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La mia storia personale della PCP

di

Franz R. Epting

University of Florida

 

Traduzione a cura di

Giovanni Stella e Lucia Andreatta

Abstract

DOI:

10.69995/MZNJ3583

Nell’estate del 1967, finii la mia tesi di laurea sulla complessità cognitiva e persuasibilità all’Ohio State University di Columbus, e partii per la University of Florida per il mio primo, e come poi si rivelò, unico lavoro, dal quale andai in pensione dopo 36 anni. Parlai con il dr. Kelly dell’argomento della mia tesi di laurea e gli feci firmare una copia del primo volume del suo libro appena prima che lasciasse l’Ohio State University per Brandeis nell’estate del 1965. Poi non ho più cercato di contattarlo né l’ho più sentito. Il mio successivo contatto con lui fu nelle vesti di uno degli studenti che portarono la sua bara dal carro funebre alla sua tomba nel cimitero di Walnut Grove a Worthington, una piccola cittadina appena a nord di Columbus, nel freddo 10 Marzo del 1967. Venni poi a sapere, con mia grande sorpresa, che aveva chiamato, poco prima della sua morte, per assicurarsi che avessi trovato un lavoro e che fu contento di sapere del mio incarico in Florida. Uno non sapeva davvero cosa aspettarsi dal dr. Kelly; era il tipo di persona che faceva cose buone per gli altri a loro insaputa (spesso penso che gli venisse più facile fare in questo modo). Per gli studenti dell’Ohio State University è stato sempre, naturalmente, il dr. Kelly. Tuttavia quando si trasferì a Brandeis con Maslow, a cui gli studenti si rivolgevano col nome di Abe, il dr. Kelly diventò George!

 

Se da un lato ero molto emozionato di arrivare a Gainesville, in Florida, circondato da un gruppo straordinario di studiosi umanisti – Arthur Combs, Ted Landsman, David Suchman e Sidney Jourard in psicologia, e Charles Morris e Tom Hanna in filosofia, solo per citarne alcuni – dall’altro mi sentii molto isolato dai miei colleghi della teoria dei costrutti personali, anche se ero molto eccitato per ciò che una carriera nella PCP avrebbe potuto riservarmi. Questa, infatti, mi ha dato una posizione unica anche tra i miei colleghi umanisti. A proposito, per coloro che fossero interessati, il mio compagno di vita Mark Paris ed io abbiamo spiegato alcune delle somiglianze e delle differenze tra la psicologia umanistica e la teoria costruttivista in un articolo che è apparso nel Humanistic Psychologist a inizio anno (Epting & Paris, 2006).

 

Nonostante ci fossero varie persone nel mondo della psicologia dei costrutti personali sparse in giro per gli Stati Uniti d’America, nella mia mente il gruppo più in vista era quello britannico guidato da Don Bannister, ed ero convinto che le riviste britanniche sarebbero state le più aperte al mio lavoro. Sapete cosa venni a sapere? Nella biblioteca della University of Florida trovai qualcosa chiamato The British Journal of Psychology, a cui inviai il mio primo articolo. Rimasi molto sorpreso, quando incontrai Don nel 1971, durante un viaggio al Bexley Hospital, nell’apprendere che lui non aveva mai pubblicato in questa rivista, ed egli rimase molto colpito dal fatto che io avessi appena pubblicato lì il mio articolo su una valutazione delle procedure di elicitazione (Epting, Suchman e Nickeson, 1971). Dopo il thè, quel pomeriggio, Don fece qualcosa che mi deliziò e mi sorprese. Mi portò sul retro degli edifici per farmi vedere i maiali dell’ospedale. Lui sembrava molto più a suo agio lì di quanto lo fosse stato nelle riunioni in ospedale pochi minuti prima, ed è lì che abbiamo avuto modo di conoscerci meglio. Potrebbe essere stato questo incontro che poi ha portato Don Bannister e Fay Fransella a raccomandarmi alla John Wiley & Sons Ltd. per scrivere un libro sul Counseling e la Psicoterapia dei Costrutti Personali; in questo senso, il mio primo libro fu a dire il vero una pubblicazione britannica (Epting, 1984).

 

In realtà non ebbi più modo di incontrare persone del gruppo inglese, di cui facevano parte Fay così come gli altri partecipanti internazionali, fino al 24° Nebraska Symposium on Motivation nell’ottobre del 1975 a Lincoln (Nebraska). Durante questo incontro, Fay ebbe la brillante intuizione che, di fatto, si stava svolgendo il primo Congresso Internazionale sulla Psicologia dei Costrutti Personali piuttosto che il Nebraska Symposium on Motivation, e si fece carico di organizzare il secondo Congresso Internazionale della Psicologia dei Costrutti Personali, che si svolse nel mese di Luglio del 1977 al Christ Church College di Oxford. Fu lì che conobbi meglio il gruppo britannico e fu lì che il significato che attribuivo ai miei pensieri e sentimenti sulla Psicologia dei Costrutti Personali iniziò a fondersi con ciò che Fay Fransella rappresentava per me. Tutto il resto, come si dice, è storia. Nel 1986, Phil Salmon mi diede la possibilità di diventare visiting fellow presso il suo college alla University of London e Fay di diventare guest lecturer nel nuovo Centro di Psicologia dei Costrutti Personali. È stato meraviglioso per me conoscere gli studenti e il personale del Centro. Durante tutto quel periodo mi sono dedicato con curiosità a un sacco di temi interessanti: la terapia del ruolo stabilito, le procedure alternative per l’elicitazione dei costrutti, la costruzione della morte e del morire, il mentoring, cosa significa essere gay e altro ancora. Sono ritornato, ora come Professore Emerito della University of Florida, al mio più grande progetto: scrivere una biografia di George Kelly, che si è rivelata una magnifica impresa investigativa e una scusa per rileggere Kelly. Vorrei utilizzare il tempo rimanente per parlare di un paio di cose che mi sono successe e che potrebbero essere interessanti.

 

Qualche tempo fa Fay mi diede una registrazione di un incontro con Kelly del 1966, quando andò a trovarlo nella sua nuova casa nel Massachusetts. Nel nastro Kelly rifiuta nuovamente ogni tentativo di categorizzare la teoria costruttivista come cognitiva, comportamentale, esistenziale, o anche come teoria umanistica. [Ciò che viene riportato di seguito è un esempio di come Kelly abbia preso le distanze da ciò che altri hanno considerato simile. All’Ohio State University, durante un seminario dove gli studenti stavano leggendo letteratura e filosofia (tutto tranne che psicologia), Kelly fece un commento su ciò che pensava de “L’essere e il nulla” di Sartre. Kelly disse di aver iniziato a leggerlo, o di averne letto una parte, e di aver trovato un sacco di “nulla” ma non molto “essere” (Carpenter, 2006).]

 

Nell’estate appena trascorsa, come parte del primo simposio su George Kelly e la Psicologia dei Costrutti Personali, presentato durante una conferenza sulla storia della psicologia che si è tenuta alla riunione di quest’anno di Cheiron: Società Internazionale per le Scienze Sociali, Mark ed io abbiamo deciso di prendere sul serio Kelly e non vederlo solo come difficile, fuorviante, o semplicemente ribelle nel suo rifiuto di essere classificato e sussunto dalle esistenti etichette psicologiche; ma di vederlo, invece, come colui che porta avanti l’unica, completa teoria pragmatica della psicologia. Abbiamo intitolato l’articolo “Dewey Between the Lines: George Kelly and the Pragmatist Tradition” (Epting & Paris, 2006b). (Mi aspetto che Trevor Butt sia particolarmente soddisfatto di questo articolo visto che ha cercato, per qualche tempo, di promuovere una visione pragmatica di Kelly.) Noi vediamo questa base pragmatica, ancorata alla filosofia e alla psicologia di John Dewey, come il fondamento dell’integrità della Psicologia dei Costrutti Personali e come base della serie di esclusioni operate da Kelly: nessun concetto di sé o ego; nessuna concezione di dinamiche psicologiche; nessuna nozione di stadi di sviluppo; nessuna tipologia di tratti psicologici; nessuna nozione di causalità efficiente[2]; nessuna concezione di psicopatologia in quanto tale; nessuna separazione tra pensieri, sentimenti e azioni; nessun insieme di bisogni fondamentali; e nessuna nozione di “inconscio” (Epting & Paris, 2006a). Di fatto Kelly (1963, p. xi, nell’introduzione alla versione paperback di tre capitoli del secondo volume del suo lavoro) afferma che “Non è solo che questi termini [la serie di esclusioni di cui sopra] sono abbandonati; ciò che è ancora più importante è che questi concetti svaniscono da soli. Se il lettore inizia a utilizzare parole di questo tipo, può essere sicuro di non venirne a capo”.

 

Ciò che Kelly fornì fu una ricca descrizione di come i costrutti sono organizzati e configurati matematicamente e, soprattutto, la premessa fondamentale che “le costruzioni sono strumenti che noi utilizziamo per muoverci nella realtà o per “utilizzare” la realtà stessa, piuttosto che un mezzo per accertare una “verità’” assoluta sulla realtà” (Paris & Epting, 2006a). Quello che sto suggerendo qui è di resistere alla tentazione di “leggere” la teoria in termini tradizionali e di continuare, invece, a elaborare questa meravigliosa teoria pragmatica o lungo le linee tecnico-ingegneristiche o lungo quelle contenutistiche-concettuali o entrambe, senza re-importare nozioni più tradizionali. È così facile per tutti noi, nel momento in cui cerchiamo di ampliare e spiegare ulteriormente la teoria, essere tentati di riutilizzare nozioni psicodinamiche, cognitivo comportamentali o qualche altra nozione teoretica.

 

Questa resistenza a scivolare verso termini tradizionali significherebbe anche perseguire la protesta pragmatista di lasciarsi alle spalle le preoccupazioni filosofiche comunemente accettate per quanto riguarda l’esistenza della realtà; ovvero, per quel che riguarda la teoria dei costrutti, se questa possa essere meglio descritta come realismo ingenuo, realismo critico, realismo radicale o qualcos’altro ancora. Per Kelly, “la domanda aperta per l’uomo non è se la realtà esista o meno, ma cosa può farsene. Se se ne fa qualcosa, può smettere di preoccuparsi del fatto che esista o meno” (Kelly, 1969b, p. 25). A mio modo di vedere, Kelly era ben equipaggiato per aderire alla protesta pragmatista provenendo da un background religioso protestante che sosteneva quel tipo di pensiero libero che molti fautori ritenevano essere più protestante che cristiano. Questo è per dire che essi erano più impegnati nello spirito della protesta, in quanto tale, piuttosto che in qualsiasi interpretazione letterale delle scritture.

 

Ciò che potrebbe essere ancora più stimolante, rispetto a mettere da parte quei concetti teoretici tradizionali così vicini e cari al cuore degli psicologi tradizionali, è la sfida di resistere ad importare il concetto di causalità efficiente all’interno della teoria per via dell’errata convinzione che sia il paradigma della scienza naturale IV-DV (variabile indipendente – variabile dipendente) a richiederlo.

 

Temo che molti di noi abbiano fatto questo errore nel passato; ovvero di far apparire e rendere la misura delle griglie come misura di tratto e utilizzare, nella parte conclusiva dei nostri articoli di ricerca, un linguaggio che descrive i costrutti personali in un modo meccanicistico, di causa-effetto. È come se non avessimo mai letto l’eccellente commento di Joseph Rychlak (1968/1981) a questa difficile situazione. Esorto tutti noi a ricordare che l’unica necessità di utilizzare il paradigma della scienza naturale IV-DV è di tradurre i nostri termini in operazioni “extra-spettive” solo per la sezione metodologica. Quando arriviamo alla parte conclusiva del nostro articolo, siamo abbastanza liberi di ritradurli nelle nostre formulazioni “introspettive” originali. Essendo una parte del linguaggio metodologico, il paradigma IV-DV è privo di qualsiasi nozione di causalità e ritrae solo la presenza o l’assenza di una relazione funzionale matematica. Questo ci lascia abbastanza liberi di usare il nostro linguaggio causale, che è formale e finale, quando discutiamo i nostri risultati. La parte dei risultati dei nostri articoli poggia sul linguaggio della teoria; la stessa teoria umanisticamente orientata che abbiamo utilizzato nell’introduzione dei nostri articoli (Epting, 2005). Questi sono alcuni dei pensieri che ho avuto ultimamente su ciò che la PCP significa per me. Spero li abbiate trovati almeno in parte interessanti e spero che alcuni possano esservi utili in un modo o nell’altro.

 

Bibliografia

Carpenter, J. C. (2006). Unpublished interview with Franz Epting.

Epting, F. R. (1984). Personal construct counseling and psychotherapy. London and New York: John Wiley & Sons.

Epting, F. R. (2005). A brief comment on competing for reality. Journal of Constructivist Psychology, 18, 365-366.

Epting, F. R. & Paris, M. E. (2006a). A constructive understanding of the person: George Kelly and humanistic psychology. The Humanistic Psychologist, 34, 21-37.

Epting F. R. & Paris, M. E. (2006b August). Dewey between the lines: George Kelly and the pragmatist tradition. Paper presented at the 38th annual meeting of Cheiron: International Society for the Social and Behavioral Sciences, Bronxville, New York.

Epting, F. R., Suchman, D. & Nickeson, C. (1971). An evaluation of elicitation procedures for personal constructs. British Journal of Psychology, 62, 513-517.

Kelly, G. A. (1969). Ontological acceleration. In B. Maher (Ed.), Clinical psychology and personality: The selected papers of George Kelly (pp. 7-45). New York: John Wiley & Sons.

Kelly, G. A. (1963). A theory of personality: The psychology of personal constructs. New York: W. W. Norton. (originally published in 1955).

Rychlak, J. R. (1968/1981). A philosophy of science for personality theory. Boston: Houghton Mifflin.

Questo articolo è basato su un discorso tenuto alla conferenza su “PCP: a personal story” organizzata dal Center for Personal Construct presso la University of Hertfordshire il 29 settembre 2006.

 

Note sull’autore

 

Franz Ryan Epting

University of Florida, Gainesville, FL, USA

frepting@hotmail.com

È Professore Emerito presso il Dipartimento di Psicologia della University of Florida a Gainesville, Florida. Si è laureato presso il Millsaps College e ha concluso il suo dottorato presso la Ohio State University, dove, da laureato, ha avuto la possibilità di studiare con George Kelly. Nel 1989 è stato presidente del Council of Counseling Psychology Training Programs negli Stati Uniti. Nel 2000 ha ricevuto un premio alla carriera da parte del North American Personal Construct Network (rinominato, nel 2004, Constructivist Psychology Network). Nel 2008, ha ricevuto il premio “Abraham Maslow” per la Psicologia Umanistica dall’American Psychological Association Society.

 

Note

  1. Articolo originariamente comparso in Personal Construct Theory & Practice, 4, 53-56. Si ringraziano gli editori di Personal Construct Theory & Practice per aver gentilmente concesso la pubblicazione della traduzione sulla Rivista Italiana di Costruttivismo.
  2. L’autore, qui come più avanti nel testo, si riferisce alle quattro cause aristoteliche così come discusse da Joseph Rychlak nel suo libro Rychlak, J. F. (1968). A philosophy of science for personality theory. Boston: Houghton Mifflin. [N. d. T.]