ISSN 2282-7994

Tempo di lettura stimato: 24 minuti
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Un ruolo non è una cassetta degli attrezzi: l’insegnamento costruttivista e l’esperienza di ICP

Constructivist teaching: beyond the toolbox, the ICP experience

di

Massimo Giliberto, Chiara Lui & Elena Sagliocco

Institute of Constructivist Psychology

 

Traduzione a cura di

Beatrice Bortolotto e Elena Mottura

Abstract

Il ruolo è un costrutto che emerge dalla socialità (Kelly, 1991). Cosa possiamo dire del ruolo del docente costruttivista? Questo articolo intende presentare l’esperienza didattica della Scuola di Psicoterapia Costruttivista, partendo dal presupposto che essere un docente costruttivista non significa solo applicare una cassetta degli attrezzi, ma implica una relazione di ruolo con gli studenti che cambia in tempo reale. Gli studenti sono invitati ad abbandonare ruoli passivi e a incarnare il ruolo di psicoterapeuti-in-formazione fin dalla prima sessione. La classe è considerata una comunità di apprendimento nella quale gli psicoterapeuti-in-formazione sono invitati a co-costruire in modo creativo i confini entro i quali prendono vita le loro possibilità di apprendimento.

Role is a construct that emerges from Sociality (Kelly, 1955). What can we say about the role of the constructivist teacher? This article aims to present the Institute of Constructivist Psychology’s teaching experience, starting from the assumption that being a constructivist teacher is not just about applying a toolbox, but implies a role relationship with students that changes in real time. Students are invited to abandon passive roles and to embody the role of psychotherapists-in-training from the first session. The class is considered as a learning community where the psychotherapists-in-training are invited to creatively co-construe the boundaries within which their own learning possibilities take life.

DOI:

10.69995/VZZJ4955
Keywords:
socialità, ruolo, corollario didattico, contesto di apprendimento | sociality, role, teaching corollary, learning context.

1. Avere un ruolo o essere un ruolo?[5]

La socialità è un tema molto significativo e fondante, non è solo una nozione centrale della Teoria dei Costrutti Personali (TCP), ma anche e soprattutto una questione cruciale nelle vicende umane. In modo particolare oggi, in questo periodo di emigrazione globale, di nuovi nazionalismi, di separatezza e discriminazione, del rinnovato privilegiare il meccanicismo nella scienza e nella psicologia, percepiamo una
mancanza di socialità; un’assenza che ne evidenzia l’importanza. Infatti, se guardiamo alla socialità – intesa da Kelly e in termini semplici – come al tentativo di comprendere lo sguardo degli altri sul mondo attraverso i loro occhi, questa non è solo la base e il fulcro di ogni relazione, sia personale che professionale, ma anche il fondamento etico necessario per riconoscere l’altro come simile a noi, un interlocutore legittimo, un altro essere umano, una persona come noi (Giliberto 2017; Stojnov 1996). Pertanto, giocare un ruolo significa immedesimarsi in questo tentativo, partire da questa somiglianza fondamentale per comprendere altri mondi, esplorare le diversità. A tal proposito, noi crediamo che giocare un ruolo non possa voler dire semplicemente recitare una parte, avere un ruolo, ma – più precisamente – essere un ruolo, incarnarlo attraverso il processo della socialità. Come psicologi kelliani, il nostro tentativo costante e coerente è quello di comprendere gli altri nella loro personale visione del mondo e di se stessi, lavorando con noi stessi in modo riflessivo in questo processo di conoscenza. Questo è il principio umanistico che ci distingue, a nostro avviso, da altre psicologie “disumanizzate”, che, partendo da assunti differenti, cercano di maneggiare la complessità dell’umano classificando le persone e inserendole all’interno di scatole differenti.
A nostro avviso, questo approccio umanistico può essere applicato – da un punto di vista strettamente professionale – sia a ciò che accade nella stanza di terapia che nell’insegnamento, ma anche nelle nostre relazioni reciproche. La socialità, la comprensione della visione personale dell’altro, il mettersi nei suoi panni, è fondamentale dal punto di vista della TCP. Tuttavia, a quanto pare, non sempre si verifica. Per esempio, ogni volta che evitiamo (consapevolmente o meno) lo sforzo di comprendere il punto di vista dell’altro per mantenere la nostra visione personale delle cose, falliamo nel tentativo di estendere la nostra socialità.
Questa sembra un’esperienza comune nella nostra vita quotidiana, anche tra noi colleghi che dovremmo esserne esperti. Forse a volte è più facile – pensiamo – avere un ruolo anziché essere un ruolo.

 

1.1 Il corollario didattico

Per quanto riguarda il nostro campo di interesse, docente[6] può essere solo un’etichetta data a un costrutto.
Pertanto, la stessa etichetta può avere molti significati che esprimono e canalizzano possibilità e direzioni differenti nel nostro agire. Per esempio, alla luce di ciò che definiamo socialità, potremmo operare una distinzione tra ciò che intendiamo quando diciamo avere il ruolo di docente/fare il docente e ciò che intendiamo con l’espressione essere un docente: colui che ha un ruolo – consapevolmente o meno – può essere semplicemente interessato a trasmettere contenuti; al contrario, chi incarna il ruolo di docente – dal nostro punto di vista – è intrinsecamente coinvolto nel tentativo di comprendere lo sguardo personale del proprio studente per co-costruire la conoscenza, condividendo l’impresa costruttiva. In altre parole, e parafrasando Kelly, possiamo immaginare un possibile Corollario della Didattica: “nella misura in cui un docente costruisce i processi di apprendimento di uno studente, può essere in grado di giocare un ruolo come docente in un processo sociale che coinvolge lo studente”.
Quindi, se già essere un docente risulta una sfida, essere un docente costruttivista sembra rappresentare un passo ulteriore, più impegnativo. Possiamo insegnare, da una posizione di socialità, molte materie senza mai relazionarci con esse.
Posso studiare i fondali marini e il fondo dell’oceano senza fare esperienza di immersione. Allo stesso modo posso studiare il costruttivismo e la TCP senza averli mai incontrati. È certamente possibile. Succede. Ma, soprattutto, per i professionisti, ha senso? C’è differenza tra studiare semplicemente questa teoria e imparare la PCP vivendola? Se accettiamo l’idea che costruire significa, allo stesso tempo, agire, conoscere
ed essere – una conoscenza incarnata – dobbiamo considerare che insegnare la pratica del costruttivismo senza praticare il costruttivismo risulti quantomeno paradossale. Ma cosa significa essere un docente costruttivista? Inoltre, quale tipo di contesto di apprendimento è coerente con questo tentativo? Quali sono i suoi presupposti e le sue implicazioni?

 

2. Insegnare il costruttivismo vs essere un docente costruttivista

Come Massimo Giliberto e Mary Frances (2014) hanno discusso alla conferenza della European Personal Constructivist Association nel 2014: “il «vero docente costruttivista» non esiste. Tuttavia, forse è possibile pensare all’insegnamento del costruttivismo in termini di coerenza, dove per coerenza si intende l’accordo, la consistenza tra i presupposti costruttivisti e le azioni”.
Inoltre, implicazioni e metodi diversi derivano dai due modi principali di insegnare: una pratica educativa consolidata e una pratica orientata al costruttivismo. È possibile insegnare il costruttivismo come si fa con qualsiasi altra materia? Certamente, come abbiamo già detto, sì:

In questo caso, il costruttivismo sembra essere posto come un ‘dato di realtà’, qualcosa che deve essere insegnato agli studenti come un’informazione. Il docente e il costruttivismo sono due entità separate, ma il primo è pieno di conoscenze sul secondo. Non c’è nulla di giusto o sbagliato in questo; il docente potrebbe non lavorare all’interno di questo approccio, ma semplicemente descriverlo e illustrarlo, senza altri obiettivi professionali. (ibidem)

D’altra parte, in una pratica orientata al costruttivismo, il docente costruttivista deve rinunciare alla presunzione di una raccolta oggettiva di fatti e dati da insegnare, ed essere consapevole che la realtà dell’insegnamento e dell’apprendimento è un’esperienza co-costruita condivisa con gli studenti.

Ciò significa che in nessun caso il costruttivismo può essere trasferito come un fatto o, peggio, come una verità. Di conseguenza, il docente non può considerarsi un vero docente costruttivista, ma un tentativo imperfetto – come docente – di essere coerente con i propri presupposti. Perché imperfetto? Perché l’imperfezione, o la consapevolezza dell’imperfezione, rinnova l’idea che anche ‘il docente’ è un costrutto, un’anticipazione mutevole, all’interno di una relazione vissuta. Essere un docente costruttivista è un processo, non uno stato o un’affermazione. Come un danzatore, questo docente non si limiterà a spiegare la danza agli studenti, ma danzerà con loro, incarnando
la teoria e cercando la coerenza tra l’insegnamento – come processo relazionale e sperimentale – e i contenuti. (ibidem)

Eccoci, al centro dell’argomento: la socialità, come modo di giocare un ruolo o, meglio, di essere un ruolo in una relazione sociale.

 

3. La nozione di “ruolo”: oltre la cassetta degli attrezzi

Il Corollario della Socialità è la “pietra angolare” della TCP in cui Kelly mostra il processo che rende possibili le relazioni con le altre persone. Tuttavia, Kelly non indica in alcun modo quale tipo di ruolo dobbiamo giocare, né fa distinzioni tra un ruolo e l’altro. Il contenuto di un ruolo è dato dal punto di vista che scegliamo in relazione alle altre persone. Ruolo e relazione diventano inseparabili e non possono essere definiti al di fuori dell’esperienza di costruzione condivisa all’interno della relazione. In questo modo, quando parliamo di costrutti di ruolo non intendiamo un insieme di strumenti che utilizziamo per orientarci nelle relazioni.
Stiamo invece descrivendo la costruzione di un processo che prende forma in quel momento e in quella relazione e viene elaborato congiuntamente. La TCP è una teoria strettamente incentrata sui processi: in ogni singolo momento, la nostra esperienza è canalizzata da anticipazioni costruite attraverso le repliche degli eventi. In ogni singolo momento la nostra esperienza è un’elaborazione del modo in cui interpretiamo gli eventi e, allo stesso tempo, un processo di canalizzazione di nuove anticipazioni. In altre parole, elaboriamo continuamente sia ciò che siamo stati sia ciò che saremo. Pertanto, parlare di ruoli senza considerare ciò che accade in ogni singolo momento della relazione non ha senso. Essere un amico, un genitore, un amante, una sorella acquista il suo significato solo attraverso l’esperienza vissuta in una
relazione.
Per rendere possibile la definizione di noi stessi attraverso questi ruoli abbiamo bisogno, a nostro avviso, di tre elementi strettamente collegati:
a. la scelta (e la responsabilità) del nostro punto di vista;
b. qualcun altro che scelga di giocare un ruolo compatibile con il nostro;
c. una relazione che ci permetta di fare questa esperienza.
In questo modo, quando scegliamo di essere un docente costruttivista non possiamo trascurare alcune domande: chi è uno studente, per noi? È possibile vedere l’insegnamento e l’apprendimento come due facce della stessa medaglia, due modi diversi di leggere lo stesso processo? Che tipo di esperienze possiamo facilitare con gli studenti e tra di loro? Come scrivono Balzani, Del Rizzo e Sandi (2011):

l’apprendimento, cioè il cambiamento delle costruzioni degli studenti, avviene attraverso l’esperienza. L’aula diventa quindi un laboratorio in cui avvengono continue sperimentazioni.
Adattando la metafora dello scienziato di Kelly (1991, p. 4) a questo contesto, possiamo dire che docenti e studenti co-costruiscono una serie di esperimenti condivisi. I docenti, in quanto supervisori degli esperimenti degli studenti, hanno la responsabilità di facilitare il percorso di crescita personale e professionale degli studenti, proponendo esperimenti specificamente progettati, costruendo un ambiente che possa promuovere diversi tipi di interazioni tra gli studenti, valorizzando le proposte e le iniziative degli studenti. (p. 173)

Alla luce di ciò, la nostra attenzione e la nostra responsabilità si concentrano sulla possibilità di giocare un ruolo e anche sulla responsabilità del punto di vista che scegliamo di agire all’interno delle nostre relazioni.
Se vogliamo incarnare la socialità, dobbiamo considerare il nostro punto di vista come una delle tante possibilità, ma, allo stesso tempo, dobbiamo identificarlo come quello che preferiamo. Il legame tra queste due posizioni rende talvolta difficili le relazioni di ruolo. Se trascuriamo uno o l’altro di questi aspetti, possiamo rischiare di incarnare un punto di vista relativistico che non ci permette di agire all’interno della relazione, oppure possiamo cercare di strutturare le altre persone senza capirle.
Come docenti, dobbiamo sempre stare attenti a questo tipo di rischio. In questo modo la nostra teoria non è solo una teoria da insegnare, ma diventa il punto di vista da cui scegliamo di guardare i nostri studenti, di comprendere l’insegnamento e l’apprendimento e di agire come docenti. Tutto ciò che facciamo nel rapporto con i nostri studenti deve essere coerente con essa. Ogni cosa che facciamo come docenti, il modo in cui guardiamo i nostri studenti, il modo in cui rispondiamo alle loro domande, il modo in cui scegliamo di organizzare le lezioni o la scuola stessa diventa il modo in cui incarniamo la teoria, il modo in cui siamo un ruolo. Partendo da questo presupposto, possiamo parlare dell’esperienza dell’Institute of Constructivist Psychology (ICP) come del modo in cui scegliamo di vivere come didatti, del modo in cui cerchiamo di essere docenti.

 

4. Contesti di apprendimento e identità professionali: voci dall’interno

Se un ruolo è costitutivo di ogni relazione, allora ogni relazione è possibile solo in un contesto. Possiamo pensare al contesto come a un semplice sfondo, lo scenario all’interno del quale agiamo, oppure possiamo interpretarlo come qualcosa di più simile alle molte direzioni possibili in una città, a una varietà e una scelta di vincoli e possibilità entro cui giocare un ruolo.
Quanto appena affermato sulla nozione di ruolo può essere riferito anche alla nozione di contesto, ovvero: è possibile pensare a un contesto didattico (una scuola) come a un contesto costruttivista in termini di coerenza tra i presupposti costruttivisti e il modo in cui lo stesso contesto viene inteso e organizzato? È consuetudine pensare a un contesto come “là fuori”, come un dato oggettivo o un luogo dove andare, che determina e almeno influenza le nostre azioni, ma non può essere influenzato da noi. Tuttavia, in termini PCP, il “contesto” è visto come qualcosa che non può esistere al di fuori dell’esperienza di chi lo vive e lo genera. Non è una raccolta di dati, una realtà che esiste oggettivamente “là fuori” come un luogo dove andare. Si può invece pensare che sia una via, un percorso, un’esperienza che attraversiamo mentre (lo) viviamo. Il contesto è l’insieme di costruzioni che utilizziamo per dare significato a particolari circostanze in un determinato momento. Seguendo questa prospettiva, è una cornice ermeneutica da cui muoversi e con cui confrontarsi. Diventa la narrazione possibile in cui ognuno può scegliere una posizione, dando un senso a se stesso. Le nostre identità sociali possono emergere negli scambi sociali ed essere canalizzate dai contesti significativi in cui ci muoviamo.
Ogni impresa formativa – come una scuola o anche una famiglia – si fonda su alcuni presupposti sui quali si costruisce il contesto, dando forma ad azioni che canalizzano le identità. Considerando il contesto di apprendimento in cui gli studenti sono formati per diventare psicoterapeuti, potrebbe uno specifico contesto canalizzare un particolare tipo di identità professionale?

 

4.1 Un breve sondaggio

Abbiamo condiviso e discusso questa domanda con gli psicoterapeuti-in-formazione dell’Institute of Constructivist Psychology[7] di tre classi (I, II, III anno), elaborandola attraverso lavori in piccoli gruppi, fish box[8] e discussioni aperte a cui hanno contribuito tutti, docente compreso[9]. Nel corso di questa breve indagine, i nostri psicoterapeuti-in-formazione hanno basato le loro argomentazioni sulle esperienze dirette sia di una scuola tradizionale (dalla scuola primaria all’università) sia del contesto di apprendimento ICP. Come
risultato di questo confronto, sono stati descritti due tipi di contesto scolastico.

 

4.1.1 La scuola come fornitrice di servizi

I partecipanti hanno descritto in un primo momento il contesto di una scuola tradizionale, un modello considerato il più comune nella nostra cultura e che, secondo loro, pervade anche gli ambienti accademici.
Questo contesto è stato descritto come un fornitore di servizi e si basa sull’idea che la conoscenza sia un insieme di nozioni che i docenti devono trasmettere ai loro studenti.
I nostri tre gruppi di partecipanti hanno elaborato e condiviso principalmente quattro criteri[10]:
a. relazioni di dipendenza – “Io pago, tu devi darmi servizi e competenze”, ma anche “Dipendo
completamente dal tuo giudizio”;
b. performance nel processo di apprendimento – “Più riproduco esattamente i contenuti del professore, più
sono un buon studente”;
c. competizione tra colleghi;
d. potere come dominio e padronanza.
Questo contesto di apprendimento è descritto come organizzato in modo strettamente gerarchico. Lo spazio e il tempo, come le attività, sono severamente controllati. Pertanto, condividendo con i nostri studenti l’idea che questi presupposti siano costrutti, azioni, percorsi lungo i quali anticipiamo e ci muoviamo, abbiamo chiesto loro che tipo di identità professionale, in particolare quella di psicoterapeuta, pensano
possa essere canalizzata attraverso un contesto di apprendimento come questo.
Riassumendo le risposte dei tre gruppi, emerge un profilo di identità professionale essenzialmente autoreferenziale, se non addirittura insoddisfacente. Gli studenti, coerentemente con i criteri individuati, descrivono un professionista che sarà (o cercherà di essere) un performer, che utilizzerà un approccio pedagogico nella terapia, che perseguirà posizioni gerarchiche di potere, che sarà competitivo anziché
collaborativo, impegnato a difendersi dal fallimento e dall’invalidazione, mentre, viceversa, sarà particolarmente focalizzato su una carriera professionale di successo, dove il guadagno può essere un indicatore diretto del successo e dell’autorealizzazione.

 

4.1.2 La scuola come fornitrice di possibilità (o incubatrice di idee)

Partendo dalla loro esperienza del contesto di apprendimento dell’ICP – cioè, il modo in cui è organizzato, il ruolo che gli studenti sperimentano nella relazione con i didatti, e il modo di insegnare – i partecipanti hanno individuato in questo un’alternativa al precedente modello di scuola come “fornitore di servizi”. I partecipanti hanno chiamato questo tipo di contesto di apprendimento “fornitore di possibilità” o anche “incubatrice di idee”. Il modello ICP è percepito e descritto come un evento di apprendimento globale in cui non solo le
lezioni, ma ogni azione e attività devono essere pensate come un’opportunità formativa. In tutti e tre i gruppi di partecipanti è condivisa l’idea – da un punto di vista costruttivista – di guardare studenti e docenti come scienziati che costruiscono attivamente il significato del loro mondo. Il focus del processo di apprendimento non è solo sulla teoria e le nozioni, ma anche sulla rete di relazioni, attività, esperienze e significati che possiamo costruire all’interno di un sistema. Gli studenti, descrivendo questo contesto come “narrativo” e “partecipativo” – invece che semplicemente “istruttivo” – hanno definito questi criteri:
a. gioco di ruolo;
b. agency;
c. collaborazione e partecipazione;
d. potere come responsabilità;
e. autoriflessività.
Gli psicoterapeuti in formazione hanno descritto questo tipo di modello come orientato al processo e focalizzato sull’esperienza, dove la scuola diventa, dal loro punto di vista, una possibilità di agire, di creare, di essere determinante. Da una scuola come “fornitrice di servizi” abbiamo a che fare, in questo contesto alternativo, con una scuola come “fornitrice di possibilità”. Secondo i partecipanti, il profilo dell’identità professionale che potrebbe essere canalizzato da questo tipo di contesto di apprendimento dovrebbe essere focalizzato su: l’essere partecipativo e collaborativo, essere un esploratore creativo, un trasformatore anziché un esecutore, consapevole delle connessioni tra i sistemi, autoriflessivo e responsabile. Inoltre, lungi dall’essere dato per scontato solo per una questione di ruolo, il potere è legato alla responsabilità di essere un docente o uno psicoterapeuta, di creare qualcosa che possa essere utile condividere nello stesso contesto
che ognuno contribuisce a generare. Per dirlo con le parole degli psicoterapeuti in formazione: il potere è legato alla responsabilità di essere un docente o uno psicoterapeuta, di creare qualcosa che possa essere utile condividere nello stesso contesto che ognuno contribuisce a generare. Per dirlo con le parole degli psicoterapeuti in formazione: gestiamo direttamente progetti e servizi per sviluppare le nostre competenze e la nostra identità professionale. Nel fare le cose produciamo conoscenza. La cultura si produce, non si riproduce. E di nuovo: ho un potere nella misura in cui ho responsabilità e competenze all’interno di un contesto. Significa che, se cambio contesto dove non ho la stessa responsabilità e competenza, sono come tutti gli altri. Infine, pensiamo che, come docenti, abbiamo la responsabilità non solo delle nostre competenze, del nostro bagaglio di nozioni, ma anche di promuovere azioni, esperienze e pratiche coerenti sia con i nostri presupposti e relativi criteri, sia con la natura dell’identità professionale che vorremmo favorire. Secondo Giliberto e Frances (2014), “non possiamo scivolare facilmente nella pratica costruttivista in un ambiente di insegnamento tradizionale e presumere che gli studenti capiscano cosa stia accadendo o possano trarne un buon senso (e un buon apprendimento)”.
In altre parole, siamo responsabili anche del contesto di apprendimento che co-creiamo con i nostri studenti.

 

5. L’esperienza dell’ICP

A questo punto, è necessario chiarire meglio il modo in cui la Scuola di ICP è organizzata e lavora. È una scuola di specializzazione in psicoterapia riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione, della Ricerca e dell’Università, della durata di quattro anni. Gli studenti sono organizzati in classi di massimo venti membri.
La scuola gestisce quattro classi all’anno ed è ora al suo quindicesimo[11] anno. Ogni gruppo si riunisce una volta al mese, per tre giorni di formazione nel fine settimana. Tra questi incontri, gli studenti devono svolgere un tirocinio pratico in un ambiente clinico, almeno per centoquaranta ore all’anno. Ogni classe è guidata da tre didatti in psicoterapia – che è considerata la parte teorico-pratica di indirizzo – e da molti docenti di altre materie. C’è anche un co-didatta, uno psicoterapeuta già diplomato che inizia la sua formazione per diventare didatta in psicoterapia costruttivista ed accompagna un gruppo nel suo percorso di quattro anni.[12] Questa è in sintesi la struttura della scuola. Ma in che modo, concretamente, questa scuola cerca di essere un laboratorio vivente di PCP?

 

5.1 La scuola come esperienza di apprendimento globale
Possiamo iniziare dicendo che l’esperienza didattica non è confinata in aula e al momento della lezione: tutta la scuola, il modo in cui è organizzata e aperta alle iniziative degli studenti è considerata come uno spazio didattico. Il cuore fisico della scuola è una piccola biblioteca in cui studenti e docenti hanno la possibilità di incontrarsi e organizzare attività quotidiane. Molte attività sono gestite direttamente dagli studenti stessi.
Sono invitati ad essere attivi e creativi, seguendo le linee di ricerca in cui si sentono più personalmente coinvolti. Sono inoltre invitati a condividere e verificare le loro idee e la loro esperienza clinica come terapeuti, non solo in aula, ma anche tra una lezione e l’altra. Sono aiutati in tutte queste sfide da persone che lavorano nel “Centro di Ricerca e Documentazione” e nel “Centro Clinico” della Scuola, centri che essi stessi abitano e gestiscono. Partecipazione ed esperienza sono due parole chiave. Condividere un’impresa costruttiva è il faro.

 

5.2 Da studenti passivi a psicoterapeuti in formazione

Sin dal primo giorno della formazione, gli allievi sono invitati ad abbandonare i panni degli studenti passivi per indossare quelli di psicoterapeuti in formazione, considerandosi parti attive nella costruzione del proprio percorso formativo.
Con un background di scolarizzazione tradizionale di lungo corso, non è facile né veloce per gli specializzandi ICP abbandonare le proprie consuete costruzioni di se stessi e dei docenti come figure distanti, degli esperti, pieni di conoscenze, da ascoltare come dei guru… Al contrario, in ICP li invitiamo a trattare i docenti come colleghi, con più esperienza nella psicoterapia, ma pur sempre colleghi. Li invitiamo ad assumere il più rapidamente possibile una nuova prospettiva, incarnando il ruolo del terapeuta (in formazione, naturalmente) e a lavorare sin dal primo momento come se dovessero iniziare la pratica professionale immediatamente. Ciò implica incarnare l’autoriflessività e la responsabilità della propria identità professionale, senza delegare ai didatti il compito di fornire risposte alle domande, ma costruendole assieme.
Come nella pratica terapeutica, anche nella formazione consideriamo le domande il nostro principale strumento per elicitare i sistemi di costrutti personali degli specializzandi. Il che significa esplorare l’implicito e renderlo esplicito, elicitare le premesse e le dimensioni di significato connesse ai temi principali su cui il ruolo del terapeuta poggia – vale a dire l’idea di persona, di disturbo, di diagnosi, di aiuto, di terapia, di cambiamento… Tutto questo comporta incrementare la consapevolezza e l’autoriflessività su come ciascuno di noi costruisce il proprio mondo come professionista della relazione d’aiuto, con l’obiettivo di individuare il punto di partenza di ciascun specializzando e della classe come gruppo.
Kelly (2003a), in un’appassionata conferenza tenuta all’Università di Puerto Rico nel 1958, riferendosi al ruolo del professore universitario, sottolinea alcuni aspetti che a nostro avviso possono essere particolarmente rilevanti per il nostro tema, e che si adattano perfettamente al ruolo di un didatta di un percorso formativo in psicoterapia. Afferma:

mentre nella scuola superiore prevalevano affermazioni che terminano con il punto fermo o con il punto esclamativo, all’università quasi tutte le affermazioni partono implicitamente con il punto di domanda, per cui c’è un’implicita inflessione del punto di domanda in tutto ciò che viene detto. […].
Suppongo che un altro modo di esprimere questa idea sia dire che all’università insegniamo agli studenti come porre domande, mentre la scuola superiore ha spesso tentato di insegnar loro a dare risposte, o rigurgitare risposte, cacciandole fuori di bocca. Ora il compito è insegnar loro a fare domande […].
C’è un altro scivolamento, che risulta difficile per molti professori. È lo scivolamento (da una posizione in cui prevale) il controllo esercitato sugli studenti, ad una in cui li si governa, sfidandoli. È lo scivolamento nel ruolo di professore […]. Di base, questo è il punto nell’accogliere persone che arrivano come studenti, e trasformarli in colleghi. (pp. 3-20)

 

5.3 Il gruppo come comunità di apprendimento e laboratorio di relazione

Kelly (2003b) prosegue poi sottolineando l’importanza di invitare gli studenti a stabilire nuove relazioni con i propri colleghi:

Penso che uno dei grandi compiti dell’Università sia creare una sorta di comunità in cui l’impresa dell’istruzione sia portata avanti tra gli studenti, creare un clima di scolarizzazione interattiva, affinché gli studenti conoscano altri studenti per sostenersi a vicenda. Perché, se pensiamo che l’istruzione abbia luogo in aula o in biblioteca, o a casa alla scrivania, ci stiamo perdendo una delle grandi risorse dell’esperienza scolastica. (pp. 295-302)

In ICP il gruppo è costituito come comunità di apprendimento, un vero e proprio laboratorio di relazioni, nel quale gli psicoterapeuti in formazione sono invitati a considerare se stessi, i propri colleghi e i didatti come esseri umani personalmente e reciprocamente coinvolti nel co-costruire esperienze condivise. Prima di lavorare con i pazienti e per formarsi al ruolo di psicoterapeuta, i colleghi del gruppo e le loro reciproche interazioni rappresentano la migliore opportunità di sperimentare e agire nella relazione come matrice degli esperimenti di cambiamento che vogliono imparare a disegnare con i loro futuri clienti. Inoltre, è la migliore opportunità per imparare ed esercitarsi a leggere le interazioni umane come processi, applicando gli assunti costruttivisti e i costrutti professionali della PCP.
Pertanto, l’assunzione di responsabilità personale e reciproca del viaggio formativo è un invito che inizia fin dal primo fine settimana di formazione e prosegue attraverso tutta l’esperienza del quadriennio. Inoltre, emerge insieme alla creatività e all’alternativismo costruttivo: ad esempio, anziché imporre regole sul gruppo classe focalizzandosi sui vincoli più che sulle possibilità, chiediamo agli specializzandi di immaginare quale sia il miglior modo, in termini di esperienza, di raggiungere il loro comune obiettivo. Pensare alternativamente significa porre al gruppo interrogativi come: quali sono le migliori condizioni di esperienza che possiamo condividere per dar forma a questo percorso formativo? Quali possibilità vorreste sperimentare qui assieme? Solo dopo aver messo a fuoco opportunità e possibilità, chiediamo: bene, quali regole e quali vincoli abbiamo bisogno di condividere per raggiungere i nostri obiettivi?

 

5.4 Soprattutto, l’esperienza

Uno sforzo continuo di proporre tutti i contenuti attraverso una metodologia esperienziale caratterizza tutta la formazione, contenuti teorici compresi.
Di base, questo avviene perché riteniamo che la PCP sia una teoria delle persone e per le persone e i loro modi di vivere. Dunque, il suo contenuto risulta facile da comprendere quando rivela il proprio intrinseco codice esperienziale. Esperienza e pratica sono i modi principali di rendere significativi i contenuti della PCP: se diventano significativi per gli specializzandi, se la PCP diviene una lente utile per comprendere anzitutto le proprie esperienze, se essi trovano nella prospettiva della PCP quella visione fertile di se stessi e delle persone con cui si trovano, possiamo allora immaginare che la PCP divenga una teoria utile anche per la pratica professionale e clinica.

 

5.5 Quindi, il viaggio inizia…

Dal punto di vista dei didatti, il macro-ciclo di esperienza del quadriennio di formazione riguarda il tipo di esperienza che vogliono promuovere in ogni gruppo tenendo in considerazione il particolare sistema di costrutti in movimento che ciascun gruppo rappresenta nella propria auto-organizzazione.
Il primo anno è dedicato “a smantellare senza distruggere” i presupposti epistemologici degli studenti e, allo stesso tempo, ad aprirli ai presupposti costruttivisti. Il secondo anno si concentra sull’orientare gli studenti alla formulazione di una diagnosi costruttivista. Nel corso del terzo anno, i docenti sono impegnati a essere “un punto di riferimento, senza reprimere” l’aggressività degli studenti. Il quarto anno è dedicato “a definire e liberare” gli studenti nella loro carriera (Balzani, Del Rizzo, & Sandi, 2011).
Il ciclo di esperienza continua nel corso di ogni anno. Poiché l’azione è conoscenza, le anticipazioni diventano condizioni di esperienza volte a invitare gli allievi a dar forma alla propria impresa formativa. Investimento, incontro e revisione rappresentano un processo incessante e continuo che prende vita momento per momento nella relazione con il gruppo classe.
La fase di revisione può avvenire in ogni momento in cui il gruppo si riunisce, poiché dipende dalle anticipazioni di ciascuno e corre lungo i vincoli e le possibilità della rete di relazioni tra gli allievi e i didatti.
Tuttavia, alcuni momenti peculiari vengono dedicati alla revisione, a metà e a fine anno. Per incrementare l’autoriflessività, gli psicoterapeuti in formazione sono invitati a dare la propria autovalutazione, seguita da quella dei didatti.
Chiediamo loro di mettere a fuoco il proprio movimento rispetto a quelle dimensioni personali che risultano particolarmente coinvolte nella costruzione del ruolo di terapeuta. Gli specializzandi si concentrano sulle proprie aree di miglioramento, mentre al contempo sono invitati anche a prendersi cura del percorso dei propri colleghi, condividendo la responsabilità di crescere come futuri psicoterapeuti.

 

6. Conclusioni

La teoria costruttivista afferma che l’apprendimento è non lineare, ricorsivo, continuo, complesso e relazionale. Possiamo dire di più: il processo di apprendimento è sempre un incontro tra insegnamento e apprendimento, in cui siamo continuamente immersi, anche se con responsabilità diverse. Questo sembra emergere dalla nostra esperienza concreta, sia che pensiamo di avere il ruolo di didatta, sia che cerchiamo di esserlo; sia che ci crediamo scollegati dal contesto, sia che ci sentiamo parte attiva di esso.
Attraverso il nostro agire, allo stesso tempo, impariamo e insegniamo; siamo docenti e allievi, magari solo per noi stessi. Questa consapevolezza – dal nostro punto di vista – ci obbliga a praticare la socialità autoriflessivamente, nei termini usati da George Kelly, e questo non è come avere a disposizione una cassetta degli attrezzi, ma è lo sforzo esistenziale di vivere e stare in relazione con gli altri. Tenendo presente questo, abbiamo cercato di illustrare come stiamo cercando di essere sia docenti che parte di un contesto, coerentemente con i presupposti costruttivisti e kelliani. Naturalmente, ciò che abbiamo descritto finora è solo la nostra interpretazione di ciò che potrebbe essere una scuola costruttivista, è solo uno dei possibili modi di essere docenti costruttivisti, non migliore o peggiore di altri, ma quello che abbiamo scelto e di cui siamo responsabili.
Gli aspetti che abbiamo presentato sono esempi di come abbiamo scelto di rispondere sin dal primo momento – e continuiamo a farlo giorno per giorno – alla domanda che poniamo anzitutto a noi stessi: come dovrebbe essere una scuola di psicoterapia costruttivista, coerente con le sue premesse? Che tipo di esperienza dovrebbe facilitare? E ancora, come dovrebbe essere un didatta costruttivista che incarni queste
premesse?
Per incarnare la Socialità, sia nella vita professionale che in quella personale, dobbiamo prestare attenzione a ciò che accade nelle nostre relazioni; dobbiamo considerare la nostra interpretazione degli altri non come un modo per leggere una realtà ontologica, ma come una costruzione di significati che prendono forma entro la relazione. Per dirla con Kelly (2003a):

Se fallisco nell’investire in un ruolo e mi relaziono a te soltanto meccanicamente, la sola cosa che l’invalidazione può insegnarmi è che l’organismo che presumo tu sia non è abbastanza collegato da produrre i comportamenti che pensavo producesse, proprio come la mia macchina da scrivere non si comporta sempre come mi aspetto che faccia. […] E se insisto nel costruirti come faccio con la mia macchina da scrivere, probabilmente prenderò i miei fallimenti predittivi come indicatori del fatto che dovrei cercare di vedere se non c’è «una vite da qualche parte» in te. O forse mi chiederò se non ho «premuto la chiave sbagliata», o se qualcosa non ha «funzionato nei tuoi ingranaggi», come un «motivo» o un «bisogno», per esempio. Posso anche arrivare alla conclusione che tu sia una marca di «macchina da scrivere» che è stata assemblata male. Certamente se questo è il modo in cui porto a termine il mio ciclo d’esperienza, posso a malapena affermare di essermi impegnato in un processo sociale. Il mio potrebbe essere un tipo di esperienza che permette di portare a termine il lavoro del Commonwealth, ma non di costruire società viabili. (pp. 3-20)

In conclusione, se è certamente possibile insegnare e apprendere la PCP e il costruttivismo senza mai incontrarli, noi siamo coinvolti in un viaggio diverso, in cui il Costruttivismo e la Socialità sono sia la via che la destinazione.

 

Bibliografia

Balzani, L., Del Rizzo, F., & Sandi, F. (2011). The journey as constructivist learner-teachers: How to become teachers of constructivist psychotherapy. In D. Stojnov, V. Džinović, J. Pavlović, M. & Frances (Eds), Personal construct psychology in an accelerating world (pp. 169 – 180). Belgrade: Serbian Constructivist Association, EPCA Publications.

Giliberto, M. (2017). Per un’etica esperienziale e non normativa. Rivista Italiana di Costruttivismo, 5(2), 9-27.

Giliberto, M., & Frances, M. (2014). Constructivist teaching or being a constructivist teacher? Paper presentato alla XIIth biennal conference of the European Personal Construct Association, Brno-Praha, Czech Republic.

Kelly, G. A. (1991). The psychology of personal constructs (vol. 1-2). (2nd ed.). London: Routledge.

Kelly, G. A. (2003a). A brief introduction to personal construct theory. In F. Fransella (Ed.), International Handobook of Personal Construct Psychology (pp. 3-20). Chichester: Wiley & Sons.

Kelly, G. A. (2003b). Teacher-Student relations at university level. In F. Fransella (Ed.), International Handbook of Personal Construct Psychology (pp. 295-302). Chichester: Wiley & Sons.

Stojnov, D. (1996). Kelly’s theory of ethics: Hidden, mislaid, or misleading. Journal of Constructivist Psychology, 9(3), 185-199 doi:10.1080/10720539608404664

 

Note sugli autori

 

Massimo Giliberto
Institute of Constructivist Psychology
giliberto@icp-italia.it
È Direttore della Scuola di specializzazione in Psicoterapia Costruttivista dell’Institute of Constructivist
Psychology (ICP) di Padova (Italia). È psicoterapeuta e svolge attività di consulenza e coaching per aziende
e organizzazioni private. Il focus di interesse nel suo lavoro riguarda la psicoterapia, l’epistemologia, l’etica,
il metodo didattico e la psicologia interculturale. È co-fondatore dell’European Constructivist Training
Network, membro dei comitati editoriali del journal Personal Construct Theory and Practice e del Journal of
Constructivist Psychology e Direttore Responsabile della Rivista Italiana di Costruttivismo.

 

Chiara Lui
Institute of Constructivist Psychology
chiaralui@gmail.com
È psicologa e psicoterapeuta costruttivista, didatta presso l’Institute of Constructivist Psychology di Padova,
Direttore Esecutivo della Rivista Italiana di Costruttivismo, Managing Editor del journal Personal Construct
Theory and Practice. Lavora con le persone e le loro relazioni, cercando di tradurre le premesse costruttiviste
in esperienze e opportunità di cambiamento. Come psicoterapeuta incontra ogni giorno adulti, adolescenti
e famiglie. Svolge anche attività di consulente, formatrice e supervisore di altri professionisti e associazioni
nell’ambito delle relazioni di aiuto.

 

Elena Sagliocco
Institute of Constructivist Psychology
e.sagliocco@gmail.com
È psicologa e psicoterapeuta costruttivista libero professionista, didatta presso l’Institute of Constructivist
Psychology di Padova. Come psicoterapeuta si occupa di psicoterapia individuale e di coppia con gli adulti.
È anche formatrice e supervisore in contesti di relazioni d’aiuto, ed in particolare ha maturato una lunga
esperienza professionale nel campo della psico-oncologia e del fine vita.

 

Note

  • 5. Ringraziamo gli editori della rivista Personal Construct Theory & Practice e l’autore per aver gentilmente concesso la traduzione dell’articolo. L’originale è disponibile al link: https://www.pcp-net.org/journal/pctp19/giliberto19-2.pdf. Giliberto, M., Lui, C., Sagliocco, E. (2019). Constructivist teaching: Beyond the toolbox, the ICP experience. Personal Construct Theory & Practice, 16, 32-41.
  • 6. Il termine “docente” è impiegato nella sua accezione più ampia e comprensiva; nel corso del testo si alternerà al termine “didatta”, che verrà impiegato con particolare riferimento alla figura del didatta della formazione pratica di indirizzo della scuola di specializzazione in psicoterapia costruttivista.
  • 7. Essere “psicoterapeuti in formazione” attivi è il modo in cui invitiamo le persone a pensare se stesse invece di essere studenti passivi.
  • 8. Il “fish box” è una tecnica utilizzata per facilitare la discussione in un gruppo. Due persone iniziano a discutere di un argomento al centro di un gruppo più grande. Ogni persona che ha qualcosa da dire entra nel gruppo dei partecipanti.
  • 9. Il campione dell’indagine era composto da circa cinquanta studenti maschi e femmine.
  • 10. Una classe ha definito i criteri di questo contesto di apprendimento, in poche parole, come “orientato al marketing”.
  • 11. Attualmente la Scuola è al ventesimo anno di corso.
  • 12. È importante comprendere la presenza e il ruolo dei co-didatti: sono generalmente interpretati dal gruppo come più vicini agli studenti rispetto ai didatti, ma allo stesso tempo sono psicoterapeuti già formati. Inoltre, sono presenti durante tutti i fine settimana e collaborano con ciascun didatta; quindi, rappresentano una sorta di collegamento tra le sessioni di formazione guidate da diversi didatti. Naturalmente, il modo in cui vengono interpretati i co-didatti – così come i didatti e il gruppo stesso – è qualcosa che si sviluppa e cambia durante il viaggio di quattro anni di ciascun gruppo di formazione.