Il nuovo anno è iniziato, purtroppo, con la scomparsa della persona che forse ha maggiormente influenzato la Psicologia dei Costrutti Personali dopo il suo fondatore, George Kelly. Dennis Neil Hinkle è morto l’8 gennaio 2014, dopo oltre settant’anni dedicati alla ricerca di un senso, di un significato personale che alcuni chiamano psicologia, altri semplicemente vita.
Nel 1965 scrisse quella che nelle parole di Beverly Walker è la tesi di dottorato inedita più citata nella storia della psicologia: The change of personal constructs from the viewpoint of a theory of construct implications (Hinkle, 2010). In tale ricerca Hinkle introdusse un nuovo modo di guardare alle continue costruzioni e ricostruzioni personali che fino ad allora era rimasto troppo implicito o del tutto incompreso. Cambiare non significa semplicemente ponderare due o più alternative, significa piuttosto confrontarsi con le implicazioni che tali alternative hanno sul nostro modo di dare senso a noi stessi e al mondo. Nelle sue parole puntuali e illuminanti, anche se non di immediata comprensione: “questa teoria sviluppa l’idea che la definizione di un costrutto debba coinvolgere l’enunciazione della posizione della dimensione di costrutto nel contesto della rete gerarchica delle implicazioni costruttive” (Hinkle, 2010, p. 3). Da allora il concetto di implicazione è divenuto un mantra ricorrente della psicologia costruttivista, con vaghi e spesso minimi riferimenti ad una tesi di dottorato che molti sembrano conoscere e che in pochi hanno forse letto. Basti ricordare come le tecniche del laddering (Landfield, 1971) e dell’ABC (Tschudi, 1977), i concetti di resistenza al cambiamento (Leitner & Dill-Standiford, 1993) e di dilemma implicativo (Feixas, Saul & Sanchez, 2000) siano declinazioni metodologiche del lavoro di Hinkle.
Ho avuto la fortuna di conoscere, anche se solo in via epistolare, Dennis e il suo modo esuberante, diretto di incontrare e lasciarsi incontrare. Fu lieto di sapere che assieme a Fay Fransella stavamo preparando una prima pubblicazione della sua tesi. Ci fece una sola richiesta: che il suo scritto fosse liberamente e gratuitamente accessibile agli interessati. Non era certo una persona in cerca di fama o di rivalsa, credeva fortemente in una visione della scienza come una sfida ineludibile a cui ogni uomo non possa rinunciare (Hinkle, 2010, pp. 27-29). Il nostro scambio a distanza iniziò proprio da questo tema. All’epoca mi dibattevo nel mio personale dilemma in cui fare clinica sembrava in contrapposizione al fare ricerca. Lo stesso dilemma riportato come esempio nella famosa tesi (Hinkle, 2010, p. 6) e in parte sperimentato dallo stesso Hinkle. Con sferzante ironia definì simili dubbi depressione, “ciò che una persona non sta facendo e che è realmente importante, appassionante, centrale per lui”. Quello che aveva compreso, lavorando con Kelly, è che ogni uomo, psicologi inclusi, è uno sperimentatore. L’illusione della scarna e consequenziale semplicità del mondo, il “bloody instrument” (Hinkle, 2010, p. 3) del rasoio di Occam, può essere estremamente pericoloso per uno psicologo che non voglia indulgere al riduzionismo. Se l’uomo è uno scienziato, la sua innegabile complessità è data dagli innumerevoli esperimenti con cui, ogni giorno, mette alla prova i suoi significati. Questo assunto permette un primo passo a chi si senta, come Hinkle mi confessò di essersi sentito spesso, un Prometeo Incatenato. Una persona per cui ogni alternativa è occlusa, pena la perdita della propria identità.
Il dilemma più grande che dovette affrontare fu però legato alla sua omosessualità. Apparteneva alla “generazione conformista, silenziosa degli anni 50” (Hinkle, 2000, p. 7), cresciuta durante il maccartismo, per la quale essere gay significava dover nascondere, negare un’incontestabile perversione. E così fece per buona parte della vita. Nella sua autobiografia racconta di come visse nella paura e nel dolore proprio perché “i conflitti non finiscono mai per la persona gay che si senta ingabbiata” (Hinkle, 2000, p. 136). Anche in presenza di mostri sacri della psicologia come Fritz Perls e George Kelly celò la sua identità. Sino al burning point, al punto di combustione, in cui non fu più possibile negare ciò che intimamente lo animava. “L’amore è il dolore di essere realmente vivi, di prender coscienza della nostra più grande felicità. E la sofferenza è spesso la via verso la saggezza. Quelli che non soffriranno… non possono vivere. Io ho compreso tutto questo in maniera convincente, nella maniera più dura” (Hinkle, 2000, p. 229).
Così incarnò la sua teoria, capì quali parti della sua identità erano destinate a cambiare, svanire, quali a fiorire e disvelarsi. Di tutto ciò che aveva appreso due insegnamenti portò sempre con sé: l’invito di Perls a vivere nel presente “dove la realtà è sempre” (Hinkle, 2000, p. 213) e quello di Kelly per cui “la verità più importante che mai conosceremo nelle nostre vite è la verità delle relazioni umane” (Hinkle, 2000, p. 223). Dopo molte sofferenze abbandonò la maschera di Prometeo, negli ultimi anni preferiva definirsi “un grasso vecchio Buddha in contemplazione”, sempre dotato di ironia, voglia di vivere, appassionato interesse per ogni viandante incontrato lungo il cammino.
Child of Light! thy limbs are burning
Through the vest which seems to hide them
P. B. Shelley, Prometheus Unbound, II(5), 54-55
Bibliografia
Feixas, G., Saul, L. A., & Sanchez, V. (2000). Detection and analysis of implicative dilemmas: implications for the therapeutic process. In J. W. Scheer (Ed.), The Person in Society: Challenges to a Constructivist Theory. Giessen: Psychosozial-Verlag.
Hinkle, D. (2000). Burning Point. Tajique, NM: Alamo Square Press.
Hinkle, D. (2010). The change of personal constructs from the viewpoint of a theory of construct implications. Personal Construct Theory & Practice, 7, Suppl. 1, 1-61.
Landfield, A. W. (1971) Personal Construct Systems in Psychotherapy. Chicago: Rand-McNally.
Leitner, L. M. & Dill-Standiford, T. (1993). Resistance in experiential personal construct psychotherapy: theoretical and technical struggles. In L. M. Leitner & N. G. M. Dunnett (Eds.), Critical Issues in Personal Construct Psychotherapy. Malabar, Fl: Krieger Publishing Company.
Tschudi, F. (1977). Loaded and honest questions: a construct theory view of symptoms and therapy. In D. Bannister (Ed.), New Perspectives in Personal Construct Theory. London: Academic Press.
Note sull’autore
Simone Cheli
Institute of Constructivist Psychology, Padova
Psicologo, psicoterapeuta, si interessa principalmente di psiconcologia, formazione organizzativa ed epistemologia della complessità