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A chi mi affido?

La prospettiva cristiano-cattolica[1]

“In whom confide?”

Exploring the Christian-Catholic perspective

di

Valentina Sosero

Institute of Constructivist Psychology

Abstract

La dimensione religiosa può rappresentare un aspetto importante nella vita di alcune persone. Come può la Psicologia dei Costrutti Personali (PCP) contribuire alla comprensione di tale costrutto? La finalità del presente elaborato è quella di realizzare una prima esplorazione di alcune costruzioni legate alla dimensione religiosa, in due diversi gruppi: uno costituito da persone credenti nel culto cristiano-cattolico, l’altro formato da persone che non si sentono rappresentate da nessun credo particolare. Verranno, quindi, proposte ed elaborate alcune ipotesi e riflessioni circa il costrutto di spiritualità e religione, esplorato in entrambi i gruppi, oltre a fornire uno sguardo rispetto al costrutto professionale di “distribuzione della dipendenza”, per comprendere a chi le persone, appartenenti ai due diversi gruppi in questione, si affidano nel momento del bisogno.

The religious dimension can represent an important aspect in a person’s life. How can Personal Construct Psychology (PCP) contribute to the understanding of this construction? The present work is an exploration of religious constructions in a group of Catholic-Christian believers, as well as in a group of people who do not feel represented by a religious credo. We will make some hypotheses and reflections around the construct of spirituality explored in both the research groups. Finally, we will use the PCP professional construct of “dependency dispersion” to understand to whom the people of both groups turn to, when they are in need.

Keywords:
Religione, spiritualità, dipendenza, PCP | religion, spirituality, dependency, PCP
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1. Introduzione

Maturana e Varela (1987/84), nel loro libro The tree of Knowledge, parlano di “temptation of certainty”, ovvero la tentazione dell’uomo di voler vivere in un mondo di certezze, in cui le proprie percezioni provano che le cose sono così come le vediamo e non esiste un’alternativa a ciò che crediamo vero. Anche McWilliams (1993, p.269), citando Kelly (1977), riporta il desiderio di sicurezza da parte dell’essere umano che si trasforma nella forte tendenza a dichiarare il proprio modo di vedere il mondo come rappresentazione oggettiva e reale dell’universo. Alcune volte, questa tentazione può diventare pervasiva, costituendosi come assoluta verità. La Psicologia dei Costrutti Personali (PCP) può aiutarci nell’osservare questa dimensione da punti di vista differenti, uscendo dall’assolutismo: considerare, quindi, che ci troviamo sempre di fronte ad una possibile costruzione, dinamica e in movimento, all’interno della quale “costruire e ricostruire le nostre coordinate e dare direzioni alle nostre azioni” (Giliberto, 2013, p.3). In altre parole, non è importante tanto cosa guardiamo, quanto, come lo osserviamo. Da questa prospettiva, la religione può essere considerata come una possibile narrazione: un fenomeno o un’esperienza specificatamente umana che, in qualche modo, accompagna l’individuo nel dare senso al mondo (Bertelli, 2015).

L’etimologia della parola “religione” è considerevolmente dibattuta. Per molti il termine sembra derivare dal latino religàre, che può essere tradotto con legare/vincolare. In accordo con Cicero, invece, il termine in questione potrebbe derivare da relegere: “ripassare o ripetere la lettura, il discorso o il pensiero” (Hoyt, 1912, p. 127). Per altri autori, la parola religione sembra essere connessa con l’espressione “prestare attenzione e prendersi cura” (Hoyt, 1912, pp. 126-7). Sebbene non ci sia una definizione univoca del termine, Gios e Marchesoni (2011) definiscono la religione come “un sistema di significati, credenze, valori, rituali e norme attorno al quale le persone possono formare un’identità comune e una morale” (p.26).

Questo tema sembra essere familiare anche a Kelly e al suo lavoro: è stato Warren (2003) a offrire un tentativo di approfondimento della dimensione religiosa per il padre della PCP, alla luce dell’influenza di Dewey. È interessante sapere che:

Lo scopo più generale di Dewey era quello di distinguere una prospettiva o un atteggiamento religioso, da una particolare dottrina ecclesiale. Dewey offre una visione del tema “religioso” intendendolo come parte integrante di tutta l’esperienza umana ed elemento che influisce sull’intera vita della persona: un possibile generatore di cambiamenti di base e trasformazioni durature nel tempo. (pp. 388-389)

Come abbiamo accennato precedentemente, questa riflessione sembra fornirci una nuova prospettiva: un approccio orientato al processo oltre al contenuto, sfidando l’affidarsi ad una verità data o ad un predeterminato atteggiamento.

Nell’opera Sin and Psychotherapy, Kelly (1969a) cerca di affrontare la dimensione religiosa senza promuovere alcun credo particolare, suggerendo una prospettiva circa il possibile vissuto di colpa dell’individuo che può emergere nella lotta tra bene e male all’interno del processo terapeutico. A questo proposito Warren (2003, p.394) citando Kelly, sostiene che la religione (come la scienza) “sia un modo di estendersi e dare senso all’universo”.

Pochi sono i lavori in letteratura PCP che tentano di esplorare questa dimensione di significato. Questo potrebbe essere spiegato alla luce di due ragioni principali: da un lato, la tentazione di dilatare il campo e la difficoltà di apportare un restringimento, finendo in un possibile caos; dall’altro, l’esplorazione del costrutto religione potrebbe portare con sé il rischio di “toccare” costrutti nucleari o di dipendenza che conducono a significati e valori fondamentali (spesso identitari) per le persone che seguono un credo religioso (Todd, 1988) alzando il livello di minaccia e, conseguentemente, rendendo più difficoltosa l’esplorazione del tema.

Se queste ipotesi possono valere anche per l’esplorazione delle scelte in altre aree di ricerca, ancora di più acquisiscono significato per quanto riguarda la religione. Essa rappresenta un costrutto superordinato che può includere molti elementi, correndo il rischio di portare a costruzioni allentate e in una direzione non completamente definita per la persona.

Partendo da queste considerazioni, comprendere ciò che la religione può significare per le persone – oltre ad esplorare le prospettive raccontate da individui credenti e da chi non si affida a nessun culto particolare – sembra possa essere un aspetto importante ed utile. Da un lato, perché la religione diviene un costrutto

significativo per alcune persone e, dall’altro, perché tale esplorazione, se condotta in un contesto clinico, potrebbe aiutare nell’approfondire la conoscenza del sistema di costrutti del cliente, permettendo al terapeuta di giocare una maggior socialità.

Poiché la religione è un fenomeno umano, possiamo anticipare che essa soddisfi alcuni bisogni delle persone come, ad esempio, la necessità di dare un senso alla propria esistenza, trovare risposte a quesiti complessi e difficili da affrontare o sentirsi parte di qualcosa. Partendo da questi presupposti, la religione può essere considerata, in qualche modo, collegata alla dimensione dell’“affidarsi” a un qualcosa di esterno che possa fornire risposte. Relativamente a questo tema Kelly (1955) parlerebbe di costrutti di dipendenza, nei termini di “problema universale” (Walker, 1993, p.65). Quando parliamo di dipendenza in ottica PCP non vi attribuiamo una connotazione di per sé positiva o negativa, bensì la consideriamo come costrutto che si sviluppa attraverso la connessione tra l’emergere di un proprio bisogno e la persona/cosa che lo soddisfa (Chiari et al, 1994, Kelly, 1969b; Walker, 1997). Secondo Kelly (1955, 1969b) siamo tutti dipendenti, la differenza sta nella nostra distribuzione delle dipendenze, ovvero nell’individuare e sperimentare risorse (persone) diverse che soddisfano bisogni differenti. Per questa ragione, Kelly (ibidem) parla di dipendenza distribuita e non distribuita; pertanto, la prospettiva PCP permette di considerare questa dimensione nucleare per l’essere umano, in un’ottica di costruzione più che di etichettamento (Kelly, 1955, 1969b), focalizzandosi sulla scelta della persona relativamente a quali risorse coinvolgere (ovvero a chi affidarsi) in determinate situazioni (Kelly, 1969; Cipolletta, S., Shams, M., Tonello, F., & Pruneddu, A., 2013).

Nelle seguenti pagine verrà presentato uno studio pilota, elaborato all’interno della cornice teorica della PCP, il quale mira all’esplorazione dei costrutti di persone religiose e non religiose, nell’ottica di comprendere come concepiscono il costrutto di religione e spiritualità (esplorando le possibili connessioni con la religione) e come distribuiscono la loro dipendenza. È stato quindi utilizzato un approccio misto: da un lato una valutazione quantitativa dell’indice di dispersione della dipendenza, osservato sia all’interno dello stesso gruppo, sia tra i due gruppi coinvolti; dall’altro un’analisi qualitativa dei costrutti emersi dal questionario proposto.

 

2. Obiettivi dello studio

Il presente studio non ha lo scopo di dare risposte definitive o fare inferenze, bensì mira ad esplorare il costrutto di religione, in particolare concentrandosi sul culto Cristiano-Cattolico, osservando i diversi significati attribuiti e l’implicazione che tali prospettive possono acquisire nella distribuzione della dipendenza.

Gli obiettivi dello studio sono:

  1. osservare l’indice di dispersione della dipendenza e descrivere a chi principalmente si affidano i partecipanti alla ricerca;
  2. esplorare alcune delle possibili costruzioni di religione e di spiritualità.

I partecipanti sono stati divisi in due gruppi: a) credenti nella religione Cristiano-Cattolica; b) non credenti (coloro che non si sentono rappresentati da nessun credo particolare).

Le anticipazioni e le ipotesi dell’autrice sono:

  1. il possibile emergere di differenze in termini di dispersione della dipendenza attraverso lo strumento delle griglie (Kelly, 1955, 1969b; Walker, 1997, 2003), in relazione alle differenti risorse coinvolte e selezionate dai partecipanti;
  2. per quanto riguarda il gruppo dei credenti, il possibile affidamento alle figure religiose (ad esempio: il prete) e a Dio, piuttosto che alle risorse cosiddette “professionali” (quali psicologo, psicoterapeuta o medico) e a se stessi;
  3. per quanto riguarda i non credenti, la possibile osservazione di una maggiore distribuzione della dipendenza sul sé e sulle risorse “professionali”, non considerando le figure religiose (prete / Dio).

Relativamente alla possibile costruzione di religione e spiritualità, l’autrice ipotizza che il gruppo dei credenti possa descrivere tali costrutti attraverso la propria esperienza personale, connettendo i due significati, immaginando, quindi, che il costrutto di religione sia altamente legato a quello di spiritualità. Per il gruppo dei non-credenti, le anticipazioni sono connesse al fatto che la religione possa essere considerata in termini istituzionali (chiamando in causa la Chiesa), mentre la spiritualità come costrutto non necessariamente connesso alla dimensione religiosa, bensì come aspetto significativo della vita in generale.

Si è ritenuto, inoltre, importante osservare la dimensione di agency nei due gruppi coinvolti, anticipando che per i credenti Cristiano-Cattolici il senso di agency sia strettamente condiviso con Dio, mentre per i non credenti sia più facilmente connesso al sé, senza coinvolgimento di altre figure.

Un’ultima osservazione è dedicata alla mutua costruzione dei ruoli tra credenti e non credenti. A questo proposito si anticipa che, nella descrizione dei due gruppi, possa esserci l’utilizzo di costrutti prelativi e costellatori[2] (Kelly, 1955, pp. 107-108), associati a un pensiero stereotipato e all’impossibilità di comprendere effettivamente la scelta dell’altro (in questo caso specifico, perché per la persona che ho di fronte sia importante credere o meno). L’obiettivo è quello di tentare un’esplorazione delle differenti modalità di mutua costruzione nei due diversi gruppi, per osservare se è possibile riconoscere un filo rosso nelle descrizioni riportate dai partecipanti.

 

3. Metodo

 

3.1. Partecipanti

Il campione totale partecipante al presente studio (Fig. 1) ha coinvolto 18 persone di nazionalità Italiana, di età compresa tra i 20 e i 35 anni: 10 persone Credenti nella religione Cristiano-cattolica (7 femmine, 3 maschi; M età: 29.2; DS = 4.16) e 8 persone Non Credenti (1 femmina, 7 maschi; M età: 31.25; DS = 5.6)[3].

I criteri di inclusione sono stati:

– età compresa tra i 20 e i 35 anni;

– comprensione della lingua italiana;

– sottoscrizione del consenso informato.

Le procedure di raccolta dati sono durate 2 mesi (da maggio a giugno 2018). La maggior parte dei partecipanti è stata reclutata via mail, altri di persona. In entrambi i casi, la fase iniziale consisteva in una breve presentazione della ricerca e dei suoi obiettivi. In un secondo momento, successivo alla sottoscrizione del consenso informato, si è proceduto alla spiegazione degli strumenti utilizzati nello studio. Ogni partecipante ha ricevuto i dettagli di contatto dell’autrice, a disposizione per ogni eventualità.

 

Fig. 1: Composizione del campione

 

3.2. Strumenti

  1. Griglia di dipendenza (Kelly, 1955; Kelly, 1969; Walker, 1997; Walker, 2003) impiegata per esplorare come i partecipanti utilizzano le proprie risorse per soddisfare i propri bisogni. Lo strumento contiene un elenco di 23 situazioni-problema. Solo per la presente ricerca sono state aggiunte 2 ulteriori situazioni non legate a eventi difficili (item 24: la volta in cui ha raggiunto un obiettivo per lei importante; item 25: la volta in cui si è sentito felice). Inoltre, la griglia utilizzata presenta, già inserita al momento della somministrazione, una serie di 16 diversi ruoli che si ipotizza possano svolgere una parte significativa nella quotidianità delle persone, includendo la figura di Dio, dello psicologo e di se stesso, oltre a: madre, padre, nonna, nonno, sorella, fratello, figlia, figlio, partner, amico dello stesso sesso, amico del sesso opposto, prete, medico.
  2. Questionario ad-hoc, impiegato per la raccolta di alcuni dati personali (età, genere, livello di istruzione) e costituito da 9 domande:

– 4 quesiti aperti per esplorare il costrutto di religione e di spiritualità e la mutua costruzione dei ruoli all’interno dei due gruppi partecipanti;

– 1 domanda a completamento, per esplorare il polo di contrasto di religione;

– 2 quesiti a risposta multipla per esplorare da un lato come i partecipanti descrivono se stessi da un punto di vista del credo religioso (esempio: se credenti o non credenti), dall’altro per conoscere il senso di agency in relazione alle proprie scelte di vita;

– infine, 2 domande basate su risposta attraverso scala Likert (da 1 “non significativo” a 7 “molto significativo”), per esplorare l’importanza dei costrutti di religione e di spiritualità per i partecipanti allo studio.

 

4. Analisi

Ogni griglia di dipendenza è stata analizzata utilizzando il pacchetto statistico IDIOGRID (aggiornamento di Grid-Stat, Bell, 1998, 2001), elaborato da J.W Grice (2002) oltre all’impiego di GRIDSTAT (Bell, 1998/2009). Basando le analisi sulla letteratura esistente (Beail, N., & Beail., S. 1985; Walker, 1997; Bell, 2001), gli indicatori di risultato considerati sono i seguenti:

  • il numero delle risorse scelte tra le 16 già inserite nella griglia;
  • l’indice di dipendenza totale (= numero totale di crocette inserite nella griglia);
  • l’Indice di Dispersione della Dipendenza (DDI) (grandezza del campione = 10; Walker, 1997; Bell, 2001) calcolato nelle diverse situazioni e tra le diverse risorse.

I risultati ottenuti da questa prima analisi sono stati suddivisi in base ai due diversi gruppi di appartenenza del campione (Credenti/Non Credenti). Si è, quindi, proceduto al calcolo delle medie e delle deviazioni standard (DS) per gli indici sopramenzionati (numero delle risorse scelte, indice di dipendenza totale e DDI), oltre al calcolo effettuato per le diverse risorse inserite nella griglia, con un’attenzione particolare ai ruoli di: Prete, Dio, Psicologo, Medico, Se stesso.

In un secondo momento, si è proseguito con un confronto tra medie (attraverso il test t-student, per dati non appaiati, [Keppel et al., 2001]), con l’obiettivo di esplorare la presenza di eventuali differenze significative tra i due gruppi partecipanti allo studio.

La tecnica “FOCUS” descritta da Beail & Beail (1985), è stata impiegata in seguito, al fine di ordinare i dati precedentemente ottenuti sulla base della frequenza di scelta delle risorse a disposizione, nelle diverse situazioni (eliminando le risorse raramente prese in considerazione, ad esempio: nonni, figli, fratelli). In questo modo si è potuto ottenere una sorta di “classifica” della distribuzione della dipendenza dalla risorsa più coinvolta a quella meno selezionata.

L’analisi del questionario è stata effettuata in accordo con le indicazioni fornite dall’Analisi Fenomenologica Interpretativa (IPA), (IPA: Denicolo, Trevor and Bradley-Cole, 2016) e l’Analisi Tematica (TA: Braun and Clarke, 2006), con l’obiettivo di comprendere il punto di vista del singolo partecipante, tentando di cogliere le eventuali percezioni o significati condivisi nei due diversi gruppi.

Questa analisi ha permesso la raccolta, l’identificazione e la categorizzazione dei differenti temi e costrutti emersa dal questionario, alla luce di una chiara cornice teorica qual è la Psicologia dei Costrutti Personali.

I dati qualitativi raccolti sono stati considerati relativamente a 7 diverse dimensioni: la descrizione di religione, il polo di contrasto di religione, la descrizione di spiritualità, la descrizione di una persona Non Credente (NC), la descrizione di una persona Credente (C), l’importanza della religione e della spiritualità nella vita di tutti i giorni e il senso di agency.

 

5. Risultati

 

5.1. Griglia di dipendenza

 

5.1.1. Credenti (C)

All’interno del campione considerato (Tabella 1) il numero di risorse scelte (ovvero la rete di supporto su cui la persona può contare) è compreso tra un minimo di 4 e un massimo di 10, su un totale di 16 elementi inseriti, con una media di 7,9 (DS = 1.97, 48% delle risorse presenti). Per quanto riguarda il valore di dipendenza totale (ovvero il numero di crocette complessivo collocato nella griglia), il range osservato è compreso tra 33 e 143, con una possibilità di combinazioni pari a 400 e una media di gruppo di 74,2 (DS = 35.82), ovvero una media percentuale del 19%.

Relativamente all’indice statistico (DDI) sono stati considerati sia i dati per situazione (righe) che per risorsa (colonna). L’indice di dispersione della dipendenza (DDI) quindi, presenta un range di riga compreso tra 8.13 e 9.25 e media di gruppo 8.55 (DS = 0.35); mentre quello di colonna risulta compreso tra 3.63 (CP8) e 6.72 (CP5), con media di gruppo 5.30 (DS = 0.99).

Per quanto riguarda gli indici emersi relativamente alle risorse specifiche (quali Dio, Prete, Psicologo, Medico e Se stesso) possiamo notare, tra gli elementi selezionati, una scelta da parte dei partecipanti di due ruoli prevalenti: la figura di Dio (val min: 0; val max: 18), scelta in media in 9.90 situazioni (su 25) (DS = 5.34) e il sé (val min: 1; val max: 20), sempre selezionato in media in 9.90 situazioni (DS = 4.77). I ruoli relativi al prete, allo psicologo e al medico, invece vengono scelti in un numero inferiore di circostanze, in media rispettivamente: 1.90 (DS = 4.01); 1.40 (DS = 3.50) e 0.80 (DS = 1.23).

 

n° frequenza risorse nelle 25 situazioni
C RISORSE SCELTE DIP.TOTALI DDI

(Dispersion Dependency Index)

(SU 16)

%

(SU 400)

% SITUAZ RISORSE DIO PRETE PSY MEDICO
1 9 56% 65 16% 8,13 6,02 9 0 0 1 10
2 9 56% 56 14% 8,16 6,09 9 2 0 0 6
3 9 56% 110 28% 8,47 5,92 9 13 0 1 11
4 5 16% 35 9% 8,98 4,21 4 0 0 0 10
5 10 63% 143 36% 8,33 6,72 10 2 11 4 12
6 7 44% 107 27% 8,51 5,22 18 0 0 0 20
7 9 56% 76 19% 8,4 5,51 12 0 0 1 9
8 4 25% 33 8% 9,25 3,63 0 0 0 0 9
9 9 56% 46 12% 8,74 5,51 11 2 3 1 11
10 8 50% 71 18% 8,55 4,18 17 0 0 0 1
M 7,9 48% 74,2 19% 8,55 5,30 9,90 1,90 1,40 0,80 9,90
DS 1,97 0,15 35,82 0,09 0,35 0,99 5,34 4,01 3,50 1,23 4,77

Tab. 1: Griglia di dipendenza – Credenti

 

È stata ottenuta, inoltre, attraverso l’analisi FOCUS (Fig. 2), una sorta di classificazione delle risorse sulla base dei valori medi, dal più considerato al meno selezionato.

 

Tra gli elementi inseriti all’interno della griglia, la figura del partner spicca in misura maggiore rispetto alle altre (M = 13.1), seguita dall’amico dello stesso sesso (M = 12.7). In terza posizione troviamo la madre (M = 10), seguita dal Sé (M = 9.90), da Dio (M = 9.90), dal padre (M = 5.1), lasciando nelle ultime 4 posizioni l’amico del sesso opposto (M = 4.9), il prete (M = 1.9), lo psicologo (M =1.4) e il medico (M = 0.8).

Fig. 2: Analisi FOCUS risorse (Credenti)

 

5.1.2. Non credenti (NC)

All’interno del campione considerato (Tabella 2) il numero di risorse scelte (ovvero la rete di supporto su cui la persona può contare) è compreso tra un minimo di 6 e un massimo di 9, su un totale di 16 elementi inseriti, con una media totale di 7,38 (DS = 1.06, 46% delle risorse presenti). Per quanto riguarda il valore di dipendenza totale il range osservato è compreso tra 41 e 150, con una possibilità di combinazioni pari a 400 e una media di gruppo di 84,88 (DS = 35.18), ovvero una media percentuale del 22%.

Relativamente all’indice statistico (DDI) sono stati considerati, come per il precedente gruppo, sia i dati per situazione (righe) che per risorsa (colonna). L’indice di dispersione della dipendenza (DDI) quindi, presenta un range di riga compreso tra 8.32 e 8.9, con una media di gruppo di 8.54 (DS = 0.21) e un range di colonna compreso tra 4.21 e 5.79 e una media di gruppo pari a 5.12 (DS = 0.55).

Per quanto riguarda gli indici emersi relativamente alle risorse specifiche (quali Dio, Prete, Psicologo, Medico e Se stesso) possiamo notare in questo caso, tra gli elementi selezionati, una preferenza da parte dei partecipanti per un unico ruolo: se stessi (val min: 9; val max: 25), scelto in media in 18.50 situazioni (DS = 5.98). Tramite l’analisi FOCUS, la classifica (Fig. 3) propone in seconda posizione l’amico dello stesso sesso (M = 16.13), seguito dalla madre (M = 11.75), dal partner (M = 11.75), dall’amico del sesso opposto (M = 9.25) e dal padre (M = 7.88).

I ruoli relativi allo psicologo e al medico, anche in questo caso, vengono scelti in un numero inferiore di circostanze, in media rispettivamente: 1.38 (DS = 3.50) e 0.38 (DS = 0.52). Le figure di Dio e del prete, invece, non vengono prese in considerazione in nessuna situazione.

 

n° frequenza risorse nelle 25 situazioni
 NC RISORSE SCELTE DIP.TOTALI DDI
 

(SU 16)

%

(SU 400)

% SITUAZ RISORSE DIO PRETE PSY MEDICO
1 6 38% 41 10% 8,91 4,21 0 0 0 0 13
2 7 44% 78 20% 8,32 5,08 0 0 0 0 20
3 9 56% 62 16% 8,33 5,79 0 0 0 1 16
4 7 44% 60 15% 8,73 4,67 0 0 1 1 9
5 9 56% 114 29% 8,34 5,67 0 0 0 0 25
6 7 44% 72 18% 8,6 4,73 0 0 0 1 16
7 7 44% 102 26% 8,58 5,27 0 0 10 0 25
8 7 44% 150 38% 8,54 5,53 0 0 0 0 24
M 7,38 46% 84,88 22% 8,54 5,12 0,00 0,00 1,38 0,38 18,50
DS 1,06 0,06 35,18 0,09 0,21 0,55 0,00 0,00 3,50 0,52 5,98

Tab. 2: Griglia di Dipendenza – Non Credenti

 

Fig. 3: Analisi FOCUS risorse (Non Credenti)

 

5.1.3. Confronto tra gruppi

Oltre alle analisi intra-gruppo, è stata effettuato un confronto tra i due diversi campioni coinvolti, confrontando i dati raccolti attraverso le griglie di dipendenza. La tabella 3 riporta tutti gli indici medi calcolati e i rispettivi risultati del confronto tra medie.

Dalle analisi non emerge una differenza significativa tra i due gruppi, per quanto riguarda le risorse scelte, il valore di dipendenza totale e il confronto dell’indice statistico. Tuttavia, si osservano differenze significative per quanto riguarda le analisi specifiche su alcune risorse selezionate (target del presente studio). La figura di Dio, infatti, è scelta in media in 9,90 situazioni da parte dei credenti e in nessuna situazione per i non credenti (t = 0.68), mentre il sé è scelto in media in 9.90 situazioni da parte del gruppo dei credenti e in 18.50 situazioni da parte di chi non si affida a nessun credo particolare, con un t =3.40 (p = 0.00037).

 

RISORSE SCELTE DIP TOT DDI

(SU 16)

%

(SU 400)

% S R DIO PRETE PSY MED
C M 7.9 48% 74.2 19% 8.55 5.30 9.90 1.90 1.40 0.80 9.90
DS 1.97 0.15 35.82 0.09 0.35 0.99 5.34 4.01 3.50 1.23 4.77
NC M 7.38 46% 84.88 22% 8.54 5.12 0.00 0.00 1.38 0.38 18.50
DS 1.06 0.06 35.18 0.09 0.21 0.55 0.00 0.00 3.50 0.52 5.98
t 0.68 0.64 0.06 0.46 5.21 1.33 0.02 0.91 3.40
p 0.51 0.53 0.95 0.65 0.0001 0.20 0.99 0.38 0.00037
sig NO NO NO NO SI NO NO NO SI

Tabella 3: Confronto tra gruppi

 

5.2. Questionario

 

5.2.1. Descrizione di religione

Gran parte del gruppo dei Credenti ha descritto la religione in termini di: fiducia, fede, protezione, supporto e guida. Alcuni l’hanno raccontata attraverso parole quali: valori, introspezione, ascolto, scelta di vita, coerenza, comunità, preghiera, culto sacro, interpretazione della realtà e apertura, affermando che tale dimensione ha un’importanza rilevante nella propria vita. Attraverso l’utilizzo di una scala Likert, con punteggio da 1 (non significativo) a 7 (molto significativo), il gruppo dei Credenti ha espresso un livello di importanza della dimensione religiosa con un valore medio di 5.3 (DS: 0.67 – range di risposta compreso tra 5 e 7).

Per quanto riguarda il gruppo dei Non Credenti, il costrutto di religione è stato descritto utilizzando parole differenti quali: cultura, tradizione, bugia, limite, sacrificio, staticità, fanatismo e paradigma; alcuni hanno utilizzato termini come fede, protezione, guida, speranza e conforto. Per questo gruppo la religione sembra essere una dimensione meno rilevante nella quotidianità, rispetto al gruppo dei Credenti. Attraverso la medesima scala Likert, con punteggio da 1 (non significativo) a 7 (molto significativo), il gruppo dei Non Credenti ha espresso, in media, una rilevanza pari a 2 (DS: 0.93 – con un range di risposta compreso tra 1 e 4).

 

5.2.2. Polo di contrasto di religione

Il polo di contrasto per i Credenti sembra avere implicazioni negative, scegliendo parole quali: violenza, odio, rifiuto, chiusura, ignoranza, mancanza di regole, pregiudizio. Mentre per i Non Credenti il polo di contrasto pare essere maggiormente condiviso all’interno del gruppo. I partecipanti parlano di scienza, libertà, dinamismo ed egocentrismo (solo 2 persone utilizzano termini come guerra e fondamentalismo).

 

5.2.3. Descrizione di spiritualità

Relativamente alla spiritualità, il gruppo dei Credenti ha proposto, ad un livello macro e condiviso, un’immagine che sembra avere a che fare con l’“essere in un percorso” ricercando un significato, l’introspezione o la fede. Per descrivere in modo più dettagliato tale costrutto sono state scelte parole come introspezione, consapevolezza, intimità, libertà, calma, “ciò che ha a che fare con fiducia e devozione”, “un qualcosa che guida nel cammino della vita e che completa l’essere umano”, oltre alla “percezione che ognuno di noi è di più di ciò che appare”. La maggior parte dei partecipanti del gruppo non collega tale costrutto alla propria esperienza religiosa, anche se l’importanza di tale dimensione all’interno della propria vita risulta molto vicina a quella espressa per il costrutto di religione. Utilizzando un punteggio su scala Likert (1-7), il gruppo dei Credenti ha manifestato, in media, una rilevanza pari a 5.5 (DS: 0.85 – range di risposta compreso tra 4 e 7).

Il gruppo dei Non Credenti ha descritto la spiritualità nei termini di “connessione con qualcosa che va oltre il contesto materiale”, aggiungendo aspetti di ricerca, riflessione ed equilibrio. I partecipanti hanno scelto termini come: introversione, espansione, connessione, persona, principi, perfezionamento di sé, intendendo anche la spiritualità come “possibilità che ogni cosa abbia un senso”. Solo una persona ha definito tale dimensione nei termini di fede, tabù e superstizione. In generale, questo costrutto sembra essere considerato più importante nella quotidianità rispetto alla religione. Utilizzando un punteggio su scala Likert (1-7), il gruppo dei Non Credenti ha espresso, in media, una rilevanza di tale dimensione pari a 4.5 (DS: 2.14 – range di risposta compreso tra 1 e 7).

 

5.2.4. Mutua descrizione di Credenti e Non credenti

La maggior parte del gruppo rappresentato dalle Persone Credenti ha descritto la propria categoria di appartenenza, per lo studio in questione, sottolineando le proprie qualità, dando vita a una persona morale, etica, intelligente, fiduciosa, serena, forte, sicura di sé, ottimista, speranzosa, sensibile, amata, spirituale e convinta; una persona più propensa alla vita di comunità, che sa ciò che vuole, che ripone fiducia in Dio e che ha una marcia in più. E se un partecipante ha scelto di descrivere la persona credente attraverso il costrutto debole, poiché “sente il bisogno di appoggiarsi a qualcuno”, dall’altro è lo stesso membro del gruppo ad utilizzare anche il termine forte poiché, dal suo punto di vista, il credente “ha fede e può affrontare tutto”.

Osservando ancora la prospettiva del gruppo dei Credenti, notiamo che nel descrivere i Non Credenti hanno utilizzato due differenti modalità: da un lato la narrazione di persone libere, realistiche, pragmatiche, sicure di sé, interessanti, diverse e alla ricerca di qualcosa o che credono in qualcos’altro; dall’altro vengono rappresentate come persone indifferenti, vagabonde, insoddisfatte, negative, vuote, arroganti, solitarie, autoreferenziali, prive di emozioni, scettiche, atee, incomplete, poco fiduciose, poco amate e manchevoli di supporto.

Passando al gruppo dei Non Credenti, la scelta per descrivere la propria categoria di appartenenza per lo studio in questione, è caduta su parole che raccontano di persone indipendenti, libere, curiose, razionali, coraggiose, educate, pragmatiche, di mente aperta, determinate e autosufficienti; per un paio di partecipanti il non credente appare rigido e scettico. D’altro lato, il credente è descritto sia come fiducioso negli altri, bisognoso di conforto, spirituale, tradizionale, disponibile e gentile, ma anche come persona chiusa, cieca, potenzialmente manipolabile, ignorante, bigotta, ferma, metodica, coercizzata, minacciata, paurosa, disperata, che “non si pone domande”.

 

5.2.5. Senso di Agency

Infine, relativamente al senso di agency, il gruppo dei Credenti esprime la sensazione che il proprio cammino di vita sia una responsabilità condivisa con Dio (9 persone su 10); un solo partecipante sostiene che la propria esistenza sia esclusivamente nelle mani di Dio. Al contrario i Non Credenti sembrano descriversi come unici responsabili per se stessi e per le proprie scelte di vita (7 persone su 8, un’unica persona segnala la possibilità di essere nelle mani di un qualcosa d’altro di non specificato).

 

6. Discussione

Le osservazioni seguenti non sono inferenze definitive, ma solo spunti di riflessione e ipotesi che possono essere oggetto di ulteriori esplorazioni future. L’autrice ha scelto di focalizzarsi principalmente su 3 aspetti della ricerca:

– Le risorse scelte dai partecipanti;

– le differenti costruzioni presentate nei due gruppi con un focus speciale sulla mutua descrizione;

– la dimensione della spiritualità.

Relativamente alle differenze osservate tra le risorse scelte nei due gruppi, si è notato che Dio, anche se non considerato come prima risorsa dal gruppo dei Credenti, riveste un ruolo rilevante specialmente in quelle situazioni che implicano aspetti meno pratici e richiedono un supporto emotivo, di vicinanza e presenza. L’anticipazione iniziale, relativa alla registrazione di un affidarsi maggiore anche al ruolo del prete, è stata invalidata. Si può ipotizzare che questa maggiore distribuzione della dipendenza sia avvenuta su Dio, perché ritenuto dimensione più personale e di contatto intimo e profondo; in qualche modo meno minacciosa rispetto ad una figura esterna e tangibile, come potrebbe essere un ministro della fede. Questa riflessione potrebbe in parte spiegare la quasi assenza, per i credenti, del ruolo dello psicologo/psicoterapeuta, scelto solo da due persone (entrambe specialiste dell’ambito psicosociale) e molto spesso anche del medico (chiamato in causa solo nella situazione specifica legata all’eventualità di una malattia). Lo stesso aspetto, tuttavia, si riscontra anche nel gruppo dei non credenti che, come abbiamo visto, concentra in misura maggiore le dipendenze sul sé. Questo risultato potrebbe essere spiegato, per quanto riguarda le persone credenti, alla luce dell’importanza data al tema della fiducia e della sicurezza nelle relazioni, elementi condivisi dalla religione e dalla figura di Dio, dando risposta alle chiare esigenze di conforto, ascolto e aiuto. Da questa prospettiva, potremmo immaginare che la figura dello psicologo/psicoterapeuta sia ritenuta superflua o, in virtù dei rapporti poco amichevoli tra le due discipline considerate (religione e psicologia), possa esistere una sorta di strutturazione del professionista, visto come meno accogliente e più giudicante e valutativo rispetto ad altre figure a cui il gruppo dei credenti sceglie di affidarsi (partner, amico dello stesso sesso, madre etc.).

Relativamente al gruppo dei non credenti, pur ottenendo un risultato simile a quello emerso nell’altro gruppo, e quindi una non considerazione dello psicologo/psicoterapeuta e del medico, può essere ipotizzato un collegamento con aspetti legati a costrutti di indipendenza, razionalità e libertà, dimensioni emerse più volte tra le persone appartenenti a questo gruppo. Potremmo tentare di spiegare questi aspetti quasi come una preferenza espressa dalle persone Non Credenti per la cultura del “contare su di sé” piuttosto che quella dell’“affidarsi e coinvolgere gli altri”.

A questo proposito, una buona domanda potrebbe essere in che modo le persone coinvolte nel presente studio costruiscono la figura dello psicologo/psicoterapeuta. Nel campione totale di 18 partecipanti, 4 sono coloro i quali hanno scelto nella griglia tale figura e tutte e 4 le persone coinvolte (appartenenti sia al gruppo dei Credenti che dei Non Credenti) la costruiscono per ragioni differenti: alcuni perché entrati in contatto personalmente, altri perché praticano in prima persona la professione. Potremmo ipotizzare di leggere il materiale raccolto dal presente studio attraverso il Corollario dell’Esperienza e del postulato fondamentale[4] (Kelly, 1955, p.32, p. 50) e considerare se l’aspetto dell’“affidarsi a ciò che più mi è familiare” possa essere un elemento rilevante nella scelta legata alla distribuzione della dipendenza, oltre al contesto culturale in cui una persona fa esperienza.

Relativamente alla mutua descrizione riportata da entrambi i gruppi, è possibile riconoscere una comune caratteristica data da un maggior utilizzo di termini positivi e benevoli all’interno del proprio gruppo di appartenenza e, al contrario, la tendenza di avvalersi del pregiudizio e di costrutti costellatori, nel momento in cui si passa alla descrizione di coloro i quali non sono membri della propria categoria.

I partecipanti, pur provenendo da un background culturale occidentale (nord Italia), manifestano differenti esperienze del fenomeno religioso. Essere parte dello stesso gruppo può fornire l’occasione di condividere vissuti simili, siano essi in campo religioso o meno, ma fa emergere allo stesso tempo la possibilità di attribuire loro significati e atteggiamenti differenti. Questa prospettiva può essere colta come un invito a uscire dalla tentazione della strutturazione, in virtù di una più ampia comprensione della persona che ci troviamo di fronte. Il corollario della socialità[5] (Kelly, 1955, vol.1, p.95) sottolinea pertanto che, al fine di relazionarsi con l’altro, diventa essenziale mettersi nei suoi panni. L’invito sottinteso prevede il passaggio dalla domanda (più spesso espressa in tono giudicante) “come può essere non credente?” o “come può essere credente?” a “cosa rappresenta, per la persona, la scelta di credere in Dio o meno?”.

L’ultimo aspetto da discutere ha a che vedere con il tema della spiritualità. Osservando i dati raccolti, sembra che tale costrutto possa essere terreno fertile per la nascita di significati condivisibili sia dal gruppo dei Credenti che dei Non credenti. Questa iniziale valutazione ci permette di trovare una sorta di comunanza tra le costruzioni proposte dai due gruppi. La spiritualità sembra essere una dimensione legata all’idea di percorso, di cammino di introspezione e connessa alla consapevolezza di un contatto profondo tra se stessi e il resto del mondo. Per questa ragione potrebbe costituire un costrutto sovraordinato delle possibili narrazioni a disposizione dell’uomo, siano esse legate alla religione o ad altri ambiti, non per forza associati ad aspetti religiosi: un punto di incontro tra due realtà che sembrano differire in modo significativo nel processo di attribuzione di significati e nel dare un senso al mondo.

 

7. Limiti dello studio

Lo studio così condotto presenta diversi limiti. Prima di tutto il procedimento di raccolta dati, attraverso l’uso dell’e-mail, ha ridotto l’opportunità di approfondire o elicitare ulteriori significati emersi dalla compilazione dei due strumenti.

Secondariamente, il numero limitato del campione ha influito in modo rilevante sulle analisi statistiche e su possibili osservazioni.

In terzo luogo, consideriamo la provenienza del campione partecipante: le persone coinvolte nello studio appartengono a background geografici differenti, e questo potrebbe avere avuto un impatto sui dati raccolti.

Infine, gli elementi forniti all’interno della griglia inevitabilmente possono aver influenzato i risultati. Rispetto a questo tema, la domanda che emerge ha a che fare con il ruolo di Dio: sarebbe stato scelto allo stesso modo come risorsa se l’obiettivo della ricerca non fosse stato condiviso in anticipo?

 

8. Ulteriori considerazioni

Per quanto mi riguarda, questo studio rappresenta una piccola finestra di comprensione che spero incoraggi ulteriori approfondimenti della tematica trattata.

Nel suo lavoro, Kelly sembra attribuire alla religione un aspetto di potere importante sulle scelte degli individui. Immagino, tuttavia, che questa possa essere una delle letture possibili relativa al fare esperienza dell’essere credente e dell’appartenere ad un culto specifico, sposandone norme, valori, tradizioni piuttosto che scegliere di non affidarsi ad un credo particolare. Forse potrebbe essere interessante spostarsi dalla dimensione del “chi ha ragione? Dove sta la verità?”, cogliendo l’occasione di considerare l’esperienza del credente e del non credente come possibili narrazioni personali. Per questa ragione ritengo che la PCP possa diventare un utile paio di occhiali da indossare nell’esplorazione di tali costrutti, aiutando a sussumere i processi descritti dalla religione. Credo, inoltre, che possa essere interessante, utilizzando gli strumenti offerti dalla teoria, inserire tra gli elementi della griglia di repertorio e di dipendenza anche la figura di Dio (da valutare a seconda della religione considerata), poiché sembra giocare un ruolo importante nella vita delle persone.

Queste riflessioni non costituiscono una risposta definitiva, bensì una possibile fonte di nuove domande e aspetti da esplorare. Tale approfondimento di religione e spiritualità, osservandone in parte le implicazioni nella quotidianità, oltre all’osservazione della mutua descrizione dei partecipanti ai due gruppi, sembra rendere le posizioni assunte dal non credente, come dal credente, costantemente discutibili e ricostruibili. Pertanto, l’invito diventa quello di abbandonare le lenti della verità, per indossare quelle delle possibilità, imboccando la via della proposizionalità nel tentativo di vestire i panni dell’altro, al fine di comprendere (under stand = stare sotto) (Mair, 2011) i suoi processi, le narrazioni del mondo e il suo fare esperienza.

 

 

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Note sull’autore

 

Valentina Sosero

Institute of Constructivist Psychology

valentina.sosero@libero.it

Psicologa-Psicoterapeuta diplomata presso l’Institute of Constructivist Psychology di Padova. Si occupa prevalentemente di attività nelle scuole a supporto e integrazione dell’insegnamento, costruendo progetti che promuovono il benessere e laboratori di orientamento scolastico e professionale. Come libera professionista incontra adolescenti e adulti. Da alcuni anni interessata al tema della spiritualità, ha intrapreso esperienze di meditazione e si è diplomata come insegnante di Yoga per bambini e adolescenti. Uno dei suoi desideri è quello di esplorare la dimensione della genitorialità e continuare il lavoro con bambini e adolescenti, attraverso la prospettiva PCP.

 

Note

  1. Ringraziamo gli editori della rivista Personal Construct Theory & Practice e l’autrice per aver gentilmente concesso la traduzione dell’articolo. L’originale è disponibile al link: http://www.pcp-net.org/journal/pctp19/sosero19.pdf. Sosero, V. (2019). In whom confide: exploring the Christian-Catholic perspective. Personal Construct Theory & Practice, 16, 149-160.
  2. Costrutto prelativo: un costrutto che considera di sua esclusiva appartenenza gli elementi del suo dominio è chiamato prelativo. Si tratta di una costruzione del tipo “nient’altro che”: “se questa è una palla, non è nient’altro che una palla”. Costrutto costellatorio: un costrutto che stabilisce l’appartenenza dei suoi elementi ad altri domini è chiamato costellatorio. Si tratta di un pensiero stereotipato o tipologico. (Kelly, 1955)
  3. In origine lo studio ha visto coinvolti 28 partecipanti di nazionalità italiana: 10 Credenti nella religione Cristiano-Cattolica, 8 Non credenti, 2 Credenti non praticanti, 6 agnostici e 2 appartenenti alla categoria “altro”. Attualmente, questo studio pilota si focalizza su due categorie principali (Credenti e Non credenti), ma è nelle intenzioni dell’autrice continuare l’esplorazione coinvolgendo tutti i gruppi.
  4. Postulato fondamentale: i processi di una persona sono psicologicamente canalizzati dai modi in cui essa anticipa gli eventi.Corollario dell’Esperienza: il sistema di costruzione di una persona varia a mano a mano che essa costruisce la replica degli eventi. (Kelly, 1955)
  5. Corollario della socialità: nella misura in cui una persona costruisce i processi di costruzione di un’altra, può giocare un ruolo in un processo sociale che coinvolge l’altra persona (Kelly, 1955).