Tempo di lettura stimato: 7 minuti
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La lunga marcia verso una teoria della personalità

Struttura e cambiamento alla luce della teoria delle implicazioni costruttive

The long march towards a theory of personality

Structure and change in the light of theory of constructive implications

di

Simone Cheli

Università di Firenze

Abstract

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In questa breve introduzione vorrei rispondere ad una domanda che credo ogni lettore si ponga nell’affrontare un testo così complesso: ha senso leggere una teoria delle implicazioni costruttive scritta cinquanta anni fa? Ed inoltre, come possiamo collocare tale teoria all’interno del costruttivismo e della psicologia moderna in genere?

 

Per rispondere a queste domande dobbiamo partire da un momento, a mio avviso, fondamentale nell’evoluzione della psicologia: il cambio di paradigma che George Alexander Kelly ha introdotto nel ridefinire il concetto di resistenza sino ad allora patrimonio incontrastato della psicoanalisi. “Dato che non utilizziamo una teoria difensiva della motivazione umana, il termine non riveste il significato centrale che deve necessariamente assumere per gli psicoanalisti. Piuttosto, noi riconosciamo delle limitazioni necessarie in vari sistemi di costrutto delle persone. Noi riconosciamo minaccia e ansia.” (Kelly, 1955, p. 1101). La teoria kelliana assume che la nostra vita sia una forma di movimento derivante dalle nostre possibilità (e limitazioni) nel dare senso a noi stessi ed al nostro mondo. Così nel far fronte alle nostre esperienze possiamo incorrere in varie forme e livelli di difficoltà nel conservare intatti (o ridefinire) i nostri sistemi di significato. Simili affermazioni presuppongono una visione della psicologia e dell’uomo fortemente innovativa per gli anni in cui è stata formulata. Si assume che i nostri problemi abbiano a che fare con le costruzioni degli eventi, piuttosto che con gli eventi stessi. Si assume che la psicologia debba offrire una formulazione che, per quanto approssimativa e parziale, ambisca a parlare di e con la persona nel suo insieme e non con singole funzioni o patologie. Per far questo è però necessaria una teoria della personalità che spieghi in termini processuali e transdiagnostici come le nostre scelte al contempo ci impongano infiniti vincoli e ci dischiudano infinite possibilità. “Molto tempo fa, come racconta la storia, l’uomo prese una fatidica decisione. Scelse di vivere la sua vita comprendendo, piuttosto che obbedendo” (Kelly, 1969, p. 207).

 

In questo lungo viaggio si colloca la storia personale e professionale di Dennis Hinkle (2000). Una storia che trova un suo punto di svolta nella scelta del relatore e dell’oggetto della sua tesi di dottorato. Hinkle scelse di formulare e testare una teoria delle implicazioni costruttive sotto la supervisione di Kelly. Da oltre 10 anni il gruppo formatosi attorno all’ideatore della Psicologia dei Costrutti Personali (PCP), alla Ohio State University, stava sviluppando una teoria della personalità che ambiva a definire dei processi costruttivi comuni a tutti gli uomini e a tutte le cosiddette patologie. Per favorire il cambiamento auspicato da pazienti e terapeuti, dovremmo innanzitutto considerare quale sia l’impatto che tale cambiamento possa avere sul sistema di significati, sulle soggettive teorie della personalità, che ognuno di noi ha sviluppato e che spesso assume immutabili (Kelly, 1955, p. 489; Landfield, 1955, p. 434). In tale contesto si origina la domanda guida della tesi: “Cosa determina la resistenza relativa al cambiamento dei costrutti personali?” (Hinkle, 2010b, p. 3). Cosa rende più o meno percorribile un cambiamento anticipato, cosa rende più o meno vincolante un sistema od un sottosistema di significati per le possibili scelte di una persona? A distanza di 50 anni tali domande penso possano accomunare ogni terapeuta nella sua pratica quotidiana, al di là degli indirizzi e delle terminologie utilizzate per formulare una diagnosi ed impostare un trattamento. E così Hinkle si addentrò in quella che all’epoca gli parve una semplice riflessione teorica forse priva di risvolti pratici e innovativi (Hinkle, 2010a, p. viii). Lasciamo al lettore ogni considerazione su come il suo personale percorso, la sua dilaniata ricerca di un senso possa aver vincolato tale considerazione (Hinkle, 2000, p. 136). Quello che possiamo assumere è che sia lo sperimentatore che i soggetti arruolati nello studio di questa tesi ormai famosa, abbiano incarnato un principio fondante dell’epistemologia costruttivista: “le osservazioni sono fatte da un soggetto vivente (experiencing) e pertanto dipendono dal suo modo soggettivo di percepire e concepire” (Glasersfeld, 2007, p. 22).

 

Alla luce di quanto detto, possiamo inquadrare l’opera di Hinkle all’interno di un’evoluzione teorica ed applicativa della psicologia che ancora oggi è a mio avviso viva e vitale. Un’evoluzione che travalica i confini della PCP e che tali confini dovrebbe sempre più abbattere. A noi la scelta se estendere alle nostre teorie professionali o soltanto alle teorie personali dei pazienti quanto segue: “una teoria è quindi vincolata soltanto dal sistema costruttivo della quale si comprende che ne sia una parte; e certamente il vincolarsi è soltanto temporaneo, dura solo fin quando tale particolare sistema sovraordinato è utilizzato” (Kelly, 1955, p. 19).

 

Negli ultimi 30 anni la psicologia ha sempre più fatto propri due principi derivati da altre discipline: (i) l’assunto della biologia per la quale i sistemi viventi sono strutture autopoietiche la cui organizzazione circolare “costituisce un sistema omeostatico la cui funzione è di produrre e mantenere proprio tale organizzazione circolare” (Maturana & Varela, 1980, p. 9); (ii) l’assunto della cibernetica secondo la quale “il cambiamento nella direzione dell’apprendimento, dell’adattamento e dell’evoluzione sorge dal controllo del controllo, piuttosto che da un cambiamento incontrollato per sé” (Keeney, 1983, p. 71). Questi due modelli hanno arricchito i presupposti originari di tutti quegli autori che nel campo della psicologia avevano cercato di formulare una teoria strutturale e processuale della personalità. Ci permettono di identificare in Hinkle un pioniere della moderna psicologia, che ha dovuto aspettare alcuni decenni prima di vedere le sue teorie o teorie affini ritornare al centro della riflessione clinica. Dobbiamo riconoscere ad autori come Watzlawick (Watzlawick, Weakland, & Fisch, 1974), Guidano (Guidano & Liotti, 1983) ed Efran (Efran, Lukens, & Lukens, 1990) il merito di aver portato avanti un tentativo sostanziale di affrontare la psicoterapia nei termini di una visione comprensiva e de-patologizzata della persona e della sua esperienza. I due fili conduttori restano i principi biologici e cibernetici precedentemente riportati, che ante-litteram si ritrovano nella teoria delle implicazioni costruttive. Da un lato la tendenza omeostatica dei nostri sistemi di significato e delle nostre scelte, dall’altro la possibilità di favorire un movimento tramite una comprensione dei processi di costruzione piuttosto che dei loro contenuti. Al giorno d’oggi questa visione della psicologia non è più confinata in autori o indirizzi di nicchia, ma bensì è oggetto di costante riflessione teorica e applicativa. Al di là dei modelli e delle terminologie, paradigmi come la Metacognition (Dimaggio, 2007), la Mindfulness (Didonna, 2008), la Narrative CBT (Rhodes, 2014), la Relational Frame Theory (Hayes, Barnes-Holmes, & Roche, 2001), prendono le mosse dalle medesime domande e dalle medesime ambizioni che animarono Dennis Hinkle nel 1965. Cosa vincola l’esperienza umana, come possiamo promuovere una consapevolezza dei processi che fanno di noi ciò che siamo?

 

Sebbene le risposte fornite dagli autori qui citati spesso divergano, spero che il lettore possa cogliere l’invito implicito ad applicare l’alternativismo costruttivo di George Kelly (1955, pp. 3-46) non solo ai pazienti, ma anche ai colleghi. Le barriere che noi costruiamo nel rincorrere un senso irraggiungibile di coerenza, sono la via verso l’ortodossia professionale e la sofferenza personale. Questa è forse la maggiore eredità di Dennis Hinkle, o almeno quella che io ho scelto di portare con me.

 

P.S.

Ritengo che un sentito ringraziamento da parte di tutti noi lettori in lingua italiana sia dovuto a Francesca Del Rizzo, che ha scelto di offrire gratuitamente il suo tempo ad una simile, complessa impresa di traduzione. Il rigore e la creatività logica di Hinkle sono certo un duro banco di prova per un traduttore.

 

Bibliografia

Didonna, F. (Ed.). (2008). Clinical Handbook of Mindfulness. New York: Springer.

Dimaggio, G., Semerari, A., Carcione, A., Nicolò, G., & Procacci, M. (2007). Psychotherapy of Personality Disorders. Metacognition, States of Mind and Interpersonal Cycles. London: Routledge.

Efran, J. S., Lukens, M. D., & Lukens, R. J. (1990). Language, Structure and Change. Frameworks of Meaning in Psychotherapy. New York: Norton.

Glasersfeld, E. (von) (2007). Key Works in Radical Constructivism. Rotterdam: Sense Publishers.

Guidano, V. F., & Liotti, G. (1983). Cognitive Processes and Emotional Disorders. New York: The Guildford Press.

Hayes, S. C., Barnes-Holmes, D., & Roche, B. (2001). Relational Frame Theory. A Post-Skinnerian Account of Human Language and Cognition. New York: Kluwer.

Hinkle, D. (2000). Burning Point. Tajique, NM: Alamo Square Press.

Hinkle, D. (2010a). A brief glance backward. Personal Construct Theory & Practice, 7, Suppl. 1, vii-ix.

Hinkle, D. (2010b). The change of personal constructs from the viewpoint of a theory of construct implications. Personal Construct Theory & Practice, 7, Suppl. 1, 1-61.

Keeney, B. P. (1983). Aesthetics of Change. New York: The Guildford Press.

Kelly, G. A. (1955). The Psychology of Personal Constructs. New York: Norton.

Kelly, G. A. (1969).Psychotherapy and the nature of man. In B. Maher (Ed.), Clinical Psychology and Personality, (pp. 207-215). New York: John Wiley & Sons.

Landfield, A. W. (1955). Self-predictive orientation and the movement interpretation of threat. The Journal of Abnormal and Social Psychology, 51(3), 434-438.

Maturana, H. R., & Varela, F. (1980). Autopoiesis and Cognition. The Realization of the Living. Dordrecht: Kluwer.

Rhodes, J. (2014). Narrative CBT. London: Routledge.

Watzlawick, P., Weakland, J. H., & Fisch, R. (1974). Change. Principles of Problem Formulation and Problem Resolution. New York: Norton.

 

Note sull’autore

 

Simone Cheli

Scuola di Scienze della Salute Umana, Università di Firenze

simone.cheli@unifi.it

Psicologo, psicoterapeuta, si interessa principalmente di psiconcologia, formazione organizzativa ed epistemologia della complessità.