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Il bambino ricercatore

Un incontro tra la Psicologia dei Costrutti Personali e l’approccio educativo di Maria Montessori

The inquiring child

The Montessori method as a quasi-constructivist approach to education

di

Wilma Fontanari e Lorenzo Gios

Institute of Constructivist Psychology

Abstract

L’obiettivo di questo elaborato è di tracciare una lettura costruttivista della visione sviluppata da Maria Montessori in ambito pedagogico. Montessori ha rappresentato – e per certi versi rappresenta tuttora – un riferimento per chiunque si accosti alla comprensione dello sviluppo della persona nelle sue prime fasi di vita. Le sue idee, in particolare quelle relative alla modalità attiva ed esploratrice attraverso cui i bambini apprendono e maturano la loro esperienza, possono essere viste come principi e approcci in linea con il pensiero costruttivista.

The aim of the present manuscript is to explore potential assumptions and commonalities that can be identified between the PCP and some principles of the Montessori’s approach to education and pedagogy. Maria Montessori is a key figure in developmental psychology: the so-called “Montessori education”, strongly emphasising the active role of the child in his/her own evolution, could be somehow considered as a quasi-constructivist approach to human development.

Keywords:
Costruttivismo, Maria Montessori, psicologia dei costrutti personali, pedagogia, educazione | constructivism, Maria Montessori, psychology of personal constructs, pedagogy, education
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Introduzione

Questo lavoro ha un fondamentale obiettivo: presentare una possibile lettura costruttivista degli assunti pedagogici proposti da Maria Montessori (1913, 1949). In altri termini, ci chiederemo che cosa vuol dire lavorare nell’ambito della prima infanzia con uno sguardo che integri pedagogia e Psicologia dei Costrutti Personali (Kelly, 1955a, 1955b) e – di conseguenza – come favorire la comprensione delle costruzioni dei bambini da parte degli adulti, degli “operatori” che afferiscono alla Psicologia dei Costrutti Personali in particolare.

Prima di presentare questo parallelo tra PCP e approccio montessoriano ci sembra opportuno sintetizzare a un “pubblico costruttivista” alcuni principi pedagogici di base del metodo Montessori. In questa prospettiva, il primo capitolo sarà dedicato a una breve sintesi dei concetti pedagogici montessoriani.

Nel secondo capitolo cercheremo di esaminare le comunanze tra i due approcci, quello della PCP e quello sviluppato da Montessori nel contesto dell’educazione pedagogica nei primi anni dell’infanzia. Nella terza parte espliciteremo quelle che ai nostri occhi sono delle differenze tra questi due riferimenti teorici, mentre nell’ultima sezione proveremo a proporre alcuni spunti operativi per il lavoro nei contesti educativi.

Ci pare importante proporre un confronto che indaghi alcuni degli assunti epistemologici del pensiero montessoriano e della PCP. Questo nostro lavoro, infatti, nasce dal convincimento che avvicinarsi all’approccio di Maria Montessori con occhi costruttivisti possa permettere di formulare nuove ipotesi sui significati legati allo sviluppo della persona e alla sua educazione. Della ricchezza di questo incontro speriamo di dare prova nel corso del manoscritto: siamo convinti cioè dell’unicità e dell’utilità di osservare i bambini come attivi ricercatori di senso, un senso che sarà singolare e irripetibile tanto per la loro vita quanto per la vita di chi li “osserva” e con loro si relaziona. In questa prospettiva, nell’ultima parte cercheremo di presentare alcuni principi educativi che – partendo dalla teoria montessoriana – possano essere utilizzati dai colleghi costruttivisti.

 

1. Il pensiero di Maria Montessori

Maria Montessori nasce a Chiaravalle (Ancona) nel 1870, si laurea in Medicina ed è tra le prime donne italiane a esercitare in campo medico dopo l’Unità d’Italia. Educatrice e pedagogista, è nota soprattutto per aver fondato particolari istituzioni educative per l’infanzia: le “Case dei bambini”. Montessori, all’inizio del ‘900 rappresenta, per la pedagogia e più in generale per la scienza, nel panorama italiano e mondiale una vera e propria “sfida di innovazione” che arriva per molti versi sino ai nostri giorni. Sostenendo l’idea di un “bambino libero” in un periodo storico caratterizzato dalla dittatura fascista (svilupperà la gran parte del suo impianto teorico proprio durante il “ventennio”), valorizza la dimensione individuale nell’educazione lavorando proprio nel cuore di un regime “collettivizzante” e alienante.

Montessori (2008) identifica nella libertà tanto la base quanto la meta dell’educazione ai più piccoli e chiarisce:

un metodo educativo che abbia alla base la libertà deve intervenire per aiutare il bambino a conquistarla, riducendo al minimo l’intervento dell’insegnante, il quale ha il compito di gettare un raggio di luce e passare oltre impiegando una grande dose di pazienza e una notevole capacità di osservazione. Più che un maestro tradizionale, deve essere uno psicologo che giunge quasi all’annientamento di se stesso; e le lezioni più che collettive, devono essere individuali, devono cioè tener conto del grado di sviluppo e delle caratteristiche di ogni allievo. (p. 6)

Per l’autrice la scuola dell’infanzia deve essere impostata in funzione dell’auto-sviluppo del bambino, attraverso la scelta di materiale pedagogico appositamente studiato. Il bambino costruisce da sé il suo sapere, ha dentro di sé le potenzialità per farlo, e l’adulto ha il compito di creare le condizioni favorevoli perché questo avvenga. Questo implica un ruolo del maestro che è destinato ad “annientarsi”, per usare le sue parole, ovvero a sparire e rimanere sullo sfondo per favorire – a poco a poco – l’accrescersi dell’indipendenza del bambino.

 

Ancora nelle sue parole (ibidem):

Non si può essere liberi se non si è indipendenti; quindi, al fine di raggiungere l’indipendenza, le manifestazioni attive della libertà personale debbono essere guidate fin dalla primissima infanzia. Dal momento in cui vengono svezzati, i piccoli si mettono in cammino [lungo] la rischiosa via dell’indipendenza. (p. 31)

Già da questi pochi tratti emerge tanto l’obiettivo quanto la modalità della pedagogia montessoriana: le “manifestazioni della libertà” debbono solo essere guidate, non suggerite o instillate. L’educatore può solo seguire e invitare il bambino affinché la personalità umana possa conquistare la sua indipendenza, un mezzo per liberarla dall’oppressione dei pregiudizi antichi sulla educazione. […] È la difesa del bambino, il riconoscimento scientifico della sua natura, la proclamazione sociale dei suoi diritti” (Montessori, 1949, p. 7).

In questo senso, la pedagogia di Montessori si inserisce nella corrente della cosiddetta “pedagogia attiva”, considerando il bambino parte attiva del processo educativo e riconoscendolo pertanto come attore e centro dell’educazione. Montessori evidenzia come il compito dell’adulto sia fondamentalmente quello di creare le condizioni affinché il bambino possa esprimere le sue competenze e possa crescere e conoscere attraverso un “fare spontaneo”. L’adulto (sia esso genitore, insegnante, psicologo) deve riuscire a coltivare costantemente nei confronti dei bambini un atteggiamento di comprensione, che consiste nell’attribuire un senso alle loro intenzioni, avere fiducia nelle loro potenzialità, adattando il proprio comportamento alle specificità di ciascun bambino, anziché chiedere a lui di adeguarsi al contesto. In questo senso, Montessori basa la sua pedagogia sul concetto di liberazione del bambino, intendendo con questo la liberazione della sua vita da ostacoli che ne impediscono il normale sviluppo.

A partire dal 1905 vengono pubblicate diverse opere di Maria Montessori (tra cui il “Metodo della Pedagogia Scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini”, la cui prima edizione è del 1909, con una versione poi ampliata nel 1913), che nello stesso anno ottiene l’incarico per l’insegnamento di Antropologia Pedagogica presso la Scuola Pedagogica di Roma (Barusse, 2004).

I lavori della Montessori hanno un’eco internazionale, soprattutto nei paesi di lingua anglosassone: nel 1924 fonda l’Opera Nazionale Montessori, poi estesa nel 1929 nella “Associazione Montessori Internazionale” (AMI).

Nel 1934 Montessori è costretta a lasciare l’Italia per i contrasti inconciliabili con il regime fascista: le scuole ispirate alle sue pratiche vengono chiuse nel 1936. Montessori si trasferisce in diverse parti del mondo diffondendo la sua teoria educativa. L’affermazione internazionale del suo lavoro la conduce a viaggiare per l’Europa, a recarsi per quattro volte negli Stati Uniti e poi in America Latina. Durante la seconda guerra mondiale vive sei anni in India, invitata dalla Società di Teosofia. Vengono aperte una Casa dei bambini e una scuola elementare con metodo montessoriano, mentre diversi pensatori e politici iniziano a sostenere le sue idee sulla necessità dell’educazione alla pace e all’umanità fin dalla primissima infanzia. Torna in Europa nel 1946.

Il suo cammino termina in Olanda nel 1952. Sulla sua tomba sono incise queste parole, che suonano come un epitaffio, un assunto e un intento perseguito per tutta la sua vita: “Io prego i bambini, che possono tutto, ad unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo”.

 

2. Un confronto tra il pensiero di Montessori e la PCP

Montessori ha cercato di costruire un metodo pedagogico a partire da una “psicologia delle esperienze” del bambino. La fiducia di Montessori nella mente del bambino (autentico e unico “tesoro” dell’uomo, come ebbe a dire nella “Conferenza sull’educazione per la pace” svoltasi in Olanda nel 1937) costituisce il filo conduttore del suo pensiero e delle sue opere, caratterizzando sia la sua concezione psicologica che il suo modello pedagogico. Così come Kelly (1955a, 1955b; Fransella, 2003), Montessori crede in un essere umano che esplora attivamente l’ambiente e il mondo relazionale, e non in un organismo passivo o mosso da oscure dinamiche interne.

In questa prospettiva, ci sembra interessante tracciare alcuni collegamenti tra gli assunti e il metodo dell’autrice da una parte e i principi della Psicologia dei Costrutti Personali (PCP) dall’altra, evidenziandone comunanze e punti di convergenza. Nel farlo, prenderemo in esame i seguenti aspetti: (i) l’idea di persona, (ii) il modo di considerare l’esperienza, (iii) il ruolo dell’insegnante e del terapeuta, (iv) l’apprendimento, (v) l’errore, (vi) l’unicità con cui ogni persona interpreta il mondo e infine (vii) la “vita” personale e professionale dei due autori.

 

2.1 L’idea di persona

“La lezione corrisponde ad un esperimento” (Montessori, 2008, p. 41).

“The client is experimenting”[1] (Kelly, 1955, p. 82).

 

Un essenziale aspetto comune tra il pensiero di Kelly e quello di Montessori è l’idea che i due autori hanno della persona. L’uomo per Kelly è visto come uno scienziato, un ricercatore, non un “essere che si differenzia dal topo medio solo per una maggiore intelligenza, o come vittima della propria biografia, ma come un inveterato ricercatore, auto inventato e modellato dalla direzione delle sue indagini […]” (Bannister & Fransella, 1971/1986, p. 19).

In maniera parallela, il bambino viene definito da Montessori come un piccolo esploratore che si auto-educa agendo sul mondo e auto-generando la sua persona. Attraverso azioni libere e spontanee la persona genera se stessa dando senso al mondo.

L’uomo invece è come l’oggetto lavorato a mano: ognuno è diverso dall’altro, ognuno ha un proprio spirito creatore, che ne fa un’opera d’arte della natura. […] [L’uomo] sarà un costruttore volontario di tutte le sue funzioni di relazione con l’ambiente, sarà il creatore di un nuovo essere. (Montessori, 1950, p. 45)

Da questa prospettiva, Montessori parla di “educare alla libertà”: non nel senso di lasciare la persona libera di fare ciò che vuole, ma di educare il bambino affinché egli sia libero padrone di se stesso. In parole ancor più chiare, il bambino “emerge nella sua vitalità autonoma e originaria nel formare se stesso” (Montessori, 2008). In questo senso la persona non può che auto-educarsi, nel suo continuo processo di apprendimento e di sviluppo verso un’unica e irripetibile originalità.

 

2.2 Il modo di considerare l’esperienza

“Non è mai semplicemente dall’esterno che egli [il bambino] viene plasmato, è lui stesso che prende posizione di fronte alle condizioni esterne” (Merleau – Ponty, 1993, p. 69).

Sia Montessori (2008) che Kelly (Maher, 1969) vedono nell’esperienza il fulcro della conoscenza. Per certi versi, si potrebbe dire che per entrambi esperienza e conoscenza sono i due lati della stessa medaglia, in cui lo sviluppo è dato dall’interazione tra un sistema attivo e il suo ambiente. L’ambiente non crea, ma può ostacolare, bloccare o favorire lo sviluppo che arriva “dall’interno”, dalla vita del bambino, da ciò che la persona “se ne fa” e dal senso che essa dà alle cose che accadono. Come uno scienziato, la persona esplora l’ambiente innanzi ai suoi occhi, costruendo il suo mondo e la sua interpretazione dello stesso: in altri termini, la persona costruisce un proprio paradigma conoscitivo (Kuhn, 1979) e sviluppa una propria personale conoscenza del mondo e dei “fatti” (Vico, 2005). Anche Piaget (1970) sostenne come attraverso l’esperienza il bambino costruisca il proprio sistema cognitivo. In linea con questo convincimento che lega ambiente e sviluppo attivo della persona, per Montessori l’ambiente e il materiale educativo devono prestarsi all’attività del bambino, offrendogli la possibilità di agire ed esprimersi, ovvero, di “fare esperienza”.

Sembra perciò “naturale all’uomo” che il bambino cominci con l’assorbire l’ambiente e compia col lavoro, con le esperienze graduali sull’ambiente che lo circonda, il suo sviluppo infantile. È con l’assorbimento inconscio, e poi con l’attività sulle cose esterne, che egli nutre e sviluppa la sua qualità umana. Egli si costruisce […]. (Montessori, 1949 p. 95)

Le parole usate da Montessori, “egli [il bambino] si costruisce”, appaiono essere altamente “compatibili” con un’impostazione costruttivista. Anche secondo il modello costruttivista, infatti, il bambino (come peraltro le persone “adulte”) è attivo costruttore di se stesso tramite il suo continuo apprendimento, tramite la sua esperienza. Il bambino – come ogni persona – costruisce e interpreta il mondo attraverso il suo “sistema di costrutti”, validando/invalidando e revisionando la struttura delle proprie conoscenze in modo autonomo, personale e originale (Maher, 1969).

Questa visione comune di bambino attivo ci sembra legarsi ad alcune implicazioni tanto teoriche quanto applicative. La prima riguarda la constatazione che – per quanto noi cerchiamo di ampliare o restringere il margine possibile per le esperienze del bambino – sarà lui e solo lui ad attribuire significato a quanto vive. Da ciò ci sembra derivare conferma che non esistano modelli educativi “giusti” in termini assoluti, in quanto l’effetto suscitato da un intervento dipende (potremo dire in gran parte) dalla costruzione del bambino, ovvero dal modo in cui il bambino interpreta l’esperienza. In questa prospettiva, ad esempio, Montessori suggerisce di predisporre spazi e materiali in modo flessibile, “spostabili”, “a portata”, di modo che possano rivelarsi lo strumento principale di conoscenza del bambino. Questo accorgimento aiuta il bambino ad apprendere in maniera non dipendente dalle aspettative di partenza dell’adulto, dando al piccolo strumenti di cui egli stesso può disporre in maniera autonoma e creativa.

Questa stessa modalità ci sembra evidente anche nel costruttivismo. La persona è sempre la prima attrice della propria esperienza. Come sostiene von Glasersfeld (1995), uno degli autori di riferimento anche in prospettiva costruttivista: la conoscenza non può essere trasferita già-fatta allo studente in quanto la strutturazione dei concetti può essere costruita solo dallo studente stesso.

Il passo seguente ci sembra evidenziare in maniera chiara la sostenibilità di un parallelismo con la PCP: viene infatti evidenziata l’importanza dell’esperienza del bambino che “fa da sé” ed è lui il primo autore e verificatore dei propri “esperimenti”.

I tavoli, le sedie, le poltroncine leggere e trasportabili permetteranno al bambino di scegliere la posizione più gradevole: egli potrà accomodarsi anziché sedersi al suo posto: e ciò sarà insieme un segno esterno di libertà e un mezzo di educazione. Se una mossa sgraziata del bambino farà cadere rumorosamente una sedia, egli avrà un’evidente prova della propria incapacità: la mossa medesima, tra i banchi, sarebbe passata inavvertita. Così il fanciullo avrà modo di correggersi e, quando sarà corretto, ne avrà le prove palesi, evidenti: le sedie e i tavoli resteranno fermi e silenziosi al loro posto; allora vorrà dire che il bambino avrà imparato a muoversi. (Montessori, 2008, p. 20)

Lo sviluppo della persona, tanto in Montessori quanto in Kelly, è considerato come un “prodotto” che emerge dall’esperienza attiva, ovvero dalla manipolazione del mondo da parte della persona (del bambino, in questo particolare caso). Il percorso di apprendimento e crescita, quindi, è legato al costruire, inventare, mettere in relazione categorie e significati, cimentandosi in nuovi esperimenti attraverso un mondo che non è indipendente da noi: questo può essere definito – per entrambi gli autori – “esperienza”. Per Kelly e Montessori, infatti, la connessione tra azione, esperienza e conoscenza è inscindibile. Nelle semplici ma fertili parole di Maturana e Varela (1984/1987), a loro volta vicini alle aree epistemologiche degli autori oggetto del nostro articolo, potremmo dire che “acting is knowing, knowing is acting[2] (p.13).

 

2.3 Il ruolo dell’insegnante montessoriano e del terapeuta costruttivista

[La maestra] “deve sapere scegliere l’oggetto adatto e porgerlo in modo da farlo comprendere e da provocare da parte del fanciullo un interesse profondo” (Montessori, 2008, p. 115).

 

Un importante punto di contatto tra il metodo Montessori e l’approccio PCP è a nostro avviso la considerazione che entrambi pongono sul ruolo dell’educatore e del terapeuta, ovvero, della persona che gioca un ruolo in qualche modo “educativo”, di “facilitatore”. In termini generali, e in linea con la visione della persona e dell’esperienza prima descritta, sia Kelly che Montessori evidenziano il ruolo “perturbativo” e “non direttivo” dell’educatore-terapeuta. Il motto montessoriano “stimolare la vita, lasciandola però libera di svilupparsi, ecco il primo dovere dell’educatore” (ibidem) può essere applicato a nostro avviso anche al terapeuta PCP, che favorisce il processo di libero autosviluppo della persona, di modo che divenga sempre più padrona di se stessa e dei propri esperimenti creativi.

Nell’approccio montessoriano, l’educatore è invitato a fare un passo indietro rispetto al ruolo attivo e centrale che almeno gli si attribuiva un tempo (e per certi versi, anche oggi):

Qui si tratta di un radicale spostamento dell’attività che, prima [con il vecchio metodo era] insita nella maestra, è, con il nostro metodo, lasciata invece prevalentemente al bambino. […] Gli oggetti e non l’insegnamento della maestra sono la cosa principale: ed essendo il bambino che li usa, egli, il bambino, è l’entità attiva e non la maestra. […]. Essa [la maestra] è principalmente un punto di collegamento tra il materiale (gli oggetti) e il bambino. (Montessori, 1970, pp. 164-165)

Questo passaggio sembra centrale se cambiamo le parole bambino con paziente e maestra con terapeuta. Kelly stesso ha proposto l’idea di un terapeuta non come “esperto autoritario” che somministra un trattamento a un cliente passivo, bensì come “supervisore” di una ricerca e di una sperimentazione che è il paziente stesso a vivere in prima persona. Il terapeuta di approccio costruttivista per definizione “non insegna a vivere” al proprio paziente, non indica strade che dal suo punto di vista sono le migliori per uscire da una posizione di stallo o sofferenza, bensì mette a sua disposizione degli “strumenti” (in primis, la relazione terapeuta-paziente) perché il cliente possa elaborare proprie visioni alternative, del mondo e di se stesso.

Per Kelly (1955b), il terapeuta non è un conduttore, ma un “acceleratore d’esperienza per il paziente” (p. 25): non insegna nulla, ma accompagna e facilita la persona fino a che essa utilizzi le proprie risorse per porsi nuove domande.

Il cliente è lo “studente ricercatore” che fornisce il problema da esaminare e su cui indagare; egli è l’esperto dei contenuti del problema. Il terapeuta è il supervisore della ricerca, esperto delle tecniche di indagine; egli ha la padronanza degli strumenti che vengono messi a disposizione del cliente e lo aiuta ad elaborare strategie alternative per affrontare il problema in modo più adeguato. (Epting, 1984/1990, p. 16)

Nella nostra fantasia, Montessori potrebbe annuire a questa descrizione che Epting propone rispetto al ruolo del terapeuta. Secondo simili principi, l’educatore[3] e l’ambiente educativo possono essere per i bambini i promotori di nuove scoperte, “accelerando” attraverso esperienze leggibili per il bambino il suo modo di sviluppare, realizzare e valutare esperimenti nuovi e vitali. L’educatore non ha il compito di mostrare cosa il bambino debba fare, ma di lasciare a lui la libertà di “imitare” se lo desidera, o di significare diversamente una data azione, o situazione, o un certo contesto di gioco.

 

2.4 L’apprendimento

Il processo attraverso il quale il bambino apprende, per Montessori, è quello dell’esplorazione della differenza nelle cose. In questo, ai nostri occhi appare evidente il parallelo con l’approccio costruttivista, ove per costrutto si intende proprio l’emergere di una differenza (von Glasersfeld, 1995). Da questa premessa, l’autrice esplicita come fare emergere le qualità degli oggetti ai sensi della persona, come “preparare metodicamente la persona alle sensazioni” attraverso il processo dell’isolamento e facilitando in questo modo l’apprendimento per differenza. Per Montessori, il materiale va proposto al bambino graduandolo secondo una sola qualità. Ironicamente potremo dire: “un costrutto alla volta”.

Il seguente passaggio ci sembra chiarire il processo di distinzione che Montessori (1970) considera rilevante per il bambino nel formare la propria intelligenza:

È necessario isolare, tra le tante, una qualità sola dell’oggetto. […] Bisogna preparare oggetti identici tra loro in tutto, salvo che nella qualità variante. […] Se si vogliono preparare oggetti che servano p.es. a far distinguere i colori, bisogna costruirli nella medesima sostanza, forma e dimensione; e farli differire solo nel colore […] questo procedimento riesce a dare una grande chiarezza nel differenziare le cose: ed è evidente che la chiarezza pone appunto le basi dell’interesse nel “distinguere”. (p. 122)

Questa semplificazione del materiale, questa variazione “un costrutto alla volta”, deve consentire al bambino di diversificare in maniera progressiva la realtà, cogliere i propri errori da solo, imparare le differenze contenute negli oggetti con interesse perché tali oggetti gli consentiranno di agire le sue ipotesi.

A un lettore di orientamento costruttivista questo procedimento può certamente suonare familiare. Infatti, in termini processuali, nel campo di pertinenza dell’apprendimento delle proprietà dei materiali (distinzioni sonore, visive, tattili, di gusto), si dà l’opportunità al bambino di elaborare i propri costrutti personali, cioè di prendere le “proprie misure” sulle cose. “Una persona anticipa gli eventi costruendone le repliche” (Kelly, 1955, p. 365): il Corollario della Costruzione sostiene proprio che nell’operare continuamente delle distinzioni (costruzioni) la persona anticipa gli eventi. Il medesimo processo viene indicato da Montessori: il bambino che gioca con materiali che mettono in risalto somiglianze e differenze tra le cose, sarà facilitato nel percepire le ricorrenze di qualità o significati all’interno di una variabilità di situazioni, che diventeranno mano a mano prevedibili, e quindi, sperimentabili.

 

2.5 L’errore

Legato al modo di considerare l’apprendimento, ci piace evidenziare un possibile parallelo tra Montessori e Kelly nel modo in cui i due autori definiscono e considerano l’errore.

Due autori di rilievo della PCP, come Bannister e Fransella (1971/1986), suggeriscono come “l’esperienza di sbagliare [sia] educativamente importante quanto l’esperienza di aver ragione” (p. 106). In termini di anticipazioni e di ciclo dell’esperienza, l’errore diviene evento cardine per una revisione e un raffinamento del proprio sistema di costrutti, “migliorando” così le proprie capacità di agire “nella” realtà.

Una simile considerazione dell’errore può essere ritrovata nelle parole di Montessori (1970):

Il controllo dell’errore conduce il bambino ad accompagnare i suoi esercizi con il ragionamento, con la critica, con l’attenzione sempre più interessata all’esattezza, con una capacità innata di distinguere le piccole differenze, e prepara così la coscienza a controllare gli errori, anche quando questi non sono più materiali o sensibilmente evidenti. (p. 113)

Per Montessori, cioè, l’errore diventa strumento di conoscenza, un momento pedagogico e di apprendimento fondamentale, in quanto il bambino apprende “con e attraverso” (anzi forse può apprendere “principalmente” con e attraverso) l’errore. È essenziale infatti, nell’approccio pedagogico montessoriano, permettere al bambino di misurarsi con prove che gli richiedano una certa fatica e un certo grado di frustrazione: in questo modo potrà provare e riprovare per trovare una propria soluzione al problema che gli si presenta, “attraversando” i propri errori.

In termini processuali, in contesto PCP, la stessa rilevanza viene data all’invalidazione, considerando l’esperienza come un ciclo. Come persone-scienziati, elaboriamo delle anticipazioni che ci orientano verso ciò che accadrà; a seconda di come ci poniamo verso quel vissuto faremo un preciso investimento. Segue l’incontro, in cui viviamo l’evento con le nostre anticipazioni, che qualche volta si dimostreranno esatte (validazione) o inadeguate o irrilevanti rispetto all’esito della sperimentazione (invalidazione). Alla luce di questo incontro, “facendo i conti” con tali esiti, torneremo alle nostre anticipazioni, confermandole od operando una revisione se necessario, per aprirci in modo nuovo all’esperienza. Cambiando il nostro sistema di costrutti cambiamo noi stessi, a volte verso una maggiore estensione, a volte verso la maggior definizione.

In questa prospettiva, Kelly e Montessori sembrano condividere la cosiddetta error-friendliness cara a von Foerster (1987) e von Glasersfeld (1995).

 

2.6 Unicità delle interpretazioni e dei vissuti personali

Un ulteriore aspetto di vicinanza tra Montessori e l’approccio PCP consiste nel modo di considerare l’individualità, per non dire l’unicità, delle persone e del loro modo di vivere gli eventi, anche nel caso due persone “siano esposte” alla stessa situazione o a situazioni diverse.

L’approccio costruttivista è molto esplicito su questo aspetto, in particolare tramite “il Corollario della Comunanza [che] afferma che alcuni individui possono avere la stessa costruzione dell’esperienza. Ciò non significa che le persone debbano avere avuto esperienze simili per costruire le cose in modo simile; significa che costruiscono le loro esperienze in maniera simile” (Bannister & Fransella, 1971/1986, p. 117).

L’impianto teorico e pedagogico di Montessori, in maniera similare, tiene conto delle differenze individuali dei bambini, sostenendo che le proposte educative debbano garantire attenzione all’individualità e all’unicità del bambino, tenendo conto delle caratteristiche di ognuno (Montessori, 1970).

L’autrice ci invita a non vedere lo sviluppo del bambino secondo rigide conquiste dovute all’età, bensì a osservare le differenze individuali di fronte alle medesime proposte esperienziali. Ammette che alcuni bambini possano avere la stessa costruzione dell’esperienza, e quindi in una certa fascia d’età è probabile che costruiscano l’esperienza in modo simile. Tuttavia l’individualità e l’originalità dei modi personali di costruire le esperienze vanno sempre tenuti in primo piano.

Ogni bambino infatti mostra grandi differenze rispetto agli altri: i bambini, alla stessa età in mesi, possono essere molto diversi tra loro. Sono le esperienze che hanno vissuto (o ancora meglio, come ognuno di loro le ha significate) a renderli le persone che sono, nella loro unicità che, tanto per la PCP quanto per Montessori, va coltivata e mantenuta come stella polare dell’approccio educativo.

 

2.7 Le esperienze “personali” dei due autori

Un importante aspetto che ci sembra accomunare Kelly e Montessori è il fatto che le loro opere sono impregnate di esempi pratici tratti dalle loro esperienze dirette: il primo nell’area clinica, la seconda nell’area educativa. Per Kelly, i suoi testi principali si basano in buona parte sull’esperienza fatta (i) con gli studenti ai tempi del suo insegnamento presso la Ohio State University e (ii) con la “clinica ambulante” che organizzò nel dopoguerra. In maniera per certi versi parallela, Montessori sviluppò le sue opere sulla base delle esperienze di lavoro presso le scuole d’infanzia da lei fondate, prima a Roma, poi nel resto d’Europa e in India in particolare. Questo aspetto, forse marginale nel contesto di un parallelo teorico, ci sembra rilevante in quanto evidenzia ancor più la necessità da loro suggerita di considerare l’esperienza personale, “sul campo”, certo regolata dal “rigore scientifico”, come il motore della conoscenza e del cambiamento, mettendosi in gioco in prima persona.

 

3. Alcune differenze tra Montessori e la PCP

Cerchiamo ora di esaminare alcune differenze tra gli approcci di Montessori e di Kelly. Possiamo innanzitutto evidenziare come i due impianti teorici facciano riferimento a due “ambiti” in qualche modo distinti: la pedagogia la prima, la psicologia il secondo. Entrambi gli autori si sono occupati dell’essere umano da due punti di vista in parte diversi: l’una è protesa verso la liberazione del bambino nel contesto di un percorso educativo (e non quindi – almeno dichiaratamente – clinico), l’altro è orientato ad aiutare in contesto clinico la persona che sta vivendo un momento di “difficoltà” nel ri-costruire la propria vita al fine di promuovere un cambiamento.

Fatta questa premessa generale, in sintesi possiamo tracciare alcune differenze principali tra il metodo montessoriano e la PCP.

Il primo aspetto di differenza riguarda il fuoco di pertinenza della teoria: Montessori sviluppa il suo approccio sull’applicazione di un metodo rivolto ai bambini, concentrandosi sull’incomprensione da parte del mondo adulto nei confronti dello sviluppo infantile. Diversamente, Kelly sviluppa la sua opera prevalentemente sulla scorta delle numerose esperienze cliniche con gli adulti, pur includendo alcuni spunti di potenziale applicazione anche in altri ambiti.

Il secondo aspetto di divergenza riguarda il concetto di continuità versus discontinuità. Anche se dal suo punto di vista lo sviluppo non si configura come un rigido susseguirsi di stadi in base all’età, Montessori vede l’inizio dell’esistenza come un mutamento di periodi sensitivi, in cui una persona è aperta allo sviluppo di una o di un’altra competenza. Tale apertura si “schiude” solo in un determinato periodo della vita, e non in altri. Dalle parole di Kelly, diversamente, non si evince un’idea discontinua nella crescita. Nell’approccio PCP, il focus è sui processi psicologici che “interessano” l’adulto e che possono “applicarsi” – in linea di principio – anche al bambino in quanto persona, in forme diverse.

Il terzo ambito di differenze certamente si riferisce alle influenze culturali presenti in Italia nei primi del ‘900 per Montessori e negli Stati Uniti nel periodo che va dagli anni ’30 agli anni ’50 per Kelly. Questi due contesti culturali hanno segnato le differenti biografie dei due autori e – di riflesso – le “strutture” del loro lavoro: Montessori declina con un’enfasi fortemente cattolica alcune sue teorizzazioni, mentre per Kelly non si ravvisa certo questa “impronta”. Non a caso, l’autrice italiana dedica numerose parti della sua opera all’educazione religiosa e spirituale, esplorando con una prospettiva marcatamente cattolica questa dimensione dell’uomo.

Una quarta area di differenziazione tra i due autori ai nostri occhi è il diverso interesse verso la dimensione che oggi potremmo identificare nel termine attaccamento, o dipendenza (Bowlby, 1999). Per Kelly il percorso di dipendenza di una persona, che si snoda a partire dal legame di attaccamento con le figure primarie, ricopre un ruolo molto importante nella sua crescita. Nella trattazione di Montessori, diversamente, non abbiamo riscontrato particolari riferimenti a questo legame con le figure primarie, se non per marcare il pericolo di un attaccamento che spegne le “energie psichiche”, in quanto – per l’autrice – l’adulto si sostituisce alle attività del bambino, il quale di conseguenza ne diventa “estremamente dipendente”.

Infine, la PCP si configura dichiaratamente come una “teoria vuota”, ovvero “indipendente dallo specifico contenuto”, essendo per definizione centrata sulla processualità del pensiero e dell’esperienza umana. Non a caso, essa si fonda su un Postulato Fondamentale e i relativi Corollari formulati in termini “astratti” e processuali. Le griglie di lettura offerte da Montessori sono invece precisamente circoscritte a un campo di pertinenza più definito, ovvero l’educazione del bambino: nel far questo, l’approccio montessoriano è denso di contenuti, con specifiche indicazioni operative sul mondo dell’infanzia e della pedagogia.

 

4. Prassi operative: educare in ottica costruttivista

“La libertà, che è una conquista e non un’elargizione, esige una ricerca permanente”

(Freire, 1970/2002, p. 32).

 

Dopo un primo confronto – ancorché generale – tra l’approccio montessoriano e quello PCP, in questo paragrafo cerchiamo di indicare alcune prassi operative che ci sembrano nascere dall’incontro di questi due “modi” di vedere la persona e il suo sviluppo.

Il primo aspetto ci sembra riguardare la relazione. L’esperienza dei bambini, così come quella degli adulti, è essenzialmente relazionale. Il “prendersi cura” di qualcuno, anche tramite il contatto visivo e la comunicazione non-verbale, il rendere le esperienze leggibili ai bambini, la particolare attenzione alle relazioni tra pari, sono tutti aspetti del mondo dell’educazione della prima infanzia che evidenziano come al centro ci sia sempre la relazione tra il bambino e qualcun altro, noi inclusi. Crediamo che nell’educare sia importante non perdere mai di vista che l’oggetto della nostra osservazione è ciò che accade “tra” noi e quel bambino, sottolineando quindi quanto entrambi siamo i protagonisti della relazione.

Il secondo aspetto importante ci pare stia nell’idea di “bambino competente” che deriva, per noi, in parte dall’idea di “bambino autonomo” di Montessori e in parte dall’idea dell’”uomo ricercatore” di Kelly. I bambini, anche i più piccoli, sono continuamente impegnati a verificare, esplorare e realizzare ipotesi ed esperimenti. E questo lo fanno con “competenza”: sono competenti fin dai primi giorni di vita, in cui si accingono a cercare il latte materno, con determinazione e senza che nessuno abbia insegnato loro come fare. Essi sembrano sprigionare una forza aggressiva – in senso PCP – che li porta a esplorare il mondo. Il nostro compito (di educatori, psicologi, adulti) ci pare quello di sostenere e nutrire questa vitalità nell’elaborazione spontanea e nel vivere cicli creativi. Permettere ai bambini di protendersi verso le proprie conquiste, senza proteggerli dall’errore o da piccole frustrazioni che rendano la loro ricerca anche faticosa, consentirà loro di “inventarsi” e sperimentare, in un percorso che inevitabilmente può comprendere anche delle invalidazioni. In linguaggio PCP, ci pare opportuno evidenziare la necessità di favorire esperienze che oscillino tra l’ansia e l’aggressività, tra il rischio e la sicurezza, tra la continuità e la discontinuità.

Per “rispettare” questi due convincimenti (la centralità della “relazione” e l’idea del “bambino competente”), alcune sono le domande chiave che ai nostri occhi è opportuno porci continuamente:

  • Qual è la domanda sottesa al comportamento del bambino in questo momento?
  • In quale esperimento è impegnato?
  • Posso comprendere il suo bisogno pur non condividendo la soluzione che egli propone?
  • Che ruolo assumo io, ai suoi occhi, nel rispondere in questo modo ai suoi esperimenti relazionali?
  • Come rendere le mie azioni più comprensibili agli occhi del bambino?

 

Queste domande ci sembrano importanti per evidenziare la reciprocità della relazione, accogliendo il punto di vista creativo del bambino nel momento in cui “vede” e sperimenta qualcosa di “nuovo” nelle cose note e conosciute ai nostri occhi. In questo senso, tali domande cercano di evidenziare in che misura una data azione o una scelta educativa risponda a un bisogno del bambino e/o a un bisogno dell’adulto. Certo una posizione non esclude l’altra, ma ci pare importante essere consapevoli di cosa chiediamo al bambino e perché, e se e quando il nostro ruolo sia più di impedimento – piuttosto che di facilitazione – nei suoi confronti.

Da questa prospettiva, il rispetto reciproco gioca un ruolo chiave. Con “portare rispetto” intendiamo dare pieno valore alla voce del bambino, assumendo un atteggiamento non giudicante nei suoi confronti, ad esempio quando viene ripreso un suo comportamento non corretto. Nel confronto con alcuni insegnanti/educatori (educatrici) è emerso come spesso si tenda a utilizzare in modo eccessivo il commento “bravo”, come accompagnamento alle azioni del bambino che riteniamo “giuste”. Ci si avvale in questo modo, in maniera massiccia, del costrutto comune “bravo versus cattivo”, senza percorrere altri, differenti, significati, che pure caratterizzano la nostra e sua esperienza. Ad esempio, ecco alcune altre proposizioni “esplorative”:

  • “Che interessante ciò che stai facendo!”
  • “Ti piace?”
  • “Sei soddisfatto?”
  • “È faticoso?”.

 

Questo atteggiamento, espresso – anzi vissuto – anche non verbalmente, ci pare sia la chiave nel lasciar emergere i vissuti del bambino prima che i nostri. Ad esempio, quando siamo in disaccordo con il bambino cerchiamo di interpretare le motivazioni che lo hanno mosso in una precisa direzione: in questo modo, non giudichiamo lui, ma il suo comportamento. In altri termini, sia l’approccio PCP che montessoriano ci sembrano suggerire come non esista il “bambino aggressivo”, ma il bambino che in quel momento “ha fatto male a qualcuno”, che ha avuto o che ha “un comportamento aggressivo”. Ovvero, che nella sua creatività e autonomia ha messo in essere un esperimento che “solo ai nostri occhi” è chiamato aggressivo. Ma qual è il significato intimo, ai suoi occhi, di questo esperimento? Cosa ha espresso, con la corporeità, che può essere ascoltato?

Riflessività e costante auto-osservazione ci sembrano quindi elementi chiave per psicologi, insegnanti, educatori (e anche – semplicemente – adulti) che si relazionano con i bambini. Ci sembra importante poter riflettere sul proprio agire e sapersi mettere in discussione, in maniera costante, nella relazione con i più piccoli, così da vedere quale sia il nostro contributo nelle diverse situazioni educative che si vengono a creare. Coltivare e far emergere, in noi e anche nel bambino, un “dubbio fertile” ci appare come chiave per esplorare altri modi possibili di educare, prendendo in considerazione anche ciò che è incongruente con le proprie certezze.

Questo principio di auto-osservazione, di riflessività, implica ai nostri occhi il coinvolgimento attivo nel processo educativo di genitori, di insegnanti, di educatori, di psicologi: tutte queste figure sono chiamate a ri-vedere costantemente le proprie convinzioni, a educare – facendosi educare – dai bambini stessi, in un processo che possiamo definire circolare. Da questo punto di vista, come psicologi impegnati nella formazione/supervisione o come educatori, risulta essenziale favorire in chi opera in ambito educativo innanzitutto un “approccio disponibile all’errore”, ove anche gli “sbagli” divengono strumenti di comprensione, di affinamento, di sviluppo. Come secondo aspetto, ci sembra altrettanto essenziale in chi opera in ambito educativo una sempre maggior “capacità” di assumere il punto di vista dell’altro, in questo caso, del bambino (ma anche del genitore o dell’educatore). Parlare di “ipotesi” (e non di “realtà”), utilizzare la lettura dell’esperienza come ciclo, parlare di emozioni provate in prima persona possono essere strumenti utili a trovare delle letture alternative e arricchenti delle esperienze dei bambini. Forse questo stile può rivelarsi più scomodo per psicologi, educatori e genitori che cercano la soluzione del “problema educativo”, in quanto ci obbliga a mettere in discussione l’idea di “esperto che sa cosa è meglio fare con i bambini”. Allo stesso tempo costringe a essere costantemente impegnati a mettersi nei panni degli altri, prestando particolare attenzione al proprio contributo, considerare la triade relazionale e l’insieme delle relazioni.

In conclusione, l’agire professionale di fronte al “bambino competente” (che troviamo anche nell’idea di bambino “capace di fare da sé” della Montessori) ci permette di farci aiutare maggiormente dai bambini nel trovare nuove e curiose soluzioni alle sfide comunicative e di relazione. Forse la nostra difficoltà come adulti e genitori sta proprio nell’ascoltare e nel lasciarci suggerire dai bambini, nel considerare la creatività che li caratterizza una risorsa anche per noi stessi.

Il prezzo di modalità educative “direttive” è la perdita della relazione, della creatività, dell’evoluzione (se ci è permesso usare questo termine). Il prezzo di relazionarci in maniera “perturbativa” ai bambini (e non solo) è, invece, la costante fatica di re-inventare noi stessi, assieme al nostro modo di educare. Stante che la scelta sui pro e i contro resta appesa all’atteggiamento che ognuno di noi sceglie di perseguire, ci pare che la seconda opzione sia la sola a poterci portare, assieme al bambino, verso orizzonti nuovi e creativi, sconosciuti a entrambe le parti, ma proprio per questo intriganti e vivi.

Questo approccio all’educazione, che include il punto di vista PCP e quello montessoriano, ci sembra essere improntato a una circolarità cibernetica (von Foerster, 1987), coinvolgendo tanto il bambino quanto le figure adulte in un processo educativo continuo, auto-riflessivo, mutante. Le parole di Freire (1970/2002), in questo senso, descrivono con viva chiarezza questa modalità, ove il pedagogista sudamericano sostiene che “l’educatore non è solo colui che educa, ma colui che mentre educa è educato con l’educando, il quale – a sua volta – mentre è educato, anche educa” (p. 69).

 

5. Conclusioni

Il nostro lavoro presenta certamente dei limiti. In primo luogo, una limitazione ci pare legata al fatto che a nostra conoscenza non sono stati proposti altri paralleli tra l’approccio montessoriano e la PCP. Da questa prospettiva, questo “primo tentativo” ha richiesto un’approfondita lettura dei principali testi di Montessori e di Kelly, tentando un parallelo giocoforza incompleto vista l’ampiezza delle opere e delle strutture teoriche dei due autori.

Una seconda limitazione è data dalla complessità e dalla peculiarità di paragonare figure che hanno operato in contesti geografici, storici, professionali e culturali assolutamente diversi tra loro.

Tuttavia, riteniamo che questo primo lavoro abbia permesso di tracciare un parallelo tra due autori che per molti versi hanno “pronunciato parole simili”.

Il modo di vedere la persona e il suo sviluppo, l’attribuzione di un ruolo attivo, esplorativo e creativo sia da parte di Kelly che di Montessori, ci sembra una base di partenza anche per futuri lavori di comparazione, o anche per “contaminare” e arricchire – come abbiamo cercato di fare nell’ultima sezione di questo articolo – l’approccio PCP con il metodo montessoriano, e viceversa.

La più “grande e sovraordinata comunanza”, a ogni modo, l’abbiamo ritrovata nella ricerca da parte di entrambi di spingere la persona ad auto-realizzarsi, a liberarsi (per l’uno dall’ovvio, per l’altra dalle restrizioni educative e sociali), per coltivare il proprio e personale sviluppo nella vita. Bannister e Fransella (1971/1986) chiariscono che “lo scopo della PCP, nel suo senso più elevato, è quello della liberazione per mezzo della comprensione” (p. 169). Pensiamo che anche in Montessori (2008) sia evidente e onnipresente questa ricerca di capire, di comprendere i bambini, per condurli verso la liberazione, verso una più profonda umanizzazione che negli occhi dell’educatrice italiana ha il riflesso dell’etica e della pace.

Infine, una nota personale. Lavorare a questo articolo ci ha permesso di ricordarci con ancor più forza che – come terapeuti, educatori e persone – possiamo affidarci alla ricerca di nuove frontiere, di nuovi modi di “essere persone”, e in questo i bambini possono esserci di enorme ispirazione. Spesso ci riscopriamo a vedere i bambini come piccoli, per certi versi indifesi e bisognosi di “una educazione”, di un indirizzo. In questo spesso manchiamo di considerare che siamo noi – in molti sensi – piccoli e disorientati, o di vedere che i bambini hanno delle enormi competenze che stanno coltivando autonomamente.

Popper (2000) sosteneva che “mentre differiamo per le poche, piccole cose che sappiamo, di fronte alla nostra infinita ignoranza siamo tutti uguali” (p. 92). Lo stesso pensiamo si possa dire di noi “adulti” verso i cosiddetti “bambini”. Affidarci come educatori, terapeuti e persone ai bambini, può permettere a “entrambi” di procedere, assieme, verso nuovi – creativi – esperimenti.

 

Bibliografia

Bannister, D., & Fransella, F. (1986). L’uomo ricercatore. Introduzione alla psicologia dei costrutti personali. (G. Chiari & M. L. Nuzzo, Trad.). Firenze: Psycho – G. Martinelli. (Opera originale pubblicata nel 1971).

Barusse, A. (2004). I maestri della Scuola Pedagogica di Roma, 1904-1923. Perugia: Morlacchi Editore.

Bowlby, J. (1999). Attaccamento e perdita. Torino: Bollati Boringhieri. (Opera originale pubblicata nel 1969).

Epting, F. R. (1990). Psicoterapia dei costrutti personali. (E. Stiffan, V. Chiarini & V. Alfano, Trad.). Firenze: Psycho – G. Martinelli. (Opera originale pubblicata nel 1984).

Fransella, F. (Ed.). (2003). International Handbook of Personal Construct Psychology. Chichester, UK: John Wiley & Sons.

Freire, P. (2002). La pedagogia degli oppressi. (L. Bimbi, Trad.). Torino: Edizioni Gruppo Abele. (Opera originale pubblicata nel 1970).

Kelly, G. A. (1955a). The Psychology of Personal Constructs. Volume One: Theory and personality. New York, NY: Norton.

Kelly, G. A. (1955b). The Psychology of Personal Constructs. Volume Two: Clinical diagnosis and psychotherapy. New York, NY: Norton.

Kuhn, T. S. (1979). La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Torino: Boringhieri. (Opera originale pubblicata nel 1962).

Maher, B. A. (Ed.). (1969). Clinical Psychology and Personality: The selected papers of George Kelly. New York, NY: John Wiley & Sons.

Maturana, H. R., & Varela, F. J. (1987). L’albero della conoscenza. (G. Melone, Trad.). Milano: Garzanti. (Opera originale pubblicata nel 1984).

Merleau–Ponty, M. (1993). Il bambino e gli altri. Roma: Armando Editore. (Opera originale pubblicata nel 1969).

Montessori, M. (1913). Il Metodo della Pedagogia Scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini. II edizione ampliata. Roma: Loescher & C.

Montessori, M. (1949). Formazione dell’uomo. Milano: Garzanti.

Montessori, M. (1970). La scoperta del bambino. Milano: Garzanti.

Montessori, M. (2008). Educare alla libertà. Milano: Mondadori.

Piaget, J. (1970). L’epistemologia genetica. Roma: Laterza.

Popper, K. R. (2000). Le fonti della conoscenza e dell’ignoranza. Bologna: Il Mulino.

Vico, G. (2005). De Antiquissima Italorum Sapientia. Roma: Edizioni di Storia e Letteratura.

von Foerster, H. (1987). Sistemi che osservano. Roma: Astrolabio.

von Glasersfeld, E. (1995). Radical Constructivism: A Way of Knowing and Learning. London: Falmer Press.

 

Sitografia

www.pcp-net.org/encyclopaedia/organisations

 

Note sugli autori

 

Wilma Fontanari

Institute of Constructivist Psychology

wilma.fontanari@gmail.com

Psicologa, psicoterapeuta ad indirizzo costruttivista, si occupa di pedagogia nei nidi d’infanzia come coordinatrice pedagogica.

 

Lorenzo Gios

Institute of Constructivist Psychology

gios.lorenzo@gmail.com

Psicologo, psicoterapeuta ad indirizzo costruttivista, si occupa di formazione in ambito scolastico e di project management in ambito socio-sanitario.

 

Note

  1. Il paziente sta conducendo un esperimento (traduzione degli autori).
  2. Agire è conoscere, conoscere è agire (traduzione degli autori).
  3. Da qui in seguito verrà utilizzato il termine “educatore/educatrice”: gli autori fanno riferimento principalmente agli operatori che lavorano con bambini di età inferiore ai sei anni.