ISSN 2282-7994

Tempo di lettura stimato: 15 minuti
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Intervista a Pam Denicolo: una ricercatrice fuori dagli schemi

An interview with Pam Denicolo: a boundary-crosser researcher

A cura di

Lucia Andreatta, Elena Bordin

Institute of Costructivist Psychology

 

Traduzione a cura di

Lucia Andreatta, Elena Bordin

Abstract

Per quasi quarant’anni nell’ambito della formazione professionale, post laurea e scientifica, la Professoressa Pam Denicolo ha utilizzato approcci e metodi costruttivisti come base per il proprio lavoro di insegnante, ricercatrice e supervisore di più di sessanta dottorandi di successo. Negli ultimi vent’anni, si è concentrata progressivamente su temi riguardanti il dottorato e la formazione professionale, istituendo sia una Scuola di Specializzazione sia un Centro per l’Educazione e la Formazione Interprofessionale all’Università di Reading, e ricoprendo il ruolo di funzionario esecutivo in numerosi comitati e commissioni, nazionali ed internazionali, legati alla Scuola e al Centro. Attualmente la Professoressa Denicolo si occupa di consulenza internazionale per lo sviluppo della formazione a livello di dottorato e di due delle sue più grandi gioie: condurre workshops e scrivere libri sui metodi di ricerca e la formazione per ricercatori a ogni livello del sistema di istruzione superiore.

For nearly 40 years in professional, postgraduate and science education Professor Pam Denicolo has used constructivist approaches and methods to underpin her work as a teacher and researcher and as a supervisor of 60+ successful doctoral researchers. In the last 20 years she has progressively focussed on issues related to doctoral and professional education, establishing at Reading University both a Graduate School and a Centre for Interprofessional Education and Training while serving as executive officers on many related national and international committees and boards. Currently she concentrates on international consultancy for the development of doctoral education and on two of her greatest joys, running workshops and writing books for researchers at all levels in the HE system on research methods and researcher development.

Keywords:
Ricercatrice fuori dagli schemi, metodologia PCP, ricerca, insegnamento | boundary-crosser researcher, PCP methodology, research, teaching

Pam, la ringraziamo a nome della Rivista Italiana di Costruttivismo per averci concesso questa intervista e per la possibilità di far conoscere a un ampio pubblico il suo lavoro.

 

Quando ci siamo incontrate a Padova durante il suo workshop “Fare ricerca usando approcci e tecniche costruttiviste: teoria e pratica” si è descritta come una boundary-crosser. Cosa racconta di lei questa definizione?

Quello che intendevo dire è che mi rifiuto di essere etichettata, messa in una scatola, limitata da categorie create dall’uomo come le tipologie di discipline trattate, nazionalità, titoli professionali… Cerco anche di non conformarmi alle aspettative legate all’apparenza, all’età, al genere, e così via.

Fondamentalmente, pur cercando di rispettare gli altrui punti di vista, potrei essere descritta come una “ribelle rispettosa”, forse un po’ disubbidiente, ma in un modo gentile. Questo ossimoro è difficile da tradurre in Italiano! Faccio del mio meglio per non “etichettare” gli altri, per non metterli in una scatola –categorizzarli (N.d.T.) – o creare le mie aspettative sulla base dell’apparenza, dell’età, e così via; e incoraggio anche gli altri a non fare questo a sé stessi. Mi irrito un po’ se le persone dicono cose come: non posso far questo perché sono giovane/vecchio, maschio/femmina, etc. Mi irrito molto se le persone si aspettano che io sia, ad esempio, riservata perché sono “inglese”, non avventurosa perché sono “vecchia”, non-matematica perché preferisco la ricerca interpretativa a quella post-positivista, e via dicendo. E non immaginate nemmeno che cosa succede se vado a comprare una macchina e il venditore continua a discutere dell’auto e dell’acquisto con mio marito! (Come direbbe Trump: un grosso sbaglio!)

 

Il suo essere una boundary-crosser (a cavallo tra scienza, psicologia e insegnamento) come ha canalizzato i suoi interessi di ricerca e il suo modo di svilupparli? Quali sono gli ambiti che la appassionano maggiormente e perché?

Dal momento che mi sono formata in Scozia in un periodo in cui eravamo incoraggiati a studiare, prima di andare all’università, un’ampia gamma di materie scolastiche (inglese, lingue e letteratura, francese, latino, storia, chimica, biologia, fisica, matematica, matematica applicata ed educazione artistica), avevo maturato una vasta comprensione delle diverse discipline e, di fatto, non avevo una preferenza vera e propria; avevo compreso che alcune potevano essere facilmente approfondite per conto proprio mentre altre, come le scienze, richiedevano un insegnamento formale ulteriore. “L’orientamento professionale” era molto elementare a quei tempi – nessuno faceva riferimento a discipline eccitanti come la filosofia e la psicologia (o la fisica nucleare se è per questo) – e si limitava a suggerire alcune carriere professionali come l’insegnamento, la medicina o la giurisprudenza. Così ho iniziato una laurea in scienze propedeutica per la carriera medica, ma poi ho “spiegato le ali e preso il volo”, per quel che riguarda le discipline di studio, quando ho scoperto altri campi che potevo studiare mentre mi occupavo della famiglia, insegnavo scienze e viaggiavo per il mondo con mio marito, che è italiano.

Su queste basi e con il beneficio di conoscere una vasta gamma di lessici e gerghi diversi, sono stata in grado di fare ricerca, e aiutare altri a farla, in vari ambiti interdisciplinari: dalla pratica sanitaria all’educazione scientifica, dall’educazione artistica, musicale e linguistica, alla leadership in contesti diversi, ho lavorato anche per sviluppare un sostegno a persone con disabilità o con lavori impegnativi, e così via. C’è sempre qualcosa di interessante da imparare e su cui fare ricerca, soprattutto quando hai a disposizione una varietà così utile di strumenti, come quelli offerti dalla Psicologia dei Costrutti Personali.

La mia principale passione, per quel che riguarda l’insegnamento e la ricerca, è stata quella di trovare dei modi per aiutare gli altri a imparare, a comprendere i loro mondi e a riconoscere meglio il proprio potenziale. Fortuitamente, la mia supervisora di dottorato (Maureen Pope) ha dato un nome alla mia filosofia personale, chiamandola costruttivista, e mi ha aiutata ad approfondire maggiormente come fare ricerca, a vivere come una costruttivista, usando tecniche attuali per l’epoca, e poi mi ha incoraggiata e aiutata a inventarne altre, una volta diventata membro della comunità PCP.

Sono un’appassionata sostenitrice dell’importanza per le persone non solo di continuare a imparare e ad evolvere, ma anche di esplorare modi diversi per farlo, usando talvolta metodi misti per produrre dati (o indizi) qualitativi o quantitativi, per comprendere i nostri mondi. Col passare del tempo, ho spostato il mio iniziale interesse di ricerca dall’apprendimento degli studenti a quello professionale, mentre ora mi sto concentrando sull’apprendimento durante l’esperienza di dottorato (sia per lo staff che si occupa di supervisioni e di esami e per i responsabili dei dottorati universitari, sia per i ricercatori di dottorato). Le ragioni di questi cambiamenti hanno a che fare con delle fortunate coincidenze: sono arrivati, infatti, inviti e opportunità che non potevo fare a meno di esplorare!

 

Cosa vuol dire per lei utilizzare la Psicologia dei Costrutti Personali (PCP) per fare ricerca?

È una base fondamentale: la PCP permette alle persone di descrivere il proprio mondo così come ne stanno facendo esperienza. Questo ci aiuta a comprendere i loro bisogni, le loro preoccupazioni, le loro passioni, e poi ci permette di dar loro l’opportunità di vedere come alcune cose potrebbero essere diverse. Ciò non è sempre facile: ricordo molto bene un discorso tenuto da Fay Fransella in cui disse: “posso comprendere perché alcune persone hanno certi punti di vista, ma non devo essere d’accordo con loro”. Mi trovo spesso in questa situazione e devo essere forte per impedirmi di discutere con i miei interlocutori quando sono in “modalità ricercatrice”. Invece quando sono solo Pam, è tutt’altro discorso! In questo caso mi piace molto presentare “prospettive alternative” per sfidare idee e generare dibattiti amichevoli.

 

Quali sono state le sfide più interessanti che ha incontrato insegnando a fare ricerca?

Spesso le persone fanno fatica a considerare che ci sono molti modi di fare esperienza del mondo e qualcuno è un po’ spaventato dall’idea che non potremo mai avere una comprensione totale della “realtà”, qualunque essa sia. Posso capire questo punto di vista, anch’io un tempo mi sono goduta appieno l’apparente certezza e l’“ordine” assoluto della scienza scolastica. Capisco che gli altri potrebbero avere bisogno di più sicurezza, anche se alcuni di noi apprezzano la dolorosa contemplazione di molteplici realtà e la prospettiva di sfidare le proprie idee. È una sfida assicurarsi che gli allievi possano esplorare ulteriormente, in modo relativamente sicuro e divertendosi, senza sconvolgere completamente le loro vite: siamo solo ricercatori, quindi dovremmo evitare di intraprendere crociate come dei fanatici religiosi.

Negli ultimi trentacinque anni è stato sempre meno necessario lottare affinché approcci e metodi di ricerca più radicali venissero accettati, fintanto che fossero ben argomentati e sostenuti dall’evidenza scientifica. Tuttavia, sta diventando necessario assicurarsi che essi siano utilizzati con tanta cura e rigore quanto ogni altro approccio “scientifico”. È irritante quando i ricercatori pensano che ogni cosa sia solo questione di opinione così che possono dire e fare qualsiasi cosa in nome della “relatività”. Dà altrettanto fastidio quando i costruttivisti sottopongono quelli che sono semplicemente dati ordinali a procedure statistiche che richiedono quanto meno dati di intervallo, se non di rapporto.

Mentre scrivo queste righe, realizzo che mi piace che le cose vengano fatte “bene”, ad esempio come vorrei farle io. È così difficile essere umili!

Di recente mi è stato chiesto di fare la revisione di un articolo per una rivista prestigiosa: sono particolarmente interessata all’argomento della ricerca presentata. Sfortunatamente, gli autori hanno “trovato” le griglie di repertorio e le hanno usate per esplorare dei significati. Purtroppo hanno fatto confusione tra ciò che intendiamo per concetti e i costrutti, facendo un uso improprio dei dati ottenuti per produrre dei risultati a cui avrei amato credere – se solo fossero stati ottenuti nel modo appropriato. Fornire un feedback come revisore su quell’articolo è stata davvero una sfida.

 

Secondo lei per quali aspetti potrebbe essere utile usare una metodologia di ricerca PCP anche per professionisti di altri orientamenti teorici?

È una domanda difficile perché per fare bene ricerca usando la PCP credo sia necessario cercare di mantenere i suoi principi filosofici. Per questo trovo difficile incoraggiare le persone, per esempio, a usare le griglie di repertorio o altre tecniche senza imparare nulla sul modo rispettoso di comprendere realtà molteplici, a cui la maggior parte dei costruttivisti crede e aderisce. Non è solo una questione di etica, ma di usare gli strumenti con buon cuore e ragione, e non semplicemente raccogliere dati per i propri obiettivi.

Tuttavia, se usati in modo appropriato, i metodi e le tecniche PCP possono illuminare e arricchire la ricerca in molti campi, anche assieme ad altre metodologie. Infatti, io promuovo l’uso di queste tecniche o come preludio alla costruzione di ricerche su vasta scala per raccogliere dati quantitativi, oppure per approfondire le suddette ricerche, esplorando più in profondità opinioni e pratiche specifiche.

Inoltre, la PCP è compatibile con altri approcci che si sono sviluppati negli ultimi quarant’anni – la ricerca narrativa, la ricerca azione, la teoria critica e gli approcci orientati alla creazione di significati nell’IT. Tra l’altro, continuo a imbattermi in approcci di ricerca – come quello orientato alla creazione di significati – che sembrano assai simili alla PCP e che spesso fanno riferimento a radici analoghe, come l’opera di Kuhn, Piaget e Bruner, ma che sembrano del tutto ignari del Costruttivismo Personale o Sociale, nonostante usino termini come “le persone costruiscono la propria realtà”. Temo che siamo stati negligenti nel non metterci in comunicazione e includere questi ricercatori – facciamo forse troppo “i preziosi” nell’essere “kelliani”, sebbene lo stesso Kelly ci abbia spinti a mettere in discussione le idee e i metodi PCP? Sto facendo la boundary-crosser di nuovo?

 

Come formatore, in che modo riesce a rendere accessibili i metodi di ricerca PCP a coloro che non conoscono questa teoria?

Provo a “condurre con gentilezza lungo un percorso esperienziale”, attraverso esperimenti pensati e attività in cui ciascun allievo s’impegna a condividere e a esplorare diversi punti di vista. Leggere o ascoltare una lezione su argomenti logici ben organizzati va bene e aiuta le persone a cogliere le idee da un punto di vista cognitivo, ma l’esperienza utilizza sensi diversi permettendo così una comprensione più ricca. Immagino si tratti del vecchio imparare facendo (Dewey) e della pratica riflessiva (Kolb) costruiti sull’“iniziare da dove l’allievo si trova” (Ausubel), che ho imparato molti anni fa come insegnante in formazione.

 

Quali sono i tre consigli che darebbe a un costruttivista che vuole fare ricerca?

  1. Inizia con un piano ben organizzato e pensato con attenzione, e poi sii pronto a cambiarlo e a svilupparlo (di nuovo, in maniera pensata) in base a come le circostanze (inevitabilmente) lo richiedono. La ricerca, in particolare quella condotta con le persone, raramente va come da programma, quindi per fare ricerca di qualità molto alta si ha bisogno di progetti flessibili e adattabili piuttosto che di una rigida aderenza a un piano prestabilito.
  2. Sii disponibile a imparare dal processo e dai partecipanti, di cui dovresti far tesoro e rispettare. Di fatto, cerca opportunità per mettere in discussione i tuoi punti di vista e le tue idee preconcette. I ricercatori costruttivisti non si occupano di sostenere ipotesi ma esplorano mondi assai complessi che talvolta resistono all’essere organizzati o compresi in profondità. La ricerca costruttivista è un viaggio nell’ignoto con dispositivi per la navigazione molto, molto limitati!
  3. Goditi e prenditi cura del processo, sii contento di scoprire nuove idee, prospettive e sfide. Condividi le tue esperienze con altri ricercatori per essere di supporto sia a loro sia a te stesso.

Pam, la ringraziamo per averci dedicato il suo tempo e per aver condiviso con noi alcune importanti riflessioni sulla ricerca in ambito PCP.

Grazie a voi per avermelo chiesto!

 


 

Pam, on behalf of the Rivista Italiana di Costruttivismo, we would like to thank you for this interview and the opportunity to make your work and contribution known to a wide audience. When we met at your workshop on “Research using constructivist approaches and techniques: theory and practice” in Padova, you described yourself as a boundary-crosser. What does this say about you?

What I intended it to convey is that I refuse to be labelled, put in boxes, restricted by humanly-generated categories such as discipline titles, nationalities, job titles, and also that I resist conforming to expectations derived from appearance, age, gender, etc.

Basically, although I try to be respectful of others’ views, I can be seen as “respectfully rebellious”, perhaps a little naughty but in a nice way… This is a difficult oxymoron to translate into Italian! I do try hard not to “label” others, put them into boxes or draw my expectations from appearance, age, etc. I also try to encourage them not to do that to themselves: I can get mildly irritated if people say such things as: I can’t do that because I am young/old, male/female, etc. I also can get very irritated if people expect me to be, for example, undemonstrative because I am “English”, unadventurous because I am “old”, non-mathematical because I prefer interpretive research to post-positivist, and so on. Don’t even think about what happens if I go to buy a car and the salesman keeps discussing the car and purchase with my husband! (As Trump might say: Big mistake!)

 

How has being a boundary-crosser (between science, psychology and teaching) channelized your research interests and how you pursue them? What research fields are you passionate about and why?

Because I was educated in Scotland at a time when we were encouraged to study a wide range of school subjects (English language & literature, French, Latin, History, Chemistry, Biology, Physics, Maths, Applied Maths & Art Appreciation), before entering university I had developed a broad understanding of the disciplines and actually had no real preference other than that some could readily be followed up in personal time while others, such as the sciences, could benefit from some further formal instruction. “Career guidance” in those days was very basic – nobody mentioned exciting things like philosophy or psychology (or nuclear physics for that matter) – and it was oriented to some suggesting some profession – teaching, medicine, law. Thus I started out on a pre-medical science degree but later “spread my wings” discipline-wise when I discovered other interesting areas to study while bringing up a family, teaching science and travelling the world with my Italian husband.

On those foundations, and with the benefit of knowing a range of vocabularies/jargons, I have been able to research, and support others to research, across a range of inter-disciplinary topics from healthcare practice, science education and education in Art, in music and in languages, to leadership in different settings, developing support for people with disabilities or with challenging jobs, and so on. There is always something interesting to research and learn about, especially when you have such a useful range of tools, as in PCP, at your disposal.

My main passion in teaching and research has been finding ways to help others learn, to understand their worlds and to recognise better their own potential. Fortuitously, my own Doctoral Supervisor (Maureen Pope) gave a name to my personal philosophy – constructivist. She helped me to learn more about how to research, and live, as a constructivist, using those techniques that were current at the time, and then encouraged and helped me to invent more as I became a member of the PCP community/fellowship.

I am a passionate proponent not just about people continuing to learn and develop but about exploring different ways, using mixed methods sometimes to produce qualitative and quantitative data (or clues), to understand our worlds.

As time went by, I did shift research focus from, early on, student learning, to professional learning and now concentrate on doctoral level learning (for supervisory and examining staff and doctoral college leaders, as well as doc researchers). The reasons for change include serendipity – interesting opportunities and invitations arose that I could not resist exploring!

 

What does it mean to you to use Personal Construct Psychology (PCP) to carry out research?

It is a fundamental foundation: PCP lets others describe their own worlds as they currently experience them to help us understand their needs, concerns, passions, etc. and then to give them opportunities to see how some things could be otherwise/different. This is not always easy: I remember well a talk by Fay Fransella in which she said: “I might be able to understand why some people have particular views, but I don’t have to agree with them”. I do find myself in that situation frequently and must be strong to prevent myself arguing with them when I am in “researcher mode”. When I am just being Pam, that is another matter! I do like presenting “alternative perspectives” to challenge ideas and generate friendly debate.

 

What are the most interesting challenges that you have encountered when teaching research methodology?

Often people find it difficult to consider that there are many ways of experiencing the world and some are a little frightened of the notion that there can never be a complete understanding of “reality”, whatever that is. I can understand that point of view, having once thoroughly enjoyed the apparent certainty and utter “tidiness” of school science. I can see that others might need more security, even though some of us relish the brain-cell hurting contemplation of multiple realities and the prospect of challenges to our ideas. It is a challenge to ensure that learners can explore further, relatively safely and enjoyably, without totally disrupting their lives: we are only researchers so we must resist crusading like religious zealots.

Over the last 35 years it has become gradually less necessary to fight for acceptance of more radical research approaches and methods as long as they are well-argued and evidence is used to support them. However, it is becoming more necessary to ensure that they are conducted with as much care and rigour as any other “scientific” approach. It is annoying when researchers think that everything is just a matter of opinion so they can say and do anything in the name of “relativeness”. It is equally irritating when constructivists subject what is simply ordinal data to statistical procedures that require at least interval if not ratio data. In writing this, I guess that I do like things to be done “properly”, i.e. the way I would like to do them. It is so very hard to be humble!

I was recently asked to review an article for a prestigious journal. The topic of the research presented was something in which I am particularly interested. Sadly, the authors had “found” rep grids and used them to explore meanings. However, they had confused concepts and constructs and misused the resulting data to produce a set of results that I would have loved to believe in – if only they had been justly obtained. Providing feedback on that article as a reviewer was challenging.

 

In what ways do you consider PCP research methodology to be useful also for researchers and practitioners from different theoretical approaches?

This is a tough question because I do think that to do research well using PCP it is necessary to aspire to maintaining its philosophical tenets. So I find it hard to encourage people to, for instance, use rep grids or other techniques without learning anything about the respectful way of understanding multiple realities that most constructivists believe in and adhere to. It is not only a matter of ethics but of using the tools with good heart and purpose, not simply to gather data for one’s own purposes.

However, if used appropriately PCP methods/techniques can illuminate and enrich research conducted in many fields and in conjunction with other methods. Indeed, I advocate using such techniques as either a prelude to constructing large sample research to collect quantitative data or to follow up such research, exploring specific views and practices in greater depth.

PCP is also compatible with other approaches that have evolved in the last 40 years – narrative enquiry, action research, critical theory, and the “sense-making” approaches in information technology. Incidentally, I keep coming across research approaches – like the sense-making one – that seem extremely similar to PCP, and often refer to similar roots in Kuhn, Piaget, Bruner’s work, but which seem totally oblivious to Personal or Social Constructivism, though they use terms such as “people construct their own realities”. I fear that we have been remiss in not reaching out to and embracing such researchers – perhaps we are too “precious” about the “Kellian way”, despite Kelly himself urging us to challenge PCP ideas and methods? Am I being a “boundary-crosser” again?

 

As a teacher, how do you make PCP research methodology accessible to those who are not familiar with PCP?

I try for a “gentle lead down a path of experience”, using thought experiments, and activities in which each learner engages in sharing and exploring viewpoints. Reading or listening to a lecture with a well-organised, logical argument is fine and helps people to cognitively grasp ideas but experience uses multiple senses and thus enables a richer understanding. I guess it is the old: learning by doing (Dewey) and reflective practice (Kolb) built on “starting where the learner is” (Ausubel) that I learned as a trainee teacher many years ago.

 

What three tips would you like to give to a constructivist practitioner willing to do research?

  1. Start with a well-organised and carefully thought-through design, and then be prepared to change/develop it (again, thoughtfully) as circumstances (inevitably) determine. Research, especially with human participants, seldom goes to plan, so really good research requires flexible, adaptable plans rather than rigid adherence to a pre-specified design.
  2. Be prepared to learn from the process and from your participants whom you should respect and treasure. Indeed, seek out challenges to your pre-conceived perspectives and ideas. Constructivist researchers are not in the business of supporting hypotheses but are exploring very complex worlds that sometimes defy being organized or understood in great depth. Constructivist research is a journey into the unknown with very, very limited satnavs!
  3. Relish and cherish the process, find joy in finding out new ideas, perspectives and challenges and share your experiences with other researchers for their and your own support.

Thank you for your time and for sharing with us some interesting thoughts about research in PCP.

Thank you for asking me!