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La manomissione delle parole

Gianrico Carofiglio

di

Lorenzo Gios

Institute of Constructivist Psychology

Abstract

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Dopo il lavoro di magistrato e l’esperienza in politica come parlamentare, Gianrico Carofiglio si è dedicato alla scrittura ottenendo diversi riconoscimenti, tra cui il Premio Bancarella. Autore prevalentemente di romanzi e racconti, ha pubblicato anche alcuni saggi, fra i quali – nel 2010 – “La manomissione delle parole”, il testo oggetto di questa recensione.

I lettori della Rivista Italiana di Costruttivismo possono forse trovarsi sorpresi davanti alla recensione di un testo non specificamente focalizzato su tematiche di psicologia e psicoterapia, e per di più opera di un autore che – visto il suo percorso appena citato – certo non può essere annoverato tra i colleghi psicologi e/o costruttivisti. È vero però che se da un lato il libro è un saggio divulgativo, di attualità potremmo dire, dall’altra tratta di un tema strettamente connesso con chi è vicino – per interesse personale o professionale – alla psicologia e all’orientamento costruttivista: il mondo delle parole.

Il testo di Carofiglio è del 2010 e si avvicina quindi ai suoi primi dieci anni di vita. Il contesto sociale e soprattutto politico, a cui nelle pagine si fa spesso riferimento, è notevolmente (per certi versi, non per altri) cambiato. Al di là di questo, il fatto che il testo affronti i temi delle parole, della loro natura e della loro manomissione, consente allo stesso di rimanere attuale, forse ancor più oggi che nel periodo di uscita del libro stesso. In più, ne “La manomissione delle parole”, Carofiglio ha la dote di non stancarsi (né di stancare il lettore) nel continuo e costante lavoro di scoperta e riscoperta delle parole, del loro significato, dei loro riflessi, che fa del libro una piacevole lettura tutt’oggi.

All’autore va dato il merito di esaminare alcuni vocaboli – spesso abusati e inflazionati – a cui siamo ormai assuefatti e che sono diventati spesso degli strumenti oratori senza più vita. Il suo pregio è di portarci ad ascoltare “parole conchiglie”, anziché parole “farfalle morte”, secondo la forse poco nota metafora di Karl Rahner (1965). Secondo Rahner, vi sono infatti parole – le parole “farfalle morte” – che per come sono utilizzate diventano ferme, “infilzate” nei vetrini del linguaggio, come insetti alati fissati nelle teche dei musei. Vi sono invece delle parole che sono “conchiglie”: se avvicinate all’orecchio, fanno “sentire il rumore del mare”, richiamano ad altro, trasmettono come in un’eco il suono di qualcosa di vivo e di movimentato, come il mare appunto, che esse rappresentano.

L’invito dell’autore è tornare a essere dei frequentatori di “parole conchiglie”, o – per dirla usando l’espressione di Carofiglio stesso – di tornare a essere degli “artigiani della parola”, capaci di inventare e utilizzare il linguaggio, nel senso più alto del termine, ovvero di fondamento stesso del nostro pensiero e della nostra capacità di costruire la realtà (Chapman, 1988; Piaget, 1970-1973).

Il richiamo di Carofiglio alla necessità di essere “artigiani della parola” mi pare sia molto vicino a un approccio costruttivista e, scorrendo alcuni passi del suo testo, ho ritrovato particolari assonanze all’opera pubblicata postuma di Miller Mair (2014), nome caro ai costruttivisti europei e non solo. Nei suoi scritti, Mair evidenzia la necessità di essere letteralmente dei poet practicioners (Mair, 2014, p. 50), dei praticanti di poesia, intendendo con questo l’essere coltivatori di un linguaggio vivo e creativo.

Agli occhi di un lettore costruttivista, soprattutto qualora condivida una prospettiva di costruttivismo radicale (Kelly, 1955a-1955b; Bannister & Fransella, 1971/1986; von Glasersfeld, 1995), altri passaggi del testo tornano altrettanto familiari, così come alcune modalità espositive dell’autore. In particolare, in diverse pagine ritroviamo il corollario della dicotomia (Kelly, 1955b, p. 5) che viene – immagino inconsapevolmente – adottato da Carofiglio come strumento di esplorazione del significato delle parole. Incontrato un termine, l’autore ne esplora il contrario, l’opposto, per valutare quali siano i riflessi più profondi di significato della parola stessa e mostrare la forte connessione di una parola con le altre, oltre all’impossibilità di scindere un termine dalla rete di collegamenti con gli altri.

Partendo dall’assunto per cui le parole vivono per connessioni, ovvero che non può esistere un termine che non specchi in qualche misura il proprio significato in quello degli altri, Carofiglio propone delle interessanti riflessioni sulle implicazioni di questa ipotesi. In questa prospettiva, il rapporto tra parole e linguaggio può essere definito come “democratico”, o meglio può essere letto come una metafora della democrazia, ove l’apporto di ogni singolo cittadino è importante contributo alla società. Allo stesso modo, ogni parola esiste in funzione di altre parole e nel processo di eliminazione o modifica di alcune – anche una sola – si impoverisce la rete che le avvolge e sostiene tutte. In ottica costruttivista, potremmo anche estendere questo approccio ai costrutti stessi, alle loro permeabilità e interconnessioni.

Un altro aspetto che ai miei occhi rappresenta il messaggio principale del libro riguarda lo sforzo di andare oltre l’ovvio, di cercare di non dare per scontate né alcune parole i cui significati sembrano ormai assodati, né tanto meno le estensioni di senso cui quelle parole rimandano. In quest’ottica, Carofiglio sottolinea come un linguaggio composto da parole “ovvie” sia un linguaggio dogmatico, di regime. Dogma è ciò che non si discute, ciò di cui non ci si chiede il senso – perché si ritiene già dato. Regime è quello stato di cose per cui non si possono mettere in discussione dei principi o dei valori che vengono proposti come totalizzanti e incontestabili. In questa prospettiva, un linguaggio dogmatico o di regime non solo è – per antonomasia – il contrario del “linguaggio costruttivista” (che è, per definizione, attento a dibattere gli assunti, le premesse del linguaggio stesso), ma è il contrario della libertà, della responsabilità, oltre che fondamento della violenza.

Il discorso di Carofiglio è ancora più interessante oggi, pensando all’aumento esponenziale (sia in termini numerici, sia in termini di utilizzo) che i social network e i sistemi di instant messaging in generale hanno avuto negli anni seguenti la pubblicazione del suo libro. Oggi viviamo in una società fatta di messaggi istantanei, di proclami (e rapide smentite) via social media, che sembrano favorire la libertà di espressione e di parola, ma che nella lettura di Carofiglio spesso potrebbero paradossalmente favorire un uso delle parole sempre più dogmatico. Slogan brevi, sintetici, che non danno il tempo di essere elaborati, di indagare “cosa danno per scontato”, sono ormai all’ordine del giorno. Per citare un esempio quotidiano, possiamo fare riferimento al tema caldo dei migranti: dispensato in chiassosi dibattiti televisivi e rapidissimi tweet, questo argomento viene gestito in maniera “dogmatica e totalitaria” per cui – ad esempio – è rarissimo intercettare un opinionista che prima di dettagliare il proprio punto di vista parta da una semplice definizione di cosa intenda con la parola “migrante” e quali categorie di persone faccia ricadere in questa stessa definizione.

Se la conoscenza e la comunicazione sono incluse nello strumento utilizzato per produrle (Gadamer, 2000), la messaggistica istantanea certo può avere dei riflessi sul nostro modo di costruire la realtà. E certo l’appiattimento verso un linguaggio fatto di “ovvi”, cui Carofiglio ci mette in guardia, sembra oggi sostenuto da sistemi di comunicazione che non vanno oltre i 140 caratteri di un cinguettio social, che –

volutamente o meno – non permettono il tempo necessario per pensare un significato, per costruirlo, per esprimerlo in parole e – per chi ascolta – apprezzarlo e saggiarne i limiti e gli assunti.

Nuovamente Carofiglio ci propone l’essere “artigiani della parola” come antidoto a un regime di idee già fatte, di concetti da accettare senza valutarli. Anzi sostiene che proprio in un sistema di “parole già fatte” va coltivata con ancora più forza la capacità di essere creativamente impegnati nel costruire nuovi linguaggi, nell’aumentare i gradi di libertà delle nostre parole. Un invito, questo, che mi ricorda una descrizione data dallo storico Guerri del noto poeta ed eroe di guerra D’Annunzio che – proprio in un’epoca pre-fascista e fascista, di regime quindi – seppe pur a suo modo essere un creatore di linguaggi e termini nuovi, di cui sentiamo ancora per certi versi l’influenza (Guerri, 2008).

Presumibilmente, per i lettori della Rivista Italiana di Costruttivismo è chiaro come il linguaggio verbale in sé rappresenti il principale strumento di “interpretazione degli altri” oltre che di costruzione di simboli e per esteso del “reale” (Vygotskij, 2007; Cassirer, 2004; Deleuze, 1968). In questo il testo di Carofiglio propone ai lettori interessanti percorsi di conoscenza, attraverso parole come giustizia, democrazia, libertà, che offrono uno scorcio di come al di là di un termine vi sia un universo di simboli e di realtà sociali che ci costituiscono e – quindi – condizionano. Altre parole affrontate ed esaminate dall’autore, come vergogna e scelta, possono essere utilmente lette per trarne spunti e immagini addirittura da utilizzare in un contesto di terapia, per leggere secondo un linguaggio non tecnico (in senso psicoterapeutico) ma comune, comprensibile a tutti, alcuni processi psicologici che possono interessare tanto il terapeuta quanto il paziente.

Da questo punto di vista alcuni passaggi sono particolarmente interessanti, soprattutto quelli legati al significato della parola “scelta”, che l’autore esamina esplorandone il senso dato dai padri fondatori del nostro Paese, nella definizione di alcuni articoli della Costituzione italiana.

A questo richiamo costituzionalista si legano in parte anche le ultime pagine del testo, dedicate alle “parole del diritto”, sezione nella quale ancor più si rende evidente il passato di magistrato e il presente di scrittore dell’autore. Questa postilla, che approfondisce l’uso del linguaggio in un contesto così specifico come quello del diritto, chiarisce ancor più precisamente come il linguaggio sia forma e sostanza allo stesso tempo, come il nostro esprimersi viva di strutture che formano significati e come questi consentano di costruire una realtà, come già sostenuto ormai cent’anni fa da de Saussure nel suo fondamentale saggio di linguistica (1916/2009).

Da ultimo, una nota di prospettiva del libro che – come accennato all’inizio della recensione – si colloca nel contesto culturale e politico dell’Italia di circa dieci anni fa. In questo, dal mio punto di vista, emerge anche un lato potenzialmente sensibile del testo. È difficile non leggere tra le righe alcune osservazioni che possono essere forse troppo agilmente interpretate come posizioni “partitiche”. Stante la libertà di convinzioni o simpatie che ognuno sceglie di abbracciare o di guardare con dubbio, il frequente richiamo a eventi di politica nazionale e a letture interpretabili come “partitiche” in alcuni casi, a mio avviso, poco aggiunge al messaggio sostanziale del libro, rischiando anzi di sollecitare superficiali prese di posizione da parte di un lettore poco attento o che non condividesse “per principio” il punto di vista politico dell’autore.

Al di là di questa nota, resta rilevante l’invito a riportare l’attenzione sul ruolo centrale delle parole nel costruire la nostra identità e la nostra realtà. Citando autori e pensatori di diverse epoche ed estrazioni, da Primo Levi a Don Milani, da Bob Marley a Barak Obama, da Dante a Gramsci, Carofiglio ha il merito di saper descrivere con un linguaggio comune ma non banale processi di significazione e costruzione della realtà che operiamo – noi tutti – quotidianamente attraverso le parole che usiamo, e ai quali possiamo certamente portare maggior consapevolezza.

 

Bibliografia

Bannister, D., & Fransella, F. (1986). L’uomo ricercatore. Introduzione alla psicologia dei costrutti personali. (G. Chiari & M. L. Nuzzo, Trad.). Firenze: Psycho – G. Martinelli. (Opera originale pubblicata 1971).

Cassirer, E. (2004). Filosofia delle forme simboliche. Vol.1: Il linguaggio. Firenze: Sansoni.

Chapman, M. (1988). Constructive evolution: origins and development of Piaget’s thought. Cambridge: Cambridge University Press.

de Saussure, F. (1916). Cours de linguistique générale, a cura di Charles Bally, Albert Riedlinger e Albert Sechehaye, Losanna-Parigi: Payot. Trad. it.: Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, a cura di Tullio De Mauro, Roma-Bari, Laterza, 2009.

Deleuze, G. (1968). Differenza e ripetizione. Bologna: Il Mulino.

Fransella, F. (Ed.). (2003). International Handbook of Personal Construct Psychology. Chichester, UK: John Wiley & Sons.

Gadamer, H.G. (2000). Verità e metodo. Milano: Bompiani.

Guerri, G. B. (2008). D’Annunzio. L’amante guerriero. Milano: Mondadori.

Kelly, G. A. (1955a). The Psychology of Personal Constructs. Volume One: Theory and personality. New York, NY: Norton.

Kelly, G. A. (1955b). The Psychology of Personal Constructs. Volume Two: Clinical diagnosis and psychotherapy. New York, NY: Norton.

Mair, J. M. M. (2014). Another way of knowing. The poetry of psychological inquiry. UK: Miller Mair Estate.

Piaget, J. (1970). L’epistemologia genetica. Roma: Laterza.

Piaget, J. (1973). La costruzione del reale nel bambino. Firenze: La Nuova Italia.

Rahner, K. (1965). Sacerdote e poeta, in La fede in mezzo al mondo. Edizioni Paoline: Alba.

Von Glasersfeld, E. (1995). Radical Constructivism: A Way of Knowing and Learning. London: Falmer Press.

Vygotskij, L.S. (2007). Pensiero e linguaggio. Firenze: Giunti.

 

Note sull’autore

 

Lorenzo Gios

Institute of Constructivist Psychology

gios.lorenzo@gmail.com

Psicologo, psicoterapeuta ad indirizzo costruttivista, si occupa di formazione, di ricerca e di project management in ambito socio-sanitario.