Fondare e gestire una rivista scientifico-culturale con l’intento di fare le cose fatte bene, non è cosa da poco. Per certi versi, è una follia. La pretesa di riempire un vuoto editoriale in italiano con un periodico che tratta di costruttivismo, se è possibile, è ancora più folle.
Il primo livello di follia riguarda il lavoro che bisogna fare, le persone che occorre coinvolgere, la fatica che è necessario mettere in preventivo. Difficoltà non da poco per un progetto no-profit, soprattutto oggi che il tempo pare la risorsa più preziosa e dissipata di ognuno.
Il secondo livello di follia, quello che riguarda l’argomento, invece, si fonda sulla consapevolezza che il costruttivismo è un paradigma sempre più diffuso ma dai contorni ancora indefiniti. Figlio di molti progenitori, da Pirrone a Vico, dal pragmatismo alla fenomenologia, radicato nella cibernetica, nell’ecologia della mente, nel ‘pensiero debole’, nella teoria dell’autopoiesi, nella complessità, nel narrativismo, nella radicalità e nella socialità come rete ermeneutica, il costruttivismo ancora oggi ha molti nomi, tante identità che, a volte, faticano a riconoscere ciò che le accomuna. Sicché, più che un paradigma epistemologico univoco che riunisce una famiglia di teorie, il costruttivismo appare come il padre talvolta misconosciuto di una famigliastra di teorie che spaziano in vari campi del sapere e che, a volte, paiono in concorrenza fra loro.
Eppure, l’idea che le persone attivamente interpretano, costruiscono e inventano il mondo in cui vivono è un’idea di molti. Il costruttivismo – come scriveva una brillante neolaureata – prima di essere una complicata e raffinata teoria epistemologica è un atteggiamento conoscitivo che, fondandosi sull’esperienza e il ‘dare senso’ di chi conosce, rinuncia all’illusione di una realtà oggettiva ed esterna per lasciare spazio a narrazioni alternative e impreviste. Il che, a quanto pare, e come Thomas Kuhn ben rappresenta, raffigura non solo il conoscere di ognuno di noi, ma anche il dipanarsi delle scoperte e il mutare delle teorie scientifiche nel corso degli anni.
Con tutte queste perplessità e con la consapevolezza dei guai in cui ci stavamo cacciando, nel novembre del 2012 ci riunivamo per progettare la nascita della Rivista Italiana di Costruttivismo. Era chiaro che un progetto del genere non avrebbe mai visto la luce se ad appassionarvisi non fosse stato un gruppo di folli, un manipolo di sognatori per i quali il costruttivismo non rappresentasse qualcosa da infilare alla prima occasione nei discorsi o, peggio, un dogma, ma un modo di vivere e di pensare, un modo di agire nelle relazioni e nella professione. Solo chi avesse avuto questa concezione del costruttivismo avrebbe potuto impegnarsi a fondo nel progetto di una rivista in cui questo approccio apparisse in tutta la sua ortodossa impurezza, esprimendo tutta la sua sorprendente euristica. Un crocevia di idee e temi diversi articolato nei vari campi del sapere, aperto al contributo di tutti coloro che trovano nell’idea di una realtà costruita una radice comune. Una rivista in italiano, infine, per permettere a chi pensa e sente in questa lingua madre di fruire con maggiore facilità e più pienezza dei temi e dei pensieri proposti dagli autori, contribuendo ad una maggiore diffusione del costruttivismo in Italia.
Oggi quel progetto vede la luce. Se state leggendo queste righe, vuol dire che la Rivista Italiana di Costruttivismo è davanti a voi. Cosa la Rivista sia e potrà essere, a questo punto, dipende anche da chi la legge, dall’uso che ne fa. Come tutti gli eventi della vita, essa non prescinde dalle persone che ne fanno esperienza e le danno un senso.
Buona lettura.
Massimo Giliberto
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