzione viene intesa come processo finalizzato alla sopravvivenza di tutti i sistemi viventi. Per Bateson l’individuo, la società e l’ecosistema ambientale coincidono con tre sistemi interconnessi ed interdipendenti, ciascuno dei quali si configura come rete cibernetica complessa, aperta e collegata in ogni sua parte da processi causali circolari, ricorsivi, auto poietici, formati da sottosistemi. Ogni sistema, tra cui la famiglia, risulta dotato di meccanismi di regolazione volti a garantirne l’equilibrio (omeostasi), da una struttura determinata dai rapporti tra le sue parti e possiede di per sé una funzione auto correttiva che si realizza mediante lo scambio di informazioni tra sistemi e sottosistemi attraverso processi di comunicazione circolari e ricorsivi. Ai fini della conoscenza è necessario essere consapevoli che il mondo fisico (Pleroma) e il mondo mentale (Creatura) seguono leggi di funzionamento diverse: il mondo fisico segue le leggi della fisica, basandosi su un metodo causale e binario, mentre il mondo mentale funziona per differenza, sulla cui base vengono costruite le categorie che utilizziamo per descrivere e attribuire significato ai fenomeni e al mondo fattuale. Per Bateson la mente individuale corrisponde ad un sistema cibernetico aperto immanente al sistema ecobiologico, un elaboratore di informazione composto di parti che interagiscono tra loro, interconnessa mediante processi di comunicazione con l’ambiente esterno, che ne è parte fondante. In altre parole, la mente equivale ad un pattern che connette, identificabile in un processo interattivo auto correttivo ed evolutivo, non collocabile in alcuna parte del nostro corpo e sistema nervoso (Malucchi, 2010, p.260). Le
informazioni provenienti dall’ambiente e dai processi mentali, facendo riferimento alla teoria dei tipi logici di Withehead e Russel, “vengono organizzate ed elaborate in insiemi omogenei, connesse tra loro, a livelli di complessità progressivamente più elevata, al fine di co-costruire la propria identità e trovare, così, il proprio posto/funzione nelle relazioni…” (Mosconi, 2014, p. 17). Con l’introduzione del paradigma Forma (struttura) Processo, Bateson introduce nel suo metodo la teoria dei tipi logici, evidenziando come il processo di indagine di qualsiasi fenomeno mentale, così come la percezione, si realizzi con un andamento a zig-zag, che rimanda ad un’alternanza fra classificazioni e descrizione dei processi di interazione, che generano e mantengono le differenze tra le persone. La differenza che emerge nella relazione (processo) che connette le parti del sistema, genera l’informazione, che circola nei nostri circuiti cerebrali sotto forma di idea e/o rappresentazione mentale e/o ipotesi. Bateson riprende la metafora proposta da Korzybsky “la mappa non è il territorio”, al fine di evidenziare che le categorie (mappa) che utilizziamo per descrivere i fenomeni (territorio) non si equivalgono; la mappa fornisce una descrizione solo approssimativa del territorio. Da qui l’assunto per cui la differenza che emerge nella relazione tra due entità produce informazione e solo cogliendo le differenze che intercorrono tra mappa (rappresentazione, idee) e territorio (cosa in sé) possiamo costruire mappe più aderenti alla realtà fattuale. Ma l’intuizione rivoluzionaria di Bateson è stata l’idea di Contesto inteso come Matrice dei Significati (Bateson, 1972/1977). Come ci ricorda Laura Fruggeri (1998), il concetto di contesto deve essere inteso in un’accezione generativa e riflessiva in quanto coincide con “il processo interattivo di co-costruzione di significati e rappresentazioni condivisi mediante cui attribuiamo senso agli eventi e ai fenomeni osservati… non è solo il luogo dell’interazione e/o l’insieme delle rappresentazioni mentali” (ibidem, p.5). Ne consegue che la conoscenza/descrizione di ogni fenomeno mentale e sociale, che si realizza attraverso le narrazioni, rinvia ad una doppia descrizione (Bateson, 1979/1984), ciascuna delle quali appartiene ad un livello logico diverso: Forma (struttura) e Processo. Da qui l’importanza del linguaggio (analogico e verbale) e della narrazione (pensieri, parole, azioni ed emozioni) mediante cui l’individuo, nella sua interazione con l’ambiente e gli altri, descrive e co-costruisce la realtà fattuale e soggettiva, ovvero le sue identità. Per Bateson la suddivisione tra ragione ed emozioni, mente e corpo, ecc. è generata da un pensiero dicotomico e binario, funzionale a ridurre le innumerevoli differenze che caratterizzano la realtà ma contestualmente fuorviante in quanto genera una conoscenza limitata e parziale dei fenomeni, basata su ipotesi parziali.
2.3 L’evoluzione dell’Approccio Sistemico Familiare
Il pensiero di Gregory Bateson influenzò profondamente il lavoro teorico e clinico del movimento dei terapeuti familiari, sia a livello sovranazionale che nazionale. In Italia, il passaggio ad un’epistemologia ecologica cibernetica della complessità determinò, dal 1982, l’evoluzione del Milan Model e del Milan Systemic Approach, che integra le idee originali di Bateson con le evoluzioni successive della Teoria dei Generale dei Sistemi (Mosconi, Gonzo, Sorgato, Tirelli, & Tomas, 1999). Il concetto di ipotesi quale struttura che connette due punti di vista e le sue funzioni terapeutiche, rappresentano il principio guida per la conduzione della seduta (Cambiaso & Mazza, 2020, p.47).
3. Identità di genere e orientamento sessuale
Per l’ottica sistemica, l’identità di genere e l’orientamento sessuale corrispondono a due aspetti distinti ed indipendenti dell’identità sessuale, che equivale ad un (meta) sistema aperto e coordinato di narrazioni inerenti alle diverse dimensioni che concorrono a definirla. Ogni aspetto della nostra sessualità rimanda quindi ad un (sotto) sistema di narrazioni ad esso relativo, che il nostro sé relazionale, fin dalla nascita, “attraverso un continuo dialogo e confronto… tra ciò che esperisce ed agisce, confronta e riflette sull’esperienza fatta, attribuendole un significato funzionale alla propria sopravvivenza nell’ambiente” (Mosconi, 2014, p. 14). L’insieme coordinato di parole, pensieri, emozioni, azioni, che definiscono la narrazione che l’individuo effettua nel momento in cui avviene l’interazione, rimanda di volta in volta al lavoro di coordinamento che la persona ha effettuato nel passato e sta facendo nell’hic et nunc, per cui risulta necessario lo sviluppo della funzione riflessiva e di simbolizzazione. Tutto questo processo avviene mediante una dinamica circolare e ricorsiva all’infinito, orientata a preservare o ristabilire l’equilibrio con l’ambiente, per cui saranno possibili solo gli accoppiamenti che lo mantengono, in base all’organizzazione che caratterizza il sistema in quello specifico momento.
3.1 Un modello dimensionale
L’assunzione della teoria della mente di Bateson implica, per coerenza metodologica, l’adozione di modelli dimensionali dell’identità che favoriscano l’individuazione e la differenziazione dei diversi piani logici e funzionali mediante cui si esprime la sessualità, distinguendo gli aspetti fenomenologici da un punto di vista individuale e relazionale e i rapporti che intercorrono tra di essi. Il modello delle identità sessuali descritto da Ferrari (2019), a cui si rimanda per un approfondimento, prevede sei dimensioni processuali, distinte ed indipendenti, dell’identità sessuale, di seguito sinteticamente riportate.
- Sesso biologico: si riferisce all’esperienza diretta del corpo e del suo funzionamento in base alla conformazione somatica dei caratteri sessuali primari (cromosomi, gonadi, genitali interni ed esterni, ormoni) e secondari.
- Identità di genere nucleare: riguarda l’identificazione profonda ad un genere piuttosto che ad un altro, rimandando al sentimento di appartenenza ad esso connesso.
- Ruolo/espressione di genere: il ruolo di genere si riferisce alle idee che la persona ha relativamente ai ruoli sociali, ai codici di comportamento e alle modalità espressive riservati a maschi e femmine (“essendo donna dovrei… un uomo dovrebbe…”). L’espressione di genere rimanda invece al modo in cui la persona aderisce ai ruoli e codici sociali interiorizzati.
- Orientamento sessuale: riguarda la predisposizione della persona a reagire a stimoli di natura sessuale attraverso l’eccitazione sessuale e/o l’attrazione. La narrazione coordinata delle storie inerenti all’orientamento sessuale rimanda al costrutto di identità di orientamento sessuale.
- Facilità/intensità dell’esperienza sessuale: si riferisce alla capacità di provare desiderio sessuale.
- Identità sessuale sociale: attiene alla descrizione inerente alla propria sessualità che una persona narra a se stesso e agli altri. Questa dimensione è connessa a diversi fattori, tra cui le esperienze vissute dalla persona fino a quel momento relativamente al proprio funzionamento sessuale e alla capacità di attrazione, alle categorie culturali di cui la persona dispone e al sistema valoriale personale. Si evidenzia dalla narrazione che la persona fa di sé in un dato momento e può pertanto mutare nel tempo.
Le sei dimensioni processuali vengono suddivise in nucleari e distali: quelle nucleari (sesso biologico, identità di genere nucleare, orientamento sessuale) rappresentano la base dell’esplorazione identitaria successiva, essendo già definite in una fase precoce dello sviluppo, in quanto caratterizzate da aspetti somatici e fisiologici. Le dimensioni distali (ruolo/espressione di genere, identità sessuale sociale, facilità/intensità dell’esperienza sessuale), al contrario, si riferiscono a quelle parti della nostra identità sessuale che rimandano al rapporto tra l’individuo e il suo contesto culturale. Ogni dimensione rinvia a specifiche domande riflessive, che possono risultare utili per favorire una riflessione sulla propria identità. Riprendendo le indicazioni di Ferrari (2017), rispetto ad ogni dimensione possiamo considerare, a titolo d’esempio, le seguenti domande:
- sesso biologico: “qual è la mia conformazione somatica?”;
- identità di genere nucleare: “con quale genere mi identifico più intimamente?”;
- ruolo/espressione di genere: “cosa intendo per maschile e femminile? Come mi relaziono a tale idea? Quanto è tipizzato il mio comportamento in senso maschile e femminile?”;
- orientamento sessuale: “da quali caratteristiche di genere posso sentirmi attratto sessualmente e affettivamente?”;
- facilità/intensità dell’esperienza sessuale: “quanto mi sento capace di provare desiderio sessuale? Con quale intensità? In quali condizioni provo desiderio sessuale?”;
- identità sessuale sociale: “quale definizione do del mio genere e con quali implicazioni nelle interazioni sociali?”.
Ogni dimensione rimanda ad un continuum sfumato, un piano di varianza dell’esperienza e del vissuto individuale, per cui le categorie dicotomiche binarie (es. eterosessuale vs omosessuale) possono essere concepite come gli estremi delle diverse dimensioni della nostra identità sessuale, entro cui ogni individuo
si può collocare ad un punto piuttosto che un altro, in base al proprio sentire e alla fase del suo ciclo vitale, scoprendo in un preciso momento della vita di sentirsi in un modo, fino a quel momento impensato e non riconosciuto.
3.2 Benessere psicologico
Per l’ottica sistemica, il principale fattore di stabilità psichica, alla base del benessere psicologico, è rappresentato dalla conferma relazionale mediante cui l’individuo comprende che posizione e che valore ha nelle relazioni e nel mondo. Gianfranco Cecchin, co-fondatore del Centro Milanese di Terapia della Famiglia e membro del Milan Group, sosteneva che “il bisogno fondamentale di ogni individuo è quello di essere visto nella relazione con gli altri” (Mosconi, 2014, p. 19). Pertanto, la stabilizzazione della nostra identità sessuale e personale necessita di continue e ripetute conferme relazionali mediante cui sperimentiamo un senso di benessere e stabilità in termini di aspettative. Ne consegue che, per poter aiutare i nostri clienti nel processo di conferma e stabilizzazione della propria identità sessuale e personale, è utile prestare attenzione alla stretta interdipendenza e connessione tra i vari livelli che caratterizzano la narrazione (pensiero, linguaggio, azione, emozione, esperienza) e contestualmente favorire la funzione riflessiva, mediante la quale ciascuno di noi costruisce una “teoria della mente” dell’altro, sviluppa credenze e rappresentazioni mentali e costruisce spiegazioni/ipotesi circa i fatti e le esperienze.
4. Un possibile percorso terapeutico
Nell’ambito del percorso terapeutico, la tematica relativa alla definizione della propria identità sessuale riveste un ruolo centrale nel concorrere a determinare, in senso più generale ed esteso, la propria identità personale, in quanto comporta una diversa collocazione della persona, rispetto a quella “biologicamente” assegnatagli dal sistema familiare di appartenenza e dal macrosistema in cui esercita i suoi ruoli di vita. Di seguito, in maniera sintetica, si cercherà di mettere in evidenza una possibile sequenza di passaggi durante una terapia, che potrebbero essere cruciali e necessari per accompagnare e sostenere la persona nel raggiungimento di una definizione, appagante e rassicurante, della propria identità sessuale. Prima di addentrarci in tali passaggi è doveroso premettere che il processo che porta alla definizione di una propria identità sessuale raramente ha carattere di unidirezionalità e di immodificabilità; ciò significa che potremmo assistere a fasi, cicli di vita, nei quali in una persona può prevalere un’identità su un’altra, e così via. Tale premessa collude perfettamente con il superamento e l’abbandono dell’ottica di natura binaria, utilizzata fino a poco tempo fa nello stabilire l’identità sessuale, vale a dire etero o omo orientata, a favore di un’ottica che prende in considerazione molte declinazioni e sfumature dell’identità sessuale, diverse tra loro, che possono coesistere e concorrere a definire l’identità sessuale di un individuo.
4.1 L’analisi della domanda
L’approdo alla terapia di una persona che presenta difficoltà nella sfera della propria sessualità può aver luogo con una domanda che si declina lungo un continuum, ai cui estremi vi sono due polarità: domanda a carattere esplicito e domanda a carattere implicito. Al di là del punto in cui si colloca la richiesta rispetto al suddetto continuum, per poter formulare un’ipotesi plausibile che introduca differenza e restituisca al paziente una ridescrizione dei fatti condivisibile e dotata di senso, risulta di fondamentale importanza effettuare un’attenta ed accurata analisi del “problema” portato dal paziente. A tal fine la teoria sistemica ha individuato delle aree di indagine, note come “i pilastri dell’ipotesi” (Mosconi & Tirelli, 1997), da approfondire nei primi colloqui di consulenza. Il terapeuta, dopo aver cercato la connessione con il paziente invitandolo a riferire liberamente il motivo della richiesta, lo orienterà ad esporre la storia e gli effetti del problema (primo pilastro dell’ipotesi), la storia del sistema in senso trigenerazionale (secondo pilastro), i punti di vista degli altri significativi sui caratteri e le relazioni (terzo pilastro), le spiegazioni sul problema e le aspettative (quarto pilastro). Contestualmente sarà necessario raccogliere osservazioni sui comportamenti non verbali (quinto pilastro). L’esplorazione di queste aree d’indagine rinvia ai quattro livelli logici, interconnessi, dell’identità che possono essere così sintetizzati:
- Dimensione individuale/dimensione fenomenologico-descrittiva: narrazione del problema vissuto.
- Dimensione individuale/dimensione dei processi generatori: la persona – il conflitto intrapsichico.
- Dimensione relazionale/dimensione fenomenologica-descrittiva: comunicazione – l’incongruenza comunicativa.
- Dimensione relazionale/dimensione dei processi generatori: relazioni – il conflitto relazionale.
I quattro diversi piani logici vengono rappresentati graficamente e descritti nel lavoro del Quadrilatero Sistemico dell’Identità (Mosconi, 2015), a cui si rinvia per un approfondimento.
4.2 La costruzione dell’ipotesi e la restituzione
Al fine di formulare una “buona ipotesi”, benché iniziale e provvisoria, che permetta di creare aree di consenso, introdurre nuove informazioni e individuare quali aspetti o temi richiedano un accurato trattamento nelle sedute successive alla fase di consulenza/analisi della domanda, risulta utile considerare i quattro livelli logici rappresentati nel Quadrilatero Sistemico. Questo riferimento ci aiuta ad individuare quali aspetti necessitano di un ulteriore approfondimento: il problema nella sua storia, nei suoi effetti e/o nel significato che assume in senso trigenerazionale, ovvero l’incongruenza comunicativa attraverso l’analisi del quid pro quo familiare e dei comportamenti non verbali e/o il conflitto intrapsichico descrivibile o il conflitto relazionale. Il modo in cui verranno raccolte e organizzate le informazioni influenzerà le decisioni e le azioni che il terapeuta effettuerà successivamente (Marchiori & Viaro, 2015). In estrema sintesi, cercando di raggruppare in macro categorie gli esiti di una prima formulazione di ipotesi, si può asserire che se un paziente è particolarmente giovane e vive un conflitto intrapsichico rispetto alla sua identità di genere è presumibile che necessiti fin da subito di un setting terapeutico familiare; invece, se un paziente è in difficoltà rispetto al proprio orientamento sessuale, per cui può vivere oltre ad un conflitto intrapsichico anche un conflitto interpersonale, può risultare clinicamente utile l’attivazione di un setting iniziale di tipo individuale che, in un secondo momento, può essere esteso al livello familiare. La prima restituzione, basata sulla nostra ipotesi iniziale e provvisoria “avrà la funzione di sintetizzare una narrazione, sistemare un primo mattone per l’alleanza terapeutica intorno alla proposta di una narrazione condivisa” (Cambiaso & Mazza, 2020, p.25).
4.3 Le fasi del processo terapeutico
Nel delinearsi delle sedute, il terapeuta è chiamato a tener conto del fatto che generalmente, in terapia, quando un paziente esprime in maniera più o meno esplicita/implicita le difficoltà rispetto al tema della propria identità sessuale, sta a significare che lo stesso/la stessa nutre dei dubbi rispetto all’identità che si è auto assegnato/a in virtù di quanto gli/le è stato attribuito dalla famiglia e dalla società in generale. Potremmo definire questa fase come quella dello “spaesamento”, in quanto la persona inizia a chiedersi se il ruolo che sta ricoprendo corrisponde ai propri bisogni, se soddisfa i propri vissuti emotivi o se invece risponde al desiderio di compiacere gli altri. L’apertura rispetto alla messa in discussione della propria identità sessuale permette al terapeuta di facilitare l’avvio di un dialogo interno, di natura intrapsichica, tra le diverse istanze del paziente. Ciò è attuabile, in un primo momento, attraverso l’utilizzo di domande ipotizzanti finalizzate a far assumere alla persona le diverse prospettive in cui si troverebbe a seconda delle differenti identità sessuali che sente appartenergli. Successivamente, mediante l’utilizzo di domande circolari e di specificazione, si può orientare il paziente anche a riflettere sui possibili feedback relazionali provenienti dai vari contesti di appartenenza (familiare, lavorativo, societario) e soprattutto a “familiarizzare” con l’ipotesi che vi potrebbe essere ‘qualcuno’ disposto a sostenerlo e confermalo incondizionatamente. Questo ultimo elemento informativo, come vedremo di seguito, tornerà molto utile quando dal dialogo interno si potrà passare ad un dialogo esternalizzante, quello che nella cultura omosessuale è stato definito con l’espressione “coming out” (Rigliano, Ferrari, & Ciliberto, 2011, p.98). Tornando al dialogo interno, l’esperienza clinica ci supporta nel poter asserire che necessita di non essere mai affrettato né accelerato; può, quindi, prevedere un periodo di tempo terapeutico molto prolungato, in cui il paziente non deve mai avvertire alcuna forma di pressione rispetto alla propria definizione, né di sconforto per non riuscire a raggiungerla. Le domande facilitanti il dialogo, pertanto, devono essere sempre formulate a partire dalle affermazioni del paziente e non devono essere espressione di pensieri o possibili
pregiudizi del terapeuta, poiché qualora così fosse il terapeuta stesso potrebbe concorrere a destabilizzare ulteriormente la persona. A nostro avviso sono quindi da evitare domande così impostate “se lei si definisse omosessuale come si sentirebbe?”, mentre risultano utili e funzionali domande così strutturate “lei ha espresso preoccupazioni rispetto al definirsi omosessuale, può descrivere a se stesso la natura di queste sue preoccupazioni?”. Dalla fase dello spaesamento si passa a quella del “riconoscimento” dei propri impulsi, delle proprie emozioni e dei propri vissuti, preludio del raggiungimento di una definizione della propria identità che, seppur provvisoria e potenzialmente modificabile, rappresenta per la persona l’identità più confacente a se stessa in quel periodo della sua vita. In questa fase prosegue un dialogo intrapsichico, ma a valenza interpersonale, e ciò avviene attraverso la presentificazione in seduta delle varie persone significative per il/la nostro/a paziente, resa possibile con domande ipotizzanti quali, per esempio, “se fosse qui con noi, cosa direbbe sua madre e/o suo padre?”. Anche in questa fase del percorso terapeutico bisogna prestare massima attenzione a non formulare domande che potrebbero sottendere un pregiudizio/giudizio. A titolo esemplificativo si consiglia di evitare domande del tipo “se lei si definisse omosessuale come pensa reagirebbero i suoi genitori?”, favorendo l’uso di domande così strutturate “lei ha espresso preoccupazioni rispetto alle reazioni dei suoi genitori qualora sapessero che lei è omosessuale, quali pensa che sarebbero, le può descrivere a se stesso?”.
4.4 Il setting terapeutico da individuale a familiare
La continua e costante presentificazione in seduta delle persone significative per il paziente permette a quest’ultimo di avviare delle considerazioni rispetto alla presenza o meno, entro la cerchia dei suoi legami, di una persona alla quale iniziare a confidare i passaggi effettuati nel percorso identitario. In alcuni casi, il cliente/paziente può richiedere esplicitamente al terapeuta di poter comunicare al familiare intercettato l’esito del proprio dialogo intrapsichico alla sua presenza (del terapeuta), ovvero di essere sostenuto dal terapeuta. Qualora si verificasse tale evento, è opportuno che il terapeuta, in accordo con il proprio cliente, effettui almeno una seduta con la persona individuata, al fine di permettere a quest’ultima di entrare in contatto con lo stesso terapeuta, prendere confidenza con il setting e, al contempo, consentire al terapeuta di farle presente che è stata scelta dal suo paziente come interlocutore privilegiato a cui restituire l’esito del percorso terapeutico effettuato fino a quel momento. A questo incontro può essere utile far seguire almeno un colloquio congiunto, alla presenza del paziente e del familiare individuato; l’esperienza clinica ci porta a sostenere che nella maggior parte dei casi risultano necessari più colloqui congiunti (indicativamente dai tre ai cinque). Molto spesso, invece, avviene che il paziente utilizzi il setting terapeutico per ‘esercitarsi’ su come affrontare con la persona di riferimento, in modo autonomo e al di fuori dello spazio terapeutico, il tema della propria identità sessuale raggiunta. Anche in questa circostanza l’esperienza clinica ci permette di affermare che sono diversi i colloqui che il terapeuta dovrà sostenere con il proprio paziente prima che quest’ultimo/a riesca a parlare di tale tematica con la persona di riferimento. È solo dopo aver sperimentato un senso di riconoscimento dalla persona individuata come prima depositaria delle confidenze che il paziente potrà iniziare a comunicare ad altri membri significativi, appartenenti al suo contesto di vita, le proprie riflessioni. Il percorso terapeutico a questo punto potrebbe prendere in considerazione lo svolgimento di alcune sedute familiari, dove è possibile stimolare ed accompagnare l’intero nucleo alla costruzione grafica del genogramma familiare, al fine aiutare la famiglia a riorganizzarsi in funzione della nuova narrazione identitaria (Sandri, Marchiori, & Bonavigo, 2017). Il rimando di accettazione, di non giudizio e di accoglienza da parte delle persone di volta in volta informate dal nostro paziente sulla propria identità sessuale rappresenta un elemento cruciale nel rinforzare l’equilibrio psichico ed emotivo raggiunto da quest’ultimo. Laddove tale rimando vi sia solo in minima parte e/o comunque in misura minore rispetto a quella aspettata/desiderata, inevitabilmente determina dei vissuti di disagio, che però non vanno a pregiudicare il percorso terapeutico, se vi è stato un approfondito e nutrito dialogo intrapsichico e se la persona individuata come primo riferimento è stata sufficientemente responsiva.
4.5 Il gruppo dei pari in preadolescenza/adolescenza
Un ulteriore elemento che concorre alla stabilizzazione e definizione della propria identità sessuale è rappresentato dal confronto con persone che hanno avuto un percorso simile; questo vale soprattutto per i preadolescenti/adolescenti. A tal riguardo, si evidenzia come in questa fase evolutiva l’identità sessuale sia più che mai fluida, in divenire e soggetta a radicali cambiamenti. Ne consegue che la partecipazione a setting gruppali, attivati nei contesti di vita dell’adolescente (es. scuola), favorendo il dialogo e confronto tra pari rispetto alle loro pulsioni, ai vissuti e alle dinamiche relazionali in essere tra loro, risulta utile alla definizione della propria identità, in quanto rimanda all’assunto epistemologico per cui la differenza crea informazione. Il lavoro terapeutico di natura gruppale favorisce altresì la cultura dell’accettazione, dell’inclusione e contribuisce a ridurre forme di isolamento, che potrebbero culminare in abbandoni scolastici e conseguenti veri e propri ritiri sociali.
4.6 La conclusione del percorso terapeutico
Il percorso terapeutico volto ad accompagnare e sostenere una persona nella definizione della propria identità sessuale può essere ritenuto concluso quando la persona si sente libera, fuori dalla stanza di terapia, di poter vivere ed esprimere tutte le sfaccettature della sua identità sessuale. Il raggiungimento di questo obiettivo permetterà al nostro cliente di vivere dando priorità al soddisfacimento delle proprie inclinazioni piuttosto che al bisogno di sentirsi confermato dagli altri, nonostante il bisogno di conferma relazionale rimanga un aspetto importante nel mantenimento dell’equilibrio raggiunto proprio con la definizione della propria identità sessuale.
5. Conclusioni
Nel presente lavoro si è cercato di offrire al lettore degli spunti di riflessione rispetto ad un possibile percorso terapeutico finalizzato alla definizione e alla stabilizzazione dell’identità sessuale in un’ottica sistemica. Il terapeuta, muovendosi all’interno di una cornice epistemologia ecologica cibernetica della complessità, che rimanda al superamento del binarismo di genere eteronormativo, può agevolmente assumere un ruolo di facilitatore/promotore del benessere psicologico individuale, familiare e sociale, indipendentemente dalla natura implicita o esplicita della richiesta, favorendo una riflessione approfondita inerente ai vari aspetti della nostra identità sessuale.
Bibliografia
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Bateson, G. (1984). Mente e Natura. (G. Longo, Trad.). Milano: Adelphy. (Opera originale pubblicata 1979).
Cambiaso, G., & Mazza, R. (2020). Le ipotesi in psicoterapia e nella vita. Roma: Armando Editore.
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Sandri, F., Marchiori, R., & Bonavigo, R. (2017). Rappresentazioni di genere. Connessioni, 1, 30-45.
Note sugli autori
Riccardo Barsotti
Psicologo Psicoterapeuta – Responsabile Unità Operativa Semplice Consultori Familiare e Tutela Minori Distretto Est Aulss 8 “Berica”.
Natalia Savani
nataliasavani@libero.it
Psicologa Piscoterapeuta e Mediatrice Familiare, Centro InterattivaMente.
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