La fondazione che Ceccato ha dato del conoscere è punto di arrivo di un lungo lavoro di revisione critica dei modi secondo cui la problematica del conoscere è stata affrontata nel pensiero occidentale. Un lavoro che Ceccato ha caratterizzato come “l’incontro e l’abbandono della filosofia” (Ceccato, 1964d, p.31) e di cui si può seguire il percorso storico attraverso gli scritti dal 1940 al 1947, in parte raccolti nel primo di due volumi (Ceccato, 1964d, 1966b) dove Ceccato ha riproposto e commentato suoi lavori dal 1940 al 1953.
Nodo centrale di questa critica è l’errore di aver descritto la conoscenza delle cose fisiche in termini di un raddoppio, e la sua genesi è ipotizzata in questi termini.
Era da attendersi che la capacità e l’abitudine che avevano funzionato così bene sino ad allora venissero applicate anche al nuovo campo di interesse, e così il percepire il suono si cercasse, non in una qualche attività nostra, bensì in un rapporto fra il suono, un percepito, ed il nostro corpo di percipienti, un altro percepito. Così facendo, naturalmente, la ricerca non riguardava più la percezione di una cosa, ma il rapporto fra due cose percepite, il suono ed il nostro corpo, un rapporto appunto dello stesso genere dello scaldare e spegnere fra acqua e fuoco, del toccare fra mani che si stringono, etc. (Ceccato, 1964d, p. 37)
L’errore è a sua volta sintetizzato da questo passaggio che ne chiude la presentazione in uno scritto più tardo (Ceccato, 1970) dove è discussa la posizione di Freud.
Occorreva comunque trovare la parola che designasse il presunto raddoppio all’interno delle cose fisiche esterne, e questa fu trovata nel “conoscere”, che da tanti secoli circola dunque ormai con due significati uno proprio, quando indica la possibilità di operare una seconda volta con riferimento a quanto si è già fatto e ricordato (cosi, si “conosce Parigi, il francese, il signor Massimo Toffoletti, ecc.”, in quanto la si è visitata, lo si è studiato, ci è stato presentato, ecc.), e l’altro metaforico, quando indica appunto la presenza nel metaforico interno di quanto si troverebbe nel metaforico esterno. Nell’uso proprio, la ripetizione di ciò che si conosce avviene nel tempo e può contare sulla memoria, nell’uso improprio essa avviene nello spazio, e non può contare su nulla, se non nell’intervento del buon Dio o della memoria del mito platonico delle anime che abitavano presso gli Dei. (Ceccato, 1970, p. 133)
Questo tipo di errore è indicato anche come “raddoppio conoscitivo”, un termine che ricorrerà negli scritti dell’indirizzo di studi che Ceccato presentò a Parigi nel 1952 (Ceccato, 1952) col nome di Scuola Operativa Italiana (SOI). Una bibliografia significativamente estesa di questo indirizzo di studi è in
http://www.methodologia.it/biblio.htm.
L’errore dei filosofi, più propriamente della gnoseologia, è infatti uno dei temi ricorrenti nella SOI. Ceccato pubblica un primo saggio nel 1949, intitolandolo Il Teocono (Ceccato, 1949) e riprende il tema in Ceccato (1971, 1988, 1996). Vaccarino lo riprende già in Vaccarino (1974), e ultimo in ordine di tempo Accame in Accame e Bramè (2010).
L’approccio che ha guidato la pars construens del lavoro critico sul conoscere della tradizione filosofica è ricordato da Ceccato all’inizio del primo dei due volumi citati.
La musica esercitò però su di me più di una funzione costruttiva. Oltre ad abituarmi e a sensibilizzarmi all’analisi temporale e polifonica, mi tenne a contatto quotidiano con il linguaggio forse più compiutamente legato in modo consapevole ad operazioni. In musica si scrive così perché si è operato, cioè suonato, così, e perché si operi, cioè si suoni, così. Gli altri linguaggi hanno un’origine che si perde nell’infanzia dell’umanità, e sono comunque appresi nell’infanzia, mentre questo appartiene all’età della ragione; iniziano con la forma parlata, di necessità monodica, nascono per la bocca, mentre questo inizia con la forma scritta, oltre che per la bocca anche per le corde, per le dita, e per la pluralità delle voci e degli strumenti, per una polifonia che non può mancare di imporsi e di pretendere una sua designazione. Gli altri linguaggi sembrano opporre come cose designate lo statico ed il dinamico, il fatto ed il farsi, un trovato con la passiva contemplazione, ed un costruito con l’attiva manualità, mentre questo, almeno visto in chi lo esegue, non ha come suoi designati se non attività, operazioni; cioè produci quel suono in quel momento, lega, stacca quei suoni, adopera il pedale, etc. Una strada aperta per la consapevolezza operativa. (Ceccato, 1964d, p. 32)
Più tecnicamente, in uno scritto datato al 1948-49 e raccolto nel secondo dei due volumi citati, Ceccato propone una consapevolezza del proprio operare indicata come “metodologia operativa” o “tecnica operativa”.
Essa, da un lato è programma, e semplice ed isolabile programma, enunciabile in cinque parole, ‘farsi consapevoli del proprio operare’, e dall’altro è suo progressivo compimento, in quanto ci fa consapevoli del nostro operare, effettuate, l’una dopo l’altra, tante analisi operative. (Ceccato, 1966b, p. 132)
L’estensione da dare al “proprio operare” è lasciata imprecisata: può estendersi addirittura a tutto il funzionamento della nostra architettura biologica.
Della tecnica operativa viene sottolineato l’avvalersi di ciò che si sa fare, intervenendo attraverso la consapevolezza di che cosa si è fatto.
Si noti ora una particolarità della tecnica operativa, in quanto una tecnica essenzialmente ripetitiva. Infatti, per ottenere quella certa cosa noi abbiamo già operato; soltanto, spesso non sappiamo come abbiamo operato e forse nemmeno di avere operato. Scopo del metodologo è di rendere consapevole questo operare. Saprà di avere svolto bene le sue mansioni se, eseguendo le operazioni individuate, vedrà da queste risultare una cosa eguale a quella assunta per l’analisi operativa. (Ceccato, 1966b, p. 133)
Questo approccio è nella linea del conoscere nel significato di “si conosce Parigi, il francese, il signor Massimo Toffoletti, ecc.” indicato come proprio in Ceccato (1970, p. 133), cioè nel significato di “avere conoscenza di qualcuno/qualcosa”.
Vi è però un altro significato proprio del termine “conoscere”, che lo propone come produttore di conoscenze, e simmetricamente propone le conoscenze come risultato del conoscere.
Questo secondo modo è anzi primario nella tradizione filosofica occidentale, e investe la capacità attribuita all’uomo di produrre nuova conoscenza, nuova anche soltanto rispetto alla propria storia. Qui sta infatti il nodo della gnoseologia nella tradizione occidentale, tanto che diventa il banco di prova su cui accettare o rifiutare le soluzioni dei filosofi precedenti.
Pensando il conoscere in questi termini si è portati a individuare una ulteriore spinta all’errore del “raddoppio conoscitivo” nella difficoltà di identificare il percepito con un tratto dell’attività svolta, che di conseguenza ne diventa costitutiva.
Per questa via, la critica al conoscere della tradizione filosofica acquista a sua volta due punti fermi. Il conoscere non può venir descritto in termini di conoscenze, perché queste lo presuppongono. La descrizione del conoscere non può contenere l’anticipazione del risultato, perché questa anticipazione, in quanto conoscenza, presuppone il conoscere.
Con riferimento alla tecnica operativa, conoscere e conoscenze (uso il plurale per evitare ambiguità) possono venire definiti uno per il suo rapporto rispetto all’altro, ad esempio il conoscere come produttore delle conoscenze, ma a questo punto l’attività impegnata per descrivere la conoscenza non è più disponibile per descrivere il conoscere.
In un scritto più tardo, quando si avranno a disposizione parecchie conoscenze descritte in termini di operare costitutivo, Ceccato richiamerà questo punto con una secca precisazione: “se ne traeva una conclusione importante: […] la differenza fra operare e risultato consiste soltanto nel vedere una cosa nel suo farsi, in fieri, o compiuta, in facto” (Ceccato, 1985, p. 141).
Si esclude, cioè, che per descrivere il conoscere si possa semplicemente proporre un cambio di categorizzazione della stessa descrizione, considerando l’attività costitutiva della conoscenza in corso piuttosto che compiuta. La diversa categorizzazione, infatti, non aggiunge nulla a ciò che già sappiamo. E lo si avverte immediatamente perché, posta così la questione, la risposta al come si ottiene l’attività costitutiva di una determinata conoscenza diventerebbe un “facendola”, che non è sbagliato ma semplicemente inutile.
Una descrizione del conoscere come produttore di conoscenza va quindi formulata in termini differenti da quelli impiegati per descrivere la conoscenza prodotta. In particolare, nella descrizione del conoscere la conoscenza va fatta intervenire come saper fare.
L’esempio del camminare è sotto questo profilo illuminante. Da un lato del camminare ci serve una definizione, che lo distingua ad esempio dal correre, o dal ruzzolare. Dall’altro, dobbiamo ammettere che difficilmente ritroveremo movimenti identici nelle diverse occorrenze del nostro camminare. Già le ineguaglianze del terreno o i mille motivi che richiamano la nostra attenzione mentre camminiamo, richiedono cambiamenti rapidi per non ruzzolare.
Questi cambiamenti, poi, ci si prospettano così dipendenti dalle circostanze da rendere improponibile averne un quadro accettabile collezionando singole descrizioni. Una raccolta di casi singoli, che è già la forma più povera di empiria, diventa praticamente inutile quando il numero di casi proponibili sovrasta di gran lunga quello dei casi noti. Come in altri campi, occorre cambiare approccio: passare da una descrizione di casi singoli a una teoria della loro occorrenza, del loro accadere.
Ma l’analogia ci mostra che nel mentale una teoria del genere, proprio perché mette in gioco gli elementi che intervengono a far svolgere quell’operazione in quel momento e in quel contesto, è una ragionevole descrizione del conoscere nella sua veste di produttore di conoscenza. I punti fermi della critica al conoscere della tradizione, e in particolare il non presupporre l’anticipazione del risultato, obbligano poi a una teoria con notevoli capacità predittive.
Sull’altro versante della definizione, l’esempio del camminare suggerisce di impiegare i caratteri che si ritrovano uguali nelle singole occorrenze. Con l’avvertenza che si opera per astrazione, mettendo quindi in gioco un criterio di scarto, e che l’uguaglianza, come la differenza, richiedono un criterio di confronto che rimanda a un comune modo di descrivere i singoli casi. Se poi la definizione deve servire anche a distinguere, ad esempio il camminare dal correre e dal ruzzolare, il comune modo di descrivere deve estendersi a tutti.
Su questo versante occorre quindi, ed è sufficiente, uno stesso modo di descrivere le conoscenze. Con l’avvertenza che, come nell’esempio del camminare, solo in particolari circostanze troveremo solamente l’attività che abbiamo deciso di usare per la definizione.
Il caso di una figura ritmica è sotto questo profilo emblematico. Se definiamo la figura ritmica come modalità temporale dell’operare, la troveremo sempre e solo facendo astrazione dall’operare di cui è modalità, in musica come nella danza.
È illuminante riandare sul filo di queste considerazioni a uno scritto di Ceccato del 1964 (Ceccato, 1964c) nel quale, affrontando gli aspetti metodologici dell’espressione plastica, affronta anche quelli della tecnica operativa. Tema centrale dello scritto è infatti il modo di descrivere, e quindi di rendere pubblico, un mentale a cui si è attribuito carattere privato.
La consapevolezza di quegli anni, entro cui chi scrive si è formato lavorando a tempo pieno con Ceccato, faceva infatti del carattere privato del mentale qualcosa che era in qualche misura subìto, come documenta questo passaggio.
La seconda via per lo studio dell’attività mentale è per ora più ipotetica che attuale. Si tratta infatti, non più soltanto di scomporre i vari costrutti mentali […] ma anche di identificare le operazioni costitutive delle cose con il funzionamento di organi, cioè con il dinamismo di qualcosa di fisico. (Ceccato, 1964c, p. 130)
Di questa via, canonica per la prassi scientifica, che portava a considerare il mentale un modo di parlare di una parte dell’attività fisica svolta dall’uomo, vengono così sottolineate le difficoltà.
L’individuazione di un organo, come è noto, avviene secondo un principio di necessità, ma non di sufficienza; cioè, sopprimendo l’organo si sopprime la funzione, benché l’organo possa non essere sufficiente da solo ad assicurarla. Questo accade in tutti i casi, quando è in gioco il rapporto di organo e funzione; ma si incontra ora una differenza fondamentale. La funzione può essere individuata ed analizzata senz’altro in un cambiamento della cosa fisica considerata quale organo, cambiamento di stato, di posto, di forma, ecc., quando si tratta dell’attività trasformativa delle cose, fisica; ma questo non può avvenire quando la funzione corrisponde all’attività costitutiva delle cose, mentale. L’identificazione in questo caso va attuata attraverso una sostituzione, e quindi attraverso una identità che soltanto il soggetto operante può porre, secondo il principio della coincidenza temporale. (Ceccato, 1964c, p. 130)
Un approccio, quello dell’identificazione, che apre ad una corrispondenza biunivoca tra attività mentale e funzionamenti dell’architettura biologica dell’uomo.
Il contributo che la tecnica operativa può offrire viene indicato in una maniera che diventerà ricorrente nella letteratura SOI: “prima di individuare qualcosa come organo, bisogna individuare ed analizzare l’attività da farne la funzione; e sinora il mentale restava troppo magico per dirigere questa ispezione, od anche suggerire soltanto un’ipotesi di lavoro” (Ceccato, 1964c, p. 130).
Dialettizzato però dalla lucida avvertenza di un precedente lavoro:
Noi riteniamo […] che i risultati ottenuti [dalla tecnica operativa] soddisfino la condizione di essere utilizzabili in una costruzione modellistica della mente umana, almeno per mostrare la possibilità di questa costruzione, e forse anche quale ipotesi di lavoro nello studio del nostro sistema nervoso. […] Ma sotto l’aspetto modellistico valga un avvertimento. La distinzione in organi e funzioni (come di solito è intesa e, certamente, come viene applicata quando ci si riferisce alle macchine) porta ad attribuire ogni cambiamento al funzionamento degli organi, mentre questi rimarrebbero uguali. Una macchina cioè, di solito ignora altre funzioni monotoniche, che non siano l’assestamento e l’usura, od il regime transitorio di avviamento. Ma nell’uomo non è da supporre che le cose stiano in questi termini. Una funzione, per esempio la percezione degli oggetti, si forma e si sviluppa durante un certo periodo, nel quale se ne costituiscono gli organi, così come il pianista si appresta con l’esercizio la sua mano di pianista, ed il violinista anche il suo orecchio di violinista. Nell’uomo, cioè, gli organi svolgono sì funzioni cicliche; ma essi sono soggetti anche ad una funzione monotonica, che forse è tutt’uno con ciò che chiamiamo memoria, e che è certo una caratteristica del materiale operante proprio dei viventi. (Ceccato, 1962a, p. 42)
Questo modo di vedere la memoria dell’uomo, quale “caratteristica del materiale operante proprio dei viventi”, precede l’articolazione per sue funzioni proposta nel modello per l’attività mentale che si stabilizzerà successivamente nella letteratura SOI. E riconduce lo studio della memoria a quello della biologia dell’uomo in maniera molto più decisiva della semplice apertura interdisciplinare che troveremo sottolineata in seguito.
Tuttavia, uno schema in cui gli organi si modificano col funzionamento, e quindi cambiano il modo di realizzare la loro funzione, diventa in effetti uno schema basato sul funzionamento dell’architettura biologica. L’apertura a una corrispondenza biunivoca tra attività mentale e funzionamenti dell’architettura biologica dell’uomo vista in precedenza diventa allora una via maestra.
In Ceccato troviamo un percorso differente.
Nello studio dell’attività costitutiva delle cose si deve intanto distinguere se chi conduce l’individuazione e l’analisi è lo stesso soggetto operante oppure un altro soggetto. Lo studio fatto su altri, di necessità, localizza spazialmente l’oggetto, e quindi può avvenire soltanto su cose fisiche, che in quanto tali sono appunto pubbliche. Il mentale come attività, ed i suoi prodotti, anche gli psichici, sono per definizione preclusi all’ispezione altrui. È cosi inevitabile che in questo studio intervenga per primo il soggetto operante, cui sono aperte tutte le vie, le private e le pubbliche. La prima di queste vie consiste nello scomporre ogni costrutto mentale, e quindi ogni pensiero, ogni cosa fisica, ogni cosa psichica, ogni osservato, ogni categoria, ecc., nelle sue operazioni costitutive, sino a raggiungere i differenziati semplici ed il loro modulo di combinazione. Di solito queste individuazioni ed analisi hanno quale punto di partenza l’espressione verbale, perché in questa di solito anche si concludono; ma ciò non è indispensabile. (Ceccato, 1964c, pp. 128-29)
La partenza e la conclusione nell’espressione verbale, che come si è visto non è la sola via di accesso mentale ma un’alternativa, si specializza appoggiandosi progressivamente alla convenzione semantica propria delle lingue.
Una terza via di accesso al mentale si trova nella possibilità, cui si è accennato, di connettere all’attività mentale una attività fisica, i cui prodotti sono pubblici. Questo, come si è visto, già avviene con il linguaggio, ove certi differenziati semplici e certe loro combinazioni hanno ricevuto a controparte un suono od una grafia particolare, e dove i più ricchi costrutti mentali delle correlazioni sono designati componendo frasi con quei suoni e grafie. E questo può avvenire con qualsiasi altro prodotto fisico, se all’attività fisica si possa e voglia dare quale provenienza, quale antecedente, l’attività mentale. In entrambi i casi, naturalmente, purché si sappiano le connessioni fra le due parti. (Ceccato, 1964c, pp. 130-31)
Le ragioni che spingono a questo approccio sono lucidamente esposte in questo lungo passaggio.
[…] La situazione del mentale con l’espressione linguistica è certo migliore di quella del mentale con l’espressione plastica, in cui l’aspetto convenzionale e socializzato è meno rigido, ed in cui, fra l’altro, è maggiore la varietà delle soluzioni espressive. Anche nel caso dell’espressione plastica una storia sociale agisce sino ad un certo punto uniformante: ma si tratta di una imitazione in cui la bizzarria dei singoli non viene programmaticamente contenuta. Si insegna e si apprende a parlare, ma soltanto poche persone hanno seguito una scuola che le guidi nell’espressione plastica, ed in ogni caso per pochi determinati ordini di espressioni, quelli fatti propri dell’arte. Per questo, il risalire dall’espressione plastica al mentale manca di regolarità invalse e trasmesse socialmente. Se con l’espressione verbale sappiamo, o saremmo in grado di sapere, quale dinamismo mentale preceda l’espressione, almeno per quanto riguarda le singole cose nominate e le correlazioni del pensiero, per fare la stessa cosa con l’espressione non verbale bisogna dunque cominciare con il cercare se si trovino connessioni regolari fra il dinamismo mentale e l’espressione, e quali. Fra l’altro, mentre non sembra che la capacità di produrre i pochi suoni e grafie richiesti dal linguaggio possa distinguere fortemente fra loro gli uomini, e comunque li livella il lungo allenamento in comune, le diverse capacità individuali già possono portare a prodotti plastici che sono invece fortemente diversi fra loro. Di fronte ad un prodotto plastico è più difficile, per esempio, rendersi conto se i suoi precedenti siano stati un pensiero od un costrutto mentale semplicemente sommativo, per esempio una percezione ed una rappresentazione od anche la sola rappresentazione, se sia intervenuta l’assunzione di un atteggiamento estetico. Né sarebbe facile decidere che cosa attribuire all’attività percettiva, che cosa a quella rappresentativa, e che cosa agli scambi fra le due, e fra queste e quella categoriale. (Ceccato, 1964c, pp. 131-32)
Se però si tiene presente che il linguaggio, o per essere più precisi le lingue, ammettono la stessa espressività del prodotto plastico, gli aspetti che Ceccato sottolinea come favorevoli propongono di fatto altrettante scelte programmatiche nello studio del mentale.
Troviamo anzitutto il ricorso al soggetto operante “cui sono aperte tutte le vie, le private e le pubbliche”. Questa scelta attraverserà tacitamente gran parte della letteratura SOI mettendo in ombra la problematica posta dalla presenza di altri soggetti autonomi.
Abbiamo poi l’appoggio agli elementi per i quali è più rigido l’aspetto convenzionale e socializzato della lingua, evitando di affrontare la varietà delle soluzioni espressive. Le singole cose nominate e le correlazioni del pensiero diventano la strada più sicura per arrivare al mentale; sostanzialmente la più praticata. Ne sono documento il lavoro sistematico di Vaccarino raccolto in Vaccarino (2008), e quello più occasionale, ma ugualmente vasto, di Ceccato raccolto per le categorie mentali in Benedetti (1999). Punti di forza diventano così gli aspetti affrontati dalle grammatiche – lessico, morfologia e sintassi – in una loro declinazione in operazioni costitutive.
La scelta di appoggiarsi a caratteri ripetitivi nell’impiego di una lingua è del resto mutuamente sinergica con la tecnica operativa che si esplica anch’essa su ciò che si sa ripetere. Delle conoscenze vengono così ad essere privilegiati gli aspetti ripetitivi e sistematici, quindi il loro carattere di nozioni all’interno di un sistema di conoscenze, piuttosto che il carattere di saper fare con cui intervengono nel mutevole contesto di circostanze tipico del conoscere.
Il lungo passaggio appena citato si concludeva infatti:
Nei nostri attuali studi, in vista della costruzione di una macchina che osserva e descrive gli eventi del suo ambiente, si è gettato uno sguardo a questi rapporti fra i diversi ordini di operazioni, cercandone le dipendenze, o meglio le interdipendenze. Il quadro mostra un’impressionante complessità, quando si cerchi di passare dalla generica constatazione del reciproco influenzarsi delle varie operazioni – per esempio del pensiero dai suoi contenuti percettivi, del pensiero dal discorso altrui, della produzione plastica dalla percezione e rappresentazione guidate dal discorso a precise particolari operazioni. La strada è lunga e richiederà una grande pazienza. (Ceccato, 1964c, p. 132)
A completamento della pars construens del ripensamento critico della tradizione filosofica troviamo così l’applicazione sistematica della tecnica operativa a una descrizione di nozioni importanti del nostro sistema di conoscenze in termini di attività elementari dell’operare costitutivo.
Un uso sistematico dei due termini “conoscere” e “conoscenza” tende ad essere progressivamente abbandonato in favore del termine “attività mentale” che, in senso lato, li può comprendere entrambi. Anche se la distinzione resta ben presente in Ceccato per sua storia personale.
La ricchezza del materiale che gli apparati sensoriali offrono al mentale obbliga però a rinunziare a un numero limitato di operazioni elementari in favore di un numero limitato di tipi di operazioni. Un appoggio più stretto alla convenzione semantica delle lingue, a partire dalla componente lessicale, bilancerà nello studio la perdita di un numero limitato di operazioni elementari, ma tenderà anche a privilegiare gli aspetti categoriali.
Una definizione di “mente” e “attività mentali” si stabilizza così a partire dal 1966 con una componente dichiaratamente data driven.
Si può convenire di parlare di una attività attenzionale sinché l’attenzione non si applica né a se stessa né ad altro. Quando si applica a se stessa dà luogo all’attività chiamata categoriale, e quando si applica al funzionamento di altri organi dà luogo all’attività presenziatrice; i risultati dell’attività categoriale si chiamano categorie; i risultati dell’attività presenziatrice, presenziati. La mente è l’insieme di queste attività, ed è quindi con queste nel rapporto di insieme-elementi. Una categoria anch’essa, pertanto, che non può essere soggetto né attivo né passivo di alcunché, essendo appunto soltanto l’insieme delle attività attenzionali, categoriali e presenziatrici. Queste però, una volta introdotto il nome di «mente» per il loro insieme, si possono designare tutte come mentali. Viste in rapporto al loro oggetto, io propongo di chiamarle costitutive, distinguendole da quelle trasformative del loro oggetto. Infine, viste in rapporto ai loro organi, di cui sono allora funzioni, queste attività mentali sono caratterizzate dall’avere sempre fra i loro organi, solo od accompagnato, l’organo dell’attenzione. (Ceccato, 1966b, p. 22)
L’occasione è l’uscita del secondo volume dalle raccolta di scritti citata all’inizio, che raccoglie scritti dal 1948 al 1953 e che si chiude con un capitolo significativamente titolato La Macchina. Ceccato volle iniziare il volume con un ampio capitolo (Ceccato, 1966b, pp. 13-69) in cui delinea la posizione di pensiero raggiunta, posizione che verrà sistematicamente impiegata nel commento agli scritti.
Passaggi salienti di questo percorso, oltre a quelli precedentemente richiamati, sono rintracciabili in Ceccato (1951, 1952, 1956a, 1956b, 1961a, 1961b, 1962a, 1962b, 1964a, 1964b, 1966a). Una presentazione sintetica del modello proposto per l’attività mentale nella forma stabilizzata che rifluirà nella letteratura SOI la troviamo in Ceccato (1970), con l’avvertenza, circa le date, che una sintesi molto simile si trova, in lingua inglese, già in Ceccato (1967). Una presentazione estesa è in Ceccato (1972). Aggiunte importanti, che non ne modificano l’impostazione originaria, sono in Ceccato (1987).
Il modello proposto per l’attività mentale è basato su funzioni attribuite all’attenzione e alla memoria che sono qui richiamate nella sintesi di Ceccato (1970), particolarmente precisa nella sua essenzialità.
Ecco dunque un primo modo di funzionare dell’attenzione. Essa fa presente il funzionamento di altri organi, ne fa, come potremmo dire, un “presenziato”, non solo, ma lo frammenta, e questi frammenti, questi semplici presenziati, hanno durate che vanno pressappoco dal decimo secondo al secondo e mezzo. In questa sua funzione di far presente e frammentare, il meccanismo attenzionale ricorda il fonografo. In entrambi intervengono tre elementi: il disco che ruota che può corrispondere al funzionamento di un qualche organo; il braccio con la puntina che può corrispondere all’attenzione; e l’elemento cui si deve se il braccio e la puntina sono o meno a contatto con il disco, che può corrispondere ad un applicatore dell’attenzione al funzionamento degli altri organi. (Ceccato, 1970, p. 337)
All’attenzione nella sua funzione di far presente è quindi attribuita la selezione di ciò che entrerà a costituire il mentale. A questa funzione è aggiunta quella di frammentare il fluire dell’attività in unità fra loro separate.
L’altra funzione richiamata nella definizione di “mente” e “mentale”, che porta alle categorie mentali, è così articolata:
Oltre al funzionamento di altri organi, l’attenzione si applica però anche a se stessa. La troviamo infatti sia come attenzione pura, vuota, lo stato in cui ci si mette se qualcuno ci dice «attento!», «guarda!», e simili; sia come attenzione che si riempie di sé, si focalizza su di sé, secondo un passaggio costruttivo facilmente eseguibile se dopo quell’«attento!» qualcuno ci dice per esempio «ecco!», quando il primo stato di attenzione non viene abbandonato bensì fatto perdurare all’aggiungersi del secondo. Questa possibilità di mantenere qualcosa di già fatto e di aggiungervi altre cose è del resto fra le più adoperate da noi. Basti pensare alla polifonia; anzi a ciò che ci succede se, premuto un tasto del pianoforte, senza alzare il dito vi sovrapponiamo un altro dito, quando anche senza produrre alcun nuovo suono sentiamo appunto che un secondo suono si aggiunge eguale al primo. (Ceccato, 1970, pp. 337-38)
Per le categorie mentali viene sottolineato che:
L’uscita da questo errore [il raddoppio conoscitivo] è stata dovuta quindi più ad un caso fortunato che non ad un ragionamento le cui premesse sarebbero state comunque di tipo conoscitivistico, realistico, empiristico, razionalistico, o idealistico. Era accaduto di notare come alcune parole, e precisamente ‘parte’, ‘tutto’ e ‘resto’ non designassero niente di fisico, in quanto esse possono venir applicate a tutte le cose fisiche, per quanto differenti fra loro, non solo, ma indifferentemente alla stessa cosa fisica, per esempio tre dita di liquore in una bottiglia («una parte del liquore che mi hai dato», «tutto il liquore che mi hai dato», «il resto del liquore che mi hai dato», e simili). Se ne deduceva che almeno alcune parole non designano niente di fisico, bensì il risultato di qualcosa che noi facciamo nei suoi confronti. Si mosse così alla caccia di queste parole e delle operazioni che esse avrebbero indicato. Tali parole sono per esempio ‘inizio’ e ‘fine’, ‘semplice’ e ‘complesso’, ‘causa’ ed ‘effetto’, ecc. davvero centinaia, anzi migliaia di parole. (Ceccato, 1970, pp. 335-36)
Questo impiego, designato spesso con la locuzione “considerare come”, ad esempio come singolare, plurale, nome, verbo, etc., diventerà ricorrente letteratura SOI. Ed è stato forse il principale filo conduttore della pars construens nella critica al conoscere.
Sotto questo aspetto, di categorie applicate, le categorie mentali nella loro descrizione di combinazione di stati attenzionali sono pensate “sovrapponibili” al funzionamento degli altri organi.
L’importanza della possibilità di combinare gli stati attenzionali si comprende facilmente tenendo presente come in questo modo ci apprestiamo costrutti sovrapponibili, cioè applicabili, al funzionamento degli altri organi, con il risultato di arricchirli modellandoli, cioè dando ad essi una struttura […] Ed in effetti, nel corso dei millenni, gli uomini si sono apprestati questi calchi, o categorie mentali […] (Ceccato, 1970, p. 336)
A me non risulta chiaro perché il risultato finale non sia descritto molto più semplicemente come combinazione di presenziati secondo uno schema temporale.
Lo schema temporale di combinazione può allora venir designato facendo astrazione da ciò che viene combinato, tipicamente da ciò che caratterizza i singoli presenziati, proprio come il musicologo descrive una figura ritmica facendo astrazione dalle note con cui è suonata. Quando poi la categoria viene proposta isolata, pura in linguaggio SOI, può venir eseguita non importa con quali contenuti: da contrazioni muscolari più o meno intense, a movimenti delle mani, o della testa, alla percussione di un oggetto su un altro, etc. Tanto se ne deve fare astrazione, perché si propone lo schema temporale.
Delle categorie mentali è stata data anche una descrizione formalizzata (Ceccato, 1967):
[…] we give the various attentional structures, which we will call Y, a formal systemization according to the widely used notation of the Warsaw School:
(1) Y is an S (where S represents a state of attention)
(2) Y is a D1SS (where D1 represents the binary operator of which the S’s are the arguments: operation D1 consisting in maintaining a first state of attention when a second is added)
(3) Y is a D2SD1SS or a D2D1SSS (where D2 represents the binary operator of which the arguments are a single S or a combination of S’s: operation D2 consisting of memorizing and taking up one S or a combination of S’s). (p. 199)
Introdotta però la frammentazione come funzione dell’attenzione, si pone la problematica di avere strutture più complesse della pura successione temporale dei frammenti prodotti.
L’importanza della possibilità di combinare gli stati attenzionali si comprende facilmente tenendo presente come in questo modo ci apprestiamo costrutti sovrapponibili, cioè applicabili, al funzionamento degli altri organi, con il risultato di arricchirli modellandoli, cioè dando ad essi una struttura, sia quando si assumono isolatamente o fondendoli in unità temporali o spaziali, sia quando si riuniscono additandone un rapporto. Ed in effetti, nel corso dei millenni, gli uomini si sono apprestati questi calchi, o categorie mentali, subito riconosciuti individuandone i notissimi nomi, come il singolare e plurale, il nome ed il verbo, ecc., oppure, per i rapporti, l’‘e’, l’‘o’, il ‘con’, l’‘a’, il ‘per’, ecc. Dobbiamo proprio a questi ultimi costrutti mentali rapportativi se l’uomo dispone della sua attività più preziosa, il pensiero. Esso risulta infatti dall’inserimento in una struttura correlazionale dei costrutti mentali forniti dagli altri organi, strutture formate ognuna dai due termini di un rapporto, primo e secondo, e da questo rapporto, o loro correlatore, che è appunto sempre un gioco attenzionale. Precisamente, il correlato primo è mantenuto in presenza del correlatore, e questo è a sua volta mantenuto sinché il correlato primo non sia sostituito con il correlato secondo. (Ceccato, 1970, p. 338)
La struttura correlazionale del pensiero è qui esemplificata con riferimento alle nostre lingue. Il carattere più generale della correlazione come rapporto tra frammenti di attività costitutiva, e la generalizzazione dell’uso del rapporto in funzione combinatoria, compariranno in uno scritto molto più tardo.
La particolarità del modulo, sostitutivo, è la collocazione del rapporto, che avviene tra il primo (C1) e il secondo (C2) correlato: C1RC2. Questa particolarità lo distingue dal secondo modulo […] in quanto in esso il rapporto si trova dopo i due correlati: C1C2R. […] Un terzo modulo avrebbe il rapporto posto in testa: RC1C2. (Ceccato, 1987, p. 237)
Le funzioni attribuite alla memoria sono indicate in una forma che ritroveremo pressoché invariata.
Anche la memoria, come l’attenzione, svolge più di una funzione nella vita mentale. 1) Può mantenere presente ciò che è appena stato fatto, cioè la memoria come continuazione di presenza; 2) può rifare presente ciò che è rimasto assente, cioè la memoria come ripresa. Sul passato essa non opera però solo passivamente, bensì anche 3) selettivamente e 4) associativamente, cioè la memoria come elaborazione, e proprio 5) modifica l’elemento ripreso. Ma soprattutto essa opera sul passato 6) condensandolo riassumendolo. Inoltre essa ne fa 7) una forza propulsiva, cioè lo fa agente sull’operare in corso. Infine la memoria può far presente non soltanto ciò che l’attenzione abbia a suo tempo fatto presente, ma anche, sia pure in forma minore, l’operato di altri organi che sia passato inavvertito. (Ceccato, 1970, p. 339)
Costrutti mentali più complessi presentano soltanto una combinatoria più ricca degli elementi descritti.
Per quanto riguarda il pensiero, il meccanismo della memoria interviene soprattutto nella funzione di ripresa riassuntiva. Le singole correlazioni possono entrare, e molto spesso nel pensiero dell’adulto entrano, a costituire, come unità, correlazioni più ampie, come avviene per esempio nel pensiero “Mario e Luigi” (una correlazione) “corrono” (secondo correlato della correlazione più ampia, il cui primo correlato e rappresenti appunto dalla correlazione “Mario e Luigi” ed il correlatore da una combinazione di stati di attenzione che serve a mantenere presente questo correlato all’aggiungersi del secondo, ciò che ne fa il soggetto, cioè lo fa subiacere). Tuttavia, questa rete correlazionale non può estendersi per più di pochi secondi, diciamo un 5-7, e la possibilità di svolgere un pensiero unitario più lungo è dovuta alla ripresa riassuntiva della memoria che, condensando il pensiero svolto in quei secondi, ne ottiene un elemento, della durata di circa un secondo, da inserire in una correlazione del pensiero che cosi prolunga, continua, il primo. Questa ripresa riassuntiva è designata di solito dai pronomi: “Mario e Luigi corrono contenti sulle fiammanti biciclette. Essi […]. (Ceccato, 1970, pp. 339-40)
Ulteriori aggiunte di attività elementari non sono considerate necessarie anche sulla base di queste considerazioni.
L’intervento dell’attenzione per avere la presenza dell’operare degli altri organi permette anche di rendersi conto di che cosa possa essere il famoso inconscio, o subconscio, e simili. Questi organi funzionano infatti anche in assenza dell’attenzione, e si sa che ogni nostra attività sopravvive secondo l’uno o l’altro tipo di memoria (ripetitiva letterale, associativa, selettiva, riassuntiva e sempre propulsiva), potendo venire ritrovata dall’attenzione in questo operare secondario dovuto alla memoria. (Ceccato, 1966b, p. 23)
Il modello appartiene a pieno titolo alla linea di sviluppo delineata in precedenza. Da un punto di vista metodologico, infatti, le funzioni attribuite all’attenzione restituiscono risultati che possono venir attribuiti soltanto all’essere attenti poiché è contraddittorio proporre di essere attenti al non essere attenti. Questi hanno quindi lo status di conoscenze.
Descrizioni della sequenza temporale secondo cui intervengono conoscenze elementari possono essere proposte per descrivere conoscenze, ma non descrivere il conoscere, per quanto sia sottile la loro granularità. Una descrizione del conoscere in termini di conoscenze è in effetti una banale tautologia perché queste ultime lo presuppongono.
Il modello, inoltre, propone funzioni enunciate o descritte per analogia con il funzionamento di meccanismi della tecnologia, e in ogni caso ipotetiche se riferite all’architettura biologica.
Del resto il riferimento di Ceccato alla notazione musicale con cui si apre questo scritto contiene quale presupposto la capacità di trarre suoni che corrispondono a quanto notato. E come nella notazione musicale il saper suonare lo strumento è presupposto e la relativa descrizione demandata ad altro, nel modello è supposto che le funzioni vengano realizzate e la descrizione del modo di realizzarle demandata ad altro. Con la precisa consapevolezza che, mentre del come suonare lo strumento musicale indicato in partitura si hanno descrizioni dettagliate, niente di tutto questo vale per le funzioni dell’attenzione e della memoria proposte nel modello.
La situazione è sintetizzata nel passaggio richiamato in precedenza (Ceccato, 1964c, p. 132), ed è ripresa in quest’altro che chiude il lavoro con un riferimento alla ripetizione nel realizzare le funzioni attribuite alla memoria, in particolare la funzione propulsiva.
As regards the propulsive memory we must now ask ourselves in what way we feel impelled if the theme [a musical theme] is to be continued and developed. This is what leads us along the lines of guided creativity, into coherent production and consistency of style. In this connection the principle which may be most easily applied could well be that of varied repetition, which also shows how symmetry is rooted in one function of the memory. Here we must assume that the memorized units are the starting point; the new units derive from a more or less varied repetition of the units already memorized. Thus, some things will be the same and others will be different; for instance, the rhythmic figuration is the same and the notes are different. (Ceccato, 1966a)
Come l’attività costitutiva continui quella corrente è problema centrale in una descrizione del conoscere. Ma il riferimento di Ceccato a una ripetizione variata, anche se lo si limita ad un tema musicale, trova soluzioni diverse che spaziano sull’intera storia della musica. Ritroviamo così la necessità di rispondere al problema con una teoria, che è poi una teoria del conoscere, con il relativo salto metodologico e di complessità.
Che a fronte di questa complessità, Ceccato abbia preferito una descrizione sistematica delle conoscenze nel loro aspetto ripetitivo utilizzando la tecnica operativa e un limitato gruppo di operazioni elementari, è non solo comprensibile ma saggio, e decisamente innovativo nel decennio 1955-65 in cui la scelta è venuta consolidandosi. Anche perché un quadro, sia pure ipotetico, della conoscenza descritta in termini di attività costitutiva è una precondizione forte a una teoria del conoscere.
Oggi un quadro ipotetico lo possediamo, ma la teoria ci appare ancora un traguardo per nulla immediato.
Questo punto va tenuto ben presente quando, con troppa leggerezza, si usa la descrizione che si dà di una nozione in termini di attività costitutiva come se fosse la descrizione della realizzazione di quest’ultima da parte di chi è pensato svolgere l’attività mentale. Il modello propone del resto le attività elementari come risultato di funzioni.
Due esempi in scritti di Ceccato ci permettono di toccare con mano quanto questa leggerezza possa incrinare la critica al conoscere che è alla base del suo approccio, e con quanta abilità egli si destreggi sul confine.
In un contesto di attività costitutiva pensata come combinazione di frammenti staccati e privi di reciproca interazione, che è una caratteristica del modello SOI, le funzioni attribuite alla memoria possono venir interpretate come modi diversi di avere attività in rapporto, e quindi risultati diversi. Quando però si passi alla loro realizzazione, debbono diventare attività diverse da cui derivano risultati diversi.
Un passaggio di Ceccato, proposto in uno scritto più tardo come “qualcosa di nuovo” sulla memoria, tocca questa problematica.
Come sempre dobbiamo partire da un uomo che opera ed è in grado di considerare ciò che fa come ripetizione di qualcosa di già avvenuto, quando egli parla di memoria, o di qualcosa che deve ancora avvenire, quando parla di progetto, di atto volontario, e simili. […] La ripetizione comporta una pluralità ed una eguaglianza, e naturalmente chi le pone può ingannarsi; e certamente può non porla. A chi ci chiede il nostro numero di telefono, nel rispondere non pensiamo certo di ricorrere alla memoria. (Ceccato, 1987, p. 236)
La lingua italiana ha un preciso termine, “ricordo”, per indicare che qualcuno considera un fatto mentale ripetizione di uno che è accaduto in passato allo stesso soggetto. E nelle due pagine precedenti Ceccato riformula le funzioni attribuite nel modello alla memoria in termini di ricordare. Significativamente, la riformulazione non è estesa alla funzione di mantenimento, né a quella propulsiva, che ricondotte alla ripetizione rallenterebbero spaventosamente il fluire dell’attività; e neppure a quella associativa.
Diventa però immediatamente chiaro che la cosa funziona soltanto a posteriori. Non si descrive infatti in quale maniera a fronte della miriade di operazioni accettabili come continuazione dell’attività mentale appena svolta, scattino proprio quelle di considerarla ripetizione di un’attività pregressa che ce la fanno considerare un ricordo.
A sua volta, quando “non pensiamo certo di ricorrere alla memoria”, non viene descritto come da ciò che si è capito e seguito dello stimolo della rete correlazionale “nostro numero di telefono”, si passi e si risponda con quella sequenza di numeri. E dal momento che tutto questo è appreso, va anche descritto come si sia in precedenza stabilito.
L’esempio è chiaro, e ha valenza generale. Non è ammesso descrivere il mentale come se il conoscere potesse venir ridotto ad un rapporto tra conoscenze.
Perché Ceccato non sottolinei esplicitamente e sistematicamente questa problematica pervasiva riguarda la sua biografia. Questo scritto si occupa della sua eredità e nell’usarla questi aspetti vanno tenuti ben presenti.
La frammentazione introdotta tra le funzioni dell’attenzione nel modello visto in precedenza è un altro esempio paradigmatico di questa situazione. Se la si usa per dare una descrizione sistematica delle conoscenze nel loro aspetto ripetitivo, gli scritti di Ceccato e la letteratura SOI ne mostrano tutta l’utilità.
Se la si trasferisce alla realizzazione delle descrizioni proposte, ognuna delle unità frammentate deve venir attivata al momento indicato nella descrizione. Il modello SOI, proponendo frammenti privi di mutua propulsione, si configura sotto questo aspetto del tipo a controllo centralizzato. Ma comunque si risolva la questione, si va ad impegnare la descrizione del conoscere.
In Ceccato troviamo infatti questo passaggio, proprio nella presentazione più ampia e articolata del modello dell’attività mentale.
L’operare dell’attenzione, e quello di altri organi combinato con l’attenzione, è sempre, come si è accennato, costitutivo dei propri oggetti, che pertanto, non appena esso cessi, cessano anch’essi di essere presenti. In questo senso, se all’operare costitutivo si dà un soggetto, esso non può che essere l’arbitro di questi oggetti, almeno dell’eseguire o non eseguire tali operazioni. (Ceccato, 1972, p. 56)
L’interpretazione che “arbitro” significhi un soggetto libero di svolgere o non svolgere l’operare costitutivo è decisamente inopportuna: reintrodurrebbe una spaccatura dell’uomo in soggetto fisico e soggetto mentale che riporta a monte della critica di Ceccato al conoscere.
Resta che il soggetto, quando svolge l’attività costitutiva, operi secondo certe regole, che vanno messe in chiaro da chi vuole studiare questi aspetti, cioè il conoscere. Se poi questo studio non interessa, si studi pure l’operare costitutivo a posteriori, a cose fatte, e se ne eviti il soggetto. Come si vede una lucida consapevolezza del confine tra i due campi.
Di qui anche una grande libertà nel continuare ad usare per lo studio del conoscere il modello dell’attività mentale che ha dato buona prova nello studio sistematico delle conoscenze, oppure provare modelli diversi. Ceccato l’avrebbe avuta.
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Note sull’autore
Renzo Beltrame
CNR, Pisa
Ha iniziato a lavorare con Ceccato nell’autunno del 1959, prima di laurearsi al Politecnico di Milano nell’estate del 1961. Nel 1962 ha un contratto CNR a tempo determinato presso il Centro di Cibernetica e di Attività Linguistiche dell’Università di Milano di cui Ceccato è direttore. Lavora al CNR con Ceccato sino alla metà degli anni ’70. Continua poi la sua attività al CNR a Pisa nel settore dell’informatica, prima al CNUCE, poi all’ISTI nell’Area della Ricerca che continua a frequentare come ricercatore associato. La sua bibliografia relativa ai lavori riconducibili all’approccio della Scuola Operativa Italiana è su Methodologia Online (http://www.methodologia.it/bbl/b_beltrame.htm).
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