Tempo di lettura stimato: 22 minuti
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Psicoterapia costruttivista a mezzo del cavallo: teoria e prassi

Equine assisted constructivist psychotherapy: theory and practice

di

Francesca Del Rizzo

Institute of Constructivist Psychology

Abstract

Fin dalla loro domesticazione i cavalli sono stati per l’uomo una risorsa di primaria importanza: originariamente il loro aiuto si esprimeva in ogni tipo di lavoro e rendeva possibili viaggi e trasporti; attualmente sono usati negli sport, nelle attività del tempo libero e in terapia e dimostrano ancora di poter essere degli ottimi partner per le imprese umane. Nel contesto terapeutico sono tradizionalmente impiegati nell’ippoterapia, nell’equitazione terapeutica e nell’equitazione per disabili. Recentemente l’organizzazione internazionale EAGALA (Mandrell, 2006) ha sviluppato una prassi psicoterapeutica che utilizza i cavalli come facilitatori del processo terapeutico. Seguendo anche un sogno che coltivo da quando sono bambina, sto ora tentando di sviluppare un mio modello di psicoterapia costruttivista che coinvolga i cavalli nel ruolo di co-costruttori dell’esperienza terapeutica. A questo scopo sussumo l’approccio terapeutico sviluppato da EAGALA attraverso la Teoria dei Costrutti Personali (Kelly, 1955). Nell’articolo illustro i miei sforzi in questa direzione grazie anche allo studio di un caso clinico.

Horses had been a primary resource for men since their domestication: at the beginning they helped in any kind of job and made possible travels and transport. Nowadays they are used in sports, free time activities and therapy and they still prove they can be great companions for human beings’ enterprises. In the therapeutic field they are traditionally used in hippotherapy, in therapeutic riding and in riding for the disabled persons. More recently EAGALA (Mandrell, 2006) developed a psychotherapeutic practice that uses horses as facilitators. Following a childhood dream I’m now trying to develop my own constructivist psychotherapeutic model involving horses as co-construers of the therapeutic experience. I’m trying to subsume the therapeutic approach developed by EAGALA by means of PCT theoretical tools (Kelly, 1955). In this talk I will discuss my efforts in this direction especially through a case report.

Keywords:
Psicoterapia costruttivista, psicoterapia a mezzo del cavallo, psicoterapia costruttivista a mezzo del cavallo | Constructivist psychotherapy, equine assisted psychotherapy, equine assisted constructivist psychotherapy
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1. Cavalli e psicologia

I cavalli sono stati a lungo parte della società umana e per l’uomo hanno sempre svolto il ruolo di compagni di lavoro.

Da un punto di vista terapeutico sappiamo che i Greci usavano i cavalli per incoraggiare i malati terminali a vivere e che i semi della Psicoterapia a Mezzo del Cavallo (PMC) furono interrati più di due secoli fa, quando i medici tedeschi suggerivano l’equitazione per ridurre gli attacchi di ipocondria ed isteria (Riede, 1988).

Attualmente i cavalli sono sempre più usati nelle Terapie Assistite da Animali (AAT) (Falasconi & Bochicchio, 2011; Favalli & Milton, 2010), sia nell’equitazione per disabili che come parte di programmi psicologici di intervento in una varietà di situazioni riguardanti la salute mentale, i disturbi dello sviluppo ed i disturbi comportamentali (Hart, 1992; Schultz et al., 2007).

Nel 1982 il Quarto Congresso Internazionale sull’Equitazione Terapeutica ha definito tre diverse forme di terapia dove i cavalli sono usati come co-terapeuti:

1. Si parla di ippoterapia quando il ruolo principale è assegnato al cavallo ed alle proprietà di stimolazione neuromotoria del suo movimento. Il movimento dell’animale correla con quello del cavaliere: infatti ogni movimento del cavallo si riflette sulla postura del cavaliere.

2. Nell’equitazione terapeutica il cavaliere è attivo, può collaborare usando le redini e condurre autonomamente il cavallo.

3. L’equitazione può essere anche uno sport per i disabili: in questo caso il cavaliere è in grado di cavalcare autonomamente, i compiti sono cognitivo-relazionali e le sessioni terapeutiche possono essere di gruppo.

Negli ultimi decenni le terapie assistite dal cavallo sono state impiegate con successo con diversi gruppi di persone in difficoltà: persone aggressive e violente, in particolare giovani, pazienti psichiatrici, bambini con diagnosi di ADHD, adolescenti con problemi di abuso di droga ed alcool (Rector, 1992; Thomas, 2002; Myers, 2004; Levinson, 2004). In questi casi le sessioni sono di gruppo o familiari e le attività con i cavalli sono accompagnate da compiti che coinvolgono anche il canale verbale.

EAGALA (Equine Assisted Growth and Learning Association) è un’organizzazione no-profit fondata nel 1999 il cui fine è lo sviluppo di standard elevati e professionali nel campo della psicoterapia a mezzo del cavallo (www.eagala.org). Secondo il modello di EAGALA, la psicoterapia a mezzo del cavallo è una pratica psicoterapeutica che

include l’esperienza con il cavallo per promuovere la crescita e l’apprendimento. È uno sforzo collaborativo congiunto in cui un professionista nel campo della salute mentale ed un esperto in cavalli lavorano con i clienti ed i cavalli per raggiungere degli obiettivi di trattamento […]. Ciò significa che i partecipanti apprendono qualcosa riguardo a sé ed all’altro partecipando ad attività con i cavalli e poi discutendo ed elaborando pensieri, opinioni, comportamenti e schemi comportamentali (EAGALA, 2012, p. 13) [traduzione mia].

Le sessioni durano un’ora e si tengono a cadenza regolare. Si svolgono in un campo di lavoro o in uno spazio erboso recintato con numerosi cavalli, un professionista nel campo della salute mentale ed un esperto in cavalli. Tutte le attività vengono condotte a terra e prevedono l’interazione fra cavallo e persona (ad esempio: fare amicizia con i cavalli, guidare i cavalli con una corda attraverso un percorso o semplicemente da un posto all’altro, tentare di far muovere il cavallo senza l’ausilio di alcuna corda o altro strumento). Durante le attività o al loro termine il cliente è invitato a riflettere sulla sua esperienza. Nel corso della sessione l’esperto in cavalli fa dei commenti sul comportamento del cavallo al fine di facilitare la consapevolezza del cliente riguardo a ciò che succede. Il professionista in salute mentale, invece, dialoga con il cliente nel tentativo di collegare quanto sta avvenendo in quel momento con altri aspetti della sua vita (L. Toms & J. Toms, n.d.).

 

Il modello di EAGALA è basato sui principi dell’experiential education practice (www.aee.org). Alcuni di essi sono:

– l’apprendimento esperienziale avviene quando esperienze accuratamente scelte vengono supportate da riflessione, analisi e sintesi critica;

– le esperienze sono strutturate in modo che chi apprende prenda l’iniziativa, prenda delle decisioni e sia responsabile dei risultati;

– attraverso il processo di apprendimento esperienziale chi apprende è attivamente coinvolto nel porre domande, indagare, sperimentare, essere curioso, risolvere problemi, assumere responsabilità, essere creativo e costruire significati;

– i risultati dell’apprendimento sono personali e formano le basi per successive esperienze ed apprendimenti;

– sono curate le relazioni di chi apprende nei confronti di se stesso, negli altri e del mondo in generale;

– sia chi educa che chi apprende può sperimentare successo, fallimento, rischio ed incertezza perché gli esiti dell’esperienza non possono essere totalmente previsti;

– i compiti primari di chi educa comprendono il costruire esperienze adeguate, porre problemi, stabilire i confini, supportare chi apprende, garantirne la sicurezza fisica ed emotiva e facilitare il processo di apprendimento;

– chi educa riconosce ed incoraggia le opportunità spontanee di apprendimento;

– gli educatori si sforzano di essere consapevoli dei loro bias, dei loro giudizi e pre-concetti e di come questi influenzano chi apprende;

– la struttura dell’esperienza di apprendimento include la possibilità di imparare dalle conseguenze, dagli errori e dai successi [traduzione mia].

 

Da un punto di vista psicologico EAGALA cerca di integrare contributi provenienti da orientamenti teorici diversi: terapia cognitivo-comportamentale, gestalt, terapia breve e terapia sistemica. Nel modello di EAGALA, inoltre, l’uso delle metafore è molto importante: i terapeuti sono infatti invitati a favorire l’emergere di metafore nel corso dell’elaborazione ed a creare attività che possano rappresentare metaforicamente i problemi, le difficoltà e le situazioni in cui i pazienti si trovano.

 

2. Perché i cavalli?

I cavalli sono animali preda e pertanto hanno una spiccata capacità di individuare indizi di pericolosità all’interno del loro ambiente. Ciò comprende anche una acuta percezione degli stati emotivi e delle intenzioni umane:

La capacità di un cavallo di intuire la paura in un membro distante della mandria e di reagire senza esitazione sulla base di questa percezione è un’abilità salvavita; la sua innata propensione ad entrare in risonanza con la fiducia, la gioia o la sicurezza di un altro essere vivente è un’abilità in grado di aumentare la sua capacità di sopravvivenza (Kohanov, 2001, p. 105) [traduzione mia].

Nelle interazioni con le persone i cavalli forniscono dei feedback non verbali immediati: non mentono, non separano ciò che sentono da ciò che agiscono e sono molto sensibili alle possibili contraddizioni nei segnali non verbali espressi dall’uomo. Queste infatti significano “pericolo”.

Essere parte di una mandria è fondamentale per la sopravvivenza dei cavalli ed il loro comportamento dimostra il loro bisogno di fiducia e cooperazione. Nelle mandrie ogni cavallo ha un ruolo definito. Essi hanno personalità diverse, diversi atteggiamenti ed umori.

Esattamente come le creature umane, i cavalli tendono ad essere spaventati da ciò che non conoscono, ma sono anche molto curiosi. Sono in grado di creare relazioni perché riconoscono le persone, in particolare i loro proprietari o chi si occupa materialmente di loro, e con gli altri cavalli sviluppano vere e proprie amicizie, o antipatie.

I cavalli non giudicano, non hanno aspettative o pregiudizi. Non fanno attenzione a come ci si veste, non sono influenzati dalla nostra posizione sociale e qualifiche professionali elevate non hanno alcun impatto sulla loro risposta alla nostra presenza (Vidrine et al., 2002; Frewin & Gardiner, 2005).

La loro taglia incute rispetto e può essere minacciosa per alcune persone. Per mantenere un buon livello di sicurezza è necessario essere molto attenti con questi grandi animali: le persone, quando sono fra i cavalli, diventano immediatamente più prudenti, più consapevoli del loro corpo, dei loro movimenti e della loro posizione nello spazio.

Spesso le persone sembrano identificarsi con i cavalli ed in questo caso essi diventano simboli del sé. In altri casi possono diventare simbolo di amici, partner o parenti.

Nel modello e nella prassi di EAGALA i cavalli sono liberi di essere se stessi. Non vengono legati e quindi possono scegliere se e come interagire o se andarsene via.

 

3. La Psicoterapia a Mezzo del Cavallo da una prospettiva kelliana

Dal punto di vista della Psicologia dei Costrutti Personali il campo, o cavallerizza, può essere concepito come un laboratorio sicuro in cui il terapeuta, il paziente ed il cavallo possono validare o invalidare i vecchi o i nuovi costrutti del paziente stesso. Possono fare revisioni e sviluppare nuove anticipazioni, trovando così nuovi modi di costruire e relazionarsi con gli eventi o le persone. Nella cavallerizza

il comportamento si presenta come il principale strumento di ricerca dell’uomo. Senza di esso le domande che egli si pone rimangono accademiche e non vanno da nessuna parte. Quando un comportamento gli viene prescritto egli rimane intrappolato in circoli dogmatici. Ma quando egli lo usa coraggiosamente per porre domande, un flusso di risposte inaspettate sorge a mettere alla prova le sue massime capacità di comprensione. (Kelly, 1970, p. 260) [traduzione mia].

Non ci sono quindi differenze sostanziali rispetto al setting tradizionale, ma dal mio punto di vista la presenza dei cavalli agisce come un potente facilitatore e catalizzatore dell’esperienza.

Nel porsi in relazione con il cavallo, la persona cerca di costruirne ed anticiparne il comportamento e, di conseguenza, il suo stesso comportamento è lo specchio delle sue anticipazioni. Il cavallo fa la stessa cosa. Possiamo ipotizzare che esso possa porre inizialmente una domanda molto lassa: posso fare qualcosa di interessante con questo umano? Può pertanto provare a comprenderlo molto velocemente (nei suoi termini, ma usando le nostre etichette): è calmo o nervoso? Felice o triste? Pauroso o avventuroso? Dominante o pronto a sottomettersi? Ostile o gentile? Un pericolo o un amico? Come illustrato precedentemente l’animale trova nel linguaggio non verbale umano gli indizi attraverso i quali operare queste discriminazioni e si comporta di conseguenza.

Quindi possiamo costruire i comportamenti del cavallo come specchi o amplificatori degli stati emotivi del paziente.

Dall’altra parte, al fine di anticipare l’animale ed in assenza di costrutti sviluppati specificatamente per comprenderne il comportamento, la persona può usare con lui i costrutti che usa per costruire ed anticipare le persone.

Pertanto il cavallo costruisce la situazione dal suo punto di vista equino, il paziente la costruisce dal suo punto di vista umano ed il terapeuta può guardare alla scena sia da quello che egli costruisce come il punto di vista del cavallo, sia da quello che costruisce come il punto di vista della persona, sia dal suo professionale punto di vista. I suoi interventi, gli inviti, le domande ed i commenti possono scivolare da una prospettiva all’altra in funzione dell’utilità terapeutica che egli anticipa. Può scegliere di sottolineare il comportamento del cavallo e chiedere al paziente come egli lo costruisca; può stimolare costruzioni alternative ed invitare il paziente a comportarsi di conseguenza; grazie ai segnali ed ai movimenti del cavallo può favorire una maggiore consapevolezza rispetto a vissuti emotivi di cui il paziente non sembra consapevole, e così via.

Ciò che è unico di questo setting è che se il paziente modifica la sua costruzione, e questo significa al contempo che si modificano il suo umore, il suo comportamento ed i suoi atteggiamenti, il cavallo risponde velocemente con un cambiamento nel suo stesso comportamento. In quel preciso istante il paziente vive l’esperienza “se io mi comporto diversamente l’altro si comporterà diversamente”.

Questo è importante per molte ragioni: innanzitutto il paziente sperimenta che il cambiamento è possibile, inoltre può sentire che lui può cambiare ed infine, e forse più importante, può revisionare l’idea che il suo comportamento sia sempre e semplicemente una reazione, una conseguenza necessaria del comportamento dell’altro. Infatti i pazienti spesso tendono a non vedere come il loro stesso comportamento possa influenzare quello dell’altro. Parafrasando Watzlawick et al. (1967) potremo dire che punteggiano le interazioni in modo tale da dipingere le loro azioni solo come “conseguenze” e mai anche come “cause”.

I cavalli sono ottimi invalidatori di questa assunzione e nella cavallerizza i pazienti possono fronteggiare questa esperienza di invalidazione in modo relativamente poco minaccioso (vedi anche L. Toms, n.d.).

Pertanto il cuore della PMC è la relazione fra paziente e cavallo. Mentre i due sperimentano assieme, il terapeuta può giocare il ruolo del supervisore alla ricerca, dipinto nella metafora kelliana: l’esperto del come. Nell’assumere questo ruolo egli deve avere fiducia nel processo, avere fiducia nel cavallo e nel paziente, deve essere creativo nell’inventare attività ed esperimenti utili e deve essere in grado di “rimanere sullo sfondo senza intervenire permettendo al processo di essere il protagonista” (Mandrell, 2006, p. 48) [traduzione mia].

 

A proposito della scuola Kelly scrisse:

L’esperienza […] deve essere il risultato degli esperimenti che il bambino compie impegnandosi fino alla conclusione […] il ruolo dell’insegnante è quello di aiutarlo, nel modo migliore che le è possibile, a progettare e realizzare le sue imprese, e di accompagnarlo nell’interpretarne i risultati e nel pianificare ricerche ancor più precise da compiere attraverso il suo comportamento. Ma solitamente l’insegnante deve cominciare, così come ogni apprendista comincia, nell’implementare qualcosa che altri hanno progettato; in questo caso, quello che i suoi allievi hanno iniziato. (Kelly, 1970, p. 262) [traduzione mia].

 

Potremo cambiare alcune parole:

L’esperienza […] deve essere il risultato degli esperimenti che il paziente compie impegnandosi fino alla conclusione […] il ruolo del terapeuta è quello di aiutarlo, nel modo migliore che gli è possibile, a progettare e realizzare le sue imprese, e di accompagnarlo nell’interpretarne i risultati e nel pianificare ricerche ancor più precise da compiere attraverso il suo comportamento. Ma solitamente il terapeuta deve cominciare, così come ogni apprendista comincia, nell’implementare qualcosa che altri hanno progettato; in questo caso, quello che i suoi pazienti hanno iniziato.

Questa diventa una descrizione perfetta del ruolo del terapeuta nella cavallerizza.

 

4. Psicoterapia costruttivista a mezzo del cavallo in azione: il caso di Cleo

Ho seguito la prima parte del Training di EAGALA nel 2013. Ho avuto modo di fare esperienza dello sforzo che EAGALA fa nel garantire un approccio etico al training, alla terapia ed alla professionalità. Ho dato molto valore anche all’”approccio fenomenologico ed umanistico” alla relazione che si instaura fra cavallo ed essere umano ed al profondo rispetto del modello per i pazienti, per il loro protagonismo e per le loro costruzioni della situazione e di loro stessi. Mi è molto piaciuto l’uso creativo di strumenti narrativi come la metafora, che, dal mio punto di vista, costituisce un ulteriore punto di forza del modello.

Il mio modello di PMC differisce da quello di EAGALA per molti aspetti. Il primo riguarda il fatto che a me non è stato possibile trovare uno specialista equestre che mi affiancasse come partner. Il secondo è relativo alla scelta di lavorare con un solo cavallo per volta, scelta che è dovuta a ragioni di sicurezza, essendo io da sola con i pazienti nella cavallerizza. Il terzo, più importante, è che il mio approccio è kelliano e quindi io sussumo tutto ciò che accade nel setting terapeutico grazie ai costrutti professionali della PCP.

 

5. Cleo

 

5.1 La storia di Cleo

Conosco Cleo, una bella donna di 41 anni, nell’aprile del 2014. È disperata. Suo marito l’ha abbandonata a febbraio, dopo l’ultima di una lunga serie di liti furiose. Si erano conosciuti nel 2010, avevano deciso di convivere nel 2011 e si erano sposati nel 2012.

Enrico, suo marito, è un uomo di 30 anni che lavora come receptionist in un albergo che dista 30 chilometri dalla loro casa. Cleo, invece, lavora come contabile in una grande rivendita di pezzi di ricambio per auto. Ha i capelli neri e porta grandi occhiali. È sempre estremamente curata, direi ricercata, nell’abbigliamento e nel trucco. Coordina sempre abiti ed accessori e spesso ha un look anni ’50.

Raccontando la sua storia, Cleo sottolinea come all’inizio fosse Enrico ad essere il più convinto e coinvolto nella relazione. Lei non era innamorata, ma “lui si comportava come il principe azzurro” e piano piano lei si era innamorata. Subito dopo il matrimonio Cleo ha cominciato a fare quelle che per lei erano “normali richieste da moglie”, in particolare che egli riducesse le sue uscite con gli amici. Da parte sua, lei stava trascurando le sue amicizie e lentamente concentrando tutte le sue energie ed il suo tempo libero su Enrico. Non riuscendo a comprendere il bisogno del marito di messaggiare così spesso con gli amici, ha poi cominciato a controllare il suo cellulare. Egli ha reagito a questo comportamento con rabbia e tentando di sfuggire al suo controllo, rifiutando di darle il cellulare ed uscendo ancor più spesso con i suoi amici. Questa escalation ha condotto a litigi sempre più frequenti ed aspri. Nel corso dell’ultimo di questi litigi Enrico ha deciso di andarsene ed è ritornato a vivere a casa dei suoi genitori.

Cleo ne è stata sconvolta, non aveva anticipato questa decisione e tantomeno che sarebbe stata così definitiva: “Gli altri uomini che mi avevano lasciato in passato alla fine erano ritornati, dicendo di essere pentiti. Pensavo che Enrico avrebbe fatto la stessa cosa”. Enrico invece si era trovato un avvocato ed aveva chiesto il divorzio. Tutto il suo mondo era crollato e lei aveva pensato al suicidio. La sua famiglia l’aveva convinta ad andare dallo psichiatra che le aveva prescritto una terapia con antidepressivi che lei aveva accettato di assumere. Quando ci siamo conosciute si sentiva un po’ meglio ma non riusciva ad accettare ciò che era accaduto, si sentiva derubata del suo futuro, era arrabbiata con Enrico ed al contempo ne sentiva terribilmente la mancanza. Era sicura che lui avesse torto e che, nonostante tutto ciò che era accaduto, la amasse ancora.

 

5.2 La mia costruzione professionale

Dal mio punto di vista Cleo stava attraversando intense transizioni: minaccia perché stava perdendo la relazione di dipendenza con Enrico, ansia perché si trovava di fronte a qualcosa di non anticipato prima e che non sapeva come affrontare, colpa perché improvvisamente si era scoperta come la parte più debole della coppia mentre si era sempre costruita come quella forte. Colpa e vergogna erano conseguenti anche al fatto che si era sempre costruita come colei che aveva il controllo della situazione e dell’altro e questo non era più vero. Costrizione ed ostilità erano le sue soluzioni: Enrico era ancora innamorato di lei ma veniva influenzato negativamente da amici e genitori. Lei aveva ragione e lui torto. Le richieste che lei gli faceva erano appropriate ed invece il comportamento del marito sospetto. La gelosia che lei sentiva era ben motivata ed il bisogno di privacy di lui era solo un modo per nascondere i suoi tradimenti. Non aveva alcuna costruzione della situazione dal punto di vista di Enrico e non riusciva a sentire alcuna empatia nei confronti dei suoi sentimenti. Egli era semplicemente la persona senza la quale lei non poteva vivere e quella che aveva distrutto tutti i suoi progetti di vita futura.

Sebbene con le parole Cleo affermasse di sapere di essere una bella persona, i suoi comportamenti raccontavano una storia diversa: si costruiva come una persona “trasparente”, qualcuno che gli altri non avrebbero spontaneamente ricercato, quindi sentiva che doveva conquistare la loro attenzione ed il loro amore grazie alla sua bellezza, alla perfezione nel vestirsi e nel fare le cose, alla sensualità ed al sesso, e che doveva attentamente soddisfare (abbastanza ma non troppo) alcuni dei bisogni importanti dell’altro in modo da creare una relazione di dipendenza nei suoi confronti.

 

5.3 Il processo psicoterapeutico

Non entrerò in questa sede nei dettagli della terapia con Cleo, farò invece alcuni cenni alle direzioni principali e ai passi compiuti.

 

Prestando grande attenzione nel cercare di non alimentare la sua ostilità, ho cercato di favorire:

– la costruzione dei processi di costruzione delle persone accanto a lei, perché potesse meglio fronteggiare l’ansia;

– la dispersione delle sue dipendenze;

– la riflessione su di sé e la consapevolezza dei suoi modi di creare e mantenere le relazioni;

– una nuova costruzione di sé come persona che può essere interessante per l’altro e che può essere interessata all’altro come persona.

 

Cleo ha fatto molto in queste direzioni e, ri-costruendo la storia della sua relazione con Enrico, ha lentamente cominciato ad essere più consapevole dei suoi processi e dei suoi modi di rapportarsi agli altri. Era disperata per la perdita della relazione ma si sentiva progressivamente più responsabile e riusciva a vedere anche i suoi “errori”.

In dodicesima seduta mi ha comunicato che Enrico aveva tentato di rimettersi in contatto con lei attraverso la messaggistica di Facebook. Avevano deciso di incontrarsi e da quel momento in poi i loro messaggi, i loro incontri e le loro telefonate sono diventate l’argomento principale dei nostri colloqui, nel corso dei quali vedevo Cleo lottare con le sue vecchie e nuove costruzioni, alternando aggressività ed ostilità, fiducia e controllo, sentendo di volta in volta rabbia o confusione. Ho deciso quindi di proporle la cavallerizza come laboratorio relazionale in cui potevamo affrontare queste stesse tematiche. Ha accettato subito.

Abbiamo fatto due sedute con Otello (questo è il nome del mio cavallo) e poi le ho chiesto di provare a raccontare per iscritto i suoi pensieri e le sue sensazioni. Questo è ciò che Cleo ha scritto.

Dover raccontare le due sedute mi risulta davvero difficile, un semplice racconto risulterebbe riduttivo rispetto alle emozioni vissute e alle consapevolezze apprese. Ci proverò.

 

Prima seduta:

durante la prima seduta inizialmente ho preso un po’ di confidenza con Otello… era semplice condurlo, più complesso andare in sintonia con il suo passo. Per seguire il suo ritmo spesso mi fermavo e si fermava anche lui… vivevo queste fermate come se non mi volesse seguire…

In verità ho capito che se io non avevo le idee chiare lui percepiva questo e si fermava, ma non era un rifiuto bensì forse una domanda o un desiderio di fermarsi a capire.

L’esercizio successivo è stato più difficile: dovevo rappresentare nello spazio come immaginavo il mio futuro dei prossimi 6 mesi. Ho messo dei birilli per formare una serpentina che rappresenta gli alti e bassi del mio umore seguiti da una linea dritta che significava la strada della serenità.

Quando l’ho percorso con Otello la prima volta mi sono resa conto che ero molto in ansia… avevo talmente paura di non riuscire che mi sentivo goffa ed impacciata. La seconda volta è andata molto meglio e mi sono resa conto che meno forza mettevo e più tutto risultava facile e spontaneo.

Il passo successivo è stato quello di ripercorrerlo con Otello senza finimenti… credevo fosse un’impresa impossibile… sono partita del tutto scoraggiata… ma ci ho provato ugualmente. Con mio enorme stupore lui mi ha seguito e ho trovato un modo per entrare in comunicazione con lui: mi abbassavo in modo che i miei occhi fossero a livello dei suoi… in questo modo lui mi raggiungeva e mi sbatteva la testa fra le gambe.

Non so descrivere l’emozione che ho provato durante questa seduta… era commovente.

Un’altra cosa che mi è rimasta molto impressa è che io giustificavo il fatto che mi seguiva col fatto che è un cavallo molto buono… sminuendo il mio ruolo nella relazione… Francesca mi ha fatto notare che la forza del cavallo rispetto alla mia è nettamente superiore e se lui decideva di non venire non sarebbe venuto.

La parte finale è stata meravigliosa: non ero mai salita a pelo su un cavallo e nemmeno mi ci ero mai stesa… una sensazione bellissima!

Mi sono abbandonata completamente, e mi sono fidata ciecamente di lui e della situazione… non mi sentivo minimamente in pericolo… provavo solo una sensazione di completezza.

Ogni volta che salgo a cavallo penso questa cosa: ci sono tante cose brutte nella vita ma andare a cavallo invece è una delle cose belle… Sembra ti conduca in un’altra dimensione!!!

Seconda seduta:

la seconda seduta è stata diversa, io avevo appuntamento con Enrico e forse ero già proiettata all’incontro e meno concentrata su quello che facevo con Otello.

Questa volta dovevo dividere idealmente il campo in due:

da una parte dovevo porre le cose della nostra storia che volevo portare nel futuro e dall’altra parte le cose brutte che invece volevo lasciare nel passato.

Nella prima parte ho collocato due grandi strutture: una il nostro matrimonio, la nostra vita di coppia e la nostra felicità assieme; l’altra rappresentava la parte negativa di Enrico (la sua mutevolezza, la sua superficialità, tutto il male che mi ha fatto).

Nella seconda parte del campo ho messo 4 birilli: le litigate, la gelosia, le serate passate a casa a chiedermi dove fosse e con chi e le serate con i suoi amici in cui non mi divertivo proprio.

Se non ricordo male ho fatto direttamente il percorso senza la capezza…

Otello mi ha seguito attorno alla struttura che rappresentava la parte felice della nostra relazione ma non ha voluto saperne di seguirmi nella struttura che rappresentava i limiti di Enrico.

Nella seconda parte del campo siamo invece riusciti a girare attorno ai birilli delle cose negative.

Francesca mi ha chiesto di pensare come quelle cose negative si potevano trasformare in cose positive:

le litigate sono diventate momenti di confronto costruttivo;

la gelosia è diventata fiducia;

le serate a casa a pensare cosa stesse facendo lui sono diventate le serate nelle quali io vivevo la mia vita (amici, interessi, hobbies);

le serate noiose con i suoi amici sono diventate momenti per socializzare.

Abbiamo costruito un rombo con questi quattro lati ed io ci sono entrata… Otello mi ha seguito ed è stato al mio fianco… ad un certo punto è uscito ma poco dopo è rientrato con me.

Io non l’ho convinto… è stato bello sentirlo al mio fianco senza dover fare nessuno sforzo.

 

Conclusioni:

non lo so come possa Otello capire così bene ed interagire in questo modo con me ma è davvero sorprendente.

In entrambe le sedute ho capito che le relazioni dipendono da entrambi e non solo da uno o dall’altro.

Ho capito che alcuni miei atteggiamenti possono essere poco chiari e a volte interpreto in maniera distorta (spesso negativa) i segnali che l’altro mi manda.

Ho inteso che spesso mettendoci troppa forza le cose sono meno spontanee e più faticose. Cercare di fare andare tutto bene a tutti i costi è pesante, poco divertente e soprattutto improduttivo.

Che i rapporti a due sono complessi e per stare in relazione bisogna mettersi allo stesso livello non sopra né sotto. Bisogna cercare diversi modi per entrare in sintonia perché a volte quello che per noi è il metodo giusto non è l’unico né il più efficace.

 

Ho capito che le persone ci cercano perché lo vogliono e non perché gli facciamo pena o si sentono in dovere di farlo e se ci stanno vicine è perché stanno bene in nostra compagnia.

Dopo queste due sedute abbiamo continuato il percorso nel setting dello studio. Cleo ha continuato ad oscillare fra vecchie e nuove costruzioni per un po’ ma con un livello di consapevolezza davvero molto alto che le ha permesso di capire cosa stesse facendo, di vedere il suo contributo nella relazione e, talvolta, di fare qualcosa di diverso. Ha cominciato a tentare sistematicamente di costruire i processi di costruzione di Enrico, soprattutto i modi in cui lui aveva costruito e probabilmente stava costruendo i suoi comportamenti, le sue parole ed i suoi atteggiamenti.

In seguito alle minori richieste ed al maggiore interesse nel comprenderlo che Cleo dimostrava, Enrico ha cominciato ad esprimere apertamente la sua rabbia nei confronti dei suoi comportamenti controllanti. Questo ha condotto a frequenti litigate sempre seguite da riconciliazioni. Cleo ha cominciato a sentire di potersi fidare di più di Enrico ed a comprendere che se lo lasciava libero di decidere cosa fare senza tentare di forzarlo nello spazio che lei aveva preparato per lui, avrebbe scelto di stare con lei, così come Otello aveva fatto nella seconda seduta in cavallerizza, e come lei spesso ricordava.

Nel gennaio del 2015 Cleo ed Enrico hanno deciso di riprendere a vivere assieme ed a febbraio hanno definitivamente abbandonato l’idea di divorziare.

 

6. Conclusioni

Nella cavallerizza Cleo ha avuto la possibilità di sperimentare, con le sue costruzioni, di essere invalidata e di revisionare le sue anticipazioni. In quello stesso contesto ha poi testato le nuove costruzioni ed ha visto in che modo questo modificava ciò che stava accadendo con il cavallo. Tutto accadeva lì, di fronte ai suoi occhi. Tutte le sue costruzioni emergevano come strumenti che lei stava usando per tentare di interpretare il comportamento dell’animale. In questo modo ha sentito profondamente che quello che vedeva dipendeva da lei e solo in una piccola parte dall’altro. Di fronte a lei c’era una creatura non giudicante, evidentemente disponibile a cooperare, non un marito difficile, superficiale e crudele. Si era sentita compresa da Otello ed apprezzava il calore e la benevolenza della sua presenza. Penso che questo abbia avuto una grande importanza nel difficile processo di attraversare minaccia, ansia e colpa.

Il modo in cui ha fatto tesoro dell’esperienza vissuta con questo grande animale l’ha cambiata ed anche molto tempo dopo queste sedute in cavallerizza Cleo ha continuato a ricordare momenti, episodi ed emozioni e a usarli come strumenti per comprendere la sua attuale esperienza relazionale.

Penso che i cavalli possano essere potenti facilitatori di esperienza ed esperimenti nel setting terapeutico. L’intero contesto della cavallerizza può essere concepito come una metafora ed una fonte potenziale di nuove metafore per le persone coinvolte. Come affermato da Miller Mair, attraverso le metafore “nuovi significati possono essere esplorati senza incorrere in transizioni di colpa e minaccia soverchianti” (Mair, 1976, p. 262) [traduzione mia]. Certo, è necessario essere formati, sia come terapeuti che, al contempo, come esperti di cavalli. È necessario permettere a cavalli e pazienti di fare esperienza assieme, di completare assieme il ciclo dell’esperienza, in un ambiente sicuro. È necessario avere fiducia in loro, pazienti e cavalli, e promuovere la loro creatività, credendo profondamente nel fatto che sceglieranno, sempre, la cosa migliore per se stessi.

 

 

Bibliografia

EAGALA (2012). Fundamentals of EAGALA Model Practice. Copyright by EAGALA.

Falasconi, A. & Bochicchio, F., (2011). Manuale di Terapia Assistita con Animali. Roma: Edizioni Scientifiche Ma.Gi.

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Sitografia

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Note sull’autore

 

Francesca Del Rizzo

Institute of Constructivist Psychology

francesca.delrizzo@tin.it

È una costruttivista e psicoterapeuta italiana. Lavora come didatta presso l’Institute of Constructivist Psychology di Padova. I suoi interessi coprono la psicoterapia, la psicologia dello sport, la psicoterapia a mezzo del cavallo e la didattica costruttivista della psicoterapia.

 

 

  1. Ringraziamo gli editori della rivista Personal Construct Theory & Practice per aver gentilmente concesso la traduzione dell’articolo. L’originale è disponibile al link http://www.pcp-net.org/journal/pctp17/delrizzo17.pdf:Del Rizzo, F. (2017). Equine assisted constructivist psychotherapy: Theory and practice. Personal Construct Theory & Practice, 14, 79-86.