Kelly descrive il ciclo C-P-C come il processo di costruzione attraverso cui una persona arriva a prendere delle decisioni.
Lo definisce come “una sequenza di costruzione che comprende, in successione, la circospezione, la prelazione e il controllo e che conduce a una scelta che fa precipitare la persona dentro una situazione particolare” (Kelly, 1955, pp. 379-390 / Vol. 1; pp. 261-263 / Vol. 2).
La circospezione è la fase in cui consideriamo gli eventi in modo proposizionale, ovvero in molti modi differenti e da una varietà di angolazioni. Successivamente, nella fase di prelazione, selezioniamo ciò che riteniamo essere il punto centrale o l’alternativa determinante, scartando le altre opzioni. Infine, nella fase di controllo, scegliamo e mettiamo in atto l’azione attraverso cui anticipiamo la maggiore possibilità di estensione o definizione del nostro sistema di costrutti.
In parole semplici, sembrerebbe che Kelly non stia facendo altro che descrivere il decision-making come un processo dove, dopo aver valutato diverse opzioni, ne scegliamo una e la mettiamo in atto, facendo accadere qualcosa; questa semplificazione, tuttavia, trascura le difficoltà che molti di noi spesso sperimentano nel muoversi agevolmente attraverso le tre fasi del processo.
La fase di circospezione potrebbe essere aggirata se costruissimo gli eventi in modo prelativo, ovvero considerando poche o nessuna alternativa rispetto alle nostre prime ipotesi. Potremmo, cioè, costruire la situazione in modo così semplice da “esaurire rapidamente tutti i punti di vista dai quali osservarla”. Kelly ci fa notare un aspetto interessante, ovvero che se l’anticipare in modo prelativo viene considerato indice di risolutezza, significa che chi prende decisioni in questo modo viene spesso percepito come un leader, poiché si ritiene che l’“uomo d’azione” sia caratterizzato dalla tendenza a una rapida disanima delle alternative in gioco.
Potremmo anche trovarci a esercitare il massimo controllo, scegliendo tra una gamma ristretta di possibilità, come modo per affrontare l’ansia e la minaccia generate dall’aprirsi a più costruzioni possibili.
In questo caso, stiamo costruendo la situazione in modo prelativo, riducendola a un’unica versione dei fatti nel tentativo impulsivo di sfuggire a una transizione di ansia.
In alternativa, se costruiamo in modo piuttosto lasso, e dilatiamo abitualmente il nostro mondo per fare spazio a sempre più costruzioni alternative, il passaggio alla prelazione diventerà la nostra difficoltà: più esamineremo e più emergeranno implicazioni e possibilità. Per quanto queste possano essere affascinanti e dense di significato, restare a lungo nella fase di circospezione è il modo migliore per trattenerci da ogni forma di azione. Kelly ce ne offre un vivido esempio descrivendo un soldato che, ricordando gli altri ruoli che riveste nella vita e considerando tanti modi diversi di costruire le proprie azioni, rischia di ritrovarsi incapace di strisciare fuori dalla trincea.
Ciò che ci permette di progettare e intraprendere un esperimento utile attraverso il nostro comportamento – giungendo dunque con successo alla fase del controllo – è un adeguato equilibrio tra circospezione e prelazione. La fase del controllo è caratterizzata da una scelta chiara e un solido disegno sperimentale. Se da una parte Kelly ci incoraggia a buttarci a capofitto, dall’altra ci invita ad assicurarci che ci sia un posto dove atterrare. Miriamo a elaborare il nostro sistema predittivo attraverso l’azione, ma dobbiamo anche preservare le sue caratteristiche essenziali, per evitare di trovarci gettati nel caos.
Se consideriamo il processo decisionale da una varietà di prospettive (cioè quando leggiamo il ciclo CPC con circospezione), iniziamo a vedere che, lungi dall’essere un processo semplice e magari ovvio, non è scontato per noi attraversarlo in modo ben equilibrato, sia individualmente che collettivamente. Le descrizioni intuitive dei tre stadi proposte da Kelly possono aiutarci a fare delle ipotesi su che cosa stia accadendo quando il processo decisionale manifesta dei problemi; la ciclicità del suo modello ci consente, inoltre, di cogliere come potremmo muoverci in avanti (o addirittura indietro) con creatività.
Bibliografia
Kelly, G. A. (1955). The psychology of personal constructs (vol. 1-2). New York, NY: Norton.
Fonte originale: http://www.pcp-net.org/encyclopaedia/cpc.html.
Ringraziamo gli Editori Jörn Scheer e Beverly Walker per aver gentilmente concesso la pubblicazione della traduzione delle voci contenute in The Internet Encyclopaedia of Personal Construct Psychology sulla Rivista Italiana di Costruttivismo.