Tempo di lettura stimato: 5 minuti
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Tre saggi metodologici con pretese terapeutiche

di Felice Accame[1]

di

Chiara Centomo

Institute of Constructivist Psychology

Abstract

DOI:

10.69995/MOKI9861

Non sono mai stata molto affidabile per consigliare libri da leggere sotto l’ombrellone. Ne avevo già qualche sospetto durante le prime vacanze con gli amici, quando ci siamo ritrovati a tirare fuori dalle rispettive borse sei copie identiche di À rebours, romanzo importantissimo per la letteratura mondiale ma un tantino più impegnativo della “Settimana enigmistica”. A onor del vero si trattava di un compito per casa e credo che nessuno l’abbia davvero aperto, però lo usavamo per darci una certa credibilità – non che sia servito a molto, se ben ricordo.

Quest’anno tra i volumi che ho scelto di portare con me in vacanza c’era un libriccino, Tre saggi metodologici con pretese terapeutiche. Si tratta di un testo denso, stringente nella sua argomentazione, dettagliato nei suoi riferimenti teorici e storici, punteggiato da un’ironia di fondo che, pagina dopo pagina, non lascia mai insoddisfatti. Insomma, non propriamente riposante per il rimasuglio di facoltà mentali che di solito mi rimangono in agosto (ammetto che l’ho riletto, una volta a casa). Il fatto è che era proprio difficile staccarsene e l’ho divorato in pochissimo tempo, incurante del sole e del caldo; ricordo che qualcuno mi portava dell’acqua, di tanto in tanto. Però, dovendo prendere ormai atto che le vacanze sono finite (almeno per me), mi sento completamente abilitata a consigliarne la lettura, senza avere sulla coscienza eventuali colpi di calore altrui . Per precauzione mi sento in dovere di ricordare al lettore audace di bere molto, evitando bevande ghiacciate.

 

Come spiegato nella prefazione, il libro “raccoglie tre saggi scritti indipendentemente l’uno dall’altro tra il 2008 e il 2015” (Accame, 2016, p.5): 1. La furbizia di Giovanna D’Arco. Consapevolezza dell’operare mentale e subalternità, 2. Il potere, l’amore, la morte e Dio. Sugli sconfinamenti psicoterapeutici della Metodologia Operativa di Silvio Ceccato (saggio che abbiamo ospitato per la prima volta proprio su questa rivista[2]), 3. L’animale ripetente, lo stesso e l’altro. L’Autore puntualizza subito che “quando dico indipendentemente, va da sé che usi un modo di dire piuttosto superficiale: la base teorica, per esempio, è la stessa; come è lo stesso lo scopo che vogliono raggiungere – constatare come una maggiore consapevolezza in ordine al nostro operare mentale possa influire sulle tante sofferenze e sulle poche felicità degli esseri umani” (Ibidem). Un obiettivo non da poco, direi.

 

La base teorica, si chiarirà man mano che si procede nella lettura, è la strada tracciata da Silvio Ceccato e dalla Scuola Operativa Italiana nella seconda metà del secolo scorso: prendendo le distanze dalla concezione di un essere umano come passivo specchio di un mondo già fatto, pronto per l’uso, essi hanno proposto di considerare ogni cosa come un risultato (invece che un dato di fatto) e interrogarsi sulla sequenza di operazioni mentali che l’hanno reso tale. L’invito è a focalizzarsi sul nostro stesso sguardo e sulla responsabilità che deriva da questa consapevolezza. Per inciso, a parer mio l’Autore prende molto sul serio questo tipo di responsabilità, includendo abilmente nella trattazione teorica anche una sua stessa critica, uno sguardo che ci permetta di dare un’occhiata anche là dove il genio, la coerenza metodologica, la buona volontà possono trovare il proprio limite più o meno naturale.

 

“Ovviamente”, continua l’Autore riprendendo il discorso dell’analisi delle operazioni mentali, “allorché il “qualcosa” appartiene al dominio delle “sedie” o delle “penne a sfera” il compito è facilmente – facilmente, entro certi limiti – eseguibile, ma allorché il “qualcosa” appartiene al dominio della percezione[3] delle “sedie” o delle “penne a sfera”, il compito si fa arduo” (Ibidem, pp.46-47). A maggior ragione diventa quasi impossibile quando prendiamo in considerazione temi come il giusto, la causa e l’effetto, l’amore, e così via (cosette da niente, insomma). Ad esempio, come l’esperienza della vita quotidiana ci insegna, potremmo discutere su ciò che è giusto o sbagliato per ore e senza trovare un accordo se ci dimentichiamo – abbracciando un presupposto realista – che non è possibile parlare di qualcosa indipendentemente da noi stessi, da una nostra attività.

 

Ed ecco che la “pretesa terapeutica” promessa nel titolo comincia a chiarirsi: l’Autore porta numerosi (e per la maggior parte piuttosto spassosi) esempi di come la mancanza di consapevolezza relativa al proprio operare mentale porti con sé una buona dose di sofferenza e di infelicità nei più svariati ambiti, dalla spiritualità alla vita di coppia, dal funzionamento sociale ai tormenti individuali. Insomma, anche il realismo può uccidere, o quantomeno fare molto male. D’altra parte, però, come ci ricorda ad un certo punto Madeleine – la protagonista di un libro di Eugenides citato nel secondo saggio – non basta ridurre l’amore a una serie di operazioni mentali, o di costrutti, per poter smettere di amare chi ci ha spezzato il cuore e così soffrire di meno. Come dire: la consapevolezza è fondamentale ma, da sola, non basta. Penso agli psicoterapeuti e soprattutto ai loro pazienti, i quali spesso arrivano in terapia con una visione cristallina rispetto al ruolo che loro stessi giocano nei problemi che li affliggono, eppure – riportano con rammarico – non riescono a cambiare. La terapia è (anche) altro.

 

E infatti non si faccia l’errore di pensare di trovarsi di fronte a un libro di ricette: se in un primo momento può sembrare che l’Autore individui nella consapevolezza operativa la chiave del benessere e dell’eliminazione di (quasi) ogni sofferenza, ben presto ci si rende conto che lo scenario è ben più complesso di quanto appare. Forse è proprio rispetto a questa complessità non adeguatamente esplorata da Ceccato e dalla Scuola Operativa Italiana che è rivolto quel “si può ricavare qualcosa di meglio” (Ibidem, p.50), un po’ come fanno quegli insegnanti che si rammaricano delle potenzialità non messe a frutto dell’alunno svogliato ma capace. E a mio parere è proprio in questo spirito che l’Autore propone alcune raffinate e interessanti analisi operative su tematiche su cui nel corso della vita tutti noi, chi più chi meno, tendiamo ad arrovellarci.

 

Egli è ben consapevole che, in ogni caso, la scelta di utilizzare o meno gli spunti che offre resta individuale: se da una parte “dalla consapevolezza non si torna indietro” (Ibidem, p.49), dall’altra rimane pur sempre possibile continuare ad assegnare agli altri o ad altro le responsabilità del proprio operare. La società, la religione, la cultura pubblicitaria ci offrono ogni giorno delle rassicuranti scappatoie in questo senso. Poi che questa sia la soluzione meno faticosa, come afferma l’Autore, a mio parere sul lungo periodo è tutto da vedere.

 

Note

  1. Accame, F. (2016). Tre saggi metodologici con pretese terapeutiche. Milano: Biblion.
  2. Accame, F. (2014). Il potere, l’amore, la morte e Dio. Sugli sconfinamenti psicoterapeutici della Metodologia Operativa di Silvio Ceccato. Rivista Italiana di Costruttivismo, 2:2, 71-87.
  3. Corsivo mio. (N.d.A.)