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Darwin, il corollario di socialità e i Critical Animal Studies

Darwin, the sociality corollary, and critical animal studies

di

Carmen Dell’Aversano

Università di Pisa

Abstract

Questo lavoro è stato originariamente presentato tra gli Opening Statements in una sessione plenaria del XIII congresso EPCA a Galzignano (Padova), nel luglio 2016 (l’originale inglese è disponibile all’URL http://www.pcp-net.org/journal/pctp17/dellaversano17.pdf). Il suo scopo è collegare la PCP ai Critical Animal Studies attraverso l’esplorazione di alcune implicazioni generalmente trascurate, da un lato della teoria dell’evoluzione di Darwin e dall’altro di una posizione costruttivista radicale e, più in particolare, dei corollari di socialità e di costruzione.

This paper was originally presented as one of the Opening Statements in a plenary session of the XIII EPCA conference in Galzignano (Padova, Italy) in July 2016 (the original English text is available at http://www.pcp-net.org/journal/pctp17/dellaversano17.pdf).

It aims to connect PCP and Critical Animal Studies through an exploration of some usually neglected implications of Darwin’s evolutionary theory on the one hand, and of a radical constructivist position and, more specifically, of the Sociality and Construction corollaries on the other.

Keywords:
Psicologia del costrutti personali, Critical Animal Studies, Darwinismo | Personal Construct Psychology, Critical Animal Studies, Darwinism
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Nella misura in cui una persona costruisce i processi di costruzione di un’altra, può giocare un ruolo in un processo sociale che coinvolge l’altra persona.

G.A. Kelly

 

Come molti di voi sanno, non sono una psicologa. Sono arrivata alla PCP attraverso la retorica, in particolare attraverso gli iniziatori della tradizione retorica occidentale, i sofisti, i quali, non per caso, inaugurarono anche un’altra tradizione: quella del costruttivismo radicale. A livello più astratto, un congresso, quale che ne sia il tema, è un’occasione retorica: per il fatto che i partecipanti hanno così tanto in comune, le regole che la definiscono sono quelle del genere che la teoria retorica antica chiama “discorso epidittico o cerimoniale”. In pratica, il compito dell’oratore è sottolineare e celebrare ciò che lui e l’uditorio hanno in comune; questo, naturalmente, è un ottimo modo di rafforzare i legami sociali, ma non necessariamente porta a qualche forma di apprendimento. Nell’organizzare questa sessione plenaria, la mia intenzione è stata di mettere in questione questa costruzione: volevo che gli oratori condividessero la propria esperienza in relazione a costrutti che probabilmente non erano in comune tra loro e l’uditorio.

Quando sono venuta a sapere che Maria Armezzani sarebbe stata impossibilitata a partecipare e mi sono chiesta come sostituirla con un preavviso brevissimo, mi è venuto in mente che avrei potuto forzare i confini di questa definizione condividendo la mia esperienza in relazione ad alcune conseguenze di un fondamento importantissimo della PCP, che probabilmente la maggior parte del mio uditorio non aveva mai contemplato e che avrebbe messo fortemente in questione le loro anticipazioni. La mia personale anticipazione riguardo a questa occasione è che la nostra discussione sarà animata. La aspetto con grande piacere.

Tutti siamo al corrente delle controversie suscitate dalla teoria dell’evoluzione di Darwin quando fu enunciata per la prima volta. La ragione è che, prima di Darwin, la relazione tra gli umani e gli altri animali era fondata sull’idea della scala naturae (fig. 1). Si dava per scontato che il mondo naturale fosse organizzato in maniera gerarchica: si pensava che Dio, nel creare il mondo, avesse stabilito per tutta l’eternità le categorie degli esseri che avrebbe contenuto, e che avesse assegnato a ciascuna categoria un posto, al di sopra o al di sotto di altre categorie. Di conseguenza tutti gli esseri (cani, alberi, re, mucche, sacerdoti, formiche, alghe, contadini, leoni…) erano parte di un ordine gerarchico eterno e immutabile stabilito da Dio. Questo, naturalmente, era il fondamento non solo della soggezione di tutti i non umani all’uomo, che si supponeva fosse stato creato ad immagine di Dio, ma anche della monarchia assoluta e della divisione della società in stati con diritti e doveri enormemente diversi.

Politicamente, questa visione fu scardinata dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione francese; ma scientificamente fu messa seriamente in questione soltanto quando Darwin sostituì alla Scala naturae l’albero della vita (fig.2). L’albero della vita è un albero genealogico: mostra che tutte le forme di vita sul nostro pianeta formano un’unica grande famiglia; proprio come in una famiglia, ci sono differenze tra i vari rami, ma non esiste una gerarchia. Secondo la teoria di Darwin, che è il fondamento delle scienze della vita coma vengono oggi concepite e praticate, l’umanità non è la corona della creazione, bensì semplicemente una specie animale tra innumerevoli altre. Ciascuna specie possiede peculiarità che la distinguono dalle altre (noi andiamo ai congressi, i delfini si muovono con l’aiuto di un sonar, i ragni fanno la tela…), ma l’origine comune di tutte le specie implica che tutte le caratteristiche che consideriamo patrimonio esclusivo degli esseri umani – dall’intelligenza alle emozioni, all’abilità di comunicare, all’affetto per i propri cari – in realtà noi le condividiamo con altri animali.

 

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Fig. 1: Scala Naturae

 

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Fig. 2: The Tree of Life

 

Siamo abituati a ritenere di essere in grado di giudicare correttamente, attraverso l’osservazione e gli esperimenti, la misura in cui altri animali posseggono queste caratteristiche, a credere che questo ci metta nella posizione di poterli valutare obiettivamente e di decidere con giustizia come meritino di essere trattati; è sulla base di questa convinzione che la maggior parte delle persone perbene – persone che non farebbero mai male ad un altro essere umano, che trovano ripugnante ogni forma di discriminazione e di oppressione e che non temono di denunciarle tutte le volte che le incontrano, persone che trascorrono la vita sforzandosi di aiutare gli altri – decidono che è eticamente non problematico consumare prodotti animali.

Tuttavia, da un punto di vista PCP/PCT si tratta di una convinzione insostenibile, per almeno due motivi. Il primo è una diretta conseguenza del corollario di socialità, che afferma chiaramente che, nel caso degli animali come per qualsiasi altro soggetto, tutto ciò che possiamo conoscere non è la realtà delle loro emozioni, intelligenza o capacità, bensì unicamente la nostra costruzione dei loro processi di costruzione; di conseguenza, la valutazione che ne diamo è per definizione non obiettiva, e qualunque decisione fondata su una tale valutazione è completamente arbitraria. L’altra ragione è l’intrinseca incommensurabilità di tutti i sistemi di costrutti: la PCT si fonda sull’assunto che non esiste, e non può esistere, alcun punto di vista esterno “oggettivo” da cui un soggetto imparziale e onnisciente può giudicare tutti i possibili sistemi di costrutti e ordinarli in una gerarchia che va dal peggiore al migliore, e di conseguenza dal meno al più degno di rispetto; in una prospettiva PCT non esistono “vite indegne”[2], ci sono soltanto costruzioni manchevoli, superficiali o tendenziose dei sistemi di costrutti degli altri. E che la nostra costruzione corrente di alcuni animali come “vite indegne di essere vissute” sia, in realtà, assolutamente irrazionale, lo dimostra il fatto che la maggior parte dei “carnivori felici di essere tali” dell’occidente sarebbero orripilati alla prospettiva di mangiare un cane o un gatto, anche se la nostra costruzione scientifica condivisa delle emozioni, dell’intelligenza e delle capacità di questi animali rende impossibile distinguerli in maniera significativa dagli animali la cui carne consumiamo senza pensarci due volte, come i maiali o le pecore[3].

Probabilmente farei meglio a chiarire sin da subito che non sto affatto sostenendo che gli animali siano in alcun modo “uguali” agli umani[4]. Un motivo importante è che, in una prospettiva PCT, una tale affermazione non avrebbe senso, dal momento che, come il corollario di costruzione afferma chiaramente[5], l’uguaglianza è un concetto collusivo, che può essere impiegato unicamente scegliendo di trascurare le differenze per concentrarsi su quelli che decidiamo di costruire come tratti comuni; pertanto, gli animali potrebbero essere percepiti come “uguali” unicamente da qualcuno che avesse già deciso di considerarli “uguali”, e pertanto di trascurare i tratti che non condividono con gli umani per concentrarsi su quelli che invece sono comuni. Ma altrettanto importante è la considerazione che considerare l’“uguaglianza” rispetto a noi, comunque definita, come un prerequisito per il godimento dei diritti fondamentali, come quello a vivere e a non essere torturati (che vengono sistematicamente negati agli animali), è possibile unicamente a patto di considerare noi stessi come l’incarnazione definitiva del valore oggettivo. Non credo di poter immaginare una posizione meno costruttivista.

Questa negazione del costruttivismo rappresenta, tuttavia, il fondamento del nostro atteggiamento rispetto agli animali nella scienza, nell’etica e nelle questioni legali. Quando studiamo gli animali prendiamo come punto di riferimento noi stessi; non sorprendentemente, gli animali vengono sempre trovati in difetto, e si suppone che questo possa giustificare il fatto che noi li usiamo in modo tale che le loro vite vengono regolarmente sacrificate alla nostra comodità, ai nostri gusti e ai nostri capricci[6]. Nella sua forma più fondamentale, ma anche più chiara, l’argomento su cui si fonda lo sfruttamento umano degli animali è questo: possiamo fare loro qualunque cosa perché non sono come noi. L’unico fondamento epistemologico ed etico dell’uso umano degli altri animali è l’egocentrismo.

Questo è il punto in cui nella mia ricerca, nella mia esperienza e nella mia vita, la PCT/PCP incontra i Critical Animal Studies (CAS). I CAS sono un nuovo campo ibrido che studia i rapporti tra umani e non umani al fine di denunciare le dinamiche di potere su cui si fondano; è un campo ibrido non soltanto perché si colloca al crocevia di diverse discipline, dall’etologia all’antropologia e alla sociologia, ma anche perché collega la ricerca con l’attivismo. Parte del mio lavoro nel campo dei CAS si concentra sulla critica ad un’epistemologia realista, la quale sostiene che per noi è possibile una conoscenza oggettiva delle nature animali, e che pertanto abbiamo il diritto di decidere che cosa è moralmente lecito fare agli altri animali; il fondamento di questa mia critica è la PCT/PCP. Fondamentalmente, una volta che cominciamo a considerare le relazioni tra umani e animali in una prospettiva PCT, ci rendiamo conto che la nostra costruzione degli altri animali è oppressivamente prelativa e soffocantemente costellatoria, e che queste modalità di costruzione non sono soltanto intellettualmente insostenibili ma anche eticamente perniciose e politicamente irresponsabili, dal momento che meno capiamo degli altri animali più siamo convinti di avere il diritto di torturarli e ucciderli. I limiti della nostra empatia sono i limiti della nostra ignoranza; possono essere davvero molto ristretti.

Come tutti abbiamo sperimentato, una conseguenza importante del corollario di socialità (che non vale necessariamente soltanto nella relazione terapeutica) è farci diventare meno egocentrici: prendere sul serio il corollario di socialità vuol dire renderci conto che, dal momento che siamo parte di una rete di relazioni sociali, le conseguenze delle nostre costruzioni ricadono, in una qualche misura, sempre sugli altri al punto che la mia personale definizione del potere in termini PCP è “la misura in cui le conseguenze delle nostre costruzioni devono essere sopportate dagli altri”. Credere che gli esseri umani possano volare e buttarmi dalla finestra è una cosa; credere che gli esseri umani possano volare ed essere nella posizione di buttare dalla finestra altre persone sistematicamente e impunemente è una cosa ben diversa. Il rapporto della nostra specie con le altre è un rapporto di potere assoluto; se lo consideriamo attraverso la lente del corollario di socialità, ci rendiamo conto che il modo in cui noi costruiamo i processi di costruzione degli altri animali li incastra in un ruolo che è sempre oppressivo, e la maggior parte delle volte porta alla loro tortura e morte. Esattamente come la conoscenza non è mai obiettiva o impersonale, non è neppure mai eticamente o politicamente neutra: la nostra costruzione dei loro processi di costruzione è invariabilmente finalizzata a mantenere ed estendere il nostro potere.

Così, noi siamo orgogliosi del fatto di investigare scientificamente le capacità cognitive e le emozioni degli animali, ma al tempo stesso siamo certi a priori che nulla di quanto potremo scoprire in merito ci porterà mai a mettere in questione il nostro dominio assoluto; naturalmente questo rende le nostre ricerche scientifiche la negazione della scientificità. Anche i più strenui sostenitori di Darwin spesso si comportano come se credessero ancora nella Scala naturae; anche i più sinceri kellyani spesso si comportano come se il corollario di socialità non esistesse, scambiano la loro costruzione dei processi di costruzione degli animali per la realtà di questi processi, che in realtà, in una prospettiva PCP, sono per definizione inconoscibili. Se siamo disposti a prendere sul serio Kelly e il corollario di socialità, dovremmo essere disposti a porci la domanda che un grande studioso non del “comportamento animale” bensì delle menti degli animali, Frans de Waal, ha scelto come titolo del libro che corona la sua lunga carriera: Siamo abbastanza intelligenti da sapere quanto sono intelligenti gli animali?

E dovremmo anche essere consapevoli del fatto che, malgrado l’ottimismo di de Waal, l’unica risposta possibile per noi come kellyani è, per definizione, “No”.

Come cambierà la nostra vita questa consapevolezza?

 

Bibliografia

De Waal, F. B. M. (2016). Are we smart enough to know how smart animals are? New York: Norton.

 

Note sull’autore

Carmen Dell’Aversano

Università di Pisa

carmen.dellaversano@unipi.it

Insegna nel dipartimento di scienze umane dell’Università di Pisa e in diversi istituti di formazione in psicoterapia (Institute of Constructivist Psychology di Padova; European Institute of Systemic-Relational Therapies di Milano; Centro Studi in Psicoterapia Cognitiva di Firenze). I suoi interessi di ricerca principali, come gli studi ebraici, il costruttivismo e i diritti animali, abbracciano le aree della teoria letteraria, della psicologia, dell’analisi del discorso e della teoria queer. Nel 2015, insieme a colleghi di varie istituzioni italiane e internazionali, ha fondato CIRQUE (Centro Interuniversitario di Ricerca Queer), il primo centro in Italia per la ricerca queer che attualmente dirige.

 

Note

  1. Ringraziamo gli editori della rivista Personal Construct Theory & Practice per aver gentilmente concesso la traduzione dell’articolo. L’originale è disponibile al link http://www.pcp-net.org/journal/pctp17/dellaversano17.pdf:Dell’Aversano, C. (2017). Darwin, the Sociality corollary, and critical animal studies. Personal Construct Theory & Practice, 14, 73-78.
  2. L’espressione “lebensunwertes Leben” (“vita indegna di esser vissuta”) venne usata dai nazisti per giustificare l’uccisione di una serie di gruppi di persone. Naturalmente questo non ha alcun nesso con la questione, completamente separata, del modo in cui ciascuno valuta la propria vita che, insieme alle sue conseguenze pratiche, rappresenta una prerogativa di ciascun singolo individuo.
  3. Una prova fra tante è la Cambridge Declaration on Consciousness (Dichiarazione di Cambridge sulla coscienza, 2012), la quale afferma tra le altre cose cheEvidenze convergenti indicano che gli animali non umani possiedono i sostrati neuroanatomici, neurochimici e neurofisiologici degli stati coscienti insieme alla capacità di mostrare comportamenti intenzionali. Di conseguenza la somma delle evidenze indica che gli umani non sono gli unici a possedere i sostrati neurologici che generano la coscienza. Gli animali non umani, tra cui tutti i mammiferi e gli uccelli, e numerose altre creature, tra cui i polpi, posseggono anche loro questi sostrati neurologici.(http://fcmconference.org/img/CambridgeDeclarationOnConsciousness.pdf)
  4. Né, se è per questo, gli uni agli altri: anzi, lo stesso costrutto “umano/animale”, che ammucchia tutti insieme nel polo di contrasto degli “umani” i bonobo e le vongole, le tenie e i cani – oscurando il fatto che, ad esempio, gli umani sono immensamente più simili agli altri mammiferi di quanto gli altri mammiferi lo siano a qualunque invertebrato – è evidentemente incompatibile con una comprensione chiara e rigorosa del darwinismo, e di conseguenza con la teoria e la pratica delle scienze della vita nella forma in cui la cultura occidentale le ha concepite per gli ultimi centosessant’anni.
  5. “Una persona anticipa gli eventi costruendone le repliche”.
  6. Nel caso qualcuno se lo stia chiedendo, non soltanto non esiste alcun motivo medico per consumare prodotti animali, ma le diete vegane sono addirittura più sane di quelle onnivore, oltre che meno dannose per l’ambiente: si veda ad esempio http://www.cowspiracy.com/ and “Position of the American Dietetic Association and Dietitians of Canada: vegetarian diets” in Canadian Journal of Dietetic Practice and Research. 2003 Summer; 64(2):62-81.