Tempo di lettura stimato: 45 minuti
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Silvio Ceccato: idee ed esperienze di un “maestro inverosimile”

Per una didattica operativa in una scuola “vera”

How the model of the mind and the practice teaching of Silvio Ceccato “The unlikely Teacher” can contribute to realize a “real” school

di

Gianclaudio Lopez

Istituto di Stato per la Cinematografia Rossellini, Roma

Abstract

Il modello Ceccatiano della mente, messo in atto nella sua pratica didattica di “Maestro inverosimile” nella scuola elementare e proseguito da un gruppo di suoi collaboratori, fornisce uno strumento per un rinnovamento della didattica e la comunicazione docente/allievo nella scuola e per la rimotivazione all’insegnamento e all’apprendimento.

 

In esso vengono mantenuti e valorizzati alcuni principi basilari della pedagogia e didattica tradizionale mostrandone la praticabilità anche con i contenuti di solito considerati più problematici. La costruzione e ri-costruzione del sapere e delle varie conoscenze, basata sull’analisi dei significati dei termini del linguaggio comune, secondo la tecnica della consapevolezza operativa può così realizzare una valorizzazione della partecipazione attiva del discente e rendere effettiva l’interdisciplinarietà.

 

Vengono forniti alcuni esempi di pratiche didattiche e alcune indicazioni per la formazione in questa direzione dei docenti. Viene mostrato come non si tratti solo di una didattica “attiva” tra le altre, e vengono presentati e discussi 15 possibili obiezioni e travisamenti che hanno ostacolato e possono tuttora impedire la sua diffusione.

The model of mind of Silvio Ceccato, put in place in his teaching practice of “The unlikely Teacher” in elementary school and continued by a group of his collaborators, provides a tool for a renewal of teaching and teacher/pupil communication in the school and for the re-motivation in teaching and learning.

 

The model maintains and enhances some of the basic principles of traditional pedagogy and didactics showing its practicability with contents usually considered the most problematics. The construction and re-construction of knowledge and various skills, based on an analysis of the meanings of the terms used in everyday speech, according to the technique of operational awareness can thus achieve a promotion of the active participation of the learner and make interdisciplinarity effective. Here are some examples of educational practices, and some guidelines for the training of teachers in this direction. It is shown that this is not only an “active” teaching among others, and are presented and discussed 15 possible objections and misrepresentations that have so far hampered and can still prevent its spread.

Keywords:
Modello della mente, didattica, motivazione, consapevolezza operativa, pedagogia, comunicazione, scuola, formazione degli insegnanti | Model of the mind, teaching, motivation, operational awareness, education, communication, teacher training
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– Sooner or later we all give up, don’t we?

– Maybe you all do.

It’s my idea of the original sin.

– What is?

– Giving up.

(The Miracle worker)[1]

 

1. Premessa

Ceccato me ne ha fatte fare di tanti tipi quando mi sono trovato davanti centinaia di insegnanti incuriositi ma anche diffidenti e scettici, o di fronte a classi di bambini timidi o irruenti ma sempre affascinati, o di adolescenti insofferenti, turbolenti, furiosi o annoiati, sfiduciati e depressi, tutti da conquistare. Un impegno iniziato molto tempo fa in attività di formazione con lui e altri amici e suoi preziosi collaboratori, e poi nell’insegnamento, dall’università alla scuola elementare, con il periodo più lungo, ultradecennale, presso un Istituto Professionale, oggi Tecnico per il Cinema e la Televisione, il Rossellini di Roma.

Per cominciare e non tradire la mia provenienza, vorrei partire ricordando una sequenza di un film che forse conoscerete: la lotta corpo a corpo tra maestra e allieva in Anna dei miracoli di Arthur Penn del 1962.

Perché partiamo da qui, un caso estremo? Assistiamo a un comportamento pedagogicamente inammissibile per i criteri attuali, eppure… eppure….

Ricorderete tutti la storia di Helen Keller, sordo-cieca trattata dalla famiglia, a fine ‘800, come un animaletto viziato e incorreggibile fino all’incontro con Anne Sullivan e, dopo tanti fallimenti, la ri-costituzione all’apparenza miracolosa – The miracle worker (Penn, 1962)appunto, di un rapporto semantico-mentale tra la sensazione tattile dell’acqua di una pompa e la digitazione con l’alfabeto gestuale dei ciechi di W-a-t-e-r, Acqua, appunto che le aprirà alla grande il mondo degli studi e del sapere.

Il primo tentativo di mangiare compostamente a tavola e non come un cagnolino che raccoglie il cibo da sopra e sotto il tavolo familiare si traduce in uno scontro senza esclusione di colpi, una delle più lunghe sequenze di botte fra maestra e allieva della storia del cinema….

Ma c’è anche un’altra scena che ci dice molto della convinzione e della tenacia con cui la maestra Anne ha proseguito la sua azione e perseguito il suo scopo: quando manifesta al fratello maggiore della piccola Helen, scettico fino quasi al cinismo sulle possibilità di comunicare della e con la sorellina, la sua convinzione che il vero peccato originale sia la rinuncia.

 

Di solito non ce ne rendiamo conto:

– quanto sia difficile avvicinarsi alla mente di un altro senza la mediazione del linguaggio parlato;

– quanto sia difficile far ricostituire un rapporto semantico tra un linguaggio gestuale, come nel caso dei movimenti delle dita, e il pensiero per una persona che non ha mai imparato a parlare o ha visto troncare sul nascere il suo apprendimento inconsapevole.

Perché l’uomo, come ricorda spesso Ceccato (1972 b, p. 9), è soggetto di tre tipi di attività:

– quelle che esegue, sa di eseguire e sa come esegue;

– quelle che esegue, sa di eseguire, ma non sa come esegue;

– quelle che esegue, ma ignora persino di eseguire.

 

A parlare impariamo da piccoli senza grande sforzo, chi nasce in Italia l’italiano, chi nasce in Cina il cinese. Il tutto avviene però con una buona dose di inconsapevolezza.

Nello scambio tra esseri umani, genitori e figli, se per insegnare e imparare a pensare e parlare avessimo dovuto aspettare di sapere come si fa “probabilmente l’uomo non sarebbe mai diventato sapiens” (ibidem).

Silvio Ceccato oltre 50 anni fa, per curiosità e intelligenza inizialmente filosofica e poi tecnico-applicativa, invece, ha provato a spiegarci come si fa, producendo un originale e fecondo modello di analisi della mente e del linguaggio dimostrando, inoltre, di esserne anche un eccezionale divulgatore e didatta proprio con i bambini di scuola elementare o primaria.

Anticipo subito una possibile obiezione (solo una tra le 15 che mi sono venute in mente…): ma se il modello della mente e del linguaggio di Ceccato era ed è così straordinario e utile anche per la scuola, perché almeno qui non si è affermato? Limiti interni del modello e delle teorie? Congiura del silenzio del mondo accademico? Pensiero irritante e scomodo? Troppo difficile? Troppo bravo lui e troppo meno bravi noi? Pigrizia mentale, disinteresse[2]?

Probabilmente non c’è una risposta unica e univoca.

Certo non vorrei che questo mio intervento apparisse un appassionato ricordo, da ammirare e magari archiviare, di un capitolo storico chiuso della ricerca sul mentale, ma la testimonianza che il pensiero di Ceccato non solo continua a vivere come un fiume carsico, vi assicuro, nella cultura mondiale ma può ancora ri-emergere, qui da noi, in tutta la sua forza per essere messo alla prova solo che lo vogliamo.

Il fatto è che non c’è solo una cecità e sordità fisica come quella di Helen Keller. C’è una cecità e sordità mentale degli adulti che rende difficile comunicare contenuti nuovi come la critica radicale di Ceccato alla tradizione filosofica dominante e il suo nuovo modello della mente.

Lo fa presente sorridendo, da par suo, in un breve testo del 1992:

Descrivo ad una persona: “La campagna è bellissima. Fioriscono tutti i colori. Il verde azzurro del ruscello. Il giallo dorato delle spighe. I frutti rossi del melograno,…”. “Come parli oscuro!”, obietta lui. Io taccio. Confuso. Non sapevo: il mio interlocutore é cieco. Manca degli oggetti che gli nomino. Come potrei farglieli presenti?

SSSuono per una persona, ed anche le parlo: “I violini, l’arpa, il timpano, questa melodia”. “Come parli oscuro”, mi obietta. Io taccio, confuso. Non lo sapevo: il mio interlocutore é sordo. Come potrebbe percepire e rappresentarsi gli oggetti che gli nomino?

SSpiego ad un amico: “Nella mente, un’attenzione, si applica, per esempio alle papille gustative, quando ritorna il sapore dell’ultima c cosa ingerita: o ci accorgiamo d’un tratto, grazie a d u na attenzione rivolta ad organi termici, ponderali, ecc… di avere il sedere sulla sedia. E ancora: è possibile osservare sulla pagina i caratteri tipografici, il nero lasciando il bianco della carta. Oppure tenere questo e lasciare il nero, come potrebbe fare un grafico. Questo avviene in quanto l’attenzione si applica all’operato di altri organi, nella percezione, rappresentazione, o se ne stacca. Essa è presente anche da sola”.

L’amico ascolta, educatamente. Ma è stupito «Io sento quel sapore, ma che cosa c’entra l’attenzione? Se il sapore c’è, c’è, altrimenti non c’è».

Continuo: “Se vedi un bosco la tua attenzione circonda gli alberi, se vedi gli alberi, la tua attenzione spacca il bosco”.

“CCome parli oscuro! O ci sono gli alberi, o c’è il bosco”. Io taccio confuso.

Non c’e’ proprio niente che si possa fare per rendergli consapevoli le operazioni che egli, tuttavia esegue con la propria mente? Il fatto è che ci serviamo dell’attenzione come strumento, quando osserviamo le cose, così come ci serviamo delle gambe, quando camminiamo. Così usiamo il pensiero in mille occasioni. Ma non pensiamo a pensiero. Rifiutiamo addirittura che esso possa prendersi per oggetto. Eppure, eppure… se gli dico, “attento!”, egli si pone facilmente in questo stato. Per seguirmi basterebbe che stesse attento a che cosa fa la sua mente quando a quell'”attento!” seguisse un ecco!, toh! e simili.

NNon troverò niente di percettivo, eppure non può non accorgerci che la sua mente lavora. Certo è più facile ascoltarsi il cuore, i battiti, anche il brontolio della pancia: perché allora l’oggetto è di tipo osservativo, e questo rientra nella prassi quotidiana.

CCon la mente, un vecchio errore ufficializzato dai filosofi ha distorto le cose, facendoci credere che la mente non sia altro che un ricettacolo per ricevere cose di per sé siffatte. Così si cancella la sua funzione di operare costitutivo dei contenuti mentali. Chiediamo solo un po’ di buona volontà e pazienza. La ricompensa non mancherà.

Lo stesso Ceccato, pienamente fiducioso e a ragione, nei confronti dei bambini, è molto più incerto nel valutare le possibilità che una normale intelligenza adulta possa accogliere la sua tecnica e sviluppare una capacità di analisi e autoanalisi delle proprie operazioni mentali. Questione di buona volontà e pazienza, qui, ma altre volte si tratta di un certo pessimismo sulle resistenze emotivo-ideologiche e del timore comprensibile di uscirne scombussolato.

Sull’asse di spade delle carte venete, le carte trevisane – notava Ceccato (Prada Moroni, 1977 e 1978) – c’è una frase bellissima: “Non ti fidar di me se il cuor ti manca” (p. 2). E continuava: “Viene fuori un uomo del Cinquecento, non viene fuori un uomo del Trecento da questo tipo di didattica” (p. 2).

E comunque “Non è «la» didattica, è una didattica” (p. 2).

Spesso per rompere il ghiaccio a un primo incontro di conoscenza con una nuova classe o con altri insegnanti propongo il test del ‘FRA NOI’. Trasformiamo le lettere che compongono quel fra nelle iniziali di parole che lo compongano così da trasformarlo nell’acronimo dello star bene insieme, specialmente a scuola. Cosa pensate che venga subito detto per la ‘F’? E per la ‘R’? Sì certamente fiducia, rispetto Ma per la ‘A’? Amore e amicizia sono frequenti, ma accompagnati spesso e, a ragione, da sorrisini ironici. É molto raro che vengan fuori attenzione, ascolto ma soprattutto mai allegria!

Ci penserò tutta la notte perché proprio non mi sarebbe venuto mai in mente, parlando di scuola”, mi ha confidato recentemente una insegnante di scuola superiore.

Potrà sembrarvi un po’ folle. Ma ho sempre cercato di vivere anche con allegria, con gioia o se volete con la fin troppo citata e poco applicata leggerezza delle lezioni americane di Calvino (1985), insieme con i miei studenti, prevalentemente, ma non solo di scuola superiore, l’impegno a ripensare e innovare la mia didattica secondo le idee e le esperienze del mio Maestro.

 

2. Le ragioni di un titolo

Dando questo titolo a questo testo mi sono assunto due responsabilità e due rischi:

– riuscire a comunicare perché con Silvio Ceccato possiamo parlare di un Maestro per di più inverosimile;

– riuscire a convenire di che parliamo, parlando di scuola vera e addirittura sul ripescaggio della didattica operativa di Ceccato per provare a realizzarla.

Cosa si nasconde dietro quell’inverosimile? E questa inverosimiglianza può essere compresa e accettata dagli insegnanti e dalla scuola d’oggi nel disorientamento e nella frustrazione in cui vive?

Lo stesso Ceccato ci parla della fonte letteraria a cui si è ispirato per presentarsi così: Il dottore inverosimile di Ramon Gomez de la Serna; un dottore che interviene nei casi disperati, con terapie per lo meno spiazzanti, ma mai inefficaci. Qualcuno ha parlato di un riferimento discutibile per chi si vuole assumere la responsabilità di una metodologia seria, trascurando che per Ceccato erano importanti, nell’analogia letteraria, l’elemento di inverosimiglianza, di sorpresa e i modi disperanti in cui la scuola si ostina a trasmettere certi contenuti.

Certo non pareva e non pare vero che uno studioso di rilievo internazionale dopo aver praticamente introdotto il termine cibernetica in Italia, dopo contratti di ricerca nel campo della traduzione automatica e della macchina che osserva e descrive con CNR, Nato, Governo americano, si occupasse di pedagogia e didattica (Prada Moroni, 1977 e 1978, p.3 e p.9).

Non pareva vero che non si limitasse a esporre le sue teorie a convegni e congressi.

Non pareva vero che passasse ore e ore con bambini della scuola primaria del centro e della periferia.

Non pareva vero che attraverso una riformulazione in chiave sperimentale della maieutica socratica i bambini interloquissero vivacemente con lui per confrontarsi con il suo pensiero su quelli che altri definirebbero contenuti problematici, di alto livello di astrazione, filosofici, epistemologici, insomma inadatti per la loro età (Amietta, 2008; Ceccato, 1972a)[3].

Quel che è certo è che se Ceccato è inverosimile come maestro cioè eccezionale, straordinario, fuori del comune, questo non deve farci concludere come alcuni pensano che la sua sia stata anche l’esperienza unica di un genio irripetibile. Forse “il più grande formatore tra i grandi formatori”, un Maestro tra tanti professori, come dice appassionatamente Pier Luigi Amietta (Ceccato & Amietta, 2008, pp. 22-26), da collaboratore-allievo che lo ha conosciuto e visto all’opera.

Il genio e il talento non si trovano dietro l’angolo, ma curiosità, entusiasmo e tecnica si possono ricercare, comunicare, coltivare, imparare, diffondere.

Quanto alla scuola vera o una vera scuola… certo ci dovremmo basare sui suoi risultati e sulla sua corrispondenza con un modello ideale su cui convenire.

Come lo stesso Ceccato (1995, 1972a) ha sostenuto più volte la tradizione plurimillenaria della scuola per certi suoi principi ormai consolidati non ci è d’ostacolo, anzi… Più volte dice e scrive che è difficile smontare un edificio millenario che ha avuto maestri come Socrate, Aristotele e allievi come Alessandro il Macedone[4].

Certo se la scuola è semplicemente il luogo e il tempo in cui in modo organizzato e ordinato qualcuno insegna qualcosa e qualcuno impara qualcosa non sbagliamo, ma ci accontentiamo di poco, troppo poco. Aggiungendoci programmi minimi e massimi e verifiche più o meno standardizzate ci rassicuriamo, ma non ci confortiamo.

Perché in realtà rimangono aperte alternative: scuola che addestra o insegna? Che istruisce o educa e forma?

“Il pane della scienza va spezzato”, si sa, ma anche, “all’affamato non dargli un pesce, magari surgelato, ma insegnargli a pescarselo da sé”, libero poi di metterselo subito in padella conservarlo in acquario o rigettarlo in mare.

Il punto cruciale e il criterio di valore sembra diventare così il metodo di insegnamento e la consapevolezza che ne ha l’insegnante.

Ma tra gli strumenti a disposizione dell’insegnante non vogliamo mettere in primo piano la mente, che vuol dire pensiero, linguaggio, osservazione, atteggiamenti, valori?

Lo strumento più meraviglioso e complesso eppure tra i più ignorati e distorti? Trascurato perché distorto da millenni di teorie fuorvianti e inconcludenti e distorto e travisato perché ignorato e trascurato nelle sue caratteristiche specifiche.

L’insegnamento come l’apprendimento possono avvenire in modo inconsapevole per esempi e imitazione. Ma quando l’insegnamento diventa comunicazione consapevole di qualunque contenuto fisico, psichico e logico-mentale porto in termini propri, positivi, non metaforici, non contraddittori, né tautologici, e l’apprendimento diventa arricchimento di libertà operative, là c’è vera scuola.

É l’ideale di Ceccato: una scuola dove nulla è un dato inanalizzabile o assoluto e dove gli esempi corrispondono alle definizioni e tutto si può ricollegare a tutto in una effettiva circolarità del sapere ma soprattutto si sa e si riesce a insegnare a pensare in proprio, a continuare per la vita a essere didatti di se stessi.

Tutto in pieno accordo con i principi classici della didattica:

a) partecipazione attiva del discente;

b) nulla che vada oltre le capacità di comprensione dell’allievo, ma anche dell’insegnante;

c) nessuna barriera tra apprendimento dalla e nella scuola e apprendimento dalla e nella vita (Ceccato, 1972, p. 13).

 

3. La realtà e l’utopia

So bene qual è il vissuto quotidiano nella scuola.

Un grido di dolore si leva da ogni parte d’Italia verso la povera scuola: ma com’è che questi ragazzi sono sempre più poveri nel linguaggio, nel pensiero e nelle emozioni/sentimenti?

Com’è che appaiono sempre più bravi nell’associare contenuti, ma sempre meno capaci di seguire sequenze logiche nei ragionamenti, nelle narrazioni che non siano audiovisive? Come è possibile che solo il 3% dei liceali dichiari di capire la Divina Commedia e solo un 40% di riuscire a seguire il filo narrativo di un romanzo? E nelle matematiche e nelle scienze non sembra andare molto meglio.

C’è chi allarga le braccia con senso di ineluttabilità e di impotenza di fronte ai terremoti sociali o al nuovo paese digitale dei balocchi, chi sogna un improbabile ritorno all’antico, chi auspica stuoli di psicologi e insegnanti di sostegno, chi pensa di rimediare con una strana interpretazione dell’omeopatia: se il simile cura il simile, all’ubriacatura digitale si rimedi con la proliferazione di macchine e macchinette digitali a scuola. Deus ex machina! Fino ad assumere contraddittoriamente un po’ tutti insieme, magari a giorni o mesi alterni, questi punti di vista.

Non siamo insensibili ai gridi di dolore, ma non esistono bacchette magiche e il modello della mente ceccatiano, per quanto originale e innovativo, non può certo risolvere tutti i problemi formativi, organizzativi, sociali e politici dell’insegnamento e dell’istituzione scuola. Già sarebbe molto se la scuola, attraverso i suoi dirigenti e alcuni docenti, si incontrasse e/o scontrasse con questo modello e questa tecnica didattica per verificare se dopo averlo ignorato o trascurato per troppo tempo – ma è un giudizio di parte – possa re-introdurlo per migliorare un po’ le cose.

Ciò non toglie che dalle sue ricerche Ceccato ha comunque tratto un suo progetto globale di rinnovamento e riorganizzazione della scuola, talmente impegnativo da considerarlo lui stesso un obiettivo utopico, utile però come tutte le utopie come un navigatore con tutte le sue imperfezioni e la sua perfettibilità. Si tratta di usare i risultati delle sue ricerche per basare e radicare ogni studio specialistico e superspecialistico su una piattaforma comune e generalissima di sapere.

Non si tratta, come ha ripetuto più volte, di introdurre una materia nuova, una ceccatologia o ceccatistica che potrebbe diventare in questo modo, affidata alla memoria e data da ripetere come un qualsiasi altro contenuto o insieme di nozioni, altrettanto respingente e inutile.

Si tratterebbe invece di introdurre precocemente all’interno dell’insegnamento materie tradizionali già nella scuola primaria, come lui stesso ha mostrato possibile, stimoli e tecniche di analisi per le quali non è necessaria nessuna conoscenza neurofisiologica o fisica, capaci di sviluppare ovviamente con il linguaggio e oltre il linguaggio la “consapevolezza dell’operare mentale”[5].

Il mio primo problema è rimotivare gran parte del mio corpo insegnante“, mi chiedeva recentemente una vecchia collega divenuta da poco preside di un Istituto Tecnico di Ostia.

Ogni discorso sensato o retorico sulla motivazione degli studenti e dei docenti fa i conti soprattutto con le emozioni in gioco, con il piacere del pensare insieme. In definitiva sulla volontà e la capacità di rinnovarsi dei docenti.

É tra l’altro alla luce di questo criterio che possiamo chiarire e verificare le differenze di significato e di operare tra l’addestramento, dove si vuole la ripetizione fedele, meccanica di un risultato e invece l’insegnamento, o tra l’indottrinamento dove si proiettano sull’altro, imponendoli, i propri valori e invece proprio l’educazione che dovrebbe configurasi, appunto, come formazione di un pensiero critico.

 

4. Uno sguardo generale alla scuola

Nonostante lo sviluppo e l’affacciarsi nei curricula formativi universitari delle nuove cosiddette scienze cognitive o addirittura neuro-cognitive, permane diffusa l’ignoranza dei processi mentali che sono alla base del nostro pensare, parlare, osservare e costituire valori e disvalori e quindi dello studio di ogni materia e dei nostri rapporti con noi stessi e con gli altri.

Ciò si ripercuote inevitabilmente sulla preparazione e formazione degli insegnanti e sulla loro capacità di fronteggiare, a maggior ragione, in un periodo di crisi organizzativa, confusione mediatica e sconvolgimenti digitali, vecchi e nuovi problemi ed esigenze.

È vero, tuttavia, come ricorda lo stesso Ceccato, che bene o male questi difetti ce li trasciniamo appunto da migliaia di anni e ciò non ha impedito di avere ottime scuole e ottimi insegnanti[6] (Affinati, 2013), di aver fatto e continuare a fare straordinari progressi soprattutto nel campo fisico-tecnologico dello scibile.

È anche vero, però, che il nostro crescente imbarazzo nel modo di proporre i valori ai giovani, sia a scuola che fuori, è un sintomo significativo che ormai certi nodi sono venuti al pettine e che rimanere chiusi nell’alternativa tra dogmatismo e relativismo, tra “è così perché te lo dico io, perché te lo dice il libro” e il “dì e fa quel che ti pare”, o tra nozionismo e spontaneismo alla fine può essere perdente per tutti.

 

5. Il patrimonio a cui attingere

A questo punto si è pienamente legittimati a chiedere in che consista questo patrimonio di idee e di esperienze che costituisce il lascito di Ceccato.

Un inventario ragionato, argomentato, verificato, discusso, inquadrato nel contesto storico-culturale italiano e internazionale e visto pure nei suoi difetti e nei suoi limiti, per non disorientare e inconfusionire richiede almeno qualche decina di ore come quello che proprio Ceccato nel 1971 aveva proposto a Roma all’Unione italiana per il progresso della cultura, per un pubblico prevalentemente universitario di laureati e diplomati, articolandolo in otto incontri mensili.

Penso che possa bastare anche come un primissimo bilancio-repertorio proprio la lettura della breve premessa e dei titoletti di ogni lezione (Ceccato, 1971):

Per rendere concepibile la costruzione di un modello della mente, cioè dei processi di percezione e rappresentazione, categorizzazione, pensiero e linguaggio (nella macchina che traduce, che osserva e descrive, etc.), è necessario che la vita mentale venga analizzata e descritta in termini di minute operazioni, indicate in modo positivo, proprio, etc.

La ricerca filosofica si arricchisce così di una direzione scientifico-tecnica ed alla cibernetica classica, sia dell’automazione, sia della bionica, si aggiunge un importante capitolo.

La riduzione della vita mentale ad operazioni elementari permette al tempo stesso di presentare in questa forma, e quindi anche a livelli elementari, nozioni altrimenti destinate ai livelli scolastici superiori. In tal modo è possibile operare una revisione dei contenuti scolastici tradizionali ed inserirne di nuovi.

1) La filosofia e le sue tappe.

Si mostra come nello studio della mente sia stato introdotto originariamente lo schema costitutivo della fisica (dai physiologi) e ne siano conseguite varie aporie, e come contro questo errore abbiano combattuto i maggiori filosofi sino a raggiungerne l’attuale consapevolezza.

2) Il progetto di un modello della mente. La cibernetica e le sue ramificazioni.

Era necessario liberare l’indagine dal presupposto di una mente concepita come un insieme delle note “entità astratte” per sostituirvi un insieme di particolari operazioni, da affidare per l’esecuzione ad organi, quali loro funzioni.

Si descrivono alcuni di questi organi, o meccanismi, o sistemi, fondamentali per la vita mentale. Il sistema dell’attenzione, con tre funzioni: quello della memoria, con otto funzioni; quello della correlazione, cui dobbiamo il caratteristico dinamismo del pensiero; quello cui sono affidate le connessioni fra il pensiero ed il linguaggio.

3) Il contributo italiano alla filosofia moderna ed alla cibernetica.

Vengono messi in luce i legami dell’analisi operativa con l’idealismo tedesco ed italiano, con l’operazionismo tedesco ed americano, con il genetismo svizzero, etc.

4) La macchina che traduce.

Si tratta della soluzione “correlazionale” della traduzione, proposta al Governo USA (Forze Aeree) ed all’Euratom e da questi accettata ed applicata.

5) La macchina che osserva e descrive.

É stata progettata per descrivere gli eventi cui sono assoggettabili sette oggetti di uso comune su una piattaforma di 3 metri di lunghezza e di 2 di profondità. Il suo principale interesse sta nel far vedere l’intera catena di operazioni che porta dalla percezione al linguaggio.

6) Atteggiamenti e valori.

Essi caratterizzano una civiltà: atteggiamento etico, giuridico, politico, estetico, economico, scientifico, magico, religioso, di lavoro, di gioco, etc.; sono almeno una ventina di atteggiamenti cui dobbiamo altrettante coppie di valori.

Tutto ciò è analizzabile in operazioni mentali, rendendone più facile il dominio e permettendo di coglierne le connessioni con l’operare psichico e fisico.

7) La trasmissione dell’informazione.

Viene illustrato il meccanismo della comunicazione. Vengono distinte fra loro: informazione, comunicazione, educazione, propaganda, pubblicità, pubbliche relazioni.

Si individuano le barriere nella trasmissione dell’informazione, fra individui, gruppi, nazioni. Come si arriva all’arresto od alla deformazione della trasmissione.

8) Il progetto di una lingua ausiliaria internazionale.

É basato su un preliminare ordinamento seriale delle cose da nominare, estendendo il principio che ha assicurato accoglienza universale alle serie numeriche, tabella di Mendeleev, scrittura musicale, etc.

Questa articolazione dei contenuti di un curriculum ceccatiano risente ancora molto dell’origine filosofica, anzi del progressivo abbandono critico della tradizione filosofica del pensiero di Ceccato che arriva finalmente ad occuparsi della mente senza più filosofare ma da tecnico.

Ma risente anche del sogno di utilizzare la nuova metodologia o tecnica analitica per importanti progetti applicativi di cibernetica, oggi diremmo di intelligenza artificiale, di automazione cognitiva interrotti per mancanza di fondi e limiti tecnici degli strumenti a disposizione, ma anche delle analisi operative da far riprodurre alla macchina.

In effetti non viene messo ancora in primo piano quello che, dopo le applicazioni didattiche di Ceccato con i bambini delle elementari e altre varie esperienze, compresa la mia, si sono rivelati strumenti preziosi per arricchire e rinnovare l’insegnamento.

Mi riferisco per esempio oltre che alla soluzione correlazionale dell’analisi del pensiero e all’analisi dei principali atteggiamenti caratterizzanti la vita e la storia della umanità, alla analisi di quei termini di uso comunissimo che Ceccato chiama categorie o costrutti mentali in omaggio a Kant e di cui propone una origine da attività mentale attenzionale suscettibile di analisi e di verifica nel suo dinamismo. Vi rientrano tutti i termini che la grammatica tradizionale identifica come parti del discorso, gli stessi termini parte e discorso, tutto, elemento e composto, inizio e fine, classe ed esemplare, spazio e tempo, essere, avere, prendere, tenere, lasciare, termini continuamente presenti nella nostra vita e nei nostri pensieri-discorsi. Alcuni dei quali sono a fondamento di interi campi del sapere etc. Anche se Ceccato non ha mai voluto riorganizzare tutte queste analisi in una sorta di dizionario o grammatica operativa sistematica[7], esse costituiscono un primo straordinario apporto alla nascita di una linguistica o semantica in operazioni dove vige una vera democrazia delle parole. Tutti meritano analisi: la sostanza e l’accidente, l’idea e il concetto, come il tenere e il lasciare, il qui e il lì, il serio e il faceto…

 

6. Come entrare a Ciberiade[8]

Per acquisire un primo livello di consapevolezza sulla nostra attività mentale si può cominciare dai giochi della nostra attenzione (come ricordava di fare Ceccato nel primo testo), in qualunque situazione. In questo momento, credo e spero siate ancora chi più chi meno concentrati sulla mia persona, su quello che dico, che faccio, e molto probabilmente non avvertite l’aria che entra ed esce col respiro dalle vostre narici, il peso dei capelli sulle orecchie, qualche rumore di fondo, la pressione delle scarpe sui piedi e dei piedi sulle scarpe e dei piedi sul pavimento… Eppure i vostri recettori funzionavano, registravano, c’era continuità fisica tra il vostro corpo e molti fenomeni non avvertiti. Cosa concludere? Semplicemente che siete, siamo attivi, che un dinamismo mentale, attenzionale, ci consente di far presente ora un certo funzionamento sensoriale ora un altro e quindi di isolare, selezionare, focalizzarci, spostarci.

Sono di grande impatto poi gli esperimenti di osservazione sulle figure ambigue o alternanti, costruite in modo da consentire percorsi con figure diversissime tra loro: famosissimo il vaso e le due facce di profilo, il volto della giovane e della vecchia che si possono alternare.

Ma il valore sperimentale di questi giochi – come tali li presentavo a decine estraendoli come un prestigiatore dalla borsa a ragazzini scatenati di fronte al nuovo supplente di una settimana, figurarsi! – si rivelava quando qualcuno non riusciva proprio a passare da una figura a un’altra, cioè a costituire con l’attenzione un percorso diverso da quello su cui era bloccato spesso anche emotivamente, come su una rotaia e si trattava di invitare i compagni a guidarlo per fargli vedere ciò che i suoi occhi non riuscivano a vedere.

Non bisogna però cadere nell’errore di trasformare questi semplici, ma fondamentali esercizi-esperimenti in un protocollo da seguire scrupolosamente magari nell’ordine delle lezioni ai bambini delle classi incontrate da Ceccato. Ma attenti anche a sottovalutarli o svalutarli come fanno spesso scettici, detrattori, o sordo-ciechi mentali, considerandoli troppo suggestivi o teatrali o troppo introspettivi!

Le occasioni per creare curiosità e interesse e richiamare attenzione proprio sulla nostre attività mentali mentre osserviamo possono essere le più varie e bisogna anche imparare a crearle uscendo dalle sofisticate e a volte artistiche (si pensi ad Escher), figure ambigue, magari utilizzando tracciati semplici a cui far corrispondere designazioni diverse: linea spezzata, angolo, ma anche tetto, manico, ma anche gancio, uncino, foglia, ma anche labbra… (Parini & Calvesi, 1970).

D’altra parte alcuni tracciati ci offrono straordinarie occasioni per spiazzare, divertire e far riflettere i più grandi che normalmente a scuola sono meno disponibili, reticenti e diffidenti a un coinvolgimento giocoso per un fine serio.

Così questo che mi fu donato la prima volta proprio da Ceccato

 

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è una buona occasione per aumentare la consapevolezza non solo dei diversi percorsi attenzionali che ci danno la lettera ‘B’ o il numero ‘13’, ma anche di distinguere come operiamo mentalmente nel costituire l’una o l’altro e le condizioni che spingono a operare in quel certo modo.

 

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Così possiamo anche accostarci a quella che Ceccato pone come la fondamentale distinzione tra operare costitutivo che corrisponde alla domanda: cosa facciamo con l’attenzione e lo sguardo sul tracciato nero per vedere la ‘B’ o il ‘13’? E l’operare consecutivo (la sequenza alfabetica o la successione numerica) che corrisponde alla domanda da cosa può dipendere che lo si veda in un modo o in un altro?

E per quanto riguarda le parole corrispondenti secondo Ceccato a pura e semplice combinatoria di attività attenzionali? Proprio in nome di quella democrazia delle parole di cui vi dicevo prima partiamo da cose veramente elementari, che padroneggiamo fin dai primissimi anni dell’infanzia.

Quindi cose che dovrebbero essere semplici per essere già comprese e usate da bambini molto piccoli. Utilizzabilissime perché verificabilissime da ognuno le analisi della e, della o, del con. Caramelle o cioccolatini? Vino o birra? Pasta o riso? Tè o caffè? O l’uno E l’altro?

Nessun problema, credo se vi chiedessi di spiegare in che consistano caramelle, cioccolatini, vino, birra, pasta, riso, the, caffè. Ma quella O? E quella E? Aiuti dal vocabolario o dalle grammatiche? Se proprio volete:

“E: [congiunzione coordinativa copulativa] unisce più elementi simili di una proposizione o più proposizioni dello stesso tipo; davanti a vocale può diventare ed”,

“O: [congiunzione coordinativa disgiuntiva] oppure, ovvero, ossia; unisce due proposizioni di uguale valore o due termini simili di una stessa proposizione in modo che uno escluda l’altro” (Zanichelli, 1984).

E Ceccato (1971):

“E: date due cose si dirige l’attenzione passando dalla prima alla seconda tenendo la prima”,

“O: date due cose si dirige l’attenzione passando dalla prima alla seconda lasciando la prima”.

Semplice, banale, ovvio? Il piccolo particolare è che trova perfettamente riscontro nella gestualità che può accompagnare la comunicazione delle frasi precedenti come quando si vuole guidare i bambini a una scelta.

A che serve? Cosa migliora? Per rimanere solo sulla e, una volta resa consapevole l’operazione costitutiva del suo significato in termini dinamici, potremmo chiederci perché mai quegli spreconi di romani in latino di e ne avessero almeno tre : et, ac/atque e -que?

Non ho tempo per una analisi dettagliata. Sappiate però che questo tipo di apertura operativa ci può portare nel cuore della storia e della ideologia del potere romano antico Senatus popolusque romanus, nel cuore dei pensieri e della personalità dell’attuale papa il cui motto, tratto da un commento di Beda a un Brano del Vangelo di Matteo sull’episodio di Gesù che chiama a sé il peggio del peggio per un ebreo: un pubblicano, tanto per capirci un funzionario esattore di tributi, usa la frase: “Gesù lo chiamò considerandolo miserando atque eligendo”.

La risposta ce la possono dare esempi italiani del tipo:

Ci sono rifiuti domestici e industriali” (dove il passaggio attenzionale è semplice),

Ci sono rifiuti e rifiuti nelle strade, non si passa più per la puzza” (dove il passaggio attenzionale appare unificante),

Ci sono rifiuti e rifiuti, attenti a come ce ne liberiamo” (dove al passaggio attenzionale si associa una distinzione, una opposizione).

 

7. Consapevolezza semantica estesa e polivalenza atteggiativa

Così si comprenderà la portata dell’impostazione di Ceccato sugli atteggiamenti scientifico, magico, etico, estetico, mistico, economico, pratico, giuridico, e valori che non troviamo già fatti aprendo gli occhi magari mettendoci pure a discutere se sono veri o falsi come fossero oggetti fisici: oro o patacca? Ma vengono costituiti proprio cercando le cose in quel certo modo secondo quella sequenza operativa o se preferite con una metafora ottica mettendoci davanti agli occhi certe lenti con certi filtri o anche secondo un vecchio detto popolare: “dice il setaccio come mi fai così ti faccio”.

Si apre così effettivamente il percorso per la formazione di un individuo non più a una o poche dimensioni, ma di polivalenza atteggiativa, padrone delle proprie scelte ma anche comprensivo se non rispettoso delle scelte altrui.

Grazie poi all’ipotesi secondo cui il dinamismo attenzionale che abbiamo visto applicarsi a stimoli sensoriali si può applicare a se stesso combinando vari stati di attenzione, si apre con questo approccio e questa tecnica didattica la possibilità di fornire analisi in termini propri e positivi di operazioni mentali dei termini considerati basilari dei campi del sapere: numero, punto, linea, tempo, spazio, area, volume, nome, astratto, concreto, e in genere di tutte quelle parole su cui da sempre si è avvertito una difficoltà, una problematicità definitoria che si scontrava con il paradosso che pure quegli stessi termini vengono usati fin da piccoli ben prima di trovare sui libri a scuola definizioni zoppicanti o astruse da mandare a memoria. Sono circa trecento i termini mentali analizzati e sottoposti a verifiche da Ceccato, di cui circa un terzo sono stati anche codificati in formule secondo una particolare simbologia combinatoria che come tutte le formulistiche presenta limiti e difficoltà. Ma ciò non mina il valore e l’utilità delle molte analisi condotte ancora su un piano linguistico verificato intersoggetivamente. Per certi aspetti le incertezze di alcune analisi possono rappresentare proprio per il docente uno stimolo a farsi ricercatore e sperimentatore insieme ai suoi studenti.

Ma a che pro, potrebbe chiedersi qualcuno? Senza farla tanto lunga è come per chi stesse danzando con degli inappropriati scarponi, toglierseli per adattarsi ai piedi, che già sanno muoversi, scarpe funzionali e in sintonia con i movimenti.

E ammesso che lo si voglia, possa e sappia fare, a che pro farlo con ragazzi ormai avanti con gli studi, parlo di scuola media di secondo grado, ormai abituati a trascinarseli appresso quegli scombiccherati, ingombranti scarponi, al punto di procedere quasi dimentico di averli?

Non gli sembrerà di perdere tempo a cambiare scarpe visto che comunque se la cavano ad andare avanti?

Il rischio c’è, ma per esperienza riprendere in questa chiave di gioco e sperimentazione contenuti apparentemente lontani o elementari-basilari può invece proprio assolvere a una funzione di stimolo ad essere apprezzati per le proprie opinioni nella partecipazione al dialogo maieutico e quindi a recuperare motivazione e interesse per lo studio di una materia.

 

8. Nuove scarpe per danzare con la propria mente

Gli scarponi della metafora precedente sono le tre modalità con cui il sapere accademico, prima ancora scolastico, ha cercato di aggirare l’ostacolo delle difficoltà di definire in termini propri e positivi particolari contenuti linguistici, matematici, etici, estetici, storiografici fondamentali corrispondenti a termini mentali.

Le tre soluzioni di ripiego individuate sono le seguenti, tuttora presenti e dominanti nella pratica scolastica:

  1. l’eliminazione del contenuto problematico: “non lo capiscono e non lo capisco bene neanch’io quindi lo tolgo”;
  2. lo storicismo critico: come se per passare l’esame della patente invece di una sia pur grossolana analisi tecnica delle parti componenti e dei loro rapporti statici e dinamici si desse da studiare la storia dell’automobile. O si sostituisse all’analisi del prodotto vetro e delle operazioni che lo realizzano, la storia degli oggetti di vetro e del loro uso. Così all’analisi del bello e del brutto sostituisco la storia delle sue formulazioni diverse e contrastanti, delle poetiche e delle estetiche succedutesi nel tempo che sarà comunque da un lato preziosissima cultura, dall’altro solo un traballante e disorientante surrogato di analisi;
  3. l’ingabbiamento in una definitoria assiomatica indiscussa e indiscutibile perché prius assoluto: per esempio il punto geometrico come ciò che non ha dimensioni o come risultato dell’intersezione di due rette o la retta composta di infiniti punti.

Ovvero in una terminologia classificatoria da assumere mnemonicamente: soggetto è quello che fa l’azione, oggetto è quello che la subisce (affermazioni smentibili con pochi esempi).

Queste tre soluzioni sussistono più o meno consapevolmente in chi le adotta anche in forma occulta affogate nel grande agitarsi più verbale che fattuale nella didattica per progetti o nell’illusione tecnologica: deus ex machina digitale.

Per un certo aspetto tutto il mio percorso e la mia attività di insegnamento nella scuola italiana, accompagnato dalle idee e dalle esperienze di Amietta (Amietta & Magnani, 1998), Beltrame (1977, 1978), Mistroni (1977, 1978), Parini (1977, 1978), Zotto (1977, 1978), possono essere considerate come un tentativo di sciogliere, per me stesso e per gli altri, incertezze e dubbi sfidando l’opinione, sicuramente fondata, che l’intervento cruciale per fasce di età vada dalla terza elementare alla terza media. Oggi ritengo che una didattica di consapevolezza operativa, quella che definirei la quarta possibilità, la quarta strada, è praticabile, anche in modo non sistematico, anche con funzione ri-motivante e di recupero di contenuti e metodo di studio.

 

9. Oltre la campanella

Pier Luigi Amietta ripercorrendo e commentando le ultime lezioni di Ceccato con i bambini ha individuato una decina di regole o principi su cui basarsi per realizzare una didattica di consapevolezza operativa praticamente.

Per Ceccato (1972b, p.198):

l’abilità dell’insegnante, la sua maieutica, consiste in questi casi nel non fornire mai la risposta ma nel sollecitare l’attenzione del ragazzo verso il proprio operare mentale, adducendo un numero di esempi sufficiente affinché esso sia individuato, ed infine nel suscitare il reciproco controllo delle risposte fra gli stessi bambini.

Come tutti sappiamo bene non sempre i bei principi e le belle teorie hanno vita facile nella cucina quotidiana della scuola.

Proprio dalla mia cucina quotidiana vorrei ricordare alcuni momenti tra i tanti della mia esperienza di insegnante.

 

10. Una domanda intrigante: l’unico vero antidoto al mentire?

Una prima classe di media superiore. Ragazzi dai 14 ai 16 anni considerando qualche ripetenza. Settima ora. Già da qualche lezione ho cominciato a parlare degli aspetti comuni, ma anche misteriosi, magici del pensiero. Per mettere un po’ d’ordine a quella specie di anarchia caotica di termini appiccicaticci che continuiamo a chiamare competenze grammaticali acquisite nella scuola dell’obbligo ho iniziato anche a introdurli all’uso dello schema a blocchi per l’analisi del pensiero in termini di concatenamento di correlazioni, originariamente ideato e utilizzato da Ceccato e collaboratori (1969) per il progetto di automazione della traduzione, ottimo per affiancare e integrare la tradizionale analisi logica. Il giorno prima avevano cominciato ad apprezzarlo: “professore, ma perché la grammatica non ce l’hanno fatta studiare così?”.

Ma la settima ora è la settima ora….

Si reggono solo attività che hanno qualche sapore per definizione ludico.

Gli indovinelli spesso funzionano. Persino quelli di confine con la logica-matematica, un po’ complessi come quello famoso del prigioniero delle due porte e dei due guardiani uno sempre mentitore e l’altro sempre veritiero che gli avevo lasciato la volta precedente.

Proprio la spiegazione logica della soluzione che riguarda la verità e la menzogna diventa anche l’occasione di affrontare un altro indovinello connesso con una delle tante analisi di Ceccato feconde di spunti e di richiami per la didattica, quella sul fingere, recitare, mentire[9]. Quale attività ci impedisce di mentire mentre e fintanto che la si pratica? Le risposte di getto diventano più rivelatrici di cento questionari di ingresso… “dire la verità”, “battezzare”, “confessarsi”, “fare il giornalista”, “la macchina della verità”, “guardarsi allo specchio”….

L’atteggiamento ludico sfuma gradualmente in un atteggiamento di ricerca. Potrebbe essere utile chiederci come si fa a mentire, quali attività o strumenti sono in gioco quando diciamo bugie.

Inaspettatamente non ci si mette molto a concordare almeno su una bocca per parlare e una mente o cervello per pensare. Naturalmente qualcuno aggiunge anche il corpo per la gestualità.

Si arriva a una prima conclusione che per mentire i pensieri sono molti o, meglio, no almeno due si almeno due: il pensiero delle cose vere tenuto nascosto e quello del falso reso pubblico. Durante la discussione avviene un insolito trasferimento centripeto dai banchi più lontani al centro dell’aula, per avvicinarsi, farsi gruppo che pensa, ma anche dove ognuno cerca di arrivare prima e da solo alla soluzione.

Ma allora se c’è un pensiero nascosto e uno manifesto cosa mi può bloccare?

“La droga”, “l’ubriacarsi”…. C’è persino il modo per ricordare un celebre motto latino. Ma guarda un po’, latino in settima ora a ragazzi che hanno scelto una scuola tecnica professionale perché disinteressati o inadatti per studi umanistici….

No, comunque non ce la fanno da soli a trovare la soluzione del recitare.

Tutto è rinviato al prossimo incontro. Ma la campanella suonata a ridosso delle ore 15 due o tre non mollano se non risolvono.

Taglio corto e mi rivolgo loro recitando alcune battute di Shakespeare.

Gli viene in mente lo scherzare, il giocare.

Ah, se qualcuno li avesse almeno informati che to play vale in inglese per tutte e due. Magari lo faccio io.

Non ce la faccio più, infrango la regola aurea della didattica operativa e di ogni buona didattica. Gli consegno la risposta bella e fatta: “recitare, ragazzi, recitare…”.

Ma non sembrano delusi. Perché mai proprio il recitare? Aggiungono contributi di pensiero loro: “eh già il copione diventa la regola del pensiero…”. Oltre ogni limite orario e di appetito aggiungono persino dubbi: “ma quando si improvvisa professo’?”.

Sfido gli ultimi due rimasti: “e se il copione è quello di un personaggio che mente?”.

Uno mi stupisce: “mente il personaggio del copione, mica lei…”.

L’altro soddisfatto, ma un po’ deluso di non esserci arrivato completamente da solo sornione mi lascia un suo indovinello che dovrei provare a risolvere io alla prossima lezione.

Ma la prossima lezione si può sviluppare all’insegna di altre domande e problemi connessi.

Perché invece spesso in epoche e ambienti ostili al teatro si è accostato il mestiere di attore alla menzogna? E l’ipocritès greco che diventa ipocrita? Ci aiuterà Pirandello (1919) con quella scena all’inizio de L’uomo, la bestia e la virtù che, so bene, pochi si divertono a recitare (i due studenti un po’ scimmioni a ripetizione), ma tanti si divertono ad ascoltare, mentre divento Paolino che vorrebbe un franco “vada al diavolo!” invece dell’ipocrita “buongiorno professore!”. E il fingere dove lo mettiamo? E perché certi popoli hanno ignorato l’arte teatrale? E cosa c’entra, se c’entra, il rito? Già, ma come analizzeremmo il rito, la ritualità e in associazione il mito, l’eroico, l’epico? Le nozioni da ripetere diventano parole da analizzare, scatole magiche da cui possono scaturire tesori di curiosità di sapere, di nuove vere ricerche. Una collana di perle non trovata già fatta nel libro, negli appunti dettati dal prof. o in internet ma cercate ad una ad una in mezzo a tante ostriche, questo sì, sapientemente predisposte.

Spero di essere compreso. È chiaro che qualunque insegnante può tentare di cavarsela nei momenti difficili o impossibili, divagando, con barzellette o indovinelli. Il punto qui è che un’analisi abbastanza sottile e impegnativa presentata nella forma giusta non solo cattura nel senso del gioco, ma interessa e viene fatta propria nel suo valore.

Insomma i veri dubbi e le vere difficoltà alla didattica operativa, ovvero a una tecnica di consapevolizzazione di operazioni mentali, non vengono tanto dalla pratica e dagli studenti, ma hanno ben altre radici e ben altri portatori.

 

11. La distinzione tra fisico-psichico e mentale

Riuscire a teatralizzare immaginando e mimando una serie di situazioni impossibili e assurde, una delle distinzioni più discusse e problematiche della ricerca epistemologica anche con studenti che non apriranno mai un testo di storia della filosofia, è senza dubbio un merito e un dono inestimabile dell’approccio di Ceccato.

Parto dai loro criteri per raggrupare i vestiti o i dischi o per distinguere i telefonini. Poi mi allargo al modo più semplice ed economico per classificare le cose del mondo – quali cose? Beh, ad esempio, quelle che possiamo trovare qui ora in questa aula tra noi.

C’è da giurare che penseranno solo a cose fisiche, concrete, materiali come sono stati abituati a dire.

– Vi siete chiesti se c’è qualcosa qui e ora che non posso spostare dove volete, ma non per il peso o il volume?

– Cosa mi diresti se volessi che fosse spostato qui sulla cattedra il sapore della caramella alla menta che stai gustando o l’allegria del tuo compagno di banco?

– Ma avrebbe senso chiederti tra mezz’ora se lo senti ancora in bocca quel sapore di menta? E valutare se l’allegria dura ancora o è finita?

– E quel numero scritto dalla prof. di matematica lo possiamo mettere sul tuo banco?

– Guarda un po’ se con del nastro adesivo ci si riesce. Sì che ci si riesce.

– Ma abbiamo spostato il numero o solo il gesso che ci era servito per comunicarlo?

Nel giro di un’ora si individua un mondo di fenomeni che ‘vivono’ nello spazio e nel tempo, un mondo di fenomeni che vivono prioritariamente nel tempo e secondariamente sono localizzabili nello spazio.

É incredibile a dirsi: viene individuato anche un mondo di significati mentali che si reggono sull’attività che li costituisce.

Qualche volta a qualcuno fuma il cervello e si vede. Non sempre la distinzione ottenuta viene fissata e fatta propria. Il cuneo della distinzione dicotomica astratto e concreto, materiale e immateriale conficcato col martello pneumatico da tutta una cultura scolastica e non, sa resistere bene eccome.

 

12. Un atteggiamento ‘eroico’

Forse perché un poco mi ci sono sentito, specialmente da precario pendolare costretto a lunghi spesso avventurosi spostamenti a parecchie decine di km di distanza, mi sono appassionato a mettere alla prova ragazzini delle elementari e delle medie sull’eroico come atteggiamento.

Proprio da alcuni incontri registrati in una prima media di Ladispoli vicino Roma nel 1982 posso ricavare e proporvi un abbozzo di procedura non vincolante di analisi di un atteggiamento per i docenti in quattro fasi.

Nella prima si va alla scoperta di quello che sanno sugli eroi, anzi proprio sull’essere e fare l’eroe. Così attraverso l’individuazione del patrimonio concettuale dei ragazzi sulla nozione si possono evidenziare eventuali stereotipi ricorrenti (Parini, 1978, 1993), costruire un tabellone repertorio delle risposte date, sollecitare a una ricerca comune per trovare una definizione operativa il più possibile generale e condivisa dell’atteggiamento.

Nella seconda fase si procede a sperimentare su e con materiali semplici e inconsueti pertinenti a vari campi sensoriali, visivo, sonoro, gestuale, linguistico, ecc., sollecitando l’individuazione di somiglianze e differenze tra i modi di operare in atteggiamento eroico su materiali diversi, per una definizione operativa che eviti la tautologia e la metafora.

Nella terza si può passare a sperimentare su e con materiali colti, musicali, letterari, visivi, drammaturgici, con esercizi che portino a distinguere tra l’unicità e la specificità dell’operazione costitutiva individuata e la variabilità delle situazioni e condizioni che favoriscono la costruzione dell’atteggiamento nei vari campi artistici (scoperta di codici e grammatiche specifici della eroicità in pittura, scultura, musica, prosa, poesia, teatro, ecc.).

Si guida a orientare l’attenzione sul contesto e sul co-testo o sullo sfondo visivo e sonoro di un’azione riconoscibile come eroica, a ipotizzare progetti di ricerca su tipologie psicologiche dell’eroe, sugli aspetti etici dell’azione eroica, sui miti connessi all’eroicità, sulle tipologie compositive della rappresentazione della eroicità.

Per ultimo si confronteranno le risposte iniziali con i risultati raggiunti, senza nascondere dubbi residui e le incertezze ancora presenti.

Ricordo come all’incontro con una II elementare a Frosinone, durante la prima fase, gli alunni hanno subito collegato l’atteggiamento eroico alla lotta-guerra-violenza.

Qualcuno ne ha tratto motivo per affermarne l’appartenenza esclusiva al mondo dei maschi con i caratteri della grande forza, del grande coraggio. Altri esempi emersi dalla classe contrastano i precedenti: l’eroe non solo aggredisce, ma difende, aiuta, soccorre e poi c’è il medico e l’infermiere anche donna, persino i bambini.

La storia dei due cani salvatori e dell’unica medaglia porta quasi tutti ad ammettere che, in certi casi quello più piccolo, debole e fragile merita di essere considerato più eroico del più grande forte e robusto.

C’è chi parla della necessità di essere buono coraggioso, generoso e di avere uno scopo.

Eroici possono essere anche gli animali.

La seconda fase inizia con il provare a pronunciare una frase semplice con una intonazione da eroe cercando di ricavare dall’ascolto di quello che fanno i compagni una differenza da quando pronunciamo la stessa frase in modo normale.

Qualche ragazzo nega la possibilità di farlo e di trovare qualcosa, altri lo fanno senza riuscire a cogliere differenze.

Inizialmente c’è un po’ di resistenza e impaccio a lanciarsi nel disegno alla lavagna di una linea eroica. Vengono disegnati senza troppa convinzione scudi e ometti stilizzati, alcune linee a spirale, altre a dente di sega.

C’è grande entusiasmo invece nell’aderire all’esercizio dell’eroico realizzato con il corpo e la gestualità.

Dalla analisi dell’operare e dell’operato emergono alcune osservazioni originali che tutti considerano utili per il lavoro di ricerca: “c’è uno scatto, uno slancio, in avanti!”.

Chissà se lo fa solo il nostro corpo e se c’entra anche la nostra mente, il nostro pensiero.

La proposta a provare a tornare a disegnare una linea eroica forti di questo risultato parziale acquisito trova una adesione curiosa ed entusiastica.

Gli alunni fanno a gara per vedere cosa può venir fuori, se si riesce a caricare il braccio e la mano di quello scatto in avanti.

Vengono introdotti nuovi spunti di riflessione relativi a considerazioni su rapporti logico-consecutivi di premessa e conseguenza o condizione dell’operare scatto in avanti individuato. Si discute con incredibile passione su quanto possa avere a che fare questo scatto in avanti con la presenza di ostacoli, l’essere solo o in compagnia dell’eroe, la serietà o la scherzosità.

Niente va dato mai per acquisito. Col gioco esercizio di un triangolo rettangolo ruotante da bloccare nella posizione più eroica riaffiorano in alcuni giustificazioni per associazioni di immagini e piccoli stereotipi di armi e di guerra, somiglianze con punte di freccia di spada o di lancia.

Ma basta riportare il discorso sull’essere un po’ più attenti del solito a dove va il nostro sguardo e, se può entrarci quanto si era trovato prima con lo scatto, che emerge la consapevolezza di un’attenzione insolita verso l’alto, all’andare all’insù sulla punta o addirittura all’aria sopra e intorno.

Qualcuno arriva a dire che ora abbiamo trovato un oggetto che può diventare il simbolo di quanto stiamo cercando.

Se proprio volete[10], conveniamo pure, a questo punto, con Brecht (1994) “Beato il popolo che non ha bisogno di eroi”. Ma, ancora più beati, la scuola e il paese che sanno dare la consapevolezza del significato di eroe.

I colleghi di materie scientifico-tecniche, mi scuseranno se ho privilegiato esempi attinenti al mio campo specifico di insegnamento, quello linguistico-letterario e dello spettacolo.

Ma questa esemplificazione certo asistematica potrebbe continuare a lungo anche riferendomi all’analisi di operazioni fondamentali per distinguere il campo scientifico da quello magico e dalla storia e geografia, come la ripetibilità, irripetibilità, l’operazione di paradimazione-confronto, l’uguale e il diverso, leggi, regole e principi, l’elementare e il complesso, la classe e l’esemplare, il fenomeno, la causa e l’effetto, la razionalità e irrazionalità, la coerenza e l’incoerenza, l’inizio e la fine, la parte e il tutto, l’universo, il caso, il destino, la probabilità.

Senza parlare del campo artistico visuale: dove, ritmo, il mettere, disporre e comporre, la metafora, la prosa e la poesia, generi e stili artistici, bello e brutto, sensazione, emozione, sentimento. O artistico sonoro: a partire proprio dalla distinzione tra suono, rumore, musica, andando verso la melodia, il ritmo, il tema, la variazione.

Per non dire infine, del campo etico-disciplinare in cui le analisi operative solo di un io, tu, noi, voi, loro e poi disciplina, morale, diritto, giustizia, e ancora uguale e diverso possono aprire mondi di consapevolezza.

 

13. Scopi e possibilità della didattica ceccatiana

Riassumerei quindi così gli scopi a cui fondatamente può aspirare una didattica basata sul modello della mente di Ceccato, proprio perché in grado di fornire analisi, esperienze ed esempi, insomma strumenti:

  1. rendere dominabili alcuni contenuti finora dominati male e quindi mal dominati o elusi;
  2. offrire una nuova piattaforma per una formazione interdisciplinare e continua nel tempo;
  3. introdurre una sperimentalità senza laboratori, ma con criteri di ripetibilità intersoggettiva nel campo mentale;
  4. creare un alunno con indipendenza di pensiero e capace di scelte responsabili e creative;
  5. (ri-)attivare nella scuola, potenziandolo, un insegnamento-apprendimento come costruzione comune e verifica collaborativa del sapere tra docente e discente.

In una lezione televisiva su Mozart[11], alla introduttrice che lo presenta come un commentatore, Ceccato risponde che non è lì per commentare Mozart.

– “Mozart si commenta da solo”.

Lui invece è lì per servirsi di Mozart, per analizzare un modus operandi di tutti noi straordinariamente realizzato in e da Mozart: la spontaneità.

Ma allora è Mozart che è di supporto all’analisi dell’atteggiamento o è l’analisi di un atteggiamento suggerito che è di supporto a insegnare Mozart?

  1. Quella che può sembrare una ambiguità si rivela come la formidabile circolarità presente nel cuore della didattica operativa ceccatiana.
  2. Come si può ben capire non vale una risposta unica e l’intenzione e il risultato può variare in funzione del tempo, degli ambiti e dell’interesse o delle necessità dell’interlocutore.
  3. Si potrebbe obiettare che neanche questo è nuovo poiché il bravo insegnante sa bene che può partire da Tucidide, Boccaccio e Manzoni e Camus per parlare di peste come partire dalla nozione di peste per parlare di Tucidide, Boccaccio, Manzoni e Camus.
  4. La novità è che la didattica operativa ha una alternativa in più perché può farlo, ripeto, mettendo in gioco parole di significato puramente mentale viste in termini di operazioni.

 

14. Spunti di riflessione per un didatta operativo

Anni di insegnamento mi hanno convinto che prima ancora di porgere qualsiasi contenuto con qualsiasi metodo o tecnica didattica, ma a maggior ragione se parliamo di didattica di consapevolezza porta in modo maieutico-sperimentale, sia opportuno avere alcuni riguardi e cautele, spunti di riflessione che potrebbero configurarsi anche come suggerimenti per il neofita.

Può essere molto utile:

– tener conto dei rischi di una domanda e di una risposta formulate esclusivamente in termini di che cos’è da riformulare in termini di come si fa a fare o a riconoscere come…;

– chiedersi se certe pretese didattiche allo studente presuppongano o meno l’assunzione da parte del docente e del discente di un particolare atteggiamento: cosa sto chiedendo quando chiedo di commentare un testo? Cosa sto chiedendo quando chiedo di riassumerlo? Cosa sto chiedendo quando chiedo di fare una ricerca su un determinato argomento?;

– chiedersi se dietro errori marchiani lessicali e terminologici ci sia una mera ripetizione errata di etichette lessicali assunte mnemonicamente o un vero e proprio scambio nel rapporto semantico tra contenuto grafico sonoro e operazione mentale. Per esperienza non parlo solo di buffi equivoci quasi da barzelletta, come parlare delle benemerenze di Sant’Agostino come medico perché annoverato tra i grandi dottori della chiesa, o dei figli nati per sbaglio perché non si sono usati preliminari (invece di “precauzioni”) o lo scambio tra amputazioni e imputazioni. No, piuttosto mi ha sempre colpito la confusione o addirittura lo scambio netto di significato tra drammatico e tragico, sia nel senso della cronaca sia in senso artistico;

– farsi detective dei presupposti inconsapevoli di realismo ingenuo del discente. Cosa pensa che si possa sapere o capire del mondo semplicemente avendo gli occhi aperti? E cosa significa per lui avere gli occhi aperti?;

– osservare il manifestarsi di atteggiamenti prevalenti attraverso la gestualità connessa con il ripetersi di parole significative, tic posturali o verbali;

– ricordarsi che certe rigidità e certi schemi poveri e stereotipati nelle risposte possono dipendere da una ripetizione mnemonica, da abitudini atteggiative, ma anche da una economia di pensiero (Parini, 1970, 1993).

– infine ricordarsi che qualunque analisi vecchia o nuova ripresa rivisitata, rivista, arricchita o semplificata, condotta in proprio o insieme ai propri studenti può costituire un mattoncino in più per la meravigliosa costruzione di un nuovo prezioso dizionario della mente.

 

15. Dubbi e obiezioni alla metodologia didattica di Ceccato

Per finire dopo le mie certezze appassionate è tempo di lasciare spazio ai dubbi, alle incertezze, alle possibili critiche distruttive o costruttive, alle sensate obiezioni.

Per me e per voi ho individuato più di una dozzina di punti, 14 per la precisione, a cui faccio seguire una risposta essenziale con un minimo di argomentazione.

1) In mancanza di un quadro solido e assestato della pars costruens della tecnica di analisi operativa del mentale è velleitario, avventato o prematuro parlare di una “didattica operativa”. Le esperienze di Ceccato con i bambini della scuola elementare sono una esperienza irripetibile basata sulle capacità comunicative ma anche “manipolatorie” di un personaggio eccezionale.

C’è una tecnica di analisi con risultati ripetibili e ripetuti, come ogni tecnica ha dei limiti, ma offre delle possibilità che si sono rivelate efficaci anche oltre e senza la presenza del personaggio Ceccato.

2) La didattica operativa non si discosta da qualunque altra pratica o metodo ispirato a una partecipazione attiva e a un insegnamento articolato su progetti e non su nozioni.

Nessuna pratica o metodologia ha affrontato così direttamente e a fondo l’analisi del mentale.

3) La didattica operativa ceccatiana insinua dubbi sull’insegnamento tradizionale su tavole di valori assestate e disorienta.

I dubbi riguardano settori specifici dell’insegnamento e l’analisi di come si costituiscono-costruiscono i valori si traduce in un invito alla creatività e alla responsabilità del proprio operare.

4) La didattica operativa richiede la condivisione di un quadro teorico che si configura come una filosofia o una “rivoluzione copernicana” del pensiero e richiede una sorta di “metanoia” impensabile da generalizzare tra docenti e studenti.

È, in parte, vero. Una tecnica che mette in discussione millenni di filosofia e di buon senso realistico non va presa alla leggera e richiede un riassetto del proprio modo di pensare e quindi di vivere i propri valori.

5) Sia Ceccato che Vaccarino per fissare in modo univoco le proprie analisi del mentale, a un certo punto della loro ricerca hanno usato per individuare stati e operazioni mentali e il loro modo di combinarsi non più il linguaggio comune, ma una notazione simbolica per di più diversa tra loro. Questo rende più che mai difficoltoso e problematico ripetere a livello non elementare, infantile, ma di studi superiori con giovani adulti una didattica che ha alle spalle un quadro notazionale ancora così complesso e differenziato.

Una volta compreso il nuovo punto di vista anticonoscitivista e sperimentate in proprio la validità di alcune analisi più semplici il problema della chiarezza e adeguatezza della notazione simbolica degli stati di attenzione o energia mentale, che dir si voglia, può diventare un interessante problema tecnico, comunque, non prioritario per la comunicazione didattica.

6) Con i ragazzi più grandi e polemici la lezione rischia di trasformarsi in una ragnatela di ragionamenti da punti di vista ideologici anche diversi da cui non si esce.

Sarà compito del didatta assumere l’atteggiamento dell’analista tecnico super partes capace di distinguere per sé e gli altri la componente di pensiero e la componente emotiva in gioco.

7) Trascura l’aspetto emotivo a favore di una analisi tutta razionale.

All’opposto l’analisi in operazioni del mentale consente di analizzare meglio le sue ripercussioni possibili sul fisico e quindi i dinamismi emotivi in gioco.

8) Richiede un percorso di acculturazione e training dell’insegnante troppo impegnativo per la sua preparazione di base.

Si tratta semplicemente di trovare le persone più curiose, interessate e motivate ad approfondire certi argomenti. Per gli insegnanti più maturi si tratta di prospettare in modo non taumaturgico, ma tecnico, nuovi strumenti di analisi anche nel loro aspetto rimotivante alla comunicazione con lo studente.

9) Non si capisce se è una nuova materia da insegnare o una tecnica di analisi applicabile alle varie materie.

Certamente non è una nuova materia anzi è sempre stata presentata come un supporto per superare l’analisi mancata o insoddisfacente di certi concetti base di varie materie e fornire in prospettiva una piattaforma comune su cui innestare contenuti più specialistici.

10) I ragazzi hanno bisogno di certezze: la tecnica di analisi in operazioni aprendo continue alternative può disorientare o togliere autorevolezza a quanto esposto dal docente o dal libro di testo.

Certamente la didattica operativa va contro qualunque ipse dixit e qualunque trasmissione dogmatica del sapere, ma non elimina affatto la certezza da verifica o da scelta fideistica, purché consapevole.

11) Se è così stimolante ed efficace perché non si è diffusa?

Perché non ha avuto, finora, adeguate casse di risonanza mediatica e scientifica. E la pratica formativa si è scontrata con un mondo accademico per lo più indifferente se non ostile e con una classe insegnante piuttosto disorientata e diffidente.

12) Non c’è il rischio che ogni nuovo insegnante che la usi, la modifichi o la distorca nel suo significato e nel suo valore?

Il rischio c’è sempre, vale per ogni tecnica. Ma è implicito proprio nella tecnica di analisi del mentale il confronto sui risultati tra studenti e insegnanti e tra insegnanti stessi.

13) Eliminando o dimostrando inconsistenti certe domande o problemi non si toglie prestigio al sapere più complesso?

No, in quanto ogni errore è visto come momento importante per la storia dell’umanità. Semmai ad essere demitizzati e perdere di prestigio potrebbero essere quanti si sono serviti degli errori per ragioni egoistiche di interesse e di potere.

14) I ragazzi che la incontrano e praticano con alcuni insegnanti non si troveranno in difficoltà o diventeranno insofferenti e saccenti di fronte a un insegnante che non la conosce e non la pratica?

Basterebbe che il nuovo punto di vista non venga comunicato come la verità, ma come una alternativa che riesce a spiegare meglio e più di altre da rispettare nei loro limiti.

Sono convinto quindi che una didattica di consapevolezza operativa è possibile, anche in modo non sistematico, anche con funzione ri-motivante e di recupero di contenuti e metodo di studio, anche nella confusa cucina della scuola italiana d’oggi, e che ignorarla, trascurarla ancora o arrendersi alle piccole e grandi difficoltà di ogni giorno sarebbe non un, ma in accordo con la passione di Anna dei miracoli, se non il vero peccato… almeno un gran peccato!

 

Bibliografia

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Filmografia e materiale audiovisivo

AAVV. (9-12-1984). Ascolto dunque penso [materiale audiovisivo]. Italia: DSE RAI

AAVV. (1972). Controcampo. Cosa insegnare? [materiale audiovisivo]. Italia: Rai teche.

Coe, F. (producer), Penn, A. (director). (1997). Anna dei miracoli [motion picture]. United States: Playfilm Production.

 

Sitografia

Ceccato, S. (1992). Come scrivi oscuro! (bis). Working papers, 30, 1. Consultato da www.methodologia.it.

Cernetti, C. (2012). Contro la crisi, elogio degli eroi. Consultato da http://www.corriere.it/cultura/12_novembre_30/

 

Note sull’autore

 

Gianclaudio Lopez

Istituto di Stato per la Cinematografia Rossellini, Roma

jeanclop@alice.it

Esperto in formazione e didattica, scrittura giornalistica, conduzione televisiva e drammaturgia. Docente all’Istituto di Stato per la Cinematografia “Rossellini” in Roma, formatore per il Centro Teatro Educazione dell’ETI, ha collaborato per anni con la Rai per la realizzazione del programma culturale Geo&Geo. Ha approfondito lo studio dell’opera di Silvio Ceccato con il quale ha partecipato ad attività seminariali di formazione della Scuola Operativa Italiana, realizzando esperienze di didattica operativa nella scuola elementare, media e superiore.

 

Note

  1. Anna dei miracoli, Film, USA 1962, regia di Arthur Penn.
  2. Mi ha sempre colpito la considerazione in chiusura, a piena pagina di S. Ceccato, Cibernetica per tutti, Feltrinelli, Milano, 1968: “questo volume non ha pagato i pedaggi all’amministrazione della filosofia e della scienza”.
  3. Come: mente, pensiero, linguaggio, emozione, percezione, illusione, ritmo, spiegazione, parte, tutto, niente, nulla, e, o, ma, con, inizio, fine, giusto, bello, ritmo, uguale diverso, numero, punto, linea, striscia, superficie, universo, guerra, pace, astratto, concreto ecc. cfr. Il maestro inverosimile. Prime esperienze, Seconde esperienze, Bompiani, Milano, 1971,1972; ripubblicate con commenti ne Il Punto.1-2, sulle esperienze vecchie e nuove del maestro inverosimile, IPSOA informatica 1980 ; La linea e la striscia, il testamento pedagogico del Maestro inverosimile – postumo – (Pier Luigi Amietta e S. C.), (incontri con gli alunni della scuola elementare Emanuele Muzio di Milano tra il 1976 e il 1978, trenta lezioni-dialogo trascritte, FrancoAngeli, 2008.
  4. S. Ceccato, Mille tipi di bello, intervista sulla scuola, a cura di Gianclaudio Lopez, Stampa alternativa,1995 p.19; Con le stesse parole pronunciate nella trasmissione Controcampo, Cosa insegnare? 1972, Rai teche; Vedi anche: Dalla cibernetica ad una nuova didattica, La Comunicazione Educativa, Vita e Pensiero, Pubblicazioni dell’Università Cattolica, Milano, 1975, pp. 10-53 ripubblicato in Ipotesi e Supplemento, 1977, pp. 2-27.
  5. Controcampo ,Cosa insegnare? 1972, Rai teche; Vedi anche: Dalla cibernetica ad una nuova didattica, La Comunicazione Educativa, Vita e Pensiero, Pubblicazioni dell’Università Cattolica, Milano, 1975, pp. 10-53 ripubblicato in Ipotesi e Supplemento, 1977, pp.7,8
  6. Cfr L’elogio del ripetente di Eraldo Affinati dove buon senso, sensibilità umana e talento didattico e comunicativo riescono a affrontare il quotidiano di alunni e classi difficili o impossibili anche senza far ricorso a “nuove tecniche” didattiche.
  7. Tentativi in questa direzione si possono considerare: Ceccato, S. & Zonta, B. (1980). Linguaggio, consapevolezza, pensiero. Milano: Feltrinelli; Ceccato, S. & Oliva, C. (1988). Il linguista inverosimile. Milano: Mursia.
  8. Ciberiade è il nome giocoso che i bambini della scuola elementare di Via S. Giacomo, 1 a Milano diedero alla città fatta di nuove idee che Ceccato fece loro conoscere nei suoi incontri, raccontata con loro testi e disegni nel numero speciale di Settepiù, giornalino scolastico allegato in copia a Ipotesi, periodico culturale di informazione critica, Rapallo, anno 3, n. 5-12 1977, e anno 4 n.1-5 1978.
  9. Cfr. Ceccato, S. (1985). La macchina che recita finge e mente. In Ingegneria della felicità (pp. 114-117). Milano: Rizzoli e gli approfondimenti anche di sperimentazione sul gestuale in Amietta, P. L., & Magnani, S. (1998). Dal gesto al pensiero. Milano: Franco Angeli (pp. 183-194).
  10. Ma alcuni, come Guido Cernetti, non convengono: cfr. Contro la crisi , elogio degli eroi, http://www.corriere.it/cultura/12_novembre_30/.
  11. Ascolto dunque penso, DSE RAI, 9/12/1984.