“Ogni persona trans porta con sé una storia di rappresentazione trans sulla base di ciò che ha visto”.
(Disclosure)
Cosa generalmente vi aspettate da un documentario? Io li ho sempre trattati con un po’ di diffidenza: monotematici, troppo descrittivi e dunque noiosi. Qualunque sia la vostra anticipazione, mettetevi comodi, la visione di Disclosure potrebbe aprirvi a nuovi scenari!
Il documentario, dal titolo originale Disclosure: Trans Lives on Screen, ha fatto il suo esordio al Sundance Film Festival e racconta qual è stata, nell’ultimo secolo, la rappresentazione delle persone trans sullo schermo, dal cinema alla televisione. Le storie hanno bisogno, a mio parere, di buoni narratori ed è per questo che la differenza, tanto quanto la sua originalità, in questo documentario la fa chi ce lo racconta. Infatti, la prospettiva che il regista Sam Feder ci offre è quella non solo di professionisti del mondo dello spettacolo, ma di professionisti transgender. Cosicché, all’interno del cast possiamo trovare, tanto per citarne alcuni, l’attrice e produttrice Laverne Cox, che molti forse ricorderanno per il ruolo di Sophia nella serie tv Orange is the New Black; Lilly Wachowski, regista e sceneggiatrice (tra i film che ha diretto compaiono Matrix e Cloud Atlas); gli attori e le attrici Candis Cayne, Yance Ford, Mj Rodriguez, Jamie Clayton e Chaz Bono. Le loro voci, attraverso opinioni, riflessioni e vissuti personali, danno vita ad una narrazione spesso introspettiva e intimistica, che tuttavia tocca anche una profonda dimensione sociale e culturale.
“Com’è che il grande schermo ci ha rappresentato?”, “Come questo canalizzerà la visione del pubblico?”, “E cosa tutto ciò ha significato per noi?”. Sembrano essere questi i principali interrogativi che muovono la trama. Una trama che ha origini lontane tanto quanto la storia del cinema, con personaggi di genere non binario presenti dalla nascita dei primi filmati. Tra un susseguirsi di uno spezzone cinetelevisivo e l’altro, si delinea una rappresentazione delle persone trans prelativa e costellatoria, in analogia con i flat characters[1] della letteratura: personaggi piatti, unidimensionali, privi di spessore psicologico. Allo stesso modo, sullo schermo appaiono raffigurazioni di persone trans caricaturali e stereotipate. Si ride di loro o se ne ha paura, relegati ai soli ruoli, primo fra tutti quello della prostituta, del serial killer, dello psicopatico o della vittima.
Pensando alla storia, soprattutto in termini di minoranze, converrete con me che il pensiero stereotipato porge frequentemente la mano al pregiudizio, da cui poi nascono la discriminazione e la violenza. Si potrebbe, inoltre, correre il rischio di pensare che, in fondo, il grande e il piccolo schermo siano solo uno dei tanti canali di informazione, ma i mezzi di comunicazione di massa hanno la capacità di modellare la realtà sociale. Sebbene alcune ricerche nell’ambito della psicologia sociale mettano in guardia dal decretare un semplicistico nesso causale tra esposizione mediatica e pregiudizio (Mutz e Goldman, 2010), è pur sempre vero che le immagini contano, raccontano storie, canalizzano significati e definiscono quello che può essere un immaginario collettivo.
In questo caso potrebbero fornire un’anticipazione, la quale spesso precede l’esperienza diretta che le persone hanno della cultura trans; come il documentario infatti suggerisce, l’80% degli americani non ha mai conosciuto di persona qualcuno che sia transgender. Ma i protagonisti di questa storia ci danno la possibilità di giocare un po’ di socialità; gli attori, nella parte di se stessi, si raccontano e ci raccontano come hanno vissuto l’essersi visti rappresentati in quel modo, attraverso quei pochi modelli, per lo più negativi e discriminatori. S’intrecciano così aspetti sociali con aspetti relativi all’identità. Identità che i mass media, sempre prelativamente, hanno individuato nella sola dimensione corporea legata alla chirurgia.
Perciò, l’invito che il documentario ci offre è quello di avere uno sguardo verso le persone trans più proposizionale perché, come ci suggerisce, “ciò che serve alle persone trans è il senso di una storia più ampia”.
Il documentario è disponibile in molti Paesi, tra cui l’Italia, dal 19 giugno 2020 sulla piattaforma di streaming Netflix. Il lancio al pubblico non è stato casuale, ma è avvenuto in contemporanea al Pride Month, evento internazionale che celebra l’orgoglio della comunità LGBTQIA+ e che dal 1970, in commemorazione dei moti dello Stonewall, si svolge per l’appunto nel mese di giugno.
Bibliografia
Feder, S., & Scholder, A. (Produttori), & Feder, S. (Regista). (2020). Disclosure: Trans Lives on Screen [Documentario]. Stati Uniti d’America: Field of Vision, Bow and Arrow Entertainment, Level Forward.
Forster, E. M. (1927). Aspetti del romanzo. Milano: Garzanti.
Mutz, D. C., & Goldman, S. K. (2010). Mass media. In J. F. Dovidio, M. Hewstone, P. Glick, & V. M. Esses (Eds.), The sage handbook of prejudice, stereotyping, and discrimination (pp. 241-258). Thousand Oaks, CA: Sage Publication Ltd.
- La distinzione tra flat characters e round characters è stata introdotta da E. M. Forster nel 1927 in Aspetti del romanzo. Milano: Garzanti. ↑
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