1.Il lavoro dello psicologo a scuola – da dove sono partita
La mia esperienza lavorativa in ambito scolastico è iniziata per caso, incontrando e collaborando con due associazioni che si occupano di progetti scolastici di prevenzione. La loro richiesta consisteva nell’organizzare incontri con degli obiettivi ben chiari: far riflettere gli studenti sulla pericolosità di alcuni comportamenti a rischio (in particolar modo l’uso di sostanze psicoattive).
A quel tempo la mia esperienza nell’ambito della scuola era quasi nulla, escluso il fatto (non così trascurabile) di averne fatto parte per la maggior parte della mia vita nel ruolo di studente.
Attualmente svolgo percorsi che coinvolgono i gruppi classe, i docenti e i genitori delle scuole secondarie di primo e secondo grado. Le tematiche e il focus dei singoli percorsi variano moltissimo; in generale mi occupo di percorsi di promozione del benessere personale e relazionale, di percorsi di riflessione circa i comportamenti a rischio, uso dei social, laboratori relazionali.
Il mio approccio al lavoro scolastico è iniziato affidandomi a una prevenzione “classica”, basata sulla definizione di salute dell’Organizzazione Mondiale dalla Sanità, ossia “un completo stato di benessere fisico, psicologico e sociale che coinvolge la globalità dell’individuo e delle sue esperienze” (World Health Organization (WHO), 1946). In questa visione, nella vita di una persona si possono presentare eventi ordinari (es. le fasi di crescita) o eventi straordinari (es. lutto, separazioni, malattie, etc.) che assumono per la persona la forma di un ostacolo per il suo sviluppo salutare (Bonino & Cattelino, 2008). Le persone hanno scarso o nullo controllo sugli eventi negativi o potenzialmente pericolosi che incontrano nella loro vita; “fare prevenzione [quindi] non sempre implica evitare che le persone incorrano in situazioni potenzialmente pericolose o negative […], ma significa promuovere le capacità dell’individuo di fare fronte in modo positivo ai problemi e alle difficoltà che incontra” (ibidem).
Nonostante questa definizione fosse ampia, spesso gli esempi di prevenzione che ho incontrato e inizialmente seguito trascuravano una comprensione e una riflessione più personale e individuale: cosa significa benessere per le persone? In quali modi e contesti lo sperimentano? Quali sono i significati insiti nel mettere in atto comportamenti a rischio? Il rischio a chi va attribuito? Quante strade diverse si possono originare da “un medesimo comportamento”? Era un approccio che si concentrava sul comportamento, dando per scontato che per tutti avesse (quasi) lo stesso significato ed esito, arrivando a volte a tralasciare e a perdere di vista la persona che lo stava compiendo.
Mi sono trovata presto ad un bivio, la cui scelta avrebbe significato fare un tipo di lavoro, piuttosto che un altro, essere un tipo di persona piuttosto che un’altra. Un lato del bivio mi portava a questa prevenzione “classica”; l’altro lato del bivio mi portava verso un punto di domanda.
2. Incontro con la Psicologia dei Costrutti Personali
Con l’inizio del mio percorso presso l’Insitute of Constructivist Psychology di Padova ho incontrato un modo alternativo per leggere le mie esperienze all’interno di questo contesto lavorativo e un aiuto nella costruzione delle esperienze da vivere e da far vivere ai ragazzi durante gli incontri a scuola.
Descrivo qui gli aspetti della teoria dei costrutti personali particolarmente significativi nel mio lavoro a scuola.
L’alternativismo costruttivo, sostenendo “che tutte le nostre attuali interpretazioni dell’universo siano suscettibili di essere riviste e rimpiazzate” (Kelly, 2004/1991, p. 11) permette di fare esperienza del contesto scolastico come un sistema in cui, di volta in volta e di persona in persona, possono essere contenute visioni molteplici e alternative di quello che si ritiene essere un medesimo fatto. Questo aspetto della teoria mi aiuta a comprendere e integrare visioni ed esperienze diverse, con l’obiettivo di aiutare studenti e insegnanti ad andare oltre la strutturazione reciproca.
Rifacendomi all’approccio credulo e rielaborando la definizione che ne dà Epting (1990/1984), considero importante che lo psicologo scolastico sia preparato ad accettare il sistema di costruzione degli studenti e degli insegnanti così come si presenta; questo vuol dire prendere la persona nei suoi termini, accettarla e darle dignità in quanto persona reale e completa. In questa rielaborazione della definizione di Epting mi sono concentrata sull’utilizzo dell’approccio credulo nel tempo presente proprio per ricordarmi che l’obiettivo dello psicologo in contesto scolastico non è terapeutico né prolungato nel tempo. È importante tenere sempre in considerazione questo aspetto: accade spesso che dietro spiegazioni, riflessioni o comportanti espliciti, si possano cogliere e ipotizzare costruzioni di cui però la persona non è consapevole e che potrebbe non voler (o non poter) prendere in considerazione. È quindi fondamentale fare una valutazione per capire quanto spingersi oltre l’approccio credulo (nella relazione con studenti e insegnanti) e quando invece è più utile e responsabile non perturbare (troppo) il loro sistema.
Il corollario della socialità, facendoci riflettere sul fatto che “una persona può avere un ruolo in un processo sociale che coinvolge un’altra persona nella misura in cui costruisce i processi di costruzione dell’altra” (Kelly, 2004/1991, p. 66), rappresenta un obiettivo principale per il mio modo di lavorare in ambito scolastico: trovo infatti che apra importanti revisioni sia all’interno del gruppo classe sia sullo sguardo che i docenti hanno sui loro studenti.
Infine, l’alternanza tra i processi di allentamento e quelli di restringimento che caratterizza il ciclo della creatività e il monitoraggio circa la posizione che il singolo e il gruppo hanno relativamente ad essi, “permette [il tentativo] di creare nuove dimensioni di significato che permettono al sistema di elaborare nuovo materiale” (Epting, 1990/1984, p. 60).
3. Contesto d’intervento
L’ambiente scolastico è un sistema complesso in cui intervengono diversi attori con diversi ruoli; spesso questi ruoli sono definiti sulla carta, ma nell’esperienza assumono sfumature differenti che è importante prendere in considerazione. Cercando di creare una sommaria classificazione, i gruppi presenti nella scuola possono essere suddivisi in: studenti, docenti, dirigenza, personale ATA, genitori. A questi aggiungo (e mi inserisco) quello degli esperti esterni che sviluppano all’interno della scuola vari progetti in diverse parti dell’anno per un periodo variabile di tempo (dal singolo giorno all’anno scolastico).
È importante non dimenticare che ogni gruppo è composto da singole persone, che portano all’interno delle interazioni con gli altri il proprio personale sistema di costruzione. Questo ci aiuterà ad avere uno sguardo più ampio e non vincolato alla strutturazione che avremo e che deriva dalla nostra esperienza. Questa visione ci aiuta a cogliere nel gruppo le specificità, ad aiutarci ad anticipare i processi interni nella scuola e a sfruttarli nell’ottica dell’efficacia del nostro lavoro.
Dalla classificazione generale descritta sopra e basata sul ruolo “formale” è bene tenere a mente e individuare, nel nostro lavoro scolastico, i ruoli “effettivi” che vengono attribuiti alle singole persone che fanno parte dei gruppi precedentemente citati, che spesso vanno oltre il dominio del ruolo formale. Un esempio: trovo spesso importante, specialmente nelle scuole dove rimango in servizio più tempo, comprendere le relazioni e le reciproche costruzioni di studenti e collaboratori scolastici. È frequente una costruzione del collaboratore che va ben oltre quello formale, arrivando a diventare una figura di riferimento per i ragazzi. Se tralasciamo questo aspetto nel nostro lavoro scolastico, potremmo perderci l’opportunità di sinergie e di coinvolgimenti utili per il nostro lavoro e per il benessere scolastico.
3.1 Quali sono le anticipazioni dei singoli gruppi?
Questa domanda è il primo interrogativo fondamentale che mi pongo. Ogni sistema scuola ha la propria organizzazione, le proprie abitudini, la propria storia e tutto questo concorre alla formazione di un proprio sistema di costruzione. Il frequente turn over degli insegnanti e del personale scolastico, nella maggior parte dei casi, si inserisce all’interno di questo sistema, che svolge il ruolo di sovra-costruzione con la quale i sistemi dei singoli insegnanti/collaboratori interagiscono.
Cercando di sovraordinare e trovare una comunanza di anticipazioni all’interno dei gruppi principalmente coinvolti, questa potrebbe essere una visione generale delle anticipazioni di un intervento psicologico sui gruppi classe di una scuola.
- Anticipazione del dirigente e dello staff: offrire un servizio che sia un’opportunità di aiuto per gli studenti, dando loro uno spazio di condivisione; offrire un servizio che mostri che la scuola persegue il benessere degli studenti, che sia conosciuto dai genitori e utile per gli insegnanti.
- Anticipazioni dei docenti della classe: permettere agli studenti di confrontarsi e sperimentarsi apertamente; avere un aiuto nella gestione della classe, specialmente delle relazioni con gli studenti con cui si generano più contrasti o quelli che i docenti non riescono a comprendere e con cui non sanno come relazionarsi; in alcuni casi, prendersi una pausa dalle lezioni.
- Anticipazioni dei genitori: permettere un momento di formazione e confronto per i figli, che dia l’opportunità di riflettere sui comportamenti rischiosi che caratterizzano l’età adolescenziale; auspicata anche la funzione preventiva che indirizzi i ragazzi verso uno sviluppo sano.
- Anticipazioni del personale scolastico: azione di supporto organizzativo per la gestione delle classi e dei ragazzi durante il cambio ora; possibilità di supporto anche per loro; ennesimo esperto e attività che si svolge a scuola (quest’ultimo si verifica meno se il lavoro si prolunga per diverso tempo nella scuola).
- Anticipazioni degli studenti: fare un’esperienza nuova; avere più conoscenze di carattere informativo; avere dei consigli; saltare le lezioni (last, but not least).
Quali sono invece le mie anticipazioni nell’intraprendere questo genere di interventi scolastici? Ripensando all’inizio della mia esperienza come psicologa scolastica, mi rendo conto che avevo molte anticipazioni confuse: mi sentivo responsabile della buona riuscita del progetto e caricata di tutte le anticipazioni (spesso in contrasto) che ho descritto sopra. Avendo come anticipazione il voler “assecondare” tutti, mi sentivo spesso una professionista frammentata, che utilizzava linguaggi diversi nei contesti gruppali diversi e che cercava di accontentare le richieste e i bisogni di formazione per cui ero stata chiamata.
Grazie alle riflessioni della Psicologia dei Costrutti Personali, sono riuscita a identificare la costruzione superordinata di utilità rispetto agli interventi sviluppati, che potesse includere le anticipazioni precedentemente espresse (sia mie che delle altre persone coinvolte) e che rappresentasse il senso del mio lavoro, guidandomi.
Questo mi ha permesso di riuscire a calarmi maggiormente nei diversi contesti di lavoro, creando quella faticosa complessità che rende ogni lavoro unico, nonostante il medesimo titolo sul progetto. La costruzione di utilità è stata estremamente preziosa anche nel cercare di lavorare in contesti in cui le costruzioni principali presenti non aiutavano a raggiungere gli obiettivi auspicati.
3.2 Quali sono le costruzioni principali presenti in ambito scolastico?
Quando si inizia a lavorare in un nuovo ambiente scolastico è importante cercare di anticipare quali dimensioni di significato caratterizzano quel sistema. Cercando di superordinare le diverse esperienze, ho notato che due costrutti molto presenti in ambito scolastico sono “giusto – sbagliato” e “vero – falso”.
È molto visibile come gli studenti riportino queste costruzioni all’interno del lavoro con me; questo aspetto l’ho notato specialmente all’inizio delle mie esperienze lavorative, quando i percorsi che mi venivano richiesti erano prevalentemente legati al tema della prevenzione. Il bisogno degli adulti (di tutti i gruppi) era quello che nel lavoro con me gli studenti discriminassero informazioni vere da quelle false e che imparassero i comportamenti giusti da tenere. Tutto questo incontrava le esigenze di una buona parte di studenti, ma spesso portava ad uno scontro con il resto della classe che, muovendosi sulle dimensioni di significato citate in precedenza (“giusto – sbagliato” e “vero – falso”), si posizionava sul polo opposto in base alla propria esperienza.
Un simile lavoro per me era estremamente frustrante, poco utile e dannoso, nonché sterile, perché non avveniva una rielaborazione o una revisione costruttiva.
A questo riguardo mi è venuta in aiuto una lettura in cui si sottolinea quanto “il fenomeno del benessere/salute non sia unidimensionale, quanto piuttosto complesso e multidimensionale” (Armezzani, Mininni, & Zamperini, 2009). Questo lavoro, partendo dal presupposto che il benessere sia qualcosa di soggettivo, sottolinea che i motivi personali e sociali che regolano le condotte relative alla salute generano un intreccio ancora più complesso se ci si interroga sui significati del benessere (ibidem). Tradotto: cosa significa per le persone stare bene?
Grazie al loro lavoro, questi studiosi sono riusciti a identificare sette stili di benessere: stile salutista, stile relazionale, stile creativo, stile soddisfatto, stile armonico, stile vitalista e stile materialista.
Questa lettura mi ha dato la possibilità di revisionare il mio modo di lavorare, trovando e scegliendo strade alternative in cui mi sentivo professionalmente e personalmente più a mio agio.
A livello di contesto, trovo importante presentare subito una posizione superordinata di “utile per gli studenti – inutile per gli studenti” quando mi interfaccio con tutti i gruppi coinvolti, specialmente con quello degli adulti. Chiedo a queste persone di ragionare in questi termini e controllare che i propri interventi e il proprio supporto al progetto, verbale e non verbale, non segua i termini di una valutazione, di un’aspettativa di successo, di un trovare una verità, di non mostrare nulla di “sbagliato”.
Con i ragazzi questo atteggiamento è un qualcosa di nuovo, che stupisce e che responsabilizza. All’inizio di ogni ciclo di incontri sottolineo che gli incontri che faremo avranno come obiettivo l’essere utili per loro e di conseguenza il programma delle attività e delle tematiche potrà essere variato (aspetto precedentemente concordato con gli insegnanti). Questa dichiarazione può generare nel gruppo classe una transizione di aggressività e di elaborazione, ma in altri casi anche di minaccia. Per questo motivo vanno sempre compresi i processi interni del gruppo ed è importante capire se e come una proposta come questa può essere utile.
Le costruzioni vero – falso e giusto – sbagliato condizionano molto l’espressione dei ragazzi e il loro funzionamento aggressivo (nei termini kelliani) nei confronti delle tematiche scelte; succede spesso che alcuni, proprio per raggiungere e aggiudicarsi il polo “giusto” elaborino aggressivamente, ma spesso impulsivamente, gli spunti e le attività proposte; altri, per allontanarsi dal polo “sbagliato” si bloccano e non si espongono.
Come intervenire ortogonalmente in questa modalità? Come creare in poco tempo un terreno di confronto e non giudizio?
La mia scelta è stata ed è quella di cercare fin da subito di creare delle condizioni differenti: innanzitutto chiedo ai partecipanti di posizionarsi in cerchio, anticipo loro che i nostri incontri richiederanno una loro partecipazione attiva e li invito a decidere insieme quali potrebbero essere le regole per un’esperienza proficua per tutti, procedendo poi ad una superordinazione. Già solo questa azione può essere percepita come un’esperienza nuova. Ai temi che emergono quali il rispetto reciproco, la libertà di espressione, la riservatezza, aggiungo e sottolineo che il progetto non ha l’obiettivo di dare dei giudizi, di valutare o di trovare “il giusto e lo sbagliato”. Se l’esplicitarlo non significhi per forza che i partecipanti cambino il proprio sistema di costrutti, ho notato che spesso incentiva e legittima il confronto e l’espressione di punti di vista differenti.
Come lavorare con il costrutto “vero – falso”, fortemente presente quando nelle scuole viene richiesto di “fare prevenzione”?
Questo problema si presenta in particolar modo quando insegnanti e contesto hanno un’idea stretta, corrispondente spesso a spiegazioni mediche e comportamentali, e la trasmettono a loro volta agli studenti, senza un confronto proficuo. Frasi come “il fumo fa male”, “l’alcol distrugge il fegato”, “i social network rovinano le nostre vite” se non argomentate o condivise in modo riflessivo arrivano come verità assolute agli studenti, che si limitano o ad abbracciare l’idea dell’insegnante, spesso ricercando approvazione, o a distanziarsene senza avere possibilità di replica.
Nel mio lavoro ho attuato una scelta di compromesso e ho deciso di unire, durante le discussioni, due domini di conoscenza: in uno (quello biologico) ha senso parlare di verità o di dati di fatto (in cui quindi si possono spiegare alcuni meccanismi corporei e cerebrali tratti da ricerche svolte da specialisti del settore); nell’altro (quello psicologico) non ha senso parlare di verità e di giusto/sbagliato e quindi è un dominio in cui riflettere e condividere i propri pensieri, le proprie percezioni, esperienze e punti di vista che, in quanto costruzioni personali, possono essere diversi e contrari a ciò che viene spiegato nel dominio biologico. Questo tipo di passaggio è ben accettato dal contesto ed offre uno strumento utile per sovraordinare e per comprendere esperienze apparentemente in contrasto (Maturana & Varela, 1987/1984).
In relazione a questo, come sottolineato nella ricerca della collega Bridi (2016), è inoltre importante mantenere con i ragazzi un atteggiamento di curiosità nei confronti delle loro scelte e dei loro comportamenti, senza vederli riduttivamente e in maniera generalizzante come modalità di ribellione.
4. Esempi applicativi della Teoria dei Costrutti Personali a scuola
Di seguito mi focalizzerò su un aspetto e una tematica centrali nel mio lavoro e descriverò uno strumento che ho creato per leggere e costruire il contesto di intervento. Lavorare a scuola con un approccio costruttivista rappresenta un’opportunità per vivere ogni progetto e ogni incontro mettendosi in gioco aggressivamente; può esporre a rischi e richiede molta energia e creatività, ma (forse proprio per questo) rappresenta anche il modo migliore per me oggi di poter lavorare in questo ambito.
4.1 Il gruppo di studenti come creatore di significati
Il considerare gli studenti come portatori e creatori di significati è un approccio che spesso è poco anticipato, sia dagli adulti che dagli stessi ragazzi. Il renderli protagonisti attivi, responsabili del progetto e del tempo trascorso insieme, è un presupposto che li mette di fronte ad una scelta; scelta che spesso è minacciosa o espone ad ansia, perché rappresenta un’alternativa poco sperimentata, a scuola come nella vita quotidiana. Spesso i ragazzi non sanno cosa scegliere, perché di frequente non sono chiamati ad avere una parte attiva nell’ambito scolastico. Dietro le frasi “va bene tutto”, “boh”, “non mi interessa” spesso c’è la minaccia di giocare un ruolo a cui né la persona né il gruppo sono abituati. Il tentativo costante di esporli verso una scelta e alla relativa responsabilità rappresenta dal mio punto di vista un’opportunità, sia per loro che per me.
Concordando con la dirigenza questa grande flessibilità nella realizzazione dei progetti, in questi anni ho potuto svolgere percorsi molto diversi rispetto a quelli che avevo ipotizzato, integrando e utilizzando le proposte dei ragazzi, sperimentandole anche in classi diverse. Spesso le mie anticipazioni sul gruppo sono state invalidate, spesso mi sono resa conto della presenza di una mia strutturazione del gruppo, spesso ho imparato a rischiare perché loro me lo chiedono (e mi chiedono di fidarmi di loro).
Da questo punto di vista è molto difficile costruire gli studenti come i destinatari del progetto: per me rappresentano i co-costruttori, da cui spesso posso imparare.
È importante quindi passare da una visione dello psicologo come unico leader del gruppo di lavoro a quella in cui il gruppo viene responsabilizzato ad essere leader di sé stesso e a trovare al suo interno figure che possano stimolarlo, governarlo e dargli voce (Frances, 2013). Questa legittimazione all’espressione dei leader interni, ruoli di cui spesso i ragazzi hanno già fatto esperienza in altre occasioni scolastiche e grazie alla loro “convivenza” quotidiana, risulta particolarmente importante data la brevità del progetto (di solito 6 ore per gruppo): da un lato aiuta ad accelerare i processi; dall’altro aumenta la possibilità che ciò che si sperimenta all’interno della condizione gruppale legato al mio intervento possa essere riprodotto e riutilizzato in altri momenti scolastici, successivi e indipendenti dal progetto.
L’importanza che per me riveste il considerare gli studenti come co-costruttori dell’intervento credo sia legata all’esperienza di studio presso l’Institute of Constructivist Psychology e alla partecipazione alle edizioni dell’esperienza di Alpine Tales, occasioni che mi hanno aiutata a ricostruire le mie costruzioni di allievo, di docente e di esperto. La parte attiva e la responsabilità condivisa che ho sperimentato (nel ruolo di studente) in queste esperienze, hanno rappresentano per me l’occasione di apprendere e di fare un’esperienza di me, aumentando la conoscenza dei miei processi, del punto di vista dell’altro e trovando risorse, sia in me che nel gruppo, prima non considerate.
4.2 Griglia di lettura dei contesti
Nel corso del tempo, lavorando in molte scuole differenti di diverso grado per tempo variabile, ho iniziato a sentire l’esigenza di costruire velocemente il contesto in cui avrei lavorato, trovando delle comunanze tra i contesti conosciuti. Dico velocemente perché purtroppo spesso non si ha molto tempo a disposizione, sia nella fase di progettazione sia per la realizzazione degli incontri. È importante quindi cogliere e costruire in linea generale il contesto, così da poter anticipare in modo più accurato e sensato il lavoro e le interazioni con i diversi gruppi (adulti e studenti).
Le due dimensioni attraverso cui ho iniziato a leggere il contesto sono: “coinvolgimento – estromissione” e “coralità – disgregazione”. La prima costruzione aiuta a leggere il grado di partecipazione delle singole persone alla vita scolastica e/o del gruppo classe; in una seconda fase, la valutazione si focalizzerà sul capire se la scelta del posizionamento è del singolo o del gruppo (es. è il singolo che non vuole partecipare o è il gruppo che lo isola?).
La seconda costruzione mi aiuta a leggere il modo con cui le persone interagiscono tra loro: è presente una collaborazione generale (anche apparente) o ognuno ha obiettivi diversi e li persegue indipendentemente da ciò che fanno e/o pensano gli altri?
Intersecando le due dimensioni si creano quindi quattro quadranti corrispondenti a quattro tipologie di contesto con caratteristiche differenti e che anticipo possano essere accompagnate da transizioni diverse. Per sviluppare questa griglia è stata per me significativa la differenza che ha operato e utilizzato Massimo Giliberto nel suo lavoro di psicologo in contesto carcerario tra carcere “tradizionale” e carcere “umanistico” (Chiari & Nuzzo, 1998, p. 158-159): lo spunto più importante è stato per me il non cercare un contesto migliore degli altri, un contesto modello, ma quello di sforzarsi di osservare e cogliere le caratteristiche in termini di processo e transizioni che potessero descrivere le scelte dei gruppi o dei singoli in un particolare momento.
In ogni quadrante ho utilizzato dei piccoli cerchi per rappresentare le persone o i gruppi di persone all’interno del contesto scolastico e il loro modo di interagire. A una maggiore grandezza del cerchio ho ipotizzato una più marcata presenza, anche in termini decisionali, di quello specifico gruppo (es. degli insegnanti, dei genitori, etc.), che riesce quindi a dare (o a imporre) una direzione specifica a gran parte del contesto. La posizione data ai cerchi (ad esempio intersecata, tangenziale, separata, sovrapposta) rappresenta le interazioni presenti tra i gruppi: maggiore è la distanza tra i cerchi, minore sono le interazioni elaborative tra i gruppi; maggiore è la sovrapposizione tra i cerchi, maggiore è il rischio che un gruppo prevalga sugli altri, non permettendone l’espressione. Analizzerò più dettagliatamente questi aspetti nella spiegazione dei singoli quadranti.
Questa griglia è stata creata da me per un’applicazione superordinata all’interno del contesto scolastico, utilizzandola quindi per aiutarmi a comprendere i processi presenti all’interno di una scuola tra i suoi gruppi principali. Mi capita però di usarla anche come griglia di lettura dei processi che caratterizzano una singola classe, prendendo in considerazione sia le interazioni tra i gruppi (docenti del consiglio di classe, genitori, studenti) sia i processi e le transizioni all’interno di ogni gruppo precedentemente citato.
Guardando nello specifico le caratteristiche dei quattro quadranti, ho elencato quelle presenti in ogni tipo di contesto rifacendomi alla mia esperienza lavorativa scolastica e osservando le scelte che le persone facevano in concomitanza dei processi e delle transizioni descritte.
Contesto isolante: quadrante estromissione + disgregazione.
In questo contesto ipotizzo la presenza di queste caratteristiche:
- Disinteresse per l’altro;
- Disinteresse per il proprio lavoro;
- Scarsi rapporti sociali «spontanei»;
- Stasi;
- Senso di solitudine;
- Concentrazione su di sé;
- Mancanza di un progetto comune.
La transizione che ipotizzo più presente è quella di colpa; ipotizzo che i processi presenti siano legati alla costrizione, all’uso stretto dei costrutti e alla strutturazione.
Questi tipi di contesti possono nascere da un fallimento nelle interazioni personali, da un’invalidazione circa il proprio ruolo, da uno scarso investimento personale all’interno del mondo scolastico. A volte alcune persone o gruppi mantengono questo tipo di investimento, ma anticipando possa essere svalutato dal resto del contesto, con il tempo tendono a nasconderlo. Nei casi i cui questa sorta di frammentazione non riesca a coesistere, le persone possono arrivare a scegliere di allontanarsi dal contesto scolastico. Una scuola con queste caratteristiche potrebbe avere un dirigente minacciato nel proprio ruolo, che costringe su tutta una serie di problematiche che insegnanti, genitori e personale scolastico gli portano: questi, non sentendosi presi in considerazione, potrebbero non sentirsi riconosciuti nel loro ruolo, aspetto che potrebbe a sua volta portare a discussioni, strutturazioni e disinvestimento. Questi processi probabilmente porterebbero anche ad una modifica nel rapporto con gli studenti, che potrebbero essere strutturati come gli ultimi validatori del proprio ruolo o come gli ennesimi invalidatori, su cui poter però concentrare (forse come agenti causanti) il proprio fallimento.
Contesto allo sbando: quadrante coinvolgimento + disgregazione
In questo contesto ipotizzo la presenza di queste caratteristiche:
- Curiosità nei confronti delle persone “chi altro è? Chi altro può essere?”;
- Coinvolgimento individuale;
- Creatività;
- Eccessiva libertà di movimento;
- Confusione e disgregazione;
- Mancanza di un progetto comune.
Le transizioni che ipotizzo più presenti sono aggressività e minaccia di colpa; ipotizzo che i processi presenti siano caratterizzati da impulsività.
All’interno di questo genere di contesti l’aspetto principale è la mancanza di una costruzione superordinata comune alle persone che ne fanno parte, che permetta una direzionalità e una condivisione delle anticipazioni e delle scelte personali. Uno dei risultati possibili è un’eccessiva dispersione delle dipendenze non seguita da una fase di restringimento comune, che può portare a invalidazioni sia in termini personali che di ruolo. Un esempio di questo sono quelle scuole in cui le persone affrontano aggressivamente il loro lavoro, sono curiose rispetto a metodologie o progetti innovativi, si assumono incarichi che affrontano con entusiasmo, ma senza confrontarsi con gli altri e rischiando quindi dispersioni di energia e tempo, nonché invalidazioni.
Contesto ingabbiante: quadrante estromissione + coralità
In questo contesto ipotizzo la presenza di queste caratteristiche:
- Idea precisa e fissa dei ruoli di ciascuna persona;
- Idea precisa e fissa di cosa ci si aspetta dalle persone, cosa devono e non devono fare;
- Poca libertà di movimento;
- Sicurezza;
- Minor caos apparente;
- Poco coinvolgimento attivo e maggiore atteggiamento esecutivo;
- Dinamica del potere;
- Presenza dei costrutti “giusto – sbagliato”; “vero – falso”; “buoni – cattivi”;
- Stasi e blocco dell’elaborazione.
Le transizioni che ipotizzo più presenti sono ostilità e minaccia di colpa; ipotizzo che i processi presenti siano caratterizzati dal restringimento, dalla strutturazione e dalla dilatazione, ma solo di alcune costruzioni.
I contesti ingabbianti sono caratterizzati da una dipendenza scarsamente distribuita nelle mani di poche persone e non necessariamente, come forse ci si aspetterebbe, inserite nella dirigenza della scuola. Sono contesti molto prevedibili, quindi da un certo punto di vista rassicuranti, ma dall’altro non tengono conto delle costruzioni personali presenti nelle persone che compongono la scuola (a volte perché si danno per scontate le costruzioni, in modo strutturante). Sono presenti delle costruzioni superordinate a cui le persone sono portate a fare riferimento, spesso con ostilità e non percependo una comunanza, ma non riuscendo a fare scelte differenti. Capita che il singolo o il gruppo tentino al loro interno di perseguire aggressivamente un’alternativa rispetto alla direzione superordinata, ma spesso decidono poi di costringere, minacciati dall’invalidazione. Alcuni esempi sono quelle scuole in cui il gruppo genitori è molto presente, sia in termini fisici che economici, e la dirigenza ne segue le esigenze perché teme di non essere riconosciuta nel ruolo; oppure scuole in cui, all’interno del gruppo docenti, alcuni si pongono in modo particolarmente duro e contrastante rispetto agli studenti, invalidando nel ruolo i docenti che farebbero scelte differenti.
Contesto generativo: quadrante coinvolgimento + coralità
In questo contesto ipotizzo la presenza di queste caratteristiche:
- Curiosità nei confronti delle persone “chi altro è? Chi altro può essere?”;
- Libertà di movimento “cos’altro posso/possiamo fare?”;
- Molto coinvolgimento attivo di tutte le persone;
- Creatività;
- Cresce la capacità elaborativa personale e di gruppo.
Le transizioni che ipotizzo più presenti sono aggressività, ansia e minaccia; ipotizzo che sia presente il ciclo della creatività ben bilanciato nelle sue due fasi e la tendenza alla proposizionalità.
Ho scelto il termine “generativo” perché un contesto con queste caratteristiche aiuta le persone e i gruppi a generare nuove possibilità e alternative, permettendo l’espressione del singolo e inserendola all’interno di una sovraordinazione comune. In contesti come questi è chiaro e condiviso l’obiettivo che la scuola vuole perseguire, le persone percepiscono la responsabilità delle proprie scelte e della co-costruzione del contesto. In questo genere di scuole è sottolineata l’importanza della partecipazione alle varie fasi della vita scolastica di tutte le persone che ne fanno parte, spesso tramite i rappresentanti che svolgono la funzione di ponte comunicativo tra i vari gruppi. Una costruzione presente nei contesti generativi è quella della fiducia, che si traduce nell’incentivare la libertà di proporre novità, iniziative e/o assunzioni di responsabilità, non con la pretesa di comprenderle fin da subito, ma con l’anticipazione che nascano per l’utilità e il bene degli studenti.
Questa griglia mi aiuta ad anticipare meglio il contesto e il mio ruolo al suo interno, supportandomi nelle scelte e nelle priorità da seguire. Per la mia esperienza, la singola scuola non si posiziona in modo stabile in uno dei quadranti appena presentati; spesso oscilla tra queste caratteristiche, in base ai periodi dell’anno e alle situazioni che accadono. Ritengo però che ci sia uno stile di fondo, spesso condizionato da quello adottato della dirigenza.
Nelle scuole in cui so che lavorerò per un periodo abbastanza lungo (per esempio circa due mesi fino ad arrivare all’intero anno scolastico), uso questa griglia per identificare le fasi in cui si trovano i gruppi, per comprendere le scelte che stanno facendo, capirne i cambiamenti e scegliere come comportarmi. Nelle scuole in cui lavoro da anni monitoro i cambiamenti di contesto, cercando di anticiparli in base alle modifiche interne avvenute (es. cambio di dirigenza, assenza di alcuni insegnanti, calo di iscrizioni, ruolo dei genitori, etc.). Quando so che il mio tempo in una scuola sarà breve, in base ai destinatari del lavoro, cerco di comprendere il loro punto di vista e inserirlo all’interno del contesto che ho identificato come caratteristico della scuola, così da poter anticipare meglio i tipi di esperienze che è più utile che sperimentino. Per esempio, quando ho identificato il contesto come “allo sbando” ho spesso cercato di lavorare sulla socialità; con un contesto “ingabbiante” ho cercato di lavorare sulla proposizionalità delle costruzioni e dei comportamenti; con un contesto “isolante” ho cercato di anticipare piccoli gruppi di comunanza in cui riuscirsi a sperimentare aggressivamente. È utile sottolineare che lo stile generativo, sebbene sia quello dotato di maggiore elaborazione di esperienze, è anche caratterizzato da transizioni che spesso le persone preferiscono non vivere; per questo motivo la mia scelta in questi contesti è quella di aiutare le persone a costruire anche possibili anticipazioni invalidanti, che li possano aiutare a ipotizzare nuovi significati anche nell’ansia e nella minaccia.
In generale e in tutti i contesti, prima di perturbare un sistema è importante valutare eventuali invalidazioni che le persone possono incontrare e ostilità che possono costruire.
4.3 La sfida attuale: la scuola multiculturale
La multiculturalità nell’ambiente scolastico è la sfida che attualmente mi sta coinvolgendo maggiormente. Spesso mi trovo a lavorare con gruppi classe in cui più della metà degli studenti è di origine extracomunitaria; a volte questa percentuale è inferiore, altre volte è maggiore. In alcune classi si capovolge il significato di straniero, nel senso che le persone di origine italiana sono in netta minoranza o nati da unioni miste.
In una situazione scolastica di questo tipo, oltre alle singole costruzioni dei partecipanti, interviene la differente costruzione culturale. La reazione a un percorso nelle classi è inoltre molto differente in base alla cultura di origine e alla tradizione familiare.
Questi contesti sono da me letti come ricchi, ma senza dubbio faticosi. Anche perché, oltre alle differenze dei singoli, il periodo storico e le vicende di attualità non aiutano a creare un clima sereno e di confronto. Ultimamente, nelle scuole superiori in cui lavoro noto per esempio che la costruzione di paura è abbastanza presente e riguarda il timore verso lo straniero e il diverso, da tutte le parti/ruoli da cui questa espressione può essere pronunciata.
Considerate queste premesse, qualsiasi sia l’obiettivo del percorso e la tematica richiesta, cerco sempre di dedicare all’aspetto multiculturale un’attenzione particolare e di lavorare con costruzioni superordinate che possono avere al loro interno questo aspetto.
A questo riguardo, le costruzioni che ho identificato sono quelle di “uguale – diverso” e di “normale -strano”, presenti in moltissimi degli scambi tra i ragazzi, anche perché spesso uno dei temi che emerge nel confronto in classe è quello del bullismo. La via ortogonale che trovo utilizzata nelle scuole e che anche io spesso perseguo è quella dell’unicità, come se il messaggio fosse: “sei diverso, quindi unico e prezioso”. Sebbene sia un punto di vista in molti casi utile, spesso la sua efficacia è ridotta perché già invalidata da precedenti esperienze fallimentari (es. attività didattica di gruppo in classe sulle unicità, che però ha avuto come esito il rafforzamento dei pregiudizi).
In questo casi, sto sperimentando a fianco della via ortogonale dell’unicità quella della curiosità e divertimento: quello che sto cercando di verificare è se una visione curiosa della diversità, vista come un qualcosa che ci può far scoprire qualcosa che non conosciamo e che ci può far divertire (tutti insieme), possa aiutare i ragazzi a giocare ruoli diversi all’interno del gruppo classe e li possa far sperimentare un’esperienza diversa da quella della noia (legata al disinteresse o alle transizioni di minaccia e ansia).
Sono tutte considerazioni in divenire, che sto ponendo a verifica nel lavoro quotidiano e che rappresentano per me un nuovo approccio aggressivo a questo ambito lavorativo.
5. Dal prevenire al divenire: riflessioni in movimento
È da circa sei anni che lavoro come psicologa in ambito scolastico e, guardandomi indietro, sono felice di aver scelto di cogliere questa opportunità, arrivata in modo casuale e senza premeditazione. Il contesto scolastico rappresenta per me una sfida continua, un confronto costante con persone e luoghi differenti, con costruzioni differenti, che generano in me un dialogo (ma anche scontri accesi!) tra aggressività, ansia e minaccia.
Spero di essere riuscita a esprimere attraverso la mia esperienza le tante sfaccettature presenti in questo lavoro, l’interesse che suscita, i rischi che possono nascere e l’arricchimento che ci si porta a casa la sera.
La teoria costruttivista mi ha dato una base nuova e gli strumenti per creare un approccio a questo lavoro che si integrasse con la deontologia e l’etica, elementi per me fondamentali nel relazionarmi con le altre persone. Uno degli aspetti più importanti che la teoria supporta è la continua ricostruzione di questo lavoro: non si può dire di aver trovato un metodo o un modo migliore degli altri in modo definitivo, proprio perché, nella continua interazione con le altre persone, le scelte, mie e degli altri, sono costantemente poste a verifica e migliorabili per quella specifica situazione.
Questo aspetto è faticoso, non c’è dubbio, ma è anche quello che mi fa scegliere di continuare a lavorare nella scuola e non stancarmi di cercare, insieme agli altri, di capire che tipo di persone e professionisti stiamo divenendo.
Bibliografia
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Bonino, S. & Cattelino, E. (2008). La prevenzione in adolescenza. Percorsi psicoeducativi di intervento sul rischio e la salute. Trento: Erikson.
Bridi, S. (2016). Una costruzione intersoggettiva dell’adolescenza. Ipotesi per una lettura PCP dell’adolescenza. (Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Padova, 2016).
Giliberto, M. (1998). Carcere e tossicodipendenza: un’esperienza di lavoro nella prospettiva costruttivista. In Chiari, G., & Nuzzo, M. L. (Eds.), Con gli occhi dell’altro. Il ruolo della comprensione empatica in psicologia e in psicoterapia costruttivista (pp. 153- 165). Padova: Unipress.
Epting, F. R. (1990). Psicoterapia dei costrutti personali. Introduzione alla teoria e metodica operativa della tecnica terapeutica. (E. Stiffan, V. Chiarini, & V. Alfano, Trad.). Firenze: Psycho di G. Martinelli. (Opera originale pubblicata 1984).
Frances, M. (2013). Il ciclo di vita del gruppo: una prospettiva costruttivista. Rivista Italiana di Costruttivismo, 1, 65 – 73. Traduzione a cura di Francesca Del Rizzo e Erica Costantini.
Kelly, G. A. (2004). La psicologia dei costrutti personali. (O. Realdon & V. Zurloni, Trad.). Milano: Raffaello Cortina Ed. (Opera originale pubblicata 1991).
Maturana, H. R., & Varela, F. J. (1987). The tree of knowledge. The Biological Roots of Human Understanding. (R. Paolucci, Trad.). Boston & London: Shambhala. (Opera originale pubblicata 1984).
World Health Organization (WHO) (1946). Preamble to the Constitution of the World Health Organization. Officer Record 2, WHO. Consultato da http://www.who.int/governance/eb/who_constitution_en.pdf
Note sull’autore
Francesca Passera
Società Costruttivista Italiana
francescapassera.psicologa@gmail.com
Psicologa e Psicoterapeuta a orientamento costruttivista. Lavora come psicologa in ambito scolastico, sia sviluppando progetti che coinvolgono tutto il gruppo classe, sia in attività di consulenza individuale per studenti, docenti e genitori. Svolge attività privata in ambito clinico, lavorando con adolescenti e adulti. Collabora con associazioni e enti pubblici e privati, occupandosi sia di attività clinica che di formazione indirizzata a scuole, comuni e imprese. È guidata dall’interesse a sperimentare e creare occasioni formative e di incontro che possano aiutare le persone e i gruppi nelle loro esperienze quotidiane.
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