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Costruzione costellatoria e stereotipica

di Fay Fransella

Constellatory stereotypical construing

Traduzione a cura di

Cecilia Pagliardini e Davide Scapin

Abstract

Per costrutto costellatorio si intende un costrutto i cui elementi appartengono a uno o più domini. Esso costituisce un pensiero stereotipato o tipologico. (Kelly, 1955/1991, Vol. 2, p. 6/1991)

Si potrebbe dire che “un giocatore di rugby è maschio, robusto, forte, ama il contatto fisico ed è aggressivo”. Naturalmente un giocatore di rugby può essere costruito come tante altre cose – un buon padre, una persona che ama i gatti – ma quando viene visto come un giocatore di rugby, le altre caratteristiche vengono dedotte in maniera automatica: questo è un costrutto costellatorio e stereotipico. Esso però non si spinge fino a stabilire, come fa il costrutto prelativo, che “se quell’uomo è un giocatore di rugby non è nient’altro che un giocatore di rugby”.

Il polo opposto della costruzione costellatoria è quella proposizionale. Costruire in modo proposizionale significa dire che “quell’uomo è, tra le altre cose, un giocatore di rugby” senza specificare alcuna caratteristica che vada automaticamente a definire cosa sia un giocatore di rugby. I costrutti prelativi, costellatori e proposizionali rappresentano tutte le modalità di controllo esercitate da parte dei costrutti stessi sui loro elementi.

La costruzione costellatoria rappresenta, nella teoria dei costrutti personali, il modo in cui i costrutti superordinati sono collegati ai loro costrutti subordinati nel sistema di costruzione di una persona.

In un setting psicoterapeutico, se il terapeuta viene visto come “una figura paterna” e da quella “figura paterna” seguono una serie di caratteristiche fisse, il “transfert” può causare qualche problema. Questo infatti implicherà una visione altamente pregiudizievole e stereotipata della figura del terapeuta stesso. Il cliente avrà molto chiaro il tipo di persona che il terapeuta sarà per lui, e il terapeuta dovrà porre attenzione a invalidare questo tipo di costruzione.

Se i costrutti costellatori fossero utilizzati in maniera esclusiva, diventerebbe molto difficile essere creativi o cambiare. Tuttavia, sembrerebbe che solo poche persone ne facciano un uso esclusivo.

È utile riconoscere quando qualcuno sta utilizzando stereotipi. Nell’ambito scolastico un esempio potrebbe essere: “tutti i bambini con i capelli rossi sono pronti a urlare, comportarsi male e così via”. Nel contesto clinico, alcune terapie sono costruite in modo costellatorio, in quanto il terapeuta ricerca nel paziente comportamenti specifici che vadano a adattarsi al suo modello di “disturbo”. Tali insegnanti e tali clinici si trovano così a trascurare eventi e comportamenti che non “si adattano” al modello. Bannister (1981) sottolinea come le costruzioni costellatorie/stereotipiche siano comuni in relazione alle persone con disabilità. Walker (2003) collega le costruzioni costellatorie e proposizionali con diversi gradi di dipendenza.

Gli stereotipi sono esempi quotidiani di costrutti costellatori e ci rendono la vita più facile; svolgono un ruolo nella nostra routine quotidiana. Ma Fransella (1977) va oltre e suggerisce che i nostri stereotipi possono anche giocare un ruolo importante nel definire come vediamo noi stessi. L’autrice porta delle prove per indicare che alcune persone che vivono una sofferenza – come per esempio “depressione” (Rowe, 1971), “balbuzie” (Fransella, 1972), “agorafobia” (Bannister, 1962), o “piromania” (Fransella & Adams, 1966) – possano essere inserite in una categoria, ma loro non si considerino appartenenti alla stessa. Noi definiamo noi stessi, il tipo di persona che siamo, stabilendo ciò che non siamo. In un certo senso lo facciamo usando i nostri stessi stereotipi. Per esempio, una persona potrebbe dire “il mio migliore amico è un giocatore di rugby, ma è molto diverso da tutti gli altri”. Viene fatta un’eccezione per l’individuo e lo stereotipo non viene invalidato. Le costruzioni costellatorie e stereotipiche sono un modo facile ed efficiente di dare un senso al mondo. Queste sono inoltre molto resistenti al cambiamento in quanto raramente vengono messe a verifica. Secondo Walker (2002), questo sarebbe spiegabile come un tentativo di tutelarsi dalle invalidazioni.

 

Bibliografia

Bannister, D. (1981). Construing a disability. In A. Brechin, P. Liddard, & J. Swain (Eds.), Handicap in a Social World. (pp. 230-236). London: Hodder & Stroughton.

Fransella, F., & Adams, B. (1966). An illustration of the use of repertory grid technique in a clinical setting. British Journal of Social and Clinical Psychology, 5, 51-62.

Fransella, F. (1972). Personal change and reconstruction. Research on a treatment of stuttering. Academic Press, London.

Fransella, F. (1977). The self and the stereotype. In D. Bannister (Ed.), New Perspectives in Personal Construct Theory. (pp. 39-65) London: Academic Press.

Kelly, G. A. (1991). The psychology of personal constructs (vol. 1-2). (2nd ed.). London: Routledge.

Rowe, D. (1971). Poor prognosis in a case of depression as predicted by the repertory grid. British Journal of Psychiatry, 118, 231-244.

Walker, B. M. (2002). Nonvalidation vs. (in)validation: implications for theory and practice. In J. D. Raskin & S. K. Bridges (Eds.), Studies in Meaning: Exploring Constructivist Psychology. (pp. 49-61) New York: Pace University.

Walker, B. M. (2003). Making sense of dependency. In F. Fransella (Ed.), International Handbook of Personal Construct Psychology, (pp-171-180), London: Wiley.

 

  1. Fonte originale http://www.pcp-net.org/encyclopaedia/constell.html. Ringraziamo gli Editori Jörn Scheer e Beverly Walker per aver gentilmente concesso la pubblicazione della traduzione delle voci contenute in “The Internet Encyclopaedia of Personal Construct Psychology” sulla Rivista Italiana di Costruttivismo.