1. Un’idea in cerca di dati
Formulata per la prima volta da Guidano (1987 e 1991; Guidano e Liotti, 1983), l’idea che le principali psicopatologie siano caratterizzate da significati specifici è alla base del modello psicopatologico di Ugazio (1998, 2013). Guidano e quanti si sono ispirati al suo modello focalizzano l’attenzione sui processi individuali attraverso cui viene costruito il significato personale. Ugazio, come Procter (1981, 1996, 2005), sposta l’attenzione sui processi conversazionali nella famiglia e negli altri gruppi sociali attraverso i quali gli individui costruiscono il significato e di conseguenza se stessi e i mondi di cui sono parte. La tesi avanzata è che le persone con un disturbo fobico, ossessivo, alimentare e dell’umore appartengano a famiglie dove la conversazione è dominata da specifici significati. Quattro differenti configurazioni di significato caratterizzerebbero i contesti conversazionali in cui i disturbi fobici, ossessivo-compulsivi alimentari e dell’umore si sviluppano: la semantica della “libertà”, della “bontà”, del “potere” e dell’ ”appartenenza”. Ugazio, Negri, Fellin e Di Pasquale (2009) hanno chiamato “semantiche familiari” questi insiemi coerenti di significati in quanto ciascuno di essi nasce dalle stesse polarità emotive che tipicamente hanno origine all’interno di contesti sociali primari come le famiglie. Nei contesti familiari dove, ad esempio, ritroviamo persone con disturbi fobici, prevarrebbe la semantica della libertà, alimentata dalla polarità emotiva paura-coraggio. In virtù della rilevanza di questa semantica, la conversazione in queste famiglie si organizza preferibilmente attorno ad episodi in cui la paura, il coraggio, il bisogno di protezione e il desiderio di esplorazione e di indipendenza svolgono un ruolo centrale. Nelle famiglie in cui sono presenti i disturbi ossessivo-compulsivi dominerebbe la semantica della bontà, il cui motore sono colpa e purezza, e in quelle in cui ritroviamo persone con disturbi alimentari psicogeni o depressioni croniche la conversazione tenderebbe a rendere centrale rispettivamente la semantica del potere e dell’appartenenza che, come vedremo, sono alimentate da altre polarità emotive.
La prevalenza nella conversazione familiare di queste semantiche non è una condizione sufficiente a favorire lo sviluppo del disturbo psicopatologico connesso. Una conversazione familiare può, ad esempio, essere dominata dalla semantica della libertà senza che nessun membro della famiglia sviluppi un disturbo fobico. L’eventuale insorgere di una delle psicopatologie menzionate è invece, secondo Ugazio, favorita dai reciproci positioning che il paziente e le persone per lui significative assumono nella conversazione rispetto alla semantica familiare dominante. Può infatti accadere che un membro della famiglia, proprio in virtù della sua posizione nella semantica della libertà, sperimenti una situazione conflittuale definibile come “dilemma” (Feixas e Saúl, 2005) o “circuito riflessivo bizzarro” (Cronen, Johnson e Lannamann, 1982), capace di innescare un disturbo psicopatologico conclamato. Per il modello psicopatologico di Ugazio, è quindi la posizione più che la semantica a svolgere un ruolo centrale nella transizione dalla normalità alla psicopatologia.
La tesi su cui ci siamo soffermati ha ricevuto conferme da ricerche condotte su una sola o al massimo due psicopatologie[3]. Mancano ricerche che verifichino questa tesi con un disegno in cui siano compresenti gruppi di pazienti con disturbo fobico, ossessivo-compulsivo, alimentare e dell’umore. È quanto ci siamo proposti di fare con la ricerca che qui presentiamo. Prima di descriverla, illustriamo qui di seguito, seppur brevemente, le quattro semantiche oggetto della ricerca.
La semantica della libertà
Nei contesti conversazionali dove questa semantica prevale, coraggio e paura dominano la scena emotiva. Il mondo – spesso a causa di eventi drammatici verificatisi in un passato più o meno remoto – è visto come fonte di pericoli per la salute, le relazioni e la stessa sopravvivenza dell’individuo. Persino le emozioni – per il modo perentorio con cui si impongono – possono essere percepite come minacciose. L’esplorazione del mondo esterno, ma anche dei propri sentimenti e stati d’animo, è percepita come rischiosa. L’attaccamento agli altri è invece fonte di protezione. Proprio perché la realtà incute paura, chi si libera dalla presenza rassicurante delle relazioni protettive è considerato coraggioso. L’esplorazione spesso genera disorientamento e di conseguenza può indurre i membri di queste famiglie a ricercare la vicinanza dell’altro, percepita come protettiva ma anche limitante. Essere in una relazione affettiva può quindi generare sensazioni di costrizione, mentre allontanarsi dai legami protettivi può produrre smarrimento.
Libertà–dipendenza e esplorazione-attaccamento sono i significati polari centrali di questa semantica. Libertà ed esplorazione sono vissute come valori positivi, mentre i legami di attaccamento, la compagnia dell’altro sono sentiti come espressione del bisogno di protezione da un mondo pericoloso. Di conseguenza l’amore, l’amicizia e ogni altra relazione di attaccamento sono assimilate a forme di dipendenza, e quindi valutate in termini parzialmente negativi. Al contrario, il far fronte da soli alle circostanze incrementa l’autostima, perché esprime coraggio.
Come esito di questi processi conversazionali, i membri di queste famiglie si sentiranno, e verranno definiti, timorosi, cauti o, al contrario, coraggiosi, addirittura temerari. Troveranno persone disposte a proteggerli o s’imbatteranno in persone incapaci di cavarsela da sole, bisognose del sostegno dell’altro. Si sposeranno con persone fragili, dipendenti, ma anche con individui liberi, talvolta insofferenti dei vincoli; soffriranno per la loro dipendenza, cercheranno in ogni modo di conquistare l’autonomia. In altri casi saranno orgogliosi della loro indipendenza e libertà che difenderanno più di ogni altra cosa. L’ammirazione, il disprezzo, i conflitti, le alleanze, l’amore, l’odio si giocheranno su temi di libertà/dipendenza.
Quanto più questa semantica dominerà la conversazione tanto più probabili saranno i processi che Bateson (1936) ha chiamato schismogenetici e la conseguente polarizzazione delle identità nella famiglia. Avremo quindi nello stesso nucleo globetrotter e persone così stanziali da non essersi mai trasferite dal quartiere in cui sono nate. E ci sarà chi – come il paziente agorafobico – è così dipendente e bisognoso di protezione da aver bisogno di qualcuno che lo accompagni per affrontare anche le situazioni più consuete della vita quotidiana e chi, all’opposto, sarà così autonomo da sembrare autosufficiente (Ugazio, 2013, ed. it. 2012, p. 116).
Le relazioni interpersonali sono costruite entro questa semantica prevalentemente attraverso avvicinamenti e allontanamenti: la regolazione delle distanze è un tema centrale laddove domina questa semantica. La vicinanza dell’altro è indispensabile, perché l’individuo si sente spesso sull’orlo di un baratro pauroso, ma genera sensazioni di costrizione che spingono il soggetto ad allontanarsi fisicamente dagli altri o a chiudersi. Quando il soggetto avverte il pericolo o la propria fragilità si avvicina agli altri per trovare appoggio; al contrario, quando si sente forte, si allontana, si libera dagli altri per esplorare.
Ugazio (1998, 2013) ipotizza che questa semantica sia presente nel contesto conversazionale dei soggetti con un disturbo fobico.
La semantica della bontà
Innocenza-colpa e disgusto-godimento dei sensi sono le emozioni alla base di questa semantica familiare in cui l’affermazione personale e la sessualità sono percepite come violente, immorali o perverse. Per questo la loro espressione può indurre alcuni membri a sperimentare colpa e disgusto, mentre in altri produce godimento. Abnegazione e rinuncia sono invece associate a purezza e innocenza.
I significati centrali sono riassumibili nelle opposizioni polari bene-male e morto-vivo. La seconda conferisce un pathos drammatico a questa semantica, in quanto la vita sta dalla parte del male. Cattivo è chi persegue il proprio piacere e il proprio soddisfacimento mentre buono è chi rinuncia ai propri desideri, ai propri obiettivi e ambizioni, chi si sacrifica, chi fa un passo indietro rispetto alla vita, non chi agisce attivamente per il bene degli altri. A causa di tale concezione astinente[4] della bontà, la polarità castità-vizio esprime forse più fedelmente il significato centrale di questa semantica, ma finirebbe per stabilire una connessione con la sessualità che non sempre è presente.
Quando questa semantica prevale, la conversazione nella famiglia è organizzata preferibilmente intorno ad episodi che mettono in gioco la deliberata volontà di fare il male, egoismo, avidità, godimento colpevole dei sensi, ma anche bontà, purezza, innocenza, ascesi, così come sacrificio e abnegazione. I membri di queste famiglie si sentiranno di conseguenza, e saranno considerati, buoni, puri, responsabili o, al contrario, cattivi, egoisti, immorali. Incontreranno persone che li salveranno, li eleveranno, o, al contrario, che li inizieranno al vizio, li indurranno a comportamenti di cui potranno poi sentirsi colpevoli. Sposeranno persone capaci di abnegazione, innocenti, pure o, invece, crudeli, egoiste che approfitteranno di loro. I loro figli saranno buoni, puri, casti o, al contrario, sfrenati nell’espressione dei loro desideri, violenti nell’affermazione di se stessi e della propria sessualità. Alcuni di loro soffriranno per l’egoismo, e a volte per la malvagità degli altri o per l’intrinseca cattiveria dei propri impulsi. Altri saranno orgogliosi della propria purezza e superiorità morale. E alcuni si sentiranno appagati dalla soddisfazione dei propri impulsi. Specialmente nelle famiglie dove questa polarità domina la conversazione da diverse generazioni ci sarà chi ha dato prova di particolare abnegazione tanto da sembrare un asceta e chi ha espresso i propri impulsi in modo così egoista da essere considerato malvagio (Ugazio, 2013, ed. it. 2012, p. 163).
Astenersi-infettarsi, sacrificarsi-approfittare sono le due principali alternative relazionali a disposizione delle persone che vivono in contesti caratterizzati da questa semantica. La prima polarità fa diretto riferimento alla dinamica sessuale; tuttavia ogni coinvolgimento nella relazione (anche se il sesso non entra in gioco) è percepito come un veicolo di corruzione della propria integrità morale, preservata invece dall’astinenza e dalla rinuncia. Infettarsi e approfittare degli altri rappresentano il polo negativo delle due polarità fondanti di questa semantica, in quanto creano uno scambio con l’altro in cui prevale l’interesse personale e il raggiungimento del proprio godimento; al contrario, le persone che si posizionano nel polo opposto, di regola connotate positivamente, sacrificano i propri bisogni e la propria affermazione.
Ugazio (1998, 2013) ha ipotizzato che questa semantica familiare sia presente anche nei contesti delle personalità ossessivo-compulsive oltre che, come si è già detto, dei soggetti con disturbo ossessivo-compulsivo.
La semantica del potere
Vanto e vergogna sono le emozioni fondanti questa semantica. È la percezione del proprio status sociale dentro e fuori la famiglia e il riconoscimento che la propria posizione riceve nei conflitti competitivi, sempre centrali nei contesti relazionali in cui è saliente questa semantica, a generare queste emozioni. Chi si sente in posizione superiore sperimenta sensazioni di efficacia e competenza personale, mentre prevale un senso di inadeguatezza, inettitudine e impotenza in chi si percepisce in una posizione gerarchica inferiore. Domina la scena il vanto quando la propria superiorità è riconosciuta dagli altri partner conversazionali o, al contrario, la vergogna e l’imbarazzo, quando ci si sente perdenti.
Vincente-perdente e volitivo-arrendevole sono le due polarità centrali. La seconda opposizione polare è subordinata alla prima secondo un rapporto mezzo-fine: si è vincenti proprio perché si è volitivi, determinati, mentre si è perdenti perché si è incapaci di imporsi. Vincente-perdente ha una peculiarità che la distingue da tutte le altre polarità:
il suo contenuto è puramente relazionale. È possibile considerarsi vincenti o perdenti soltanto rispetto ad altri. (…) Non è percepibile, neppure nel corso dell’esperienza immediata, come un tratto individuale. Essa si riferisce esclusivamente alla relazione. È l’esito di un confronto. (Ugazio, 2013, ed. it. 2012, p. 219-220).
Le persone significative e le loro valutazioni sono di conseguenza percepite, in ogni momento e in ogni circostanza, come centrali per la definizione del proprio sé. Questa semantica genera una particolare sensibilità al giudizio degli altri e ai criteri di riuscita sociale, tra cui i canoni di bellezza esteriore.
Poiché i significati vengono definiti attraverso il confronto, i conflitti competitivi sono la regola nelle relazioni tra pari e di coppia. L’oggetto del contendere è generalmente irrilevante; ciò che conta è chi assume la supremazia. Il prevalere della competizione ostacola il processo di esteriorizzazione delle caratteristiche individuali: le differenze sono temute perché non sono utilizzate per la cooperazione, ma per affermare la propria superiorità. Ogni differenza è sempre declinata in riferimento allo status: chi è borioso, lo è rispetto alla sua collocazione gerarchica, chi è umile lo è perché non si dà arie nonostante il suo status, ci si sente umiliati perché si è trattati come appartenenti ad un rango inferiore. Il corpo è un luogo privilegiato del confronto: ci sono quelli che sono più belli e magri, e quelli che sono più brutti e più grassi. Magrezza e bellezza sono valori entro questa semantica, non solo perché sono qualità socialmente apprezzate in molte culture occidentali, ma perché sono segno e simbolo della determinazione individuale. Coloro che sanno tenere a bada i propri istinti vitali saranno altrettanto tenaci nel combattere per mantenere il proprio potere nella relazione. Al contrario, coloro che si arrendono ai propri bisogni saranno più facilmente preda della sopraffazione degli altri.
Vincere o perdere nella relazione è cruciale nei contesti in cui questa semantica è centrale. Per vincere le persone possono adeguarsi a coloro che detengono una posizione superiore per trarne vantaggio o combatterli per mantenere la propria posizione di supremazia o per scalzarli. Coloro che non credono di poter migliorare la propria posizione possono arrendersi, ritirarsi dal confronto, oppure possono opporsi ai vincenti, cercando quanto meno di delegittimarne la superiorità.
La semantica del potere, secondo Ugazio (1998, 2013) caratterizza le famiglie in cui uno o più membri presentano un disturbo alimentare.
La semantica dell’appartenenza
Le emozioni, che pervadono l’esperienza dei membri delle famiglie in cui questa semantica è saliente, sono gioia/allegria, rabbia/disperazione. Gioia/allegria sono sperimentate da coloro che si sentono accettati nel gruppo a cui appartengono, mentre coloro che sono esclusi, abbandonati o defraudati di un’appartenenza a cui sentono di avere diritto provano rabbia/disperazione. La rabbia rende la persona attiva e reattiva, mentre la disperazione la consegna inerme a uno sconforto che non è possibile arginare. Coloro che sono accettati sperimentano gratitudine, mentre i membri del gruppo esclusi, o ai quali viene proposta una forma d’inclusione avvertita come minacciante la propria dignità, provano risentimento.
Inclusione–esclusione, onore-onta sono le dimensioni principali lungo le quali si sviluppa la conversazione nei contesti relazionali in cui è saliente questa semantica. L’inclusione nella famiglia, nella parentela, nella stirpe, nella comunità più ampia o, al contrario, l’esclusione e l’emarginazione dal gruppo sono la matrice entro la quale si strutturano le identità. Coloro che sono nella posizione di esclusi vivono la propria espulsione dal gruppo come un’onta, un danno irreparabile che lede la propria dignità, un sovvertimento di un ordine naturale che incrina il senso della proprio valore. L’inclusione è sentita come un onore di cui i membri che partecipano alla conversazione possono o non possono essere degni. Sebbene sempre bramata, l’appartenenza può essere rifiutata da qualche membro in nome della dignità: in talune circostanze, accettare di essere incluso può comportare un’onta anche peggiore della stessa reiezione.
In questa semantica inoltre l’appartenenza non è per lo più conquistata dall’impegno personale, ma pertiene all’individuo per nascita o per elezione. La gloria, così come l’onore e la dignità, possono non essere direttamente connessi all’appartenenza: vi è la possibilità per l’individuo escluso e reietto di conservare l’onore e la dignità e persino di raggiungere la gloria. Di certo,
quando nella famiglia la semantica dell’appartenenza ha una storia antica in cui sono coinvolte più generazioni, pecore nere, rinnegati, defraudati e dimenticati si «con-pongono» con individui onorati, degni di essere ricordati per le loro azioni, o semplicemente perché il capriccio divino li ha inclusi tra gli eletti. Nascite illegittime, diserzioni, abbandoni si accompagnano a eventi fortunati come eredità, matrimoni da favola, riconoscimenti professionali, carriere folgoranti. Con qualcuno la vita sembra essersi accanita, mentre con altri è stata particolarmente generosa. Qualche membro della famiglia è adorato, ammirato mentre altri sono ignorati o oggetto di aggressività e violenza. (Ugazio, 2013, ed. it 2012, p. 272-273).
Includere se stessi e gli altri nel proprio nucleo e nella comunità o, al contrario, escludersi o escludere sono le modalità relazionali caratteristiche e centrali in questa semantica. La condivisione in tutte le sue forme è sempre desiderata, anche se le persone cresciute in contesti in cui domina questa semantica spesso si isolano. Altrettanto centrali sono onorare, adorare o esser adorati, così come disonorare, infamare o defraudare. I partner che si posizionano dentro le conversazioni create da questa semantica possono esser colmati di ogni bene, festeggiati, celebrati, ma anche defraudati di un’appartenenza che spetta loro, così come possono appropriarsi in modo fraudolento di un nome, di una fama, di una condizione.
Ugazio (2013) ha ipotizzato che questa semantica sia caratteristicamente dominante nei contesti conversazionali dove uno o più soggetti sono propensi alla depressione cronica. Per la verità la depressione come sintomo è presente in quasi tutte le principali organizzazioni psicopatologiche.
Difficilmente ne soffrono le anoressiche, ma molto spesso le persone obese. Anche i fobici possono manifestare disturbi depressivi, specialmente gli agorafobici, la cui autostima è strutturalmente bassa perché soffrono per la loro dipendenza. Fra gli ossessivi la depressione è particolarmente frequente. (…) La principale ragione che porta le persone con disturbo narcisistico in terapia è la depressione. (Ugazio, 2013, ed. it. 2012, p. 268).
A queste difficoltà nosografiche insite in questa psicopatologia, vanno aggiunte le molte dovute ai criteri del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, per la depressione particolarmente insoddisfacenti (Wakefield, 2012). L’etichetta depressione maggiore continua ad essere così ampia anche nella quinta edizione del DSM (American Psychiatric Association [APA], 2013) da non essere discriminativa. Vi rientrano tanto persone tristi a causa di eventi di vita negativi quanto pazienti affetti da una vera e propria depressione unipolare, e il sottotipo II dei disturbi bipolari è tale da includere le depressioni unipolari. La semantica dell’appartenenza caratterizza solo alcune forme di depressione, specialmente quelle definite nosograficamente come depressioni croniche o incluse nel sottotipo II dei disturbi bipolari. Essa quindi aiuta a identificarle e differenziarle dalle depressioni che frequentemente troviamo nell’ambito della semantica della bontà e, talvolta, delle semantiche della libertà e del potere.
2. Ipotesi
Le ipotesi specifiche che questa ricerca intende testare sono qui di seguito sintetizzate da tre interrogativi.
- Ciascuna delle quattro semantiche illustrate precedentemente è presente nella conversazione terapeutica con i pazienti di cui è considerata caratteristica (gruppo target) più di quanto lo sia nella conversazione con gli altri pazienti (gruppi non target)?
Si prevede quindi che la semantica della libertà sia maggiormente presente nella conversazione con i pazienti fobici che con quelli con disturbo ossessivo, alimentare o depressivi, o privi di patologie conclamate. Lo stesso trend dovrebbe caratterizzare la conversazione terapeutica con i pazienti con disturbo ossessivo, alimentare e depressivo, dove si prevede prevalgano rispettivamente la semantica della bontà, del potere e dell’appartenenza.
- Nella conversazione con i pazienti appartenenti a ciascuna delle quattro psicopatologie considerate – a prescindere dal confronto con pazienti con altra psicopatologia – prevale la semantica critica[5] rispetto alle altre semantiche?
Si prevede quindi che la semantica della libertà nella conversazione con i pazienti fobici sia maggiormente presente della semantica della bontà, del potere e dell’appartenenza. Un trend analogo dovrebbe caratterizzare la conversazione terapeutica con i pazienti che presentano le tre altre psicopatologie considerate, dove si prevede prevalgano le altre tre semantiche critiche.
- Chi è il responsabile principale della prevalenza nella conversazione terapeutica della semantica critica?
Il paziente o il terapeuta?
La responsabilità dovrebbe ricadere principalmente sul paziente. In particolare prevediamo che:
- la maggioranza dei significati caratteristici della semantica ritenuta critica siano introdotti dal paziente;
- il terapeuta tenda ad introdurre più del paziente significati estranei alle quattro semantiche critiche (classificati come semantiche “altre” dal nostro sistema di codifica).
3. Il metodo
I partecipanti
La ricerca è stata effettuata sulle prime due sedute di 60 pazienti, di età compresa tra 17 e 59 anni (M = 35.2, DS = 9.5), di livello scolastico e socio-economico medio-alto, equidistribuiti in cinque gruppi. Quattro gruppi sono formati da pazienti affetti dalle psicopatologie oggetto di questa ricerca e uno, di confronto, da clienti che hanno chiesto la psicoterapia per problematiche esistenziali molto variegate (conflitti con il partner e/o i figli, lutti improvvisi, problemi di lavoro, crisi sentimentali, etc.). I partecipanti dei gruppi clinici presentano una psicopatologia che rispetta i criteri del DSM–IV-TR[6] (American Psychiatric Association, 2000) mentre nessun cliente del gruppo di controllo presenta sintomi e soddisfa i criteri per l’inclusione in una categoria diagnostica.
È stato effettuato un cosiddetto purpusive sampling per selezione dei casi all’interno di un archivio di più di 600 consulenze e psicoterapie sistemiche individuali, tutte videoregistrate, svolte presso l’European Institute of Systemic-relational Therapies (EIST) di Milano, un centro privato riconosciuto dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR). Dapprima sono stati selezionati tutti i casi archiviati con una diagnosi appartenente ad una delle quattro psicopatologie target. Successivamente il secondo e il terzo autore sulla base specialmente delle sedute dalla terza alla quinta, dove vengono esplorati più in profondità e in dettaglio i sintomi, hanno escluso i casi che presentavano co-morbilità o sintomatologia non prototipica: i casi scelti per ciascun gruppo diagnostico sono pazienti privi di altri disturbi che potessero dar luogo ad altre diagnosi e per i quali non sembrava possibile alcun dubbio diagnostico. I partecipanti dei quattro gruppi clinici sono quindi pazienti prototipici[7].
Procedura
Dopo aver trascritto verbatim, seguendo le indicazioni accreditate in letteratura (Mergenthaler & Stinson, 1992), le prime due sedute videoregistrate (N = 120), abbiamo codificato le opposizioni semantiche individuabili nel terzo centrale delle sedute trascritte, corrispondente in media a 26 minuti. La trascrizione e la codifica sono state effettuate in maniera indipendente da cinque ricercatori[8]. Nei casi in cui sussistevano dubbi sulla codifica si è giunti ad un accordo, ricorrendo a volte alla visione della videoregistrazione della seduta. Per verificare l’accordo intergiudici è stata effettuata una seconda codifica indipendente su 36 trascrizioni. Di queste, 28 sono equidistribuite tra i quattro gruppi clinici e le rimanenti otto appartengono al gruppo di confronto, 24 sono prime sedute, 12 sono seconde sedute.
Abbiamo scelto di centrare l’analisi sulle prime due sedute, che rappresentano la consulenza iniziale, perché l’influenza del terapeuta sulla costruzione dei significati del paziente è minore rispetto alle fasi successive del processo terapeutico. Scopo della consulenza iniziale è infatti comprendere ed inquadrare il problema portato dal paziente, esplorare la sua situazione relazionale attuale e la sua storia familiare, nonché negoziare le possibilità effettive del trattamento e la sua natura (individuale, di coppia e/o familiare).
L’analisi è circoscritta al terzo centrale di ogni seduta perché le procedure di codifica applicate sono time consuming e la durata delle sedute varia da 60 a 90 minuti (M = 78 min.). Riteniamo inoltre che il terzo centrale sia il più rappresentativo dei significati del paziente, poiché è la fase in cui si concentra maggiormente il racconto del paziente. La parte iniziale della prima seduta è dedicata – oltre che alla spiegazione del setting, alle presentazioni, alla compilazione dei moduli per il consenso al trattamento dei dati personali – al completamento dei dati biografici individuali e familiari, in parte già raccolti nei contatti telefonici che precedono l’incontro. Nella fase finale del secondo incontro, a differenza di quanto di regola si verifica nel corso della consultazione, la terapeuta interviene: sintetizza quanto emerso, fornisce spesso una prima restituzione e negozia una eventuale fase successiva del lavoro terapeutico. Con la seconda seduta si conclude infatti di norma la fase di consultazione e, se esistono le condizioni, si apre la terapia o si prolunga la consulenza.
Codifica
Ai trascritti è stata applicata la Family Semantics Grid (FSG), un sistema da noi costruito che consente di codificare le opposizioni semantiche presenti nelle conversazioni terapeutiche diadiche (Ugazio, Negri, Fellin e Di Pasquale, 2009). La FSG fornisce una definizione operativa dei concetti di polarità semantiche familiari e di semantiche familiari, la descrizione dettagliata dei significati costitutivi delle quattro semantiche familiari che si ipotizzano connesse alle psicopatologie considerate e le procedure manualizzate per rilevare tali significati nei trascritti.
Le polarità semantiche familiari sono operazionalizzate nella FSG come opposizioni semantiche attraverso le quali paziente e terapeuta si posizionano reciprocamente all’interno delle seguenti aree conversazionali: a) valori; b) definizioni di sé/altri/relazioni; c) movimenti relazionali; d) emozioni[9]. Tali posizionamenti possono essere rilevati a livello esplicito, implicito e interattivo, ognuno dei quali corrisponde a uno di questi tre tipi di polarità semantiche: narrate, narranti e interattive.
In questo articolo ci limitiamo a presentare i risultati dell’analisi delle polarità semantiche narrate, che sono quelle più aderenti al testo e che meno differenziano il concetto di Ugazio dai costrutti personali di Kelly (1955). Si tratta di opposizioni semantiche esplicite, che emergono da ciò che viene detto (polarità narrate) dai due interlocutori. Esse possono divergere dalle polarità semantiche evincibili dall’atto stesso del raccontare (polarità narranti) e dall’interazione (polarità interattive). Tuttavia, proprio perché questo tipo di polarità riguarda ciò che viene detto piuttosto che quello che viene fatto, la loro analisi presenta il vantaggio di essere meno inferenziale.
Ciascuna semantica familiare è operazionalizzata nella FSG come un insieme di 36 polarità coerenti, alimentata da una stessa opposizione emotiva, che declina i significati peculiari di ciascuna semantica nelle quattro aree conversazionali precedentemente citate (valori, definizioni sé/altri/relazioni, movimenti relazionali, emozioni). La FSG definisce le procedure standardizzate per l’individuazione nei trascritti delle polarità delle quattro semantiche illustrate precedentemente e la loro successiva classificazione. La FSG prevede anche una quinta categoria residuale – le altre semantiche – che raggruppa le polarità non riconducibili alle quattro semantiche considerate.
Analisi dei dati
È stata effettuata un’analisi log-lineare gerarchica (semantica x diagnosi x parlante)[10] per verificare le tre ipotesi. Poiché tale analisi non tiene in considerazione la variabilità relativa a ciascun soggetto, abbiamo effettuato anche le analisi per soggetto qui di seguito elencate.[11]
Per verificare la prima ipotesi abbiamo utilizzato, per il livello multivariato, il test di Kruskal-Wallis e, per il confronto a coppie tra i gruppi, il test di Mann-Whitney. Per verificare la seconda ipotesi ci siamo avvalsi del test di Wilcoxon. In queste analisi abbiamo considerato solo le polarità introdotte dai pazienti, e abbiamo utilizzato le percentuali sul totale delle polarità introdotte da ciascun paziente. In tal modo abbiamo reso comparabili i dati di ciascuno dei 60 soggetti.
Per completare i risultati delle analisi precedenti, è stata condotta una cluster analysis gerarchica, utilizzando il legame completo tra i gruppi come metodo di raggruppamento dei casi e il chi-quadrato come misura delle distanze tra essi. Anche per quest’analisi sono state considerate solo le polarità introdotte dai pazienti. La limitata numerosità dei partecipanti non ha consentito di condurre un’analisi discriminante che avrebbe permesso una verifica delle ipotesi più robusta di quanto la cluster analysis gerarchica permette.
4. Risultati
Nelle 120 sedute analizzate abbiamo rilevato complessivamente 7255 polarità semantiche narrate, in media 60.5 per seduta (DS = 25.63; range: 18–184)[12]. Il 73.9% delle polarità è introdotto dai pazienti e il 26.1% dalla terapeuta[13]; il 97.4% è accettato da entrambi gli interlocutori, mentre solo il 2.6% viene corretto, rifiutato o squalificato da uno dei due parlanti. Dei 188 casi in cui questo avviene, la terapeuta è responsabile solo di nove. Nei rimanenti 179 casi è il paziente che corregge, rifiuta o squalifica un significato suggerito dalla terapeuta. Inoltre, delle 7255 polarità semantiche narrate, 3323, pari al 45.8%, riguardano la categoria semantiche altre, formata da quelle polarità che non rientrano tra quelle delle quattro semantiche che le nostre ipotesi considerano caratteristiche delle quattro psicopatologie oggetto della ricerca.
Già da questa analisi descrittiva emerge una netta asimmetria tra paziente e terapeuta nella costruzione dei significati. Pur rimanendo un’impresa congiunta dei due partner conversazionali, il protagonista principale della costruzione dei significati in seduta è il paziente, almeno nelle prime due sedute a cui la codifica si riferisce. Come peraltro prevedibile, la categoria semantiche altre risulta la più numerosa.
La semantica critica è più presente nel gruppo target che negli altri?
I risultati dell’analisi log-lineare condotta sulle polarità introdotte da paziente e terapeuta (N = 7255), riportati nella Tabella 1 e 2[14], indicano che nei quattro gruppi target di pazienti predominano le semantiche critiche ipotizzate dalla prima e seconda ipotesi.
L’interazione diagnosi x semantica indica che la probabilità di trovare la semantica della libertà, della bontà, del potere e dell’appartenenza nella conversazione dei soggetti, rispettivamente, con disturbi fobici, ossessivo-compulsivi, alimentari e depressivi è significativamente superiore a quella di trovare ogni altro tipo di semantica. Nella conversazione con il gruppo di confronto, prevalgono invece significativamente la categoria residuale altre semantiche. La semantica della libertà, della bontà, del potere si distribuiscono equamente, mentre quella dell’appartenenza è significativamente sottorappresentata. La rappresentazione grafica delle frequenze nei gruppi ben sintetizza questi risultati (vedi Figura 1).
Tabella 1
Effetti significativi risultanti dal modello log-lineare generale (diagnosi x semantica x parlante) delle polarità semantiche introdotte da paziente e teraputa (N = 7255; Costante = 5.868).
Effetti | gdl | L²
Associazioni parziali |
||
Prim’ordine | ||||
Diagnosi [A] | 4 | 103.81* | ||
Semantica [B] | 4 | 2645.37* | ||
Parlante [C] | 1 | 1715.85* | ||
Second’ordine | ||||
[A] x [B] | 16 | 2746.02* | ||
[A] x [C] | 4 | 30.72* | ||
[B] x [C] | 4 | 30.12* | ||
Terz’ordine | ||||
[A] x [B] x [C] | 16 | 34.70** | ||
* p < .001 ** p < .01. |
Tabella 2
Percentuali e parametri standardizzati degli effetti significativi risultati dal modello log-lineare generale (diagnosi x semantica x parlante) delle polarità semantiche introdotte da paziente e teraputa (N = 7255).
Effetti | % | Stime dei parametri standardizzati | ||||||||||||||||||||||||||||
[A] | FOB | OSS | DAP | UM | CON | FOB | OSS | DAP | UM | CON | ||||||||||||||||||||
18.18 | 16.29 | 21.30 | 21.70 | 22.54 | 0.028 | -0.784 | 1.729 | 0.552 | -1.561 | |||||||||||||||||||||
[B] | Libertà | Bontà | Potere | Appartenenza | Altre | Libertà | Bontà | Potere | Appartenenza | Altre | ||||||||||||||||||||
14.51 | 8.52 | 14.80 | 16.36 | 45.80 | -3.902*** | -15.346*** | -5.462*** | -1.334 | 47.969*** | |||||||||||||||||||||
[C] | Paziente | Terapeuta | Paziente | Terapeuta | ||||||||||||||||||||||||||
73.87 | 26.13 | 27.274*** | -27.274*** | |||||||||||||||||||||||||||
[A] x [B] | FOB | OSS | DAP | UM | CON | FOB | OSS | DAP | UM | CON | ||||||||||||||||||||
Libertà | 7.71 | 1.54 | 1.85 | 1.57 | 1.85 | 20.830*** | -4.444*** | -4.202*** | -4.364*** | -2.089 | ||||||||||||||||||||
Bontà | 0.74 | 4.70 | 0.91 | 1.06 | 1.10 | -4.117*** | 18.471*** | -3.919*** | -3.129* | -0.848 | ||||||||||||||||||||
Potere | 1.59 | 1.43 | 8.27 | 1.63 | 1.89 | -3.783*** | -4.037*** | 19.816*** | -4.303*** | -2.141 | ||||||||||||||||||||
Appartenenza | 1.87 | 1.41 | 1.97 | 9.43 | 1.68 | -2.511 | -5.857*** | -4.003*** | 20.599*** | -3.538** | ||||||||||||||||||||
Altre | 6.27 | 7.21 | 8.30 | 8.01 | 16.02 | -5.332*** | -3.637** | -2.570 | -2.249 | 14.943*** | ||||||||||||||||||||
[A] x [C] | FOB | OSS | DAP | UM | CON | FOB | OSS | DAP | UM | CON | ||||||||||||||||||||
Paziente | 12.67 | 12.07 | 16.73 | 16.73 | 16.07 | -3.228** | -1.541 | 1.805 | 2.549* | 0.177 | ||||||||||||||||||||
Terapeuta | 5.51 | 4.22 | 4.96 | 4.96 | 4.46 | 3.228** | 1.541 | -1.805 | -2.549* | -0.177 | ||||||||||||||||||||
[B] x [C] | Libertà | Bontà | Potere | Appartenenza | Altre | Libertà | Bontà | Potere | Appartenenza | Altre | ||||||||||||||||||||
Paziente | 10.76 | 6.73 | 11.65 | 12.03 | 32.69 | 0.041 | 2.575* | 2.247 | -4.226*** | -2.737* | ||||||||||||||||||||
Terapeuta | 3.75 | 1.79 | 3.16 | 4.33 | 13.11 | -0.041 | -2.575* | -2.246 | 4.226*** | 2.737* | ||||||||||||||||||||
[A]
x [B] x [C] |
FOB | OSS | DAP | UM | CON | FOB | OSS | DAP | UM | CON | ||||||||||||||||||||
Paziente | Libertà | 7.69 | 1.55 | 1.96 | 1.49 | 1.88 | 1.870 | 0.578 | 0.458 | -2.612 | 0.219 | |||||||||||||||||||
Bontà | 0.73 | 4.98 | 0.99 | 1.23 | 1.18 | -0.653 | 0.449 | -0.412 | 0.964 | -0.256 | ||||||||||||||||||||
Potere | 1.62 | 1.38 | 8.92 | 1.75 | 2.09 | 0.775 | -1.442 | -0.169 | -0.576 | 1.349 | ||||||||||||||||||||
Appartenenza | 1.46 | 1.18 | 1.94 | 10.21 | 1.51 | -1.517 | -1.115 | 0.486 | 3.565** | -0.651 | ||||||||||||||||||||
Altre | 5.65 | 7.26 | 8.29 | 7.97 | 15.10 | -0.114 | 2.509 | -0.350 | -1.112 | -1.187 | ||||||||||||||||||||
Terapeuta | Libertà | 7.75 | 1.53 | 1.53 | 1.79 | 1.74 | -1.870 | -0.578 | -0.458 | 2.612 | -0.219 | |||||||||||||||||||
Bontà | 0.79 | 3.90 | 0.69 | 0.58 | 0.90 | 0.653 | -0.449 | 0.412 | -0.964 | 0.256 | ||||||||||||||||||||
Potere | 1.48 | 1.58 | 6.43 | 1.27 | 1.32 | -0.775 | 1.442 | 0.169 | 0.576 | -1.349 | ||||||||||||||||||||
Appartenenza | 3.06 | 2.06 | 2.06 | 7.23 | 2.16 | 1.517 | 1.115 | -0.486 | -3.565** | 0.651 | ||||||||||||||||||||
Altre | 8.02 | 7.07 | 8.33 | 8.12 | 18.62 | 0.114 | -2.509 | 0.350 | 1.112 | 1.187 | ||||||||||||||||||||
Note. FOB = gruppo dei disturbi fobici, OSS = gruppo dei disturbi ossessivo-compulsivi, DAP = gruppo dei disturbi alimentari psicogeni, UM = gruppo dei disturbi dell’umore, CON = gruppo di confronto.
* p < .05 ** p < .01 *** p < .001 (significatività a due code, corretta per i gradi di libertà).
Figura 1. Le polarità, raggruppate per semantica, emergenti dalle conversazioni terapeutiche con i cinque gruppi di pazienti (FOB = gruppo dei disturbi fobici, OSS = gruppo dei disturbi ossessivo-compulsivi, DAP = gruppo dei disturbi alimentari psicogeni, DEP = gruppo dei disturbi dell’umore, CON = gruppo di confronto).
Le prime due ipotesi ottengono così una prima conferma: la distribuzione delle semantiche entro e tra i gruppi segue la direzione prevista.
Una conferma più robusta della prima e della seconda ipotesi è stata ottenuta dalle analisi per soggetti, condotte sulle percentuali di polarità appartenenti alle diverse semantiche espresse da ciascun paziente (vedi Tabella 3). Sono state escluse da queste analisi le polarità introdotte dalla terapeuta, perché il suo contributo risulta dall’analisi log-lineare (vedi effetto principale parlante) significativamente minore di quello del paziente.
Il test di Kruskal-Wallis evidenzia infatti differenze significative tra le percentuali medie dei cinque gruppi (quattro clinici e uno di confronto) nella semantica della libertà, della bontà, del potere, dell’appartenenza e nelle semantiche altre (rispettivamente: χ2 (4) = 32.555, p < .001; χ2 (4) = 28.051, p < .001; χ2 (4) = 29.550, p < .001; χ2 (4) = 28.933, p < .001; χ2 (4) = 33.192, p < .001). Il test di Mann-Whitney ci permette di chiarire la direzione delle differenze. La percentuale media di opposizioni semantiche pertinenti alla semantica della libertà è significativamente più alta nel gruppo con disturbo fobico rispetto a tutti gli altri (U = 0, p < .001 per tutti e 4 i confronti). Anche la percentuale media delle polarità nella semantica della bontà è significativamente più alta nel gruppo degli ossessivi (U = 0, p < .001 per il confronto con il gruppo dei fobici, dei depressi e dei disturbi alimentari; U = 3, p < .001 per il confronto con il gruppo asintomatico). Lo stesso accade per la semantica del potere nel gruppo dei disturbi alimentari (U = 0, p < .001 per tutti e 4 i confronti) e per quella dell’appartenenza nel gruppo dei depressi (U = 0, p < .001 per tutti e 4 i confronti). Le polarità incluse nelle semantiche altre prevalgono significativamente nel gruppo di confronto (U = 0, p < .001 per il confronto con il gruppo dei fobici, degli ossessivi e dei disturbi alimentari; U = 1, p < .001 per il confronto con il gruppo dei depressi). La prima ipotesi risulta quindi pienamente confermata anche da quest’analisi che tiene conto della variabilità individuale: i gruppi target, se posti a confronto, si differenziano nelle semantiche introdotte nella conversazione e in ciascuno prevale la semantica critica.
Tabella 3
Le polarità (N = 5359), raggruppate per semantica, introdotte dai cinque gruppi di pazienti nella conversazione terapeutica: frequenze medie, percentuali medie e mediane delle percentuali delle frequenze.
Semantiche | ||||||||||||
Gruppi | Libertà | Bontà | Potere | Appartenenza | Altre | |||||||
Disturbi fobici | ||||||||||||
Frequenze medie | 34.3 | 3.3 | 7.3 | 6.5 | 25.3 | |||||||
Percentuali medie | 45.9a° | 4.4b< | 9.7c< | 8.1d< | 31.9e< | |||||||
Mediana delle percentuali | 46.3 | 4.5 | 10.4 | 5.2 | 32.9 | |||||||
Disturbi ossessivo-compulsivi | ||||||||||||
Frequenze medie | 6.9 | 22.3 | 6.2 | 5.3 | 32.4 | |||||||
Percentuali medie | 11.5a< | 30.4b° | 8.3c< | 7.5d< | 42.3e> | |||||||
Mediana delle percentuali | 9.6 | 31.5 | 8.2 | 7.6 | 45.7 | |||||||
Disturbi alimentari | ||||||||||||
Frequenze medie | 8.8 | 4.4 | 39.8 | 8.7 | 37.0 | |||||||
Percentuali medie | 8.9a< | 4.2b< | 40.8c° | 8.5d< | 37.6e | |||||||
Mediana delle percentuali | 8.0 | 3.1 | 41.8 | 9.4 | 38.1 | |||||||
Disturbi dell’umore | ||||||||||||
Frequenze medie | 6.7 | 5.5 | 7.8 | 45.6 | 35.6 | |||||||
Percentuali medie | 5.6a< | 4.2b< | 7.6c< | 48.8d° | 33.8e< | |||||||
Mediana delle percentuali | 3.9 | 4.3 | 6.1 | 49.3 | 33.2 | |||||||
Confronto | ||||||||||||
Frequenze medie | 8.4 | 5.3 | 9.3 | 6.8 | 67.4 | |||||||
Percentuali medie | 8.4a< | 5.9b< | 9.1c< | 7.1d< | 69.5e° | |||||||
Mediana delle percentuali | 7.5 | 3.8 | 8.4 | 4.6 | 68.9 | |||||||
Totale | ||||||||||||
Frequenze medie | 13.0 | 8.1 | 14.8 | 14.5 | 39.5 | |||||||
Percentuali medie | 16.0 | 9.9 | 15.1 | 16.0 | 43.0 | |||||||
Mediana delle percentuali | 9.5 | 5.3 | 10.4 | 8.6 | 39.7 |
Note. Le percentuali con il medesimo pedice sono statisticamente differenti tra loro (α = .001) al test di Kruskal-Wallis. Le percentuali delle semantiche critiche sono in grassetto.
° percentuali statisticamente differenti da quelli di qualsiasi altro gruppo al test Mann-Whitney’ (confronto per colonne; p < .001 con la correzione di Bonferroni).
< percentuali statisticamente inferiori a quelli della semantica critica di ciascun gruppo al test di Wilcoxon (confronto per righe; p < .05 con la correzione di Bonferroni).
> percentuali statisticamente superiori a quelli della semantica critica di ciascun gruppo al test di Wilcoxon (confronto per righe; p < .05 con la correzione di Bonferroni).
All’interno di ciascun gruppo clinico la semantica critica prevale sulle altre?
Il test di Wilcoxon ci consente di rispondere positivamente a questa domanda. Se escludiamo la categoria semantiche altre, prevale nella conversazione terapeutica di ciascun gruppo target la semantica critica: quella della libertà nei soggetti con disturbo fobico (libertà vs. bontà: z = -3.059, p < .05; libertà vs. potere: z = -3.059, p < .05; libertà vs. appartenenza: z = -3.059, p < .05), quella della bontà nei soggetti con disturbo ossessivo (bontà vs. libertà: z = -2.746, p < .05; bontà vs. potere: z = -2.824, p < .05; bontà vs. appartenenza: z = -3.059, p < .05) quella del potere nei soggetti con disturbo alimentare (potere vs. libertà: z = -3.059, p < .05; potere vs. bontà: z = -3.059, p < .05; potere vs. appartenenza: z = -3.059, p < .05), quella dell’appartenenza nei soggetti con disturbo depressivo (appartenenza vs. libertà: z = -3.059, p < .05; appartenenza vs. bontà: z = -3.059, p < .05; appartenenza vs. potere: z = -3.059, p < .05). Nella conversazione del gruppo di confronto invece le semantiche altre prevalgono su tutte (altre vs. libertà: z = -3.059, p < .05; altre vs. bontà: z = -3.059, p < .05; altre vs. potere: z = -3.059, p < .05; altre vs. appartenenza: z = -3.059, p < .05). Risulta così verificata anche la seconda ipotesi.
È il paziente che introduce la semantica critica?
L’analisi log-lineare, su cui ci siamo già soffermati, evidenzia che il contributo del paziente nell’introduzione delle opposizioni semantiche nella conversazione è significativamente superiore di quello della terapeuta (vedi Tabella 2: effetto principale parlante). Emerge inoltre che la terapeuta introduce nella conversazione un numero di polarità che devono essere inserite nella categoria altre semantiche proporzionalmente maggiore rispetto al paziente (vedi semantica x parlante). Anche la terza ipotesi risulta quindi verificata.
I dati dimostrano altresì che anche la terapeuta contribuisce alla prevalenza della semantica critica. Non c’è infatti differenza significativa nella proporzione con cui paziente e terapeuta fanno ricorso alla semantica critica in quattro dei cinque gruppi (vedi semantica x parlante x diagnosi). Soltanto con il gruppo di partecipanti con disturbo dell’umore la terapeuta introduce la semantica dell’appartenenza in misura significativamente minore dei pazienti. È interessante notare che, se si considera l’insieme dei 60 partecipanti, l’appartenenza è l’unica semantica critica che la terapeuta introduce in misura significativamente superiore ai clienti (vedi semantica x parlante). Ovviamente questi dati sono proporzionali al numero di opposizioni semantiche introdotte dalla terapeuta, che, come si è già detto, sono significativamente inferiori a quelli espressi dai pazienti. Inoltre, l’analisi non differenzia le opposizioni semantiche introdotte per la prima volta dalla terapeuta da quelle che la terapeuta riprende dal paziente.
Poiché tutte le ipotesi sono state confermate abbiamo verificato se fosse possibile attribuire i pazienti al gruppo diagnostico di appartenenza soltanto in base al profilo delle semantiche da loro espresse nella conversazione. Abbiamo quindi effettuato una cluster analysis sui profili di frequenze delle varie semantiche, presentati dai 60 pazienti. I risultati mostrano 5 gruppi ben distinti (vedi Figura 2), completamente sovrapponibili a quelli diagnostici, tranne per un paziente, diagnosticato come ossessivo- compulsivo, che viene collocato insieme ai soggetti del gruppo di confronto. La cluster analysis conferma che è possibile, nella quasi totalità dei casi, distinguere i 5 gruppi in base ai significati polari da loro espressi.
Figura 2. Cluster analysis: pazienti raggruppati in base alle semantiche delle polarità da loro introdotte nella conversazione terapeutica (N = 5359; FOB = gruppo dei disturbi fobici, OSS = gruppo dei disturbi ossessivo-compulsivi, DAP = gruppo dei disturbi alimentari psicogeni, UM = gruppo dei disturbi dell’umore, CON = gruppo di confronto).
5. Discussione
I pazienti con disturbi fobici, ossessivi, alimentari e depressivi introducono nella conversazione terapeutica significati prevalentemente riconducibili, rispettivamente, alla semantica della libertà, della bontà, del potere e dell’appartenenza. Questo risultato conferma una delle tesi principali del modello psicopatologico di Ugazio (1998, 2013). Nello stesso tempo avvalora la connessione fra semantica e psicopatologia, ipotizzata inizialmente da Guidano e Liotti (1983) e sviluppata da Guidano (1987, 1991) e da altri cognitivisti che si sono ispirati al suo modello (Arciero e Bondolfi, 2009; Bara, 2005; Mannino, 2005; Neimeyer e Raskin, 2000; Picardi, 2003; Villegas, 1995, 1997, 2000, 2004). Il legame fra psicopatologia e semantica risulta infatti accertato per le quattro psicopatologie più frequenti nella pratica clinica, e non soltanto per una singola organizzazione psicopatologica come altre ricerche erano già state in grado di dimostrare (Castiglioni, Faccio, Veronese, Bell, 2013; Castiglioni, Veronese, Pepe, Villegas, 2014; Negri, Zanaboni, Fellin, 2007; Ugazio, Negri, Fellin 2011; Ugazio, Negri, Zanaboni, Fellin, 2007) utilizzando le FSG (Ugazio et al. 2009) o altri strumenti, tra cui le Griglie di repertorio di Kelly (1955). Per lo meno per le organizzazioni fobiche e depressive, i risultati emersi possono inoltre essere considerati una verifica anche delle ipotesi degli autori cognitivisti citati. Sono stati per primi Liotti e Guidano (1983) ad aver ipotizzato che la paura domini le organizzazioni fobiche e che rabbia/disperazione caratterizzino le organizzazioni depressive. Queste emozioni, sebbene come si è visto per Ugazio (1998, 2013) non esauriscano né i significati, né le emozioni che caratterizzano la semantica della libertà e dell’appartenenza, ne sono però alla base.
La ricerca fornisce indicazioni sul processo di costruzione dei significati fra paziente e terapeuta. I risultati dimostrano che i pazienti (a prescindere dalla psicopatologia) utilizzano parimenti la semantica critica e le semantiche che abbiamo chiamate altre, che includono la vastissima varietà di significati estranei alle semantiche della libertà, della bontà, del potere e dell’appartenenza. È un risultato cui va dato rilievo perché dimostra che una semantica, anche quando domina la conversazione (come accade nei gruppi clinici con le semantiche critiche), non la satura mai. Il contesto intersoggettivo dei pazienti presenta sempre numerose polarità oltre a quella critica. Come afferma Ugazio (2013):
In tutte le famiglie vi sono più semantiche salienti. I processi schismogenetici tendono a ridurre la varietà delle semantiche attorno alle quali si organizza la conversazione, ma non la eliminano. Di conseguenza la storia di ciascuno è definita dalla sua posizione rispetto a più polarità semantiche. Per quanto una singola semantica possa assumere una notevole centralità nella conversazione della famiglia e un ruolo centrale nel definire la posizione di un membro, essa non esaurisce le possibilità conversazionali di cui l’individuo dispone. La sua posizione gli rende sempre accessibili storie diverse da quelle generate dalla sua posizione rispetto alla semantica critica. (Ugazio 2013, ed. it 2012, p. 320).
Per quanto prototipici, i pazienti della nostra ricerca si sono dimostrati dotati, come tutte le persone in carne ed ossa, di una capacità di interagire entro una gamma di significati più ampia di quella propria della semantica critica.
La ricerca conferma l’asimmetria della relazione terapeutica. La responsabilità principale della natura dello scambio semantico è del cliente che introduce i due terzi delle opposizioni semantiche. La terapeuta non è comunque un’ascoltatrice passiva e contribuisce alla stessa prevalenza delle semantiche critiche. È un dato che non stupisce: “è un processo inevitabile al quale il terapeuta non può inizialmente sottrarsi” (Ugazio, 2013, ed. it 2012, p. 321). Soprattutto nelle prime sedute di consulenza, il terapeuta è impegnato in una continua verifica della propria comprensione del mondo del paziente attraverso domande e osservazioni che chiarificano, ripetono e riprendono i significati espressi dal paziente espandendoli o restringendoli. Comprendere e parlare il linguaggio del paziente aiuta inoltre il terapeuta a creare e consolidare l’alleanza terapeutica, senza la quale la terapia è difficile se non impossibile. Si aggiunga che proprio perché la posizione del paziente entro la semantica critica è particolarmente conflittuale, il terapeuta deve consentire ai pazienti di esprimere le proprie difficoltà a posizionarsi entro questa semantica, aiutandoli a chiarire la propria posizione rispetto a quella degli altri membri della famiglia. Anche il terapeuta contribuisce così a porre la semantica critica al centro della conversazione.
I risultati mostrano anche un movimento della terapeuta che va nella direzione opposta. Già in queste prime sedute di consulenza, inizia ad ampliare il repertorio dei contenuti semantici del paziente. È infatti emerso che la terapeuta utilizza proporzionalmente più dei pazienti le semantiche che abbiamo chiamato “altre”, che includono tutti i significati che non rientrano nelle quattro semantiche sistematicamente connesse alle quattro psicopatologie di cui ci siamo occupati. È una prima cauta mossa che va nella direzione del cambiamento. Secondo Ugazio (1998; 2013) parte del lavoro terapeutico è finalizzato ad aprire il mondo del paziente e della sua famiglia a nuovi significati, capaci di fornire a ciascun membro chiavi di lettura del suo contesto attuale, di se stesso, della storia individuale e familiare diverse da quelle di cui dispone.
Se l’esperienza terapeutica non intende limitarsi a provocare aggiustamenti della posizione del paziente entro un’organizzazione semantica che non viene nella sostanza modificata, la conversazione terapeutica dovrà rendere salienti dimensioni semantiche diverse da quella critica (Ugazio, 2013, ed. it. 2012, p. 321).
Naturalmente le fasi in cui il processo di cambiamento diventa centrale non sono quelle iniziali, tuttavia la ricerca mostra che, già durante le prime due sedute di consultazione, la terapeuta, si presume intenzionalmente, fa qualche passo per rendere disponibili al paziente nuove possibilità di narrazione della propria storia e dei propri positioning in essa.
Nonostante la loro rilevanza clinica, i risultati che si riferiscono alla dinamica paziente-terapeuta devono essere trattati con cautela, perché non è stata effettuata una analisi per soggetti che li confermasse. A causa della ridotta numerosità delle occorrenze relative ai contrasti semantici espressi dalla terapeuta con ciascuno dei partecipanti, non si è inoltre potuto tener conto della distinzione – cruciale – fra significati introdotti per la prima volta nella conversazione dalla terapeuta e significati da lei ripresi dagli interventi precedenti del paziente e rielaborati.
La ricerca presenta un risultato sorprendente, fornito dalla cluster analysis. Cinquantanove su sessanta partecipanti alla ricerca sono stati assegnati al corretto gruppo clinico in base unicamente ai profili delle frequenze con cui avevano utilizzato le semantiche nella conversazione terapeutica. L’unico collocato nella categoria diagnostica “sbagliata” è stato un paziente ossessivo, inserito dalla cluster analysis nel gruppo di confronto. La sola analisi semantica sembrerebbe quindi capace di attribuire il paziente al suo corrispondente gruppo diagnostico. Se questo risultato fosse confermato la semantica si configurerebbe come una dimensione diagnostica utile a quanti sono interessati ad una comprensione del paziente ai fini del cambiamento terapeutico.
Allo psicofarmacologo può essere forse sufficiente una diagnosi nosografica perché il suo obiettivo è stabilire il farmaco appropriato ad una determinata categoria di pazienti. Non altrettanto si può dire per lo psicoterapeuta. Quest’ultimo ha bisogno di una diagnosi che lo aiuti a capire il paziente e il suo mondo relazionale, gli fornisca un primo orientamento su come relazionarsi con lui/lei e quale piano di trattamento seguire. La semantica che caratterizza il mondo del paziente risponde a questi obiettivi. La sua individuazione consente di prevedere orientativamente i vincoli e le risorse non solo del paziente ma anche dei contesti conversazioni entro cui si è sviluppato. Ogni semantica può infatti essere vista come un insieme di possibilità e di vincoli costruitisi nel corso di una storia, che può coinvolgere alcune generazioni o essere circoscritta all’ultima. La sua conoscenza consente di anticipare le modalità relazionali del paziente soprattutto nell’interazione con il terapeuta e di capire in quale posizione il terapeuta può finire per trovarsi nei confronti del paziente. Il terapeuta, anche se a volte non ne è consapevole, soprattutto all’inizio della terapia, si con-pone inevitabilmente nella semantica del paziente. Capire la sua posizione è cruciale per il progetto terapeutico.
Alcune storie terapeutiche possibili entro una semantica, nel senso di produttive, facili da attuare, capaci di stimolare il cambiamento, sono proibite per un’altra, nel senso che sono difficili da sviluppare, incapaci di promuovere le risorse, destinate a sollecitare dropout o circuiti disfunzionali. (Ugazio, 2013, ed. it. 2012, p.314-315).
La semantica, intesa come dimensione diagnostica, offre la possibilità di formulare diagnosi più discriminative soprattutto nei confronti di patologie dove le descrizioni nosografiche tradizionali risultano particolarmente insoddisfacenti. Ci riferiamo alla depressione dove i limiti del DSM (APA, 2000, 2013) sono palesi (Greenberg, 2010; Horwitz e Wakefield, 2007; Wakefield, 2012), ma anche ai disturbi alimentari e, in parte ai disturbi d’ansia. Diagnosi categoriali che tengono conto soltanto dei sintomi sono troppo ampie per essere utili ai fini della terapia. Un’analisi del profilo semantico può ad esempio permettere di distinguere una depressione entro la semantica della bontà da un’altra maturata nella semantica del potere o dell’appartenenza. Pur rientrando nei criteri per la depressione maggiore del DSM-5 (APA, 2013), queste depressioni si configurano come estremamente diverse nel decorso, nella prognosi e richiedono forme di trattamento differenti.
La semantica è inoltre una dimensione diagnostica contestuale e culturale. Si evince dalla conversazione con il terapeuta ed è espressione della micro cultura familiare entro cui la psicopatologia si sviluppa ma anche del contesto culturale più ampio (Ugazio, 1998, 2013).
Questo approccio semantico riapre il dibattito – che il prevalere di un orientamento biologico in psichiatria vorrebbe chiudere – sull’origine sociale della psicopatologia, per lo meno per le quattro psicopatologie oggetto di questa ricerca. L’esigenza di disporre di valutazioni clinicamente utili – ad integrazione o in sostituzione dei costrutti diagnostici tradizionali categoriali – è stata per altro sostenuta da molti clinici (Brown e Barlow, 2009; Cooper e Balsis, 2009; Mullins-Sweatt e Widiger, 2009; Shedler e Westen, 2004; Smith, McCarthy, Zaposki, 2009; Smith e Oltmanns, 2009 Westen, Shedler, Bradley, 2006; Widiger, Livesley, Clark, 2009) in occasione del dibattito che ha accompagnato la revisione del DSM–IV–TR (APA, 2000). La recente pubblicazione del DSM-5 (APA, 2013) ha purtroppo disatteso questa aspettativa: le misure integrative inserite nella sezione III lasciano poco spazio ad una vera comprensione multidimensionale della situazione clinica del paziente. Anche lo strumento introdotto per l’indagine della personalità che avrebbe dovuto costituire “un modello alternativo per la diagnosi dei disturbi di personalità” (p. 849) si limita in realtà a vagliare solo alcune “varianti disadattive” (p. 897) dei “Big Five”: affettività negativa (in contrapposizione a stabilità emotiva), distacco (in contrapposizione a estroversione), antagonismo (in contrapposizione a arrendevolezza), disinibizione (in contrapposizione a coscienziosità), e psicoticismo (in contrapposizione a lucidità mentale). Non sono invece considerati aspetti dimensionali della personalità che possano essere espressione non solo dei vincoli ma anche delle risorse del paziente.
I risultati qui discussi sono promettenti. Innanzitutto essi forniscono una convalida empirica del modello di Ugazio (1998; 2013): la connessione tra psicopatologia e significati è stata ulteriormente confermata. Abbiamo inoltre sottolineato i vantaggi che derivano dall’utilizzazione della dimensione “semantica” nel processo diagnostico. Siamo tuttavia consapevoli dei limiti della nostra ricerca. Il primo è di tipo metodologico: tutte le sedute sono state condotte dalla stessa terapeuta, che è anche la creatrice del modello delle polarità semantiche familiari. Non possiamo quindi escludere che, almeno inconsapevolmente, possa aver contribuito alla costruzione di significati dei suoi pazienti coerenti con la sua teoria. Tuttavia, i nostri risultati mostrano che è il paziente ad offrire il contributo maggiore. Il terapeuta gioca un ruolo semantico marginale nelle prime sedute in cui non ha ancora avuto la possibilità di formulare una diagnosi nosografica e ermeneutica. Per evitare di connotare il contesto come medico, il terapeuta non indaga sui sintomi all’inizio. Le informazioni diagnostiche sono raccolte nelle sedute successive. Va inoltre sottolineato che altri ricercatori hanno trovato risultati simili nelle interviste di ricerca usando strumenti come le griglie di repertorio (Faccio, Belloni, Castelnuovo, 2012) o l’autocaratterizzazione (Veronese, Romaioli, Castiglioni, 2012). Tuttavia, per ottenere conclusioni più attendibili è necessario ripetere questa ricerca usando trascritti di sedute condotte da terapeuti che non conoscono il modello o che adottano approcci terapeutici differenti. Un primo sforzo è stato fatto da due di noi (Ugazio e Fellin, 2016) in una ricerca recente nella quale è stata analizzata una terapia di coppia videoregistrata e trascritta, condotta da Jaako Seikkula in un contesto finlandese.
Un secondo limite è il numero dei partecipanti. È necessario ampliarlo e includervi partecipanti provenienti da altre culture. Questo limite ci ha impedito di svolgere alcune analisi che avrebbero consentito di approfondire ad esempio la dinamica dello scambio semantico paziente-terapeuta. Tutti i dati finora raccolti che confermano il modello delle polarità semantiche familiari, inclusi quelli derivanti da ricerche svolte da colleghi, provengono da contesti europei. Sarebbe inoltre utile ripetere questa ricerca usando trascritti di sedute condotte con approcci terapeutici diversi.
Inoltre le polarità qui esplorate sono quelle narrate, più simili ai costrutti personali di Kelly (1955) che alle polarità semantiche vere e proprie o ai costrutti familiari di Procter (1996), che hanno molti aspetti in comune con le polarità semantiche. Un’analisi delle polarità interattive fornirebbe un’ulteriore e più significativa verifica del modello delle polarità semantiche. La ricerca non prende altresì in considerazione la posizione del paziente entro la semantica critica, posizione che per Ugazio (1998; 2013) ha un ruolo centrale nello sviluppo della psicopatologia. Il funzionamento normale non si differenzia da quello patologico né quantitativamente né qualitativamente per le semantiche coinvolte. La differenza risiede nella difficoltà esperita dal soggetto che sviluppa una psicopatologia nel posizionarsi entro la semantica critica, difficoltà che assume le sembianze di un dilemma (Cronen et al. 1982; Feixas e Saùl, 2004; Feixas, Saul, Avila-Espada, 2009). I significati relativi alla semantica critica rimangono impigliati in una serie di prospettive inconciliabili e continuamente slittanti che rendono impossibile al soggetto trovare una composizione accettabile con gli altri partner conversazionali.
Va infine sottolineato che difficilmente dati altrettanto netti si sarebbero potuti ottenere con partecipanti meno prototipici. Questo vale soprattutto per alcune delle categorie diagnostiche considerate, prima fra tutte la depressione. I casi inclusi nel gruppo dei disturbi dell’umore non avevano sofferto semplicemente di umore depresso e degli altri sintomi per un paio di settimane (il periodo minimo sufficiente secondo i criteri previsti dal DSM IV e 5 [APA, 2010, 2013] per una diagnosi di depressione maggiore). Quasi tutti i pazienti inseriti nel gruppo diagnostico dei pazienti depressi soffrivano, da almeno sei mesi, di una grave depressione, con insonnia persistente, idee suicidarie, grave difficoltà di concentrazione. Inoltre circa la metà soffrivano di depressione da diversi anni e avevano messo in atto tentativi di suicidio. Anche la maggior parte dei soggetti inclusi tra gli altri gruppi clinici presentava una sintomatologia severa e aveva alle spalle una lunga storia di malattia.
Ci auguriamo che questo contributo, seppur parziale, risvegli l’interesse di clinici e ricercatori per una psicopatologia esplicativa, che concepisca la diagnosi come uno strumento per impostare il processo terapeutico e avviare processi di trasformazione e cambiamento, piuttosto che come uno strumento finalizzato alla prescrizione di farmaci o alla assegnazione di etichette stigmatizzanti.
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Note sugli autori
Valeria Ugazio
European Institute of Systemic-relational Therapies di Milano e Università di Bergamo
Psicologa e psicoterapeuta. Svolge la propria attività terapeutica e formativa a Milano dove dirige l’European Institute of Systemic-relational Therapies, (www.eist.it) che ha fondato nel 1999. È professore ordinario di Psicologia Clinica presso l’Università degli Studi di Bergamo. Ha elaborato la teoria delle polarità semantiche familiari ed è autrice di numerose pubblicazioni internazionali, tra cui Storie permesse e storie proibite (Torino: Bollati Boringhieri, 1998, 2012; New York: Routledge, 2013). E’ nel board di numerose riviste tra cui il Journal of Constructivist Psychology; Contemporary Family therapy, Journal of Family Therapy, Human Systems. The Journal of Therapy, Consultation and Training, TPM. Testing, Psychometrics and Methodology in Applied Psychology.
Lisa Fellin
School of Psychology, University of East London, UK
Psicologa clinica e psicoterapeuta sistemico-relazionale, è Research Director del Professional Doctorate in Counselling Psychology dell’University of East London, presso cui coordina anche il corso di Family & Systemic Therapies del Master in Clinical & Community Psychology. E’ didatta presso l’European Institute of Systemic-relational Therapies. E’ Associate Editor del Journal of Family Therapy e membro dell’Editorial Board di Eating and Weight Disorders e di altre riviste internazionali. È membro co-fondatore dell’European Family Therapy Research Group (EFTRG).
Atta’ Negri
Università di Bergamo
Psicologo clinico e psicoterapeuta. E’ professore aggregato di Psicologia dinamica presso l’Università degli Studi di Bergamo. E’ membro aggregato della Società italiana di psicoanalisi della relazione.
Note
- Articolo originale, ripubblicato con il permesso dell’Editore, Taylor & Francis LLC (http://tandfonline.com):Valeria Ugazio, Attà Negri, Lisa Fellin (2015). Freedom, Goodness, Power, and Belonging: The Semantics of Phobic, Obsessive-Compulsive, Eating, and Mood Disorders, Journal of Constructivist Psychology, 28:4, 293-315, DOI: 10.1080/10720537.2014.951109. ↑
- Original article reprinted by permission of Taylor & Francis LLC (http://tandfonline.com). ↑
- Vedi Castiglioni, Faccio, Veronese e Bell (2013); Castiglioni, Veronese, Pepe e Villegas (2014); Faccio, Belloni e Castelnuovo (2012); Ugazio, Negri, Zanaboni e Fellin, 2007; e Ugazio, Negri, Zanaboni e Fellin (2007). ↑
- L’aggettivo “astinente” conferisce una specifica accezione alla bontà come noluntas (Shopenhauer, 1819/1969). In molte culture occidentali la polarità “abnegazione-affermazione di sé” non esprime un ordine morale predefinito, ma qui l’abnegazione e la bontà (astinente) esprimono il polo positivo perché richiedono un passo indietro rispetto alla vita, mentre l’affermazione di sé e la cattiveria connotano caratteristiche negative ma vitali (assimilabili alla voluntas shopenhaueriana). ↑
- Con l’espressione “semantica critica” intendiamo la semantica ritenuta da Ugazio (1998, 2013) caratteristica di una specifica organizzazione psicopatologica. ↑
- Il DSM-5 non era ancora stato pubblicato quando è stata effettuata questa ricerca. ↑
- Quarantacinque casi di questo campione erano presenti nel campione di tre articoli precedenti, di cui uno pubblicato in inglese (Ugazio, Negri e Fellin, 2009); quindici casi invece sono nuovi. Sono stati eliminati cinque casi dai 50 del campione del 2009 per due ragioni: essi erano casi (2) trattati molti anni addietro (prima del 2000) o terapie individuali (3) precedute da consultazioni di coppia. Quindi l’attuale campione è più omogeneo del precedente. L’articolo del 2009 presentava solo l’attendibilità dei risultati del nostro strumento di codifica (FSG). Tutte le analisi qui presentate sono nuove. ↑
- Ringraziamo Marta Sconci, Michela Scramuzza ed Emanuele Zanaboni per il loro aiuto nel trascrivere e codificare parte delle sedute. ↑
- La theory of coordinated management of meaning (Cronen et al., 1982; Pearce e Cronen, 1980) definisce queste aree (valori, definizioni di sè/altri/relazioni, modalità di relazione ed emozioni) come realtà sociali create dalla conversazione e le chiama “livelli di contesto”. Anche la Positioning Theory (Harré e Langenhove, 1999) identifica queste aree come le principali realtà create dalla conversazione. ↑
- La variabile parlante indica chi ha introdotto la polarità nella conversazione (paziente o terapeuta), la diagnosi il gruppo diagnostico del paziente (fobico, ossessivo-compulsivo, alimentare, depressivo e esistenziale), la risposta il grado di condivisione della polarità con l’interlocutore (accettata, rifiutata, corretta, squalificata), e infine la semantica indica la semantica di cui la polarità è parte (libertà, bontà, potere, appartenenza). La variabile risposta non è stata introdotta nelle analisi per l’elevato numero di celle vuote o con frequenza attesa inferiore a 5 unità. ↑
- Abbiamo optato per analisi non parametriche in quanto consideriamo le frequenze come misure su scala ordinale delle variabili. ↑
- Su 36 delle 120 sedute l’accordo intergiudici nella selezione dei brani di testo contenenti le polarità semantiche è stato dell’82.1% (83.7% per le prime sedute e 79.0% per le seconde), mentre il calcolo del K di Cohen relativo alla classificazione delle polarità alle rispettive semantiche è pari a .79 (.82 per le prime sedute e .73 per le seconde). ↑
- La percentuale comprende sia le polarità introdotte nella conversazione per la prima volta dalla terapeuta sia quelle che riprende dagli interventi del paziente. ↑
- Il modello selezionato è quello generale, poiché tutti gli effetti, compresi quelli di terz’ordine, sono necessari per descrivere la variabilità dei dati. ↑
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