Tempo di lettura stimato: 25 minuti
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Sessualità e rischio: un viaggio attraverso alcune scelte degli adolescenti

Sexuality and risk: a journey through some adolescents’ choices

di

Elena Bordin

Institute of Constructivist Psychology

Abstract

Chi sono gli adolescenti? Cosa sono impegnati a fare? Cosa significa per loro rischiare in ambito sessuale? Il presente lavoro vuole proporre una lettura dell’adolescenza come un insieme di processi che permettono ai ragazzi di sperimentare nuove costruzioni di sé e suggerire un’interpretazione alternativa di alcuni comportamenti sessuali a rischio. Infine verranno presentati alcuni frammenti delle esperienze di adolescenti, provando a guardare il mondo con i loro occhi.

Who are the adolescents? What are they engaged to do? What does the risk in the field of sexuality, mean to them? The proposal of this article is to consider the adolescence as a combination of processes, which would allow teenagers to experience new self constructions, and to suggest an alternative interpretation of some sexual risk-taking behaviour. To look at the world through their eyes, some adolescents’ experiences will lastly be presented.

Keywords:
Sessualità, comportamenti a rischio, adolescenti, scelta elaborativa, Psicologia dei Costrutti Personali |sexuality, risk-taking behaviour, adolescents, elaborative choice, Personal Construct Psychology
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Adolescenti e sessualità può risultare ai più un binomio esplosivo soprattutto se si pensa ai rapporti sessuali non protetti, alle richieste incontrollate e continue di prescrizioni della pillola del giorno dopo, alla ricerca persistente di test di gravidanza o alle esigenze impellenti di ricevere disposizioni per aver contratto una malattia a trasmissione sessuale.

Lavorando con gli adolescenti, in particolare in servizi che si occupano di prevenzione in ambito sessuale, queste richieste sembravano una narrazione costante e i ruoli dei protagonisti coinvolti apparivano definiti in modo sempre più dettagliato e perentorio: incauti teenagers non facevano altro che mettersi nei guai mentre gli adulti, un po’ come dei dispenser, non solo dovevano fornire soluzioni ai loro problemi, ma spesso cercavano anche di trasmettere l’importanza di una sessualità sicura e corretta, di cui i ragazzi sembravano sprovvisti.

Tuttavia la certezza di questo scenario così ben anticipato ha iniziato a venir meno nel momento in cui proprio quegli adolescenti che si mettevano nei guai dimostravano di conoscere molto bene l’utilizzo corretto dei contraccettivi e sapevano tutto ciò che è necessario per vivere una sessualità sicura e corretta. Questo perché lo avevano già sentito prima, si erano informati o perché avevano partecipato a un corso di educazione sessuale a scuola. Ma ancor di più se lo sentivano ripetere spesso quando, tra l’ansioso e lo spaventato, richiedevano una consulenza di emergenza.

Nel momento in cui ho iniziato a notare la frequenza con cui tali situazioni si ripetevano, ho provato a includere il mio sguardo, il punto di vista dell’adulto osservatore ed esperto, nel processo. Passando così da spettatore esterno ad attore partecipante, sono emersi nuovi interrogativi: cosa gli adulti danno per scontato delle esperienze adolescenziali? Quali aspetti del loro mondo così eccitante e allo stesso tempo spaventoso non vengono riconosciuti?

In particolare, ci si può chiedere anche perché certi adolescenti a volte decidano di non considerare ciò che sanno, assumendosi alti rischi sia per la propria salute (fisica e psicologica) sia per il futuro, come ad esempio una gravidanza indesiderata o una malattia sessualmente trasmessa.

Usando la Psicologia dei Costrutti Personali (PCP) (Kelly, 1955) come teoria di riferimento, è possibile comprendere gli adolescenti, cercando di guardare il mondo attraverso i loro occhi, chiedendosi cosa il “rischio” significhi per loro, e in particolare cosa significhi assumersi dei rischi in ambito sessuale.

 

1. Ai confini dell’adolescenza

L’adolescenza può apparire caotica, imprevedibile e tumultuosa, proprio perché in essa si susseguono molti processi degni di nota: non solo i vari cambiamenti fisici e biologici, ma anche quelli psicologici, sociali e cognitivi (Ferreiroa, Seoane, & Senraa, 2014; Frijns, Finkenauer, & Keijsers, 2013; Frois, Moreira, & Stengel, 2011; Erikson, 1968), i vari “compiti di sviluppo” (Petter, 2007; Vianello, 1998), il processo d’integrazione dell’individuo nella società adulta (Inhelder & Piaget, 1955), lo sviluppo sessuale, il desiderio di conoscere il proprio corpo e la propria sessualità ancora inesplorati e il piacere che essi possono procurare, senza dimenticare lo scoprirsi sessualmente attratti da un’altra persona.

Questa complessità trova una sua rappresentazione anche in ambito scientifico dalle teorie che si sono principalmente occupate di adolescenza. Infatti, fin dalla prima pubblicazione sul tema (Hall, 1904) sono stati elaborati diversi approcci che si sono occupati ora dell’uno ora dell’altro aspetto. Le spiegazioni biologistiche per esempio (Buehler, 1927; Kroh, 1944; Hall, 1904) hanno promosso l’idea che l’adolescenza dipenda esclusivamente dalla pubertà e sia dominata da forze istintuali che devono essere lasciate sfogare durante un lungo periodo in cui l’individuo, anche se in fase di maturazione, non può ancora essere considerato adulto.

Invece l’approccio sociologico ha guardato all’adolescenza come a un periodo d’integrazione verso l’età adulta, altamente influenzato dalla cultura e dalla società di appartenenza del giovane (Brooks, 1929; Hollingworth, 1928; Mead, 1928, 1935; Thorndike, 1926). L’adolescenza viene considerata perciò come una fase necessaria dello sviluppo della personalità, le cui crisi e difficoltà risentono della relazione tra società e individuo (Hurlock, 1949; Jersild, 1957; Hurlock, 1949; Cole, 1948).

Un terzo punto di vista è offerto dall’approccio psicoanalitico attraverso il quale Freud argomentava che la personalità acquisisce forma e struttura principalmente durante i primi 5 anni di vita e nei suoi scritti si riferisce alla pubertà come alternativa all’adolescenza, definendola una ricapitolazione delle esperienze della prima infanzia (1914/1969). Anna Freud (1967, 1979a), sviluppando le idee paterne, l’ha definita come l’interruzione di una crescita pacifica, osservandone successivamente la similarità con una varietà di disordini emotivi, simili alla formazione sintomatica di ordine nevrotico, psicotico e sociale.

Altri autori psicoanalitici invece hanno posto il focus dei loro studi su aspetti diversi dell’adolescenza: Erikson (1968, 1959, 1950) per esempio la concettualizza come l’integrazione di fattori biologici, psicologici e sociali e riconosce nell’acquisizione di un’identità sociale riconosciuta il suo aspetto principale. In questo modo l’autore ha proposto un’interpretazione dell’adolescenza come un periodo necessario per sperimentare e integrare ruoli diversi in un contesto più ampio di quello famigliare.

Ciò che colpisce di questo breve excursus è che l’adolescenza, benché studiata da vari punti di vista, sembra essere un momento drammatico da superare, qualcosa di necessario e inevitabile, un disturbo evolutivo (Freud, 1979b), un profondo sconvolgimento (Kestemberg, 1962), un breakdown evolutivo (Laufer, 1981).

Tuttavia definendo l’adolescenza in questi termini il rischio che si corre è quello di considerarla come una sorta di inevitabile “malattia necessaria” (Bonino, 2005, p. 7) in cui cambiamenti ormonali e forze interne debbano sfogarsi e liberarsi senza che sia possibile fare nulla a riguardo. Così, gli adolescenti sembrano passivi rispetto a ciò che vivono, dominati da qualcosa che dentro di loro si risveglia e li mette in moto, determinando il loro comportamento.

Con simili premesse, si potrebbe considerare il comportamento sessuale a rischio come “nient’altro che” qualcosa di pericoloso, da controllare, eliminare e prevenire… in altre parole, un comportamento sbagliato e da evitare.

Nella vastissima letteratura sulla “gioventù a rischio”, infatti, sono rintracciabili due filoni di pensiero prevalenti (Kelly, 2000): il primo fonda il suo interesse sul rischio, sul pericolo e sulla conseguente cura dei giovani a essi esposti; il secondo pone l’accento sui costi e sui benefici che si possono desumere dall’individuare i gruppi sociali a rischio oltre ai fattori di rischio, in modo tale da stabilire specifici interventi di recupero. Che sia la prima o la seconda lettura a prevalere emerge una visione allarmante degli adolescenti e dei giovani in costante pericolo che “così facendo compromettono la loro salute e il proprio benessere, mettono a repentaglio la loro vita, limitando la possibilità di conseguire una piena realizzazione di sé stessi da adulti” (Zamperini, 2010, p. 54).

Zamperini (ibidem) osserva che, con una simile premessa, “spesso nell’identificazione dei fattori di rischio nella popolazione adolescenziale e giovanile si finisce con l’argomentare che ‘tutti’ gli adolescenti e i giovani sono a rischio” e che nessuna età, comportamento, relazione sia esente da rischi.

Ma a rischio di cosa? Il rischio, suggerisce l’autore, è quello di mettere a repentaglio il proprio futuro, quello desiderato, anticipato, stabilito. In questo senso emergono sia una visione normativa del comportamento dei giovani sia i conseguenti tentativi trasformatori “al fine di normalizzare gli adolescenti alla stregua di esseri razionali, che fanno le scelte giuste per pianificare il loro futuro in merito alla scuola, il lavoro, la carriera, le relazioni interpersonali” (ibidem, p. 56).

In alternativa a queste letture, la prospettiva costruttivista porta con sé un necessario cambio di prospettiva.

All’interno di un’epistemologia costruttivista è possibile infatti sovraordinare queste definizioni del fenomeno e osservarle come parte integrante del processo che si sta cercando di comprendere. Così, tanto le definizioni e le considerazioni su di esso quanto le esperienze sono, infatti, costruzioni. E come tali parlano sia di ciò che affermano, sia – e forse di più – di chi le afferma.

Invece di una delle fasi della vita, l’adolescenza può essere considerata una costruzione ed essere letta in termini di processo. E come tale, essa può favorire l’idea che l’individuo sia in movimento e in continua evoluzione dalla sua nascita alla morte.

D’accordo con questo, Bannister e Fransella (1971) ritenevano che categorizzare la vita in termini di stadi di sviluppo (come infanzia, adolescenza, prima età adulta, seconda età adulta) non fosse utile secondo una prospettiva PCP. Piuttosto, proponevano di considerare il bambino come una persona e non come un “essere primitivo, un computer o un mini-adulto” (ibidem, p. 114). Di questa opinione era anche Piaget stesso (Petter, 1990) il quale, attraverso le sue ricerche, sottolineava l’aspetto attivo del modo di pensare del bambino, considerando lo sviluppo in termini di processo, movimento e cambiamento.

Così, guardando alla mia esperienza professionale, ho cominciato a chiedermi in che termini co-costruivo l’adolescenza e ho realizzato che gli adolescenti rischiavano di scomparire dietro i miei significati personali e alla difficoltà a comprendere le loro scelte: ho riconosciuto il mio tentativo ostile di estorcere prove a favore delle mie idee, del tutto fallimentari, su di loro e sui comportamenti a rischio. Classificare questi ultimi come giusti o sbagliati, maturi o immaturi, veicolava solo il messaggio che, di fatto, è il mondo adulto che possiede la verità e la direzione futura corretta.

Invece, come disse Jeanneau (1982): “nel voler spiegare i problemi dell’adolescenza in maniera così impaziente, l’adulto mostra con tutta evidenza che tali problemi non sono altro che propri” (p. 35). Quello che a volte il mondo adulto non sembra chiedersi è perché questi comportamenti sono scelti come l’alternativa maggiormente elaborativa da quel particolare adolescente. Viceversa, proprio concedendosi uno sguardo più ampio, curioso ed esplorativo, diventa davvero possibile incontrare l’altro come persona e promuovere l’incontro, considerando sia le differenze individuali sia lo sforzo di comprendere le costruzioni altrui.

 

2. Un percorso verso la canalizzazione di Sé

Una volta che il comportamento sessuale a rischio viene considerato come la scelta più elaborativa per quell’individuo in quel momento, la PCP può servire come una sorta di bussola con cui navigare nel mondo dell’adolescenza. Nella Psicologia dei Costrutti Personali, la persona è considerata uno scienziato che costruisce la propria teoria personale (Epting, 1984) e così l’adolescente anticipa quello che gli riserva il futuro e testa le proprie ipotesi attraverso differenti esperimenti, cercando di destreggiarsi tra discordanti e a volte caotiche relazioni: per esempio con se stesso, con il proprio corpo, con l’amore, con i coetanei, con gli adulti, con il passato, il presente e il futuro.

È possibile immaginare lo smarrimento ma anche l’eccitazione che questo processo di costruzione di sé potrebbe portare, compresa la sensazione di non sapere più chi si è in modo chiaro, nel tentativo di decidere chi si vuole diventare. E molto spesso “gli adolescenti cambieranno idea su ciò che amano fare e sulle persone che vogliono frequentare. Questo significa che gli adulti e i loro pari non saranno gli unici ad avere difficoltà a predire come si comporteranno, ma loro stessi in primis lo troveranno complesso”(Viney, Truneckova, Weekes, & Oades, 1997, p. 170).

Questo muoversi in modi molto diversificati in quanto a velocità, prevedibilità e varietà permetterebbe agli adolescenti di sperimentarsi, favorendo così una maggiore elaborazione del proprio sistema e una delineazione del Sé.

Con questo termine, Kelly (1955, p. 131) fa riferimento a “un vero e proprio concetto o costrutto che si riferisce a un gruppo di eventi che sono simili in un certo modo e, per la stessa qualità, necessariamente differenti da altri eventi. Il Sé è il modo in cui gli eventi sono simili” e anche il modo in cui un individuo è diverso da altri individui.

Inoltre, il Sé può essere considerato non come qualcosa di scoperto o emerso in un certo periodo della vita, ma come un costrutto nucleare sovraordinato che include molte costruzioni differenti tra gli elementi nel suo contesto (Burr, Butt, & Epting, 1997; Epting & Amerikaner, 1980), e che canalizza i processi psicologici di ogni adolescente. Come ogni costrutto, è anche dicotomico e ottiene senso all’interno di un contesto: infatti “i costrutti e gli eventi sono interconnessi, così gli eventi definiscono i costrutti e i costrutti danno senso agli eventi” (Kelly, 1997, p. 360). In tutto questo, l’adolescenza sembra essere un periodo cruciale per lo sviluppo e l’elaborazione del costrutto Sé. Tutto ciò potrebbe avvenire, da una parte, attraverso l’interazione tra il modo in cui i teenagers costruiscono gli altri e gli eventi, e le rispettive validazioni e invalidazioni che ne ricevono (Dalton & Dunnett, 1992).

Dall’altra parte, potrebbe essere influenzato da un’abilità sempre maggiore di dare significato a nuovi e oscuri elementi all’interno del proprio mondo, affiancandoli a costruzioni utilizzate fin dall’infanzia, ampliando – promuovendo così una dilatazione – il proprio campo percettivo con l’obiettivo di riorganizzarlo a un livello maggiormente comprensivo (Kelly, 1955). In aggiunta, questi nuovi modi di costruire sembrano meno rigidi e danno all’adolescente la possibilità di sviluppare definizioni più flessibili del mondo e di considerare maggiormente le implicazioni del loro modo di costruire. Costruzioni proposizionali lasciano appunto i propri elementi aperti anche a costruzioni in tutti gli altri domini (ibidem). Infatti, la dilatazione e la proposizionalità aumentano nel modo di costruire degli adolescenti, in contrasto con il periodo dell’infanzia e della pre-adolescenza quando erano più osservabili costrutti costellatori[1] e prelativi[2] (Bannister & Agnew, 1977).

Inoltre, è importante considerare lo sviluppo dei costrutti di dipendenza durante questo processo. Kelly (1955), si riferiva alla dipendenza come al modo in cui le persone sviluppano la propria rete relazionale, perciò invece di parlare di dipendenza o indipendenza, egli ha preferito porre l’attenzione sui modi in cui gli individui distribuiscono i propri bisogni nelle relazioni. Durante l’infanzia “il bambino inizia con un set di costrutti di dipendenza relativamente impermeabile e prelativo” (p. 78), affidandosi a sua madre e a pochi altri significativi non solo per la soddisfazione dei propri bisogni ma anche per la sua stessa sopravvivenza. Quando il bambino diventa più grande, facendo nuove esperienze, modifica i propri costrutti di dipendenza, rendendoli più flessibili e permeabili. “In questo modo egli comincia a relazionarsi con le persone in modi differenti, sviluppando costrutti di ruolo. Questo gli permette di dipendere dalle persone dalle quali vuole dipendere, per ciò che essi sono disposti a dargli” (p. 79).

A questo punto, è interessante chiedersi come questi processi avvengono e cosa hanno a che fare con i comportamenti sessuali a rischio.

 

3. Adolescenti, relazioni e transizioni

Attraverso queste nuove modalità di costruzione, gli adolescenti possono esplorare nuovi e sempre diversi territori, elaborando creativamente la propria identità. Essi, a diversi livelli di consapevolezza, e incarnando la propria ricerca nelle loro azioni e comportamenti, stanno fondamentalmente cercando di trovare una posizione maggiormente elaborativa dalla quale fare esperienza. Perciò, come scienziati cercheranno di fare esperimenti che li aiutino a chiarire chi vogliono diventare e come vogliono relazionarsi con gli altri.

Gli adolescenti, muovendosi da costruzioni familiari note e incarnate di sé, ma al momento troppo strette e ormai obsolete per anticipare in modo elaborativo gli eventi, potrebbero trovarsi in transizione verso un sistema di costrutti in via di chiarificazione e complessificazione (Giliberto & Bordin, 2015).

Ed è proprio attraverso le relazioni – nuove e vecchie – che l’elaborazione di questa nuova costruzione di sé può avvenire. Come Raskin (2002) osserva, “anche se gli individui sono ancora considerati come la fonte primaria delle proprie costruzioni, le componenti relazionali e sociali influenzano il processo costruttivo” (p. 5). Le relazioni diventano così il campo privilegiato per fare esperienza di sé e degli altri in quanto “la possibile esistenza dell’identità personale è incarnata nelle relazioni” (Giliberto, 2010, p. 226) dove l’identità emerge attraverso l’identificazione dell’individuo negli altri e di questi ultimi in lui. Gli altri, intesi come i genitori, gli insegnanti, gli amici, i nemici, gli amori, possono in tal senso perturbare (Maturana & Varela, 1992) l’identità dell’adolescente, influenzando il modo in cui egli costruisce se stesso.

In linea con questa idea, numerosi studi (Adams-Webber, 2000, 1999, 1985; Adams-Webber & Neff, 1996) argomentano che, se nel periodo precedente all’adolescenza, la ricerca di somiglianze positive con gli altri era un processo predominante, attraverso la fine della prima infanzia e l’inizio dell’adolescenza, i bambini possono lottare per raggiungere il loro senso personale di distinta individualità attraverso il graduale miglioramento della discriminazione delle proprie azioni.

Inoltre, molte ricerche esaminano il modo in cui le persone, nel nostro caso gli adolescenti, usano differenti campi relazionali per comprendere se stessi e gli altri: Adams-Webber e Neff (1996) spiegano come gli individui definiscono i loro costrutti Sé in termini di patterns relativamente stabili di somiglianze e differenze percepite tra loro stessi e gli altri. Essi iniziano a comparare se stessi con nuovi e vecchi gruppi (Dalton & Dunnett, 1992) e un esempio di questi possono essere i loro genitori e i coetanei.

A fronte di questi paragoni,

un costrutto bipolare condiviso all’inizio di questo processo, fornisce una scelta tra costrutti parent-based e peer-based. E questa scelta sarà più avanti sostituita con quella tra i costrutti dei propri genitori e i propri. La condivisione intensa dei costrutti con il proprio gruppo di pari è di solito osservato durante questo periodo di crescita psicologica (Viney, Truneckova, Weekes, & Oades, 1997, p. 171)

come quella che avviene durante l’adolescenza.

Insieme ad una crescente comunanza di significati e di costruzioni condivise con i propri coetanei (Berzonsky, 1990), con l’aumentare dell’età degli adolescenti avviene una sempre minore identificazione con i propri genitori (Strachan & Jones, 1982).

Dall’analisi di questi processi e delle sperimentazioni implicate, è possibile ipotizzare che gli adolescenti vadano incontro a una sorta di allentamento costruttivo[3] e a una crescente sensazione di non essere in grado di fare chiare e precise previsioni sugli eventi. In altre parole, gli adolescenti scoprirebbero che gli strumenti a loro disposizione, o meglio i loro costrutti, sono inadeguati a comprendere la situazione che stanno vivendo: da un fallimento scolastico, alla mancanza di desiderio di proseguire il loro sport preferito; dall’avere una cotta per una persona che non avrebbero mai considerato, al litigare furiosamente con il proprio migliore amico o scoprirsi invidiosi di qualcuno.

Così per far fronte a una transizione d’ansia derivante dallo scoprire i propri costrutti obsoleti (o forse per qualcuno anche di colpa proprio perché arriva a scoprirsi diverso da come pensava di essere), gli adolescenti potrebbero dare avvio ad un processo di aggressiva elaborazione del loro campo percettivo che riguardi anche il campo della sessualità.

 

4. Comportamenti sessuali a rischio: una scelta elaborativa

Nell’ambito della sessualità, gli adolescenti possono sperimentare (e sperimentarsi) attraverso molteplici esperienze: per esempio scoprendo il proprio corpo e la masturbazione, sperimentando il piacere, chiarendo la propria identità di genere e il proprio orientamento sessuale, integrando le proprie sensazioni sessuali in una relazione sentimentale, considerando le conseguenze del proprio comportamento sia sul piano relazionale che riproduttivo (Bonino, 2005; Byre, 1983), e attraverso l’amore (Hermans-Konopka & Hermans, 2010).

A volte “cavalcando” la propria attiva elaborazione delle esperienze (aggressività) come tentativo di affrontare una transizione d’ansia, l’adolescente può essere considerato impulsivo in quanto, nel mezzo dei suoi esperimenti orientati sessualmente, potrebbe bypassare o non soffermarsi troppo nell’esaminare le possibili alternative a disposizione oltre alle potenziali implicazioni di rapporti sessuali occasionali e non protetti.

È nondimeno importante segnalare che i comportamenti a rischio, tanto quanto quelli sani, sono dotati di senso, usati in quel preciso momento della vita e in quel particolare contesto (Bonino, 2005; Jessor, 1998; Jessor, Donovan, & Costa, 1991). Essi possono compiere una funzione positiva rispetto allo sviluppo dell’identità di una persona e delle relazioni sociali (Silbereisen & Noack, 1988), e possono anche essere considerati una risposta ai compiti di sviluppo che devono essere assolti in questo periodo della vita (Coleman, 1989).

Da una prospettiva PCP, se l’adolescente è visto come uno scienziato che cerca di testare le proprie teorie, quel comportamento (es. rapporto sessuale non protetto) può diventare un esperimento volto alla chiarificazione del suo sistema. Noi abbiamo bisogno di considerare cosa l’adolescente è principalmente impegnato a fare, quali alternative non sta considerando e quali implicazioni queste esperienze possono avere sul suo sistema.

In accordo con il corollario della scelta[4], l’adolescente prenderà quella direzione che effettivamente comporterà per lui la migliore opportunità di elaborare il proprio sistema in quel momento. In altri termini, un comportamento sessuale a rischio, anche quando potrebbe essere costruito come sbagliato o fuori luogo dalla stessa persona che lo mette in atto, ha comunque senso, quando visto dalla prospettiva di chi lo sta assumendo.

Seguendo la precedente digressione teorica, ora vorrei cercare di raccontare le storie di alcuni adolescenti che ho incontrato cercando di guardare le esperienze fatte con i loro occhi, per proporre delle interpretazioni alternative ad alcune delle loro storie.

Marta[5], una ragazza di 16 anni, che ho incontrato diverse volte perché voleva informazioni sulla pillola del giorno dopo, mi disse durante un incontro: “Che noia! Si, lo so a cosa serve il preservativo! Saprò pensare con la mia testa, no? Non sono mica una bambina… Voi mi dite sempre le stesse cose…”.

Durante gli scambi molto forti con Marta, come forte era la distinzione che faceva tra il mondo degli adulti e quello a cui lei sentiva di appartenere, ho iniziato a ipotizzare che per lei avere una sessualità non protetta potesse essere un modo per esercitare un controllo sulle proprie esperienze, che forse non sentiva di avere. Parlando con lei ho compreso che l’essere adulti rappresentava il dover far proprie costruzioni quali la responsabilità, la “piena” consapevolezza di sé e il dover agire, o essere, in un determinato modo. Rifiutando i suggerimenti “salutari” degli adulti, Marta avrebbe potuto promuovere un tentativo di scegliere costruzioni proprie invece di aderire a significati che per lei non solo erano preconfezionati dagli adulti, ma che portavano ad anticipazioni troppo strette e invariabili.

Inoltre, questi significati sembravano, agli occhi di Marta, avere delle implicazioni irrealizzabili: per lei essere adulti equivaleva a responsabilità e serietà, e “accettare” su di sé queste dimensioni l’avrebbe trasformata in una persona noiosa, che segue in modo pedissequo ciò che gli altri stabiliscono per lei: “se sei così non pensi con la tua testa, non sei te stesso”.

Una seconda riflessione sulla sessualità adolescente è stata resa possibile da Federico, 18 anni, che ha motivato in questo modo il mancato utilizzo del preservativo durante un rapporto sessuale occasionale: “boh… Non l’ho usato… Non so perché… I miei amici non lo usano… E poi dai… è da sfigati usare il preservativo!”.

Parlando con lui, ho sentito quanto fosse nucleare lo sguardo del gruppo di coetanei nel suo processo di costruzione dell’identità e quanto per lui gli amici fossero la risorsa principale per la validazione delle emergenti idee su di sé; a loro, in altre parole, stava distribuendo parte della propria dipendenza.

Questa esperienza testimonia in modo forte quanto la consapevolezza di essere una persona passi attraverso “le altre persone in una relazione di reciproca validazione dell’identità” (Giliberto, 2010, p. 228). In questo senso, l’approvazione o disapprovazione (validazione o invalidazione) dei suoi amici avrebbe canalizzato per Federico anche la scelta dell’utilizzo degli anticoncezionali, qualora sentisse di essere sostenuto dai suoi amici.

Invece, durante una lezione di educazione sessuale in una seconda superiore, nel mezzo di una discussione sul corretto utilizzo del preservativo, un ragazzo (Michele) ha esclamato: “avete detto che il preservativo ha il 98% di protezione dalle malattie o dalle gravidanze… beh vuoi che quel 2% sia io! Ma dai! A me non capita di sicuro, non sono mica sfigato io! Vuoi che capiti proprio a me?! No no!”. Questa teoria sembrava molto diffusa in quella classe, e durante quella lezione ho provato a spiegare che solo un mantenimento e un utilizzo attento del preservativo avrebbe potuto garantire un’alta percentuale di protezione. Continuando la discussione, sembrava emergere che per Michele l’uso corretto del preservativo non fosse considerabile. Solo successivamente, durante un colloquio individuale con lui ho capito che il non utilizzo del preservativo fosse un modo per provare a sé stesso, e agli altri, di essere più forte delle infezioni a trasmissione sessuale o di una gravidanza. In altre parole, il successo di un rapporto sessuale non protetto sarebbe stato la testimonianza, forse ostile, della propria capacità di far fronte agli eventi per evitare l’invalidazione di nuovi costrutti nucleari a bassa consapevolezza.

In ultima analisi, è importante considerare anche che l’utilizzo del preservativo non è sempre e per tutti facile e immediato e potrebbe essere vissuto con transizioni di colpa o vergogna.

Incontrai Silvia, ad esempio, perché aveva bisogno di parlare con qualcuno a proposito di un ritardo del ciclo mestruale. Cercando di comprendere l’accaduto, la ragazza mi raccontò: “niente di ché, tutto normale… l’ultima volta ho incontrato un ragazzo in discoteca, Mattia”. “E cos’è successo?”; “beh abbiamo fatto sesso un paio di volte e lui è sempre venuto fuori, ma mi sa che l’ultima volta forse non è uscito subito subito”.

Durante il nostro incontro ho cercato di capire quale fosse la costruzione di Silvia dei metodi contraccettivi e, in particolare perché, come riportato prima, non li avesse utilizzati. Tra le parole di Silvia emergeva una storia di “imbarazzi” reciproci: mi ha raccontato di come Mattia si sia rifiutato tutte le volte di indossare il preservativo adducendo, secondo lei, svariate scuse. Silvia mi ha parlato però anche del proprio imbarazzo nel pensare di poter essere lei stessa a proporre l’utilizzo del contraccettivo o addirittura a comprarlo: “magari pensa che sono una facile se ho i preservativi in borsa”. Ascoltando il racconto di Silvia, ho pensato che, in un modo o nell’altro, i ragazzi si siano scoperti impacciati nell’utilizzare il preservativo (o nel comprarlo e proporlo).

Mattia avrebbe potuto percepirsi diverso da come pensava di essere durante un rapporto sessuale, sperimentando una transizione di colpa (McCoy, 1977), ovvero lo scoprirsi differente da come precedentemente pensava di essere – e in quella precisa situazione – dal ruolo che pensava di avere. Silvia invece, scegliendo di acquistare i condom, avrebbe potuto provare vergogna (ibidem), diventando consapevole di quanto l’opinione degli altri su di lei potesse cambiare. Entrambi sembravano aver anticipato una pesante invalidazione di costruzioni nucleari emergenti e di cui non avevano ancora piena consapevolezza.

Queste sono solo alcune delle storie che ho raccolto ma la loro ipotetica rilettura in termini PCP mi ha messo nella posizione di mettere in dubbio l’idea che gli adolescenti siano solo persone impulsive e governate dai propri ormoni.

Mi chiedo anche negli occhi di chi risieda questa visione: negli adolescenti stessi o negli adulti che lavorano con loro?

Come anticipato in precedenza, se ciò che emerge dipende dall’osservatore, cambia la rilevanza che viene data a un aspetto piuttosto che a un altro: l’adulto sembra guardare all’impatto negativo delle scelte degli adolescenti, mentre gli adolescenti sembrano concentrarsi sulle validazioni e invalidazioni di nuove costruzioni nucleari, la maggior parte delle volte interconnesse con le relazioni e le costruzioni di ruolo rilevanti nel preciso momento in cui fanno esperienza. Questa potrebbe essere la chiave per una reciproca e ancora più fruttuosa comprensione del mondo degli adolescenti.

 

5. Da progetti di prevenzione a progetti di comprensione

Questo lavoro ha aiutato a sfidare il modo in cui io in primis guardavo e osservavo gli adolescenti.

Dopo questa descrizione alternativa dei processi adolescenziali, qualcuno si potrebbe chiedere come potersi occupare di prevenzione in un modo che non sia ostile verso gli adolescenti e che possa renderli in grado di sperimentare sempre una sana e allo stesso tempo elaborativa sessualità. Com’è facile intuire, non è possibile se l’obiettivo rimane sempre quello di spingerli verso una direzione più corretta delle altre. O meglio, i professionisti lavorerebbero con l’obiettivo utopistico e salvifico di arginare il rischio che gli adolescenti potrebbero voler affrontare; e in questi termini, ci si può chiedere a chi la costruzione di sessualità a rischio è utile: agli adolescenti o agli adulti che si relazionano con loro?

Io ritengo che la sfida nel lavorare con gli adolescenti sia l’impegno nel costruire continuamente i loro processi di costruzione, considerandoli esperti “ricercatori” (Bannister & Fransella, 1971) e scienziati che si muovono tra validazioni e invalidazioni, verifiche e revisioni del proprio sé in via di chiarificazione e complessificazione. Solo promuovendo una reciproca comprensione tra gli attori in gioco diventa possibile, come dicevano Bannister e Fransella (ibidem), essere in relazione con loro, e non solo fare qualcosa su di loro.

E con questi presupposti diventa possibile considerare i progetti di prevenzione come una “scatola vuota” da riempire con i significati e le esperienze degli adolescenti, con lo scopo di promuovere il benessere piuttosto che prevenire i comportamenti a rischio (Graber, Brooks-Gunn, & Galen, 1998).

Ma non solo: considerata la rilevanza che per loro possono avere le relazioni e le costruzioni di ruolo con gli attori coinvolti nelle loro esperienze, i progetti diventerebbero il terreno fertile dove gli adulti giocano e plasmano con loro delle relazioni di ruolo, in cui, passando attraverso la comprensione dell’altro, si possano proporre dei contenuti utili. A fare la differenza sarà proprio il modo in cui l’adulto si metterà in gioco e proporrà tali contenuti e informazioni: se attraverso l’esplorazione condivisa oppure con un passaggio di informazioni, se promuovendo riflessioni invece di fornire soluzioni, se raccontando e raccontandosi piuttosto di definire ed etichettare, tenendo sempre a mente che “il bello della risposta è tener viva la domanda” (C. Lui, comunicazione personale, 8 giugno 2013).

 

Bibliografia

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Note sull’autore

 

Elena Bordin

Institute of Constructivist Psychology, Padova

bordin.elena@gmail.com

Psicologa, psicoterapeuta e docente di progetti di prevenzione in ambito sessuale, Elena si occupa di adolescenza e lavora da anni con bambini e ragazzi in ambito clinico ed educativo. È interessata al modo in cui gli adolescenti guardano il mondo e ne fanno esperienza e diventa fondamentale per lei cogliere il loro particolare punto di vista.

 

Note

  1. Un costrutto che permette ai propri elementi di appartenere simultaneamente ad altri domini, è chiamato costrutto costellatorio (Kelly, 1955, p. 108).
  2. Prelativo è un costrutto che considera di sua esclusiva appartenenza gli elementi del proprio dominio (Kelly, 1955, p. 563).
  3. L’allentamento è quel processo attraverso il quale si passa da una costruzione stretta, che conduce cioè a previsioni invariabili, ad una costruzione lassa, che porta a previsioni variabili mantenendo comunque la propria identità (Kelly, 1955).
  4. “Una persona sceglie per se stessa quell’alternativa in un costrutto dicotomico attraverso il quale egli anticipa la maggiore possibilità di estensione del proprio sistema” (Kelly, 1955, p. 64).
  5. I nomi degli adolescenti sono stati cambiati.