“I volti sono come mappe, contengono tutta la geografia dell’anima, luoghi a cui occorre dare un nome e una storia. Il dolore, la fatica, le paure, il male, il bene, la pioggia, gli schiaffi, le carezze, il vento, i pianti, il sonno, la felicità: tutto, giorno dopo giorno, gesto dopo gesto, scolpisce e trasforma quella carne […] Ciò che ci troviamo davanti agli occhi non lo vediamo, anche perché in genere non vogliamo vedere davvero, quanto piuttosto ottenere conferma di quello che già crediamo di sapere e rimanere ciechi su ciò che non ci conviene sapere”.
(Alessandro D’Avenia)
Il volto di ogni donna e uomo ha, nelle sue forme, tutta la storia e la vita di quella persona. Sta a noi la scelta di vedere un volto nella sua integrità o ignorarne le pieghe e le curve contenute in esso. È questo quello che pensa Omero Romeo, protagonista del libro “L’Appello” di Alessandro D’Avenia, autore e giornalista conosciuto dal grande pubblico a partire dal suo romanzo d’esordio del 2010 “Bianca come il latte, rossa come il sangue”. L’Appello è la storia di una classe di 10 studentesse e studenti all’ultimo anno di liceo, incerti sulle loro vite e inascoltati dagli adulti che li circondano. Lungo la narrazione, ognuno di loro, grazie all’attenzione del professore Omero, ritroverà la creatività necessaria per costruire la propria strada e arrivare alla conclusione del proprio percorso di studio. Tutta la storia è narrata dal punto di vista del protagonista, un professore di scienza che, dopo aver lasciato l’insegnamento a causa di una malattia che progressivamente ne determina la cecità, sceglie di ritornare al lavoro che ha sempre amato. Se tutto è detto da un osservatore (Maturana e Varela, 1984/1987), l’osservatore Omero è un osservatore diverso da tutti gli altri. Egli costruisce le persone intorno a sé toccandone il volto, ascoltandone la voce, costruendo, attraverso la sensibilità di tutto il suo corpo, la presenza degli altri nello spazio. Kelly (1966) fonda la Psicologia dei Costrutti Personali partendo dall’alternativismo costruttivo secondo il quale “gli eventi che oggi affrontiamo sono soggetti a costruzioni tanto numerose quanto le nostre facoltà ci permettono di concepire” (p. 1). Omero porta con sé nella scuola in cui lavora, in virtù della sua cecità, un cambio di prospettiva che parte, ricalcando le parole di Kelly (ibidem), da ciò che “le sue facoltà gli permettono di concepire”. Esemplare è lo scambio di battute, all’inizio del testo, fra il professore Omero e il preside della scuola. Il preside si presenta come un uomo disilluso, con un’idea di scuola come luogo di passaggio di nozioni e regole, impermeabile a visioni differenti della scuola da lui diretta. All’opposto, Omero presenta una visione della scuola fatta di socialità così come Kelly (1955) utilizza questo costrutto. In che modo egli incarna questa diversità? L’appello, che nella mia esperienza è sempre stato paradossalmente un momento di anonimato, viene trasformato dal professore Omero nell’incontro con il mondo dell’altro iniziando dalla denominazione del corpo. In particolare, egli richiede ai ragazzi, all’inizio di ogni lezione, di dire il proprio nome e raccontare cosa li definisce meglio di volta in volta, per poi avvicinarsi alla cattedra per essere “visti” toccando i loro visi. Attraverso le loro storie e i loro volti, il protagonista costruisce ogni giorno, in una forma sempre più complessa e significativa, le persone che incontra lungo la sua strada. A questo titolo Omero (D’Avenia, 2020) afferma:
Sino a che non lo identifichi e non gli dai un nome, un fenomeno non esiste. Voi siete fenomeni per i quali a me è chiesto di stabilire il nome preciso e l’appello è la formula completa che salva il mondo. (p. 33)
La visione della scuola che viene proposta dall’autore è quella di un luogo non tanto fisico ma prima di tutto relazionale in cui ogni parte, se veramente coinvolta, assume su di sé la responsabilità di dare spazio allo sguardo dell’altro per costruire con esso un terreno comune. L’apprendimento stesso viene presentato non tanto come un immagazzinare nozioni distaccate dalle nostre esperienze, quanto piuttosto un processo attraverso il quale, partendo dai nostri significati, ognuno di noi riesce a far vivere qualcosa che gli altri non vedono. Le polarità opposte che vengono quindi a costruirsi lungo la narrazione sono quelle tra una scuola che lavora con l’obiettivo di dare nozioni e una disciplina sterile e una scuola dove è centrale il ruolo dell’esperienza nella costruzione di se stessi. Il Corollario dell’Esperienza (Kelly, 1955; Epting, 1984/1990) ci dice che il sistema di costrutti di un individuo varia in relazione all’esperienza dello stesso. L’obiettivo che il professore Omero porta avanti lungo la storia, partendo dalla pratica dell’appello prima descritta, è di far sì che la scuola diventi un luogo d’esperienza, in grado di trasformare chi la abita, permettendo a questi di creare direzioni inedite per il suo agire nel mondo. Di fronte alla volontà dei suoi studenti di portare l’appello nell’esperienza con altri docenti, il protagonista afferma (D’Avenia, 2020):
L’energia che si sta liberando potrebbe diventare incontrollabile. Ma fino a che non la usano, a proprio rischio e pericolo, non sapranno mai che cosa significa essere liberi. Nessuno ha mai detto loro che creare e crescere sono la stessa cosa. (p. 123)
Questo passaggio è un punto di rottura dove gli studenti di Omero iniziano ad esplorare dimensioni di significato diverse con gli altri insegnanti. Ciò di cui ci parla D’Avenia è un processo di cambiamento che porta con sé necessariamente il passaggio a una scuola con un’etica nuova. Il crescente riconoscimento del mondo dell’altro attraverso la pratica dell’appello risuona con il Corollario della Socialità di Kelly (1955), secondo il quale è solo nella misura in cui noi cerchiamo di costruire i processi di costruzione dell’altro che possiamo giocare un ruolo sociale con quest’ultimo. È un movimento che porta con sé una responsabilità di tipo etico dove solo se impegnati in un processo reciproco di riconoscimento dei nostri e altrui sistemi di costruzione si può avere l’incontro di Persone con altre Persone (Giliberto, 2017). Questo esperimento, come principio di un cambiamento, viene costruito dagli altri insegnanti e dalla società civile inizialmente come altamente minaccioso. Kelly (1955) definisce la minaccia come una transizione indicante “la consapevolezza di un imminente ed ampio cambiamento nelle strutture nucleari”. In questo processo gli eventi sono riconosciuti in modo chiaro insieme alle conseguenze che questi possono avere per la persona (Epting, 1984/1990). La minaccia per il contesto che circonda il protagonista e la sua classe è legata alla difficoltà di farsi carico della presa di responsabilità etica di cui si è parlato in precedenza. Diversi sono i tentativi per disinnescare tale processo di cambiamento, ma anche di fronte alla sospensione del professore Omero dal suo incarico l’appello non si ferma. Per D’Avenia è una chiamata, quella dell’appello, alla quale prima o poi tutti, dagli insegnati alla società civile, devono rispondere. Così avviene all’interno del romanzo che si conclude con un ultimo appello di studenti che hanno imparato che la vita, come Kelly ha insegnato (1955), è un esperimento costante che richiede ad ognuno di noi attenzione alle nostre scelte e consapevolezza delle nostre possibilità. In conclusione, il libro di Alessandro D’Avenia può essere considerato un appello alle lettrici e ai lettori che si avvicinano ad esso. È un appello a porre uno sguardo consapevole sull’altro, creando un contatto che passa attraverso il dare spazio ai molteplici significati che ognuno di noi porta con sé. L’invito è a fare proprio un presupposto etico che guarda all’altro sempre come Persona (Giliberto, 2017), permettendo così ad ognuno di noi di costruire relazioni all’interno delle quali possiamo prenderci cura di noi stessi e degli altri.
Bibliografia
Epting, F. R. (1990). Psicoterapia dei costrutti personali. Introduzione alla teoria e metodica operativa della tecnica terapeutica. (E. Stiffan, V. Chiarini & V. Alfano, Trad.). Firenze: Psycho di G. Martinelli. (Opera originale pubblicata 1984).
Giliberto, M. (2017). Per un’etica esperienziale non normativa. Rivista Italiana di Costruttivismo, 5(2), 9-24.
Kelly, G. A. (1955). The psychology of personal constructs (vol. 1-2). New York, NY: Norton.
Kelly, G. A. (1966). Brief Introduction to Personal Construct Theory. (1966) Published in D. Bannister (Ed.), Perspectives in personal construct theory (pp. 1-29), Academic Press, London 1970.
Maturana, H. R., & Varela, F. J. (1987). L’albero della conoscenza. (G. Melone, Trad.). Milano: Garzanti Editore. (Opera originale pubblicata 1984).
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