Tempo di lettura stimato: 26 minuti
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Costruttivismo e Project Management

Constructivism and Project Management

di

Sara Carbone e Lorenzo Gios

Institute of Constructivist Psychology

Abstract

Così come un terapeuta può essere definito un “acceleratore d’esperienza per il paziente” (Kelly, 1955b, p. 25), un progetto può costituire una sorta di catalizzatore dei processi del gruppo target verso un obiettivo definito. Saper articolare una buona idea in un’adeguata proposta progettuale può aprire nuove opportunità, anche lavorative, per gli psicologi che lavorano in diversi ambiti: nel settore sanitario, sociale e del lavoro.

 

Sulla base di queste premesse e delle comunanze ravvisate tra la descrizione dei processi secondo un’ottica costruttivista, come ad esempio il ciclo dell’esperienza, e la descrizione delle fasi del ciclo di progetto, chi scrive tenta di presentare a chi abbraccia il Costruttivismo e la Psicologia dei Costrutti Personali alcuni concetti chiave di pianificazione e gestione di un progetto (Project Management – PM).

Insofar “the therapist accelerates the tempo of the client’s experience” (Kelly, 1955b, p. 25), we might add that a project accelerates the tempo of the target’s experience. Being able to plan and carry out a project can be a relevant skill, even for job purposes, for psychologists working in the Health sector.

 

Considering this premises and the commonalities that can been envisaged between the constructivist formulations, such as the Experience Cycle, and some Project Management Key features, such as the Project Cycle, in terms of emphasizing processes, through this article writers twill try to introduce to the Constructivist fellows and PCP colleagues some key concepts in project planning and management (PM).

Keywords:
Costruttivismo, project management, ciclo di progetto, ciclo dell’esperienza, progettazione | constructivism, project management, Project Cycle, Experience Cycle, Project planning

1. Introduzione[1]

Questo elaborato vuole essere una proposta di incontro tra la PCP come parte del costruttivismo e il project management (PM), nella misura in cui la lettura dei processi formulata secondo la teoria costruttivista possa essere un’utile chiave di lettura per alcuni concetti basilari del Project Management[2].

Potremmo dire, come considerazione iniziale, che nella misura in cui il terapeuta può essere definito un “acceleratore d’esperienza per il paziente(Kelly, 1955b, p. 25), un progetto può costituire una sorta di catalizzatore dei processi del gruppo target verso un obiettivo definito.

Prendendo le mosse da questa considerazione, abbiamo intravisto la possibilità di avventurarci in un confronto – o per meglio dire un incontro – tra il costruttivismo, inteso come teoria della conoscenza e comprendente la Psicologia dei Costrutti Personali (Kelly, 1955), ed un ambito applicativo spesso lontano dall’esperienza degli psicoterapeuti: l’ideazione, la stesura e la gestione di un progetto.

L’augurio di chi scrive questo elaborato è fornire una chiave di lettura dell’attività di progettazione attraverso il costruttivismo, al fine ulteriore di rendere il Project Management più facilmente comprensibile ed, eventualmente, utilizzabile da coloro che condividono un approccio PCP.

La sensazione che condividiamo, infatti, è che spesso la progettazione venga vissuta come un momento molto distante da un approccio costruttivista, per l’ampio uso di protocolli e procedure pre-stabilite che vengono suggerite ed impiegate in questo ambito.

A nostro avviso vi sono invece delle importanti sovrapposizioni e vicinanze in termini di processualità, che intendiamo esplorare di seguito.

Al principio dell’elaborato, dichiariamo lo scopo di questo esperimento. A seguire, sono esplicitate le premesse che canalizzano questo scritto.

Infine proponiamo la possibile ri-descrizione di un progetto nei termini di una sperimentazione di aggressività in una situazione di minaccia, entrambe intese secondo la definizione di Kelly (1955a).

 

2. La finalità del lavoro e le nostre premesse

Il nostro lavoro parte essenzialmente da due considerazioni, che intendiamo esplicitare qui di seguito: (a) l’approccio della PCP ci sembra particolarmente adatto per ri-descrivere e leggere la progettazione; (b) la PCP mira – come obiettivo generale – allo sviluppo armonico della persona, obiettivo che principalmente viene perseguito (professionalmente) nel contesto del sistema socio-sanitario di salute pubblica, in cui la progettazione è un elemento chiave o imprescindibile.

Per quanto concerne il primo punto, ci troviamo d’accordo con David Green nell’osservare la distanza tra il linguaggio utilizzato in ambito PCP e quello utilizzato dalla comunità scientifica e della salute pubblica in generale (Green, 2012). Termini come evidence-based o evidenza, scientificità, protocollo sembrano essere, ad una prima lettura, molto lontani dal linguaggio tipico della PCP e fortemente legati ad un paradigma realista. Questo paradigma coincide con una definizione di realtà sintetizzabile con il riferimento al frammentalismo accumulativo (Bannister & Fransella, 1971), il datum che viene preso dalla realtà, ben differente dall’approccio dell’alternativismo costruttivo (ibidem), secondo cui qualsiasi evento può essere sempre ri-descritto.

Abbiamo avuto entrambi occasione di percepire questa distanza, avendo lavorato – parallelamente al percorso di formazione in psicoterapia costruttivista – come project manager presso strutture pubbliche. Questa esperienza ci ha consentito di sperimentare un particolare punto di osservazione che ci ha avvicinato al linguaggio del project management, della gestione di progetti secondo canoni stretti e prelativi (Kelly, 1955a), in linea con il classico approccio di progettazione in ambito di salute pubblica.

Pur percependo questa distanza, abbiamo notato anche la comunanza – in termini di processi – tra progettazione e PCP. Infatti, la PCP ci sembra particolarmente adatta ad essere utilizzata in un contesto di progettazione, in quanto: (a) è una teoria chiaramente strutturata (stretta nella definizione e quindi nella verificabilità delle sue parti); (b) è estremamente focalizzata sui processi (ovvero sul metodo) piuttosto che sui contenuti.

Questo la rende particolarmente spendibile e applicabile in molti ambiti: in termini costruttivisti, la PCP possiede un ampio range di applicabilità (Brophy, 2004). Del resto, lo stesso Kelly non escludeva, nell’esporre la sua teoria, che questa potesse essere utile in ambiti professionali estremamente vari e diversi rispetto a quello esclusivamente psicoterapeutico[3].

Per quanto riguarda il secondo punto, desideriamo sottolineare come la PCP si proponga come strumento finalizzato a facilitare lo sviluppo armonico della persona, in un senso ampio che non si esaurisca semplicemente nella cura di un disturbo[4].

Nell’ambiente in cui ci troviamo, il sistema socio-sanitario è il contesto in cui più spesso i professionisti PCP perseguono tale obiettivo di sviluppo armonico della persona. All’interno del sistema di sanità pubblica, inoltre, molto spesso le attività sono organizzate e descritte in termini di “progetti” e questa è spesso la condizione posta per accedere a risorse, anche economiche, e realizzare quindi le proprie attività, anche come psicologi.

Pertanto, l’insieme di strumenti e procedure del project management rappresentano una risorsa per pianificare ed implementare un’attività secondo una modalità condivisa e – potremmo dire – accettata dalla comunità scientifica. Se chi adotta un approccio costruttivista intende dialogare con il contesto in cui opera (e l’analisi di contesto è indicata da Kelly come uno dei passi fondamentali attraverso cui il terapeuta deve muoversi[5]) e implementare in maniera efficace progetti o iniziative di matrice costruttivista, non potrà che tradurre il proprio linguaggio, rendendolo comprensibile alla realtà in cui intende operare. Questo adattamento sarà un segno di creatività, coraggio e inventiva, doti che assumiamo come fondamentali tanto in terapia quanto nel lavoro di progettazione.

In questo senso ci pare ancora più opportuno cercare di tradurre un approccio costruttivista in un linguaggio di progettazione, e vice versa.

Sostanzialmente questo elaborato è il primo passo di un cammino più ampio, che ha lo scopo di creare un dialogo tra l’attività clinica e la progettazione, esplorando come l’approccio PCP, con i suoi strumenti, possa essere proficuamente impiegato qualora si voglia trasformare un’idea in un progetto e, vice versa, come questo possa acquisire in maniera creativa strumenti provenienti da altri ambiti dell’esperienza.

Riteniamo che questo possa essere particolarmente utile, oltre che nuovo. Numerose sono infatti le applicazioni della PCP all’interno di ambiti specifici, in prevalenza nel setting scolastico (Fransella, 2005) e nelle organizzazioni (Brophy, 2002). Tuttavia, da una preliminare ricerca, non risultano esempi di utilizzo della cornice e delle metodologie costruttiviste a vantaggio del project management e dell’elaborazione di un protocollo di progetto, né della sua gestione ed implementazione.

 

3. Costruttivismo e project management

 

3.1 Il project management

In questo paragrafo intendiamo fornire al lettore una breve ed inevitabilmente parziale descrizione del project management, che verrà in seguito letto attraverso una lente costruttivista.

Il Project Management Institute (l’ente di riferimento a livello internazionale per questa disciplina) definisce il project management (PM) come “l’applicazione di conoscenze, attitudini, tecniche e strumenti alle attività di un progetto al fine di conseguirne gli obiettivi” (www.pmi.org).

L’obiettivo di questa disciplina è quindi quello di realizzare un progetto (qualsiasi sia – almeno in linea teorica – il suo ambito e il suo scopo) con efficienza per quanto riguarda i suoi obiettivi, i tempi e il budget previsti. Il PM è quindi strettamente legato al “progetto”, inteso come “un’impresa complessa, unica e di durata determinata, rivolta al raggiungimento di un obiettivo chiaro e predefinito mediante un processo continuo di pianificazione e controllo di risorse differenziate e con vincoli interdipendenti di costi – tempo – qualità” (ibidem).

Da un punto di vista storico, il PM nasce agli inizi del ‘900, come tentativo di realizzare in maniera organizzata e schematizzata alcune opere ingegneristiche particolarmente complesse. Solamente dopo la metà del ‘900 si assiste ad una esplicitazione sempre maggiore e sempre più precisa del PM, applicato ad ambiti anche molto diversi dall’ingegneria, come la salute pubblica o la gestione di impresa.

In termini generali, come detto, il PM si focalizza sostanzialmente su progetti o, meglio, sulla lettura dei processi sottostanti alla realizzazione di uno specifico progetto o azione, mentre negli anni questo approccio è stato esteso anche alla lettura di enti e istituzioni che non necessariamente operano per o in progetti. Il recente dibattito su questa disciplina ha suddiviso il PM in diverse branche, come ad esempio l’Organisational Management (la gestione di organizzazioni) o il Behavioural Management (incentrato sulla gestione dei comportamenti di persone o gruppi all’interno di una specifica organizzazione). Questo processo di espansione, tutt’ora in corso, evidenzia come il PM sia sempre più applicato a differenti discipline teoriche (come la psicologia sociale e del lavoro) e differenti ambiti professionali.

Il PM può sembrare, almeno in apparenza, un insieme di tecniche e strumenti presentati ed utilizzati senza una precisa cornice teorica. In parte questa lettura può risultare corretta. Non va infatti dimenticato che il PM nasce in un contesto statunitense e culturalmente pervaso di pragmatismo, almeno nelle sue fasi iniziali di sviluppo (Anagnostopoulos, 2004).

Allo stesso tempo va però sottolineato che soprattutto negli ultimi decenni si assiste allo sviluppo di un ampio dibattito teorico ed epistemologico rispetto a tale disciplina (ibidem). Il PM viene descritto come un ibrido di approcci epistemici diversi. Primi tra questi, il realismo e il positivismo: la realtà può essere osservata in modo scientifico, razionale, e le azioni messe in atto permettono di controllare e stabilire la sequenza di eventi in maniera precisa e sintetica. La seconda componente è generalmente individuata nel costruttivismo: tramite il PM, ci si propone di strutturare ed organizzare azioni che non sono date di per sé, ma co-costruite a partire da esigenze, visioni e realtà diverse e spesso non complementari.

 

3.2 La progettazione come esperienza aggressiva e strategicamente orientata in una situazione di ansia: “acting is knowing, knowing is acting” (Maturana & Varela, 1984, p.13).

Stante la definizione di progetto e di project management che abbiamo visto in precedenza, come possiamo leggere questa materia da un punto di vista costruttivista? Quale possibile incontro possiamo proporre? Indossando fin dal principio delle lenti costruttiviste per guardare al mondo della progettazione, tra le diverse possibilità scegliamo di ri-descrivere un progetto come una transizione di aggressività, kellianamente intesa, intrapresa per far fronte a una transizione d’ansia o di minaccia. Nel senso dato da Kelly, l’aggressività è descritta come esplorazione attiva del campo percettivo (Kelly, 1955a). Può essere un esempio la volontà di rischiare per poter scoprire qualcosa di nuovo, così come un bambino che impara a camminare.

L’ansia, così come la definisce Kelly (Kelly, 1955a, p. 365), è la consapevolezza che gli eventi che ci troviamo di fronte giacciono per lo più al di fuori del campo di pertinenza del nostro sistema di costrutti.

Si intende cioè che l’individuo è consapevole che gli eventi, che pur in qualche modo costruisce, non sono da lui padroneggiati, ed è proprio questa incapacità di dare un senso comprensibile alle cose che conferisce all’ansia quell’intrinseca ambiguità.

A tale difficoltà si accompagna spesso l’uso, inadeguato, di sottosistemi di costruzione incompatibili tra loro. Facendo riferimento al corollario della frammentazione e a quello della modulazione (Kelly, 1955b), Kelly conclude che, sostanzialmente, una persona può tollerare una certa quota di incompatibilità tra costrutti, ma non troppa, e che tale quota dipende dalla permeabilità dei suoi costrutti superordinati.

A questo punto, per esplicitare maggiormente in che senso la progettazione possa essere intesa come un’esplorazione aggressiva che il sistema mette in atto per far fonte all’ansia, potremmo dire che la situazione “problematica” che si intende approcciare tramite un progetto ricade, in prima battuta, ai margini del sistema di costruzione di uno psicologo o di un progettatore e che i costrutti di progettazione serviranno ad aumentare il campo di pertinenza del suo sistema, riducendo così in maniera sistematica e graduale la portata della transizione d’ansia cui va incontro il sistema.

Supponiamo che uno psicologo progetti una serie di interventi in una scuola e che tali interventi, per risultare efficaci nei suoi termini, debbano articolarsi in azioni da mettere in atto secondo una specifica sequenza temporale: ricorrere ad un diagramma di Gantt (Gantt, 1919) potrebbe consentirgli di pianificare le azioni, visualizzandone la relativa durata ed evidenziando le interrelazioni che esistono tra di esse, per esempio prevedere quando sarà in grado di avere certi risultati per poter fare revisione e poter avviare un’attività successiva.

Sostanzialmente un supporto alla sua anticipazione.

Il lavoro di individuazione di obiettivi generali e, soprattutto, specifici è funzionale a scomporre il campo percettivo in elementi più semplici e maneggiabili per il sistema del project manager. Allo stesso modo la pianificazione delle distinte azioni che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi specifici è funzionale al conseguimento dell’obiettivo finale, più ampio e sovraordinato: non a caso si usano vari termini per definirlo, tra cui obiettivo nobile, gerarchicamente più elevato e più comprensivo, che sussume i singoli obiettivi specifici.

Numerosi sono gli strumenti utilizzati nell’ambito della progettazione, finalizzati a ordinare gli elementi del sistema progetto in una maniera coerente e comprensiva.

Per chiarire come un progetto, o un piano precisato di azioni specifiche, sia funzionale a scomporre in elementi più semplici una situazione che possa portare ad una transizione di ansia, prendiamo ad esempio una circostanza storica nota a tutti.

Nel secondo dopoguerra la situazione economica europea era piuttosto preoccupante e il governo americano si rese ben presto conto che l’Europa avrebbe avuto bisogno di ingenti aiuti finanziari da parte sua per i successivi 3-4 anni perché, senza di essi, la gran parte del Vecchio Continente avrebbe conosciuto un gravissimo deterioramento delle condizioni politiche, economiche e sociali.

Il governo statunitense, nella persona del segretario di stato, avviò un processo di negoziazione con gli stati europei, finalizzato alla definizione di obiettivi: per formulare un piano d’aiuti, George Catlett Marshall (1880-1959) chiese ai diversi Stati di formulare un programma di richieste che gli Stati Uniti avrebbero poi finanziato, secondo le disponibilità.

Lo European Recovery Program (ERP), storicamente noto come Piano Marshall, previde alla fine uno stanziamento di poco più di 17 miliardi di dollari per un periodo di quattro anni.

L’obiettivo generale era favorire una prima integrazione economica del Continente.

Al di là degli sviluppi storici e degli obiettivi specifici del Piano, che qui non ci preme considerare, così come le diverse interpretazioni storiografiche ad esso seguite, il senso di questo esempio è chiarire come la progettazione di una serie di azioni precise corrispondenti ad altrettanti obiettivi specifici sia un esempio di esplorazione aggressiva in una situazione di ansia e minaccia per un sistema, a qualunque livello di analisi.

Il progettatore, in questo caso Marshall, ha provveduto per prima cosa a mappare il sistema in cui si sarebbe dovuto muovere, identificando quelle che un terapeuta PCP potrebbe definire le aree d’ansia e le aree di aggressività. Successivamente ha definito degli obiettivi specifici, scomponendo l’evento in sotto-eventi più circoscritti e maneggiabili. A questo punto ha definito delle specifiche azioni che, secondo le proprie anticipazioni, gli avrebbero consentito di ottenere dei risultati che potevano avvicinarlo all’obiettivo generale, più sovraordinato e molto comprensivo.

 

3.3 Ricostruzioni del project management secondo una lettura costruttivista: il progetto come ciclo della creatività

Rifacendoci ancora alle definizioni di project management e progetto che sono state proposte, in questo paragrafo tenteremo di descrivere un progetto in termini costruttivisti. Un utile strumento di lettura per chi conosce la PCP può essere il ciclo della creatività, che – a parere degli autori – ben si adatta a descrivere il progetto stesso.

Per Kelly un ciclo della creatività è un ciclo che, come riportato da Epting (1984/1990) parte da una costruzione allentata e termina con una costruzione ristretta e validata (Kelly, 1955a, p. 388).

Effettivamente un progetto può prendere le mosse da una costruzione allentata, ovvero da una formulazione di un’idea di intervento definita in termini ampi, a volte anche imprecisi rispetto alle proprie implicazioni. Ma un progetto è anche una costruzione ristretta e validata rispetto ad un dato argomento, ovvero è un piano d’azione dettagliato che contiene ipotesi verificabili (ulteriormente restringibili in indicatori), in modo tale da permettere la in/validazione e il ri-orientamento successivo delle azioni in vista dello scopo del progetto stesso.

Nella fase di ideazione/formulazione, chi progetta può operare una dilatazione, includendo nel proprio campo di osservazione nuovi elementi, e la costruzione dell’intervento potenziale si configura come allentata. Chi progetta può spostarsi da un’ipotesi di azione all’altra, immaginandone in maniera vaga le implicazioni, in attesa di stringere la propria costruzione per sottoporla a verifica.

Per fare un esempio concreto di cosa questo possa significare nella pratica del project management, possiamo dire che durante l’analisi della letteratura si costruisce in maniera ancora allentata (fase iniziale di definizione di un progetto), che documenta l’esperienza precedente fatta da altri ricercatori e può sostenere la formulazione di nuove ipotesi/anticipazioni.

Un altro esempio potrebbe essere l’analisi del contesto condotta attraverso la distribuzione di un questionario. Nel momento in cui abbiamo una costruzione piuttosto vaga di quali siano i bisogni del nostro gruppo target rispetto alla materia di cui ci stiamo occupando, possiamo testare le ipotesi piuttosto lasse in base alle quali ci stiamo muovendo, facendo delle domande che ci aiutino ad andare a verifica e a formulare idee più precise.

Una volta in possesso di informazioni maggiormente affinate rispetto al tema di interesse, sarà possibile operare un restringimento, formulando un’ipotesi stretta e verificabile, ovvero, ad esempio, delle domande precise da inserire nel nostro questionario. Tramite l’utilizzo di quei metodi e quegli strumenti (domande, questionario), l’anticipazione è di ottenere delle precise informazioni (i dati che il questionario permette di ottenere). Nella misura in cui tali anticipazioni sono in/validate, un nuovo ciclo della creatività può prendere avvio.

Come in terapia, così nell’ambito della progettazione e del project management, una persona creativa dovrebbe avere la capacità di muoversi dall’allentamento al restringimento: ognuna delle due modalità di costruzione, presa a sé, non consentirebbe di fare dei passi avanti per strutturare il proprio intervento e attuarlo.

In letteratura è possibile trovare qualche esempio di progetto che ha visto l’applicazione rigorosa di metodi, che però non sono stati tarati e conseguentemente revisionati in base al contesto. Uno di questi è il caso di un intervento realizzato in un ospedale con 300 posti letto, specializzato in malattie croniche e riabilitazione (Nadler, 1977, in Orford, 1998).

In tale caso, il comitato esecutivo dell’ospedale, composto dall’amministratore e dai suoi collaboratori, in difficoltà per il reclutamento del personale, l’elevato assenteismo, il morale basso, la scarsa comunicazione interna e il crescente interesse dello staff verso la sindacalizzazione, aveva interpellato un team di consulenti.

Il team di intervento aveva organizzato delle riunioni orientative con ciascun gruppo di lavoro allo scopo di presentarsi e chiarire il senso della propria presenza, descrivendo gli obiettivi e la modalità di raccolta dati. Dopodiché due mesi di lavoro erano stati impiegati per la raccolta dati, che aveva compreso delle interviste in profondità con un campione casuale di 100 componenti dello staff, l’osservazione dello stesso durante l’attività lavorativa e la somministrazione di un breve questionario.

La successiva analisi dei dati aveva permesso di identificare una certa confusione nella percezione dell’autorità, per cui i membri del comitato esecutivo avevano l’impressione che l’amministratore prendesse la maggior parte delle decisioni in privato, senza interpellarli, mentre il personale infermieristico avvertiva la mancanza di un vertice direttivo.

Ora, l’analisi dei dati aveva portato alla redazione di un resoconto di 26 pagine, che avrebbe potuto essere un utile strumento da utilizzare, ad esempio, proprio per rifondare la relazione tra i membri del personale e quelli del comitato direttivo. In questo caso il comitato si dichiarò contrario a questo tipo di scelta, preferendo organizzare una serie di incontri di feedback con circa 70 membri del personale alla volta. A questi incontri però erano sempre presenti anche membri del comitato direttivo e il personale non si sentiva libero di intervenire per esprimere il proprio punto di vista. Il fatto che il resoconto non fosse stato condiviso generò inoltre malcontento tra i lavoratori e le indicazioni del team di consulenti non furono seguite dagli amministratori.

Non è necessario perdersi in analisi complesse per comprendere come, in questo caso, i metodi di per sé siano stati applicati ciascuno in maniera rigorosa e tuttavia cieca, poiché le conoscenze emerse dal primo livello di analisi non sono state tenute in debita considerazione per operare una revisione, formulando e verificando nuove ipotesi.

Il terapeuta che, fatta una prima diagnosi, si limiti a definire degli obiettivi e a identificare i metodi che ha intenzione di adottare per il loro raggiungimento, senza essere permeabile ai nuovi elementi che emergono nella relazione con il paziente, o disponibile ad un nuovo allentamento propedeutico ad un differente restringimento, offrirà al proprio paziente un’esperienza simile a quella che il team di consulenti dell’esempio riportato sopra ha offerto sia ai membri del comitato direttivo che a quelli del personale.

Questi esempi possono utilmente far emergere quanto il ciclo della creatività, strumento PCP per eccellenza, possa essere applicato alla lettura e descrizione di un’attività tecnica e tipica del project management, come la progettazione.

 

3.4 Il progetto come ciclo dell’azione e la Ricerca-Azione come ciclo dell’esperienza

Riprendendo la lettura della progettazione alla luce dei cicli chiave presentati nella letteratura costruttivista, si propone in questo paragrafo l’utilizzo del ciclo CPC o ciclo dell’azione (Kelly, 1955).

É utile ricordare al lettore come Kelly chiarisca che la fase di restringimento del ciclo della creatività non porta di per sé all’azione, ha più a che vedere con la generazione di significati.

Se una persona riesce ad arrivare ad un certo grado di restringimento, ecco che può formulare ipotesi più precise, dunque verificabili o falsificabili. A questo punto prende avvio in maniera appropriata un ciclo CPC.

Il ciclo CPC è una sequenza di costruzione che comprende in successione la circospezione, la prelazione e il controllo e che conduce a una scelta che fa precipitare la persona dentro una situazione particolare (Kelly, 1955a, p. 515).

Questo ciclo può essere applicato alle diverse fasi della progettazione, come descritto in seguito.

Durante la prima fase della pianificazione[6], chi concepisce un progetto si approccia all’oggetto di studio in maniera proposizionale, includendo cioè diverse interpretazioni e vagliando più ipotesi di intervento (circospezione).

Per rendere più significativa l’esperienza del lettore, qualche esempio può essere d’aiuto.

In un progetto di ricerca, fino alla conclusione della fase di ideazione/formulazione, il campo di pertinenza del progetto è definito, ma ancora sono in ballo diverse ipotesi sul come, cioè sulle modalità da impiegare per proseguire nella ricerca e approdare all’azione.

Proponiamo di includere nella fase della circospezione l’esame dei diversi disegni di ricerca che possono essere pertinenti per indagare l’oggetto di studio, dunque i diversi approcci metodologici e gli strumenti più adatti.

Nel caso si voglia approfondire la conoscenza di un fenomeno, prima di attuare un intervento, potrebbe essere utile preliminarmente adottare un disegno di ricerca di tipo cross-sezionale o trasversale[7], che è un disegno di ricerca che consente di ricavare una sorta di fotografia della situazione in cui il progetto verrà realizzato, oppure del gruppo target.

Un’altra metodologia spesso impiegata nella fase della circospezione è l’osservazione partecipante[8].

Questo genere di approccio può risultare molto familiare, nonché congeniale, ad un costruttivista, poiché è un metodo qualitativo che implica un profondo coinvolgimento da parte del ricercatore rispetto al contesto culturale e all’esperienza quotidiana del gruppo oggetto della sua curiosità scientifica.

Margaret Mead (1928), ad esempio, ha effettuato uno studio sulle adolescenti dell’isola di Samoa, allo scopo di verificare la seguente ipotesi: i disturbi che affliggono gli adolescenti americani, sono dovuti alla natura stessa dell’adolescenza o sono legati alla civilizzazione? Per appurare tale ipotesi, la Mead passò nove mesi a stretto contatto con la popolazione:

I concentrated upon the girls of the community. I spent the greater part of my time with them. I studied most closely the households in which adolescent girls lived. I spent more time in the games of children than in the councils of their elders. Speaking their language, eating their food, sitting barefoot and cross-legged upon the pebbly floor, I did my best to minimise the differences between us and to learn to know and understand all the girls of three little villages on the coast of the little island of Tau, in the Manu’s Archipelago (p. 10) [9].

In tale fase, Mead non doveva fare altro che dilatare il proprio campo percettivo per poter includere nuovi elementi che le consentissero poi di testare l’ipotesi dichiarata al principio del suo studio, assicurando al proprio sistema di ricercatrice una utile permeabilità ai nuovi elementi. Questo metodo serve a chiarire i confini e le caratteristiche del quadro in cui il progetto si può articolare, entrando nella successiva fase della prelazione e del controllo del ciclo dell’azione

Il passo successivo riguarda la definizione della metodologia da adottare: la moderna ricerca opera principalmente una distinzione tra metodologie quantitative e qualitative. Come Ricercatore/Progettatore, potrò selezionare dei metodi quantitativi, dei metodi qualitativi o impiegarli entrambi in momenti differenti della mia azione, a seconda delle mie necessità (Bruce, 2008; Denzin & Lincoln, 2000).

I metodi quantitativi, riletti in termini costruttivisti, si basano su una costruzione stretta (pertanto più facilmente verificabile o falsificabile) prelativa e regnante delle dimensioni che sono oggetto dell’indagine del ricercatore. Un esempio può essere costituito dai test di intelligenza, come la WAIS-R (Wechsler, 1981), o dalle scale per misurare una dimensione specifica, come la Self Esteem Scale di Rosenberg (Rosenberg, 1965).

I metodi qualitativi si associano a una maggiore permeabilità, allo scopo di far emergere le dimensioni di significato che si configurino come rilevanti all’interno dell’area di indagine. Le interviste semi-strutturate o i Focus Group, con le metodologie di analisi dei contenuti emersi, possono essere presi ad esempio di questa tipologia di procedimenti.

Dopo l’esplorazione del campo, il ricercatore prende in considerazione una delle ipotesi di intervento (prelazione), adottando la metodologia e gli strumenti che reputa i più efficaci per verificare la propria ipotesi (controllo del sistema), cioè quelli con cui anticipa di essere in grado di validare le proprie anticipazioni di successo nella verifica.

A questo punto prende avvio l’implementazione vera e propria del progetto.

A tal proposito, per un costruttivista e per l’approccio alla conoscenza che l’affiliazione a tale paradigma comporta, sarà interessante fermarsi un attimo a considerare che, più o meno negli stessi anni in cui Kelly fonda la psicologia dei costrutti personali (Kelly, 1955), Kurt Lewin delinea le caratteristiche della Ricerca-Azione (Lewin, 1946) o Ricerca-Intervento, che si propone di associare la comprensione scientifica del fenomeno indagato alla promozione di un cambiamento concreto.

Considerando il periodo storico che fa da scenario alla vita di Lewin, nonché le ripercussioni sulle sue vicende personali, non stupisce che il termine introdotto da questo scienziato sia nato in riferimento alla soluzione di alcuni problemi generali di quel periodo, come ad esempio il fascismo, l’antisemitismo, la povertà, il conflitto tra i gruppi e i problemi delle minoranze.

Il termine Ricerca-Azione calza particolarmente poiché i metodi previsti da questo approccio sono mirati ad affrontare la tensione esistente tra il bisogno di risolvere problemi urgenti, dunque di agire, e quello di far avanzare la comprensione scientifica dei sistemi sociali (Orford, 1998).

Ad uno psicoterapeuta che condivida il paradigma costruttivista questo genere di approccio alla ricerca di comunità non può non suggerire un’analogia con il carattere di co-costruzione di significati e di co-sperimentazione che caratterizza la pratica terapeutica.

Una delle definizioni di Ricerca-Azione (R.A.) più citate, è quella di Rapoport (ibidem):

La Ricerca Azione vuole fornire un contributo sia alle preoccupazioni pratiche delle persone che si trovano in una situazione problematica immediata, sia agli scopi della scienza sociale, tramite una collaborazione condivisa all’interno di una cornice etica reciprocamente accettabile (p.265).

Per fare questo il ruolo del ricercatore deve essere rinnovato: non è più un osservatore distaccato, i sistemi del ricercatore e del cliente sono interdipendenti in ogni fase del processo. Il ricercatore dunque partecipa alla realtà sociale che intende studiare e cambiare e potremmo dire che egli non possa essere considerato scienziato più di quanto non lo siano tutti gli altri attori coinvolti.

Questo approccio risulta estremamente vicino a quello PCP relativo ai ruoli di terapeuta e di paziente (Epting, 1984).

L’approccio della R.A. (Figura 1) si articola in una serie di fasi che richiamano molto da vicino il ciclo dell’esperienza (Maher, 1969) (Figura 2).

 

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Figura 1: una rappresentazione dell’approccio noto come Ricerca-Azione (Lewin, 1946).

 

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Figura 2: una rappresentazione del ciclo dell’esperienza (Maher, 1969).

 

3.5 SIALON e SIALON II: leggere i progetti attraverso il ciclo dell’esperienza

A questo punto della trattazione, può essere utile proporre un esempio di lettura di un progetto secondo le fasi del ciclo dell’esperienza, facendo riferimento ad un’esperienza concreta vissuta lavorando come project manager. L’esempio riguarda i progetti SIALON e SIALON II (si veda per dettagli il sito www.sialon.eu), entrambi sviluppati nell’ambito del Secondo Programma di Salute Pubblica dell’Unione Europea.

Il progetto SIALON, avviato nel 2007, aveva l’obiettivo di raccogliere dati validi ed attendibili rispetto alla prevalenza di HIV nella popolazione omosessuale in sette Paesi europei, tra cui l’Italia. Per ottenere questo obiettivo, il progetto prevedeva la realizzazione di un’indagine tramite questionario e test HIV su fluido orale (saliva). Test e questionario sono stati utilizzati nei locali gay di sei città europee, adottando un metodo di campionamento detto Time-Location Sampling, o TLS (Mirandola et al, 2009). Il metodo TLS era stato scelto in base all’ipotesi (anticipazione) che una popolazione potesse essere coinvolta in un’indagine di questo tipo entrando nei luoghi a frequentazione specificamente omosessuale delle città interessate in misura tale da ottenere un campione rappresentativo della popolazione oggetto dello studio. I risultati di questo primo progetto europeo sono stati particolarmente interessanti, evidenziando tuttavia, nelle fasi che potremmo identificare con investimento ed incontro del ciclo dell’esperienza, che l’uso di questo peculiare sistema di campionamento poteva escludere alcune fasce della popolazione omosessuale potenzialmente interessanti per una rilevazione sulla prevalenza dell’HIV, come ad esempio: (i) persone omosessuali che non frequentano locali,(ii) persone che utilizzano modalità altre rispetto alla frequentazione dei locali per incontrarsi (es.: internet), oppure (iii) uomini che – pur avendo rapporti con altri uomini – non si identificassero come gay e quindi non frequentassero specifici locali.

Potremmo dire che l’anticipazione con questo metodo potrò raggiungere efficacemente un campione rappresentativo della popolazione oggetto di studio è stata invalidata.

Il progettatore ha effettuato una revisione delle proprie anticipazioni sull’efficacia del metodo di campionamento scelto in precedenza e ha quindi formulato nuove ipotesi da testare.

A seguito dei risultati un secondo progetto, denominato SIALON II, è stato co-finanziato e ha preso avvio nel 2010.

In questa seconda iniziativa, al metodo di campionamento detto TLS è affiancato un secondo metodo, detto Responent-Driven Sampling (RDS). L’approccio RDS, anziché basarsi sui luoghi si basa sulla rete sociale dei rispondenti, ai quali viene chiesto, una volta arruolati nello studio, di reclutare a loro volta degli amici o dei conoscenti.

Il progettatore cerca cioè di capire se questo metodo consenta di eludere le criticità emerse dall’utilizzo del metodo TLS (revisione e formulazione di nuove anticipazioni, all’origine di un nuovo ciclo dell’esperienza).

Questa nuova modalità quindi, attualmente in fase di realizzazione, nelle anticipazioni dei ricercatori potrebbe migliorare e potenziare la capacità del progetto di produrre dati attendibili sulla prevalenza di HIV, in maniera complementare a quanto il metodo Time-Location Sampling possa fare.

I risultati di SIALON II potranno confermare o smentire questa nuova anticipazione, consentendo in caso di pianificare un progetto ulteriormente raffinato.

Nella figura seguente si propone uno schema che rappresenti graficamente la lettura dei progetti SIALON e SIALON II in base al ciclo dell’esperienza.

 

Immagine che contiene testo, Carattere, cerchio, schermata Descrizione generata automaticamente

 

Figura 3: una possibile rappresentazione dei progetti SIALON e SIALON II come Ciclo dell’Esperienza

 

4. Conclusioni

Con questo articolo abbiamo cercato di avvicinare al project management chi solitamente guarda il mondo con lenti costruttiviste dalla prospettiva della psicoterapia individuale. È il primo passo per ampliare il range di pertinenza di questo approccio grazie alla lettura ed alla costruzione di un progetto.

Questa proposta è originata da due considerazioni. La prima è relativa al contributo che la PCP può dare alla progettazione, che chi scrive è convinto sia prezioso e rilevante dal punto di vista scientifico. La seconda è relativa alla convinzione che conoscere il project management e saper elaborare un progetto in maniera efficace possano contribuire ad amplificare la portata di un obiettivo generale della PCP, ovvero lo sviluppo armonico della persona (Epting, 1984): attraverso le attività di un progetto è possibile, ad esempio, proporre alle persone coinvolte un diverso punto di vista sulla problematica che si affronta, o dei diversi strumenti per maneggiarlo.

Per fare questo abbiamo cercato di raccontare la nostra esperienza ed esplicitare le nostre premesse, tentando di chiarire le comunanze che ravvisiamo tra costruttivismo e project management.

Un progetto può essere letto come risposta strategicamente orientata e strutturata ad una situazione di ansia, come l’apertura di un ciclo della creatività, come l’azione in cui si precipita tramite il controllo dopo la circospezione e la scelta di un’alternativa (prelazione); infine le diverse fasi della Ricerca-Azione ci appaiono fortemente comunanti con il ciclo dell’esperienza descritto da Kelly.

Ci auguriamo che la prospettiva presentata da questo scritto possa essere ripresa e rivista da parte dei colleghi costruttivisti che desiderino ri-descrivere le proprie idee di intervento in ambito socio-sanitario in progetti coerenti e concretizzabili nell’azione. Allo stesso tempo, questo può rappresentare un invito a proporre nuove tecniche e strumenti applicabili in ambito di project management, un metaforico territorio in cui il costruttivismo e la PCP potrebbero portare a nostro avviso rilevanti contributi.

 

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Sitografia

www.pmi.org

www.pcp-net.org/encyclopaedia/organisations

 

Note sugli autori

 

Sara Carbone

Institute of Constructivist Psychology

saracarb@gmail.com

Psicologa, psicoterapeuta ad indirizzo costruttivista, si occupa di project management e progettazione europea in ambito socio-sanitario.

 

Lorenzo Gios

Institute of Constructivist Psychology

gios.lorenzo@gmail.com

Psicologo, psicoterapeuta ad indirizzo costruttivista, si occupa di project management e progettazione europea in ambito socio-sanitario.

 

Note

  1. In tutto il testo la traduzione delle citazioni originariamente in lingua inglese è degli autori.
  2. A prescindere dall’approccio metodologico di riferimento, il project management comprende l’insieme di procedure relative alla gestione di tutte le fasi di cui si compone un progetto, dalla pianificazione, attraverso l’implementazione, fino alla valutazione.
  3. Il costruttivista “può guadagnarsi da vivere come psicologo, educatore, assistente sociale, psichiatra, prete, amministratore, non è poi così rilevante” (Kelly, 1955a, p. xii).
  4. “La nostra idea dello scopo ultimo della psicologia clinica come disciplina, nonché la nostra concezione di terapia, coincidono con un processo psicologico che cambi il punto di vista di una persona su un qualche aspetto della vita. Riguarda il costruire o, più precisamente, il ricostruire” (Kelly, 1955a, p. 131). O ancora: “Una teoria può essere vista come un modo di connettere una moltitudine di fatti, così da poterli comprendere tutti insieme. […] Ma non finisce qui. Una teoria fornisce una base per un approccio attivo alla vita, non semplicemente una comoda poltrona dalla quale contemplare le proprie vicissitudini con indifferente compiacenza. L’umanità non deve necessariamente essere una massa di spettatori che assistono allo spettacolo della creazione. L’uomo può giocare un ruolo attivo nel dare forma agli eventi” (Kelly, 1955a, p. 13).
  5. Ci riferiamo in particolare al quarto livello o step della diagnosi, definito da Kelly “analisi del contesto nel quale va ricercato il cambiamento”(Kelly, 1955b, p. 156).
  6. Che più avanti sarà definita identificazione/formulazione, secondo la terminologia usata nel Project Management Cycle.
  7. “Uno studio che considera le relazioni tra il disturbo e altre variabili di interesse in una particolare popolazione ad un dato momento” (Last, 2001, p. 44).
  8. “Osservazione partecipante: un metodo impiegato nelle scienze sociali, in cui il ricercatore (osservatore) è (o finge di essere) un membro del gruppo studiato. Gli epidemiologi diffidano di tale metodo sulla base della considerazione che l’oggettività dell’osservazione possa essere compromessa” (ibidem, p. 132).
  9. “Mi concentrai sulle giovani donne della comunità. Passai la maggior parte del mio tempo con loro. Studiai da vicino le famiglie in cui le adolescenti vivevano. Trascorsi più tempo tra i giochi dei bambini che alle riunioni degli anziani. Parlando la loro lingua, mangiando il loro cibo, sedendo scalza e a gambe incrociate sul pavimento di ciottoli, feci del mio meglio per ridurre al minimo le differenze tra di noi e per imparare a conoscere e capire tutte le giovani dei tre villaggi sulla costa della piccola isola di Tau, nell’Arcipelago di Manu.”.