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Costruzioni preverbali

di Fay Fransella

Preverbal construing

Traduzione a cura di
Davide Scapin e Cecilia Pagliardini

Abstract

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“Un costrutto preverbale è un costrutto che continua ad essere utilizzato anche se non ha un’espressione simbolica coerente con esso. Potrebbe essere stato generato, ma non è detto, prima che la persona abbia la padronanza del linguaggio” (Kelly, 1955/1991, Vol. 2, pag. 6).

 

Kelly ha scelto di trattare quello che alcuni sistemi teorici psicologici chiamano inconscio dicendo che noi costruiamo a diversi livelli di consapevolezza cognitiva. Ai livelli più bassi della consapevolezza cognitiva ci sono i costrutti preverbali, la sommersione e la sospensione. La costruzione preverbale in particolare, in accordo con l’opinione generalmente accettata, gioca un ruolo maggiore rispetto al fatto che gran parte del senso che diamo al nostro mondo non coinvolge il “pensiero” cosciente.

 

Sebbene Kelly affermi nella sua definizione che il termine si riferisce ad un processo che può o meno essere stato creato prima della nascita del linguaggio, in pratica esso descrive le discriminazioni che abbiamo operato tra gli eventi prima di aver imparato alcuna lingua. Le discriminazioni che un bambino opera in età molto precoce tra i “volti” non hanno etichette verbali ad essi associate. Il “volto” che appare regolarmente, emette piacevoli rumori e mi mette a mio agio è diverso da tutti gli altri “volti”. Poiché queste prime discriminazioni riguardano coloro che si prendono cura del bambino, molto spesso sono collegate ai bisogni di dipendenza.

 

A volte queste discriminazioni preverbali tra gli eventi nell’infanzia non ricevono mai etichette verbali ad esse connesse. Mentre cresciamo tali costrutti preverbali ci possono causare problemi. Essi possono entrare in gioco quando incontriamo uno sconosciuto che ci provoca una reazione istintiva che “ci fa dire” che questa persona non ci piace. Oppure possono causare problemi più seri nella vita adulta, come quando una bambina inizia a costruire se stessa come non amabile. Per il bambino questo potrebbe non essere un problema, ma “semplicemente come stanno le cose”. In età adulta però lo può diventare. Per esempio, ci sono donne che dicono di non riuscire mai a mantenere una relazione stabile con un uomo. Tutto sembra andare bene per un po’, ma alla fine il rapporto si interrompe. La donna che si sente “non amabile” è semplicemente incapace di cambiare questa visione nucleare di sé stessa. Quindi ritornerà a questa modalità, a volte distruttiva, di costruirsi – in senso kelliano diventa ostile. Ad esempio, il tema comune in tutte i racconti di queste relazioni può essere quello in cui, forse, lei diventa eccessivamente possessiva e semplicemente spinge l’uomo fuori dalla sua vita. Ha dimostrato di avere ragione: lei è davvero non amabile.

 

Kelly collega le costruzioni preverbali con i problemi psicosomatici. Ad esempio, un bambino piccolo potrebbe aver notato che ogni volta che manifestava un malessere allo stomaco sua madre si prendeva particolarmente cura di lui. Nessuna etichetta verbale qui, ma nella vita adulta, ogni volta che sente il bisogno di ricevere cure, il suo stomaco gli dà problemi – portando forse, nel peggiore dei casi, ad un’ulcera dello stomaco.

 

Il termine acting out è utilizzato da numerosi sistemi teorici per descrivere il comportamento di una persona che si ritiene collegato a processi non disponibili alla coscienza. Nella teoria di Kelly, cosa può fare una persona con una costruzione preverbale che non possiede etichette verbali se non “agirlo”? Il counsellor o il terapeuta dovrà cercare di comprendere la costruzione che sottende il comportamento dell’acting out.

 

Va fatta qui una precisazione sulla mancanza di una chiara distinzione, ad opera di Kelly, tra le discriminazioni (di costrutto) che vengono create prima dello sviluppo del linguaggio (preverbali) e quelle che si sviluppano nel corso della vita e non hanno semplicemente parole ad esse connesse. Neimeyer (1981), per esempio, discute questo punto e suggerisce che quest’ultima costruzione “non verbale” potrebbe essere meglio definita costruzione tacita.

 

Bibliografia

Neimeyer, R. A. (1981). The structure and meaningfulness of tacit construing. In H. Bonarius, R. Holland S. Rosenberg (Eds.) Personal Construct Psychology: Recent Advances in Theory and Practice. London: Macmillan Publishers.

 

Fonte originale:

http://www.pcp-net.org/encyclopaedia/preverb.html

 

Ringraziamo gli Editori Jörn Scheer e Beverly Walker per aver gentilmente concesso la pubblicazione della traduzione delle voci contenute in “The Internet Encyclopaedia of Personal Construct Psychology” sulla Rivista Italiana di Costruttivismo.