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Il primo risveglio

The first awakening

di

Silvio Ceccato

Abstract

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Silvio si svegliò. Cecilio era scomparso nel nulla. O meglio, era stata la Voce che si era fatta interna. Un impegno, una volta aperta la strada?

 

Dopo il “sonno di lavoro”, Silvio era stanco. Ma, sapeva, l’entusiasmo sarebbe tornato.

 

Per prima cosa doveva fissare in un quadro il ricordo dell’avventura, parte critica e parte costruttiva. Sia il raddoppio del percepito all’interno, sia quello del contenuto mentale all’esterno, erano stati allontanati. Fra l’altro, di quell'”esterno” e “interno” era stata mostrata la irriducibile metaforicità. Sì, la strada era aperta. Cammina!

 

L’uomo aveva camminato. Ora bisognava ripercorrere consapevolmente il cammino. Forse sarebbe riuscito a provare che il “verbo”, quel verbo che lo aveva intrigato da bambino, non era stato pronunciato all’inizio degli uomini sulla terra, “In principio era il Verbo”, ma alla fine. Il passaggio dall’uomo-animale all’uomo-uomo, sino al sapiens, anzi al sapiens-sapiens. Beh, gli bastava anche un solo uomo che pensa e parla, a fornirgli il materiale di inchiesta.

 

Aveva ancora vivide, translucide le sue proposte di scrittura. Doveva fissarle subito, prendendo carta e penna. Avrebbe passato in rassegna le conquiste della notte liberatrice: gli strumenti ora in suo possesso e dei quali prima di lui forse nessuno aveva mai potuto disporre. Li avrebbe applicati.

 

La genesi

Lo colse una ambizione. Avrebbe scritto una Genesi: la storia di questo uomo vecchio-nuovo, di una mente inizialmente forse fusa con il corpo, tante attività intrecciate e progressivamente separate in mente, soma e psiche. Sino a collegare ed a contrapporre le parole e le cose nominate. E quel “verbo”!

Era buffa la storia del “verbo”. Circolava la convinzione, od almeno la voce, di quella parola di Dio infusa con lo spirito negli uomini. Una lingua sola e si capivano tutti, senza le nostre traduzioni, differite o simultanee. L’uomo che parla era dato per scontato.

Per ritrovare un interesse linguistico bisognava rivolgersi alle scimmie, ai delfini, alle api. Questi studi, sì, erano interessanti e seri, e meritavano i finanziamenti. Anche per il cane ed il gatto, ed il loro parlare domestico, l’interesse si era affievolito. Per ridestarlo occorreva l’animale nuovo, non ancora trovato.

 

L’ospite sgradito

Gli sorse un dubbio. Gli uomini avrebbero gradito questa sua consapevolezza? L’avrebbero rintuzzata? Essi, però, avevano anche ragione. Amavano la fisica, per i suoi straordinari successi, ed anche perché erano stati delusi per millenni dagli studi mentali. Meglio sbagliare con il corpo, riprendibile, correggibile.

E poi, pensare, far pensare… È come chiedere ad un adulto di cambiare il suo passo, il suo sorriso. Dopo i venticinque anni, è più facile scrivere un libro che non leggerlo. Mah!

Sorrise al ricordo dell’amico biologo, che gli aveva telefonato dall’America, premuroso e trionfante, la notizia che con il microscopio elettronico in quel Paese erano riusciti ad osservare i “concetti”. Un altro gli aveva addirittura fatto visita per informarlo della scoperta di cellule delegate al riconoscimento del triangolo, quadrato e pentagono. Chissà! Forse anche del dodecaedro. Questo gli sembrava davvero buffo. Gli era stata mostrata persino una mappa, opera di un super-competente di teste, il neurofisiologo dei nostri tempi. (Vedi fig. 1 ).

Come privarne i curiosi, gli appassionati?

Si sarebbero sentiti defraudati, offesi: “Questo Silvio è male informato”.

Nel cervello, più metti il microscopio, e meno trovi di mente.

 

La Tavola di Silvio

Elencò in una Tavola le conquiste del sogno (“tutto ciò che Silvio sa”, egli si diceva scherzando). Nel sogno, tuttavia, i singoli punti erano più confusi ma più promettenti. Si sarebbe visto:

  1. Fra le attività separate nell’uomo, ed anche nell’animale, una distinzione appare di grande importanza. Si dispone di un’attività con la quale si modificano le cose, come quando si impasta il pane; e di una attività con la quale si costituiscono le cose, come quando si contano i pani.

 

La prima, al cessare, lascia un segno. La seconda no. Per esempio, del legno bruciato resta la cenere; ma nel contare i pani, 1, 2, 3, o I, II, III, dei pani non cambia alcunché.

  1. Anche nell’operare costitutivo si può parlare di una attività e dei suoi risultati. Si tratta però di una distinzione che concerne l’operare in corso, in fieri, e l’operare compiuto, in facto.

 

L’attività è attenzionale, mentale. I risultati sono (in ricordo di Immanuel Kant, che ne colse alcuni) le “categorie mentali”, o semplicemente le “categorie”.

  1. Nella percezione, l’attività attenzionale si applica all’operato di altri organi, e dà luogo ai percepiti, è presenziatrice; quando lo precede dà luogo alle rappresentazioni, è presentatrice.
  2. Come ogni altra attività, nell’organismo in cui tutto si tiene, essa, può venir considerata sia motrice che mossa, secondo una rete di dipendenze ed interdipendenze.
  3. In particolare questa duplice direzione interessa la parola, in obbedienza agli impegni semantici: motrice nella parola, nell’espressione; mossa nella parola, nell’ascolto, nella comprensione.
  4. L’attenzione corrisponde ad un organo pulsante, che fornisce le unità discrete degli “stati di attenzione”, o “attentivi”, o “attenzionali”. La loro durata si aggira sul mezzo secondo, oscillando dal decimo di secondo al secondo e mezzo.
  5. Soprattutto oltrepassando queste durate si avvertono ripercussioni sul resto dell’organismo, per lo più spiacevoli.
  6. La localizzazione spaziale dei risultati dell’attenzione combinati con l’operato di altri organi, li rende fisici; ripresi dalla localizzazione nel resto dell’organismo, li rende psichici (un chiarimento sarebbe venuto in seguito).
  7. Gli stati di attenzione possono venire combinati fra loro, nelle categorie mentali.
  8. Le categorie mentali sono quindi analizzabili in questi stati, loro numero, moduli di combinazione, e ordine di ingresso.
  9. Partendo dalla parola, l’analisi del suo significato per lo più non si esaurisce in questi stati di attenzione.
  10. Sia per la combinatoria degli stati di attenzione, sia per la loro applicazione all’operato di altri organi, la mente deve disporre di una sorgente di energia (energia nervosa?).
  11. L’unità della sorgente garantisce la cosiddetta “unità di coscienza”.
  12. Fra le variabili dell’energia attenzionale figura l’intensità. Fra le variabili degli stati e delle combinazioni, la loro durata.
  13. L’operare trasformativo e quello costitutivo all’inizio dovevano essersi svolti unitamente, simbioticamente, e dovevano essersi separati soltanto in seguito, come operare mentale, fisico e psichico.
  14. Si deve all’attività attenzionale, e non alla percezione, la nascita della negazione, che dev’essere quindi preceduta da una positività.

 

Si trattava di appunti, provvisori, affinché il ricordo del sogno non si dissolvesse.

 

Neurologia, meccanica, calcolo

Il programma di analisi impostato da Silvio, prima e dopo il sogno che lo aveva reso realizzabile, partiva dal presupposto che chi parla esegue le operazioni costitutive del significato delle parole pronunciate e comprese. Il bambino apprende quelle parole in concomitanza con lo svolgersi di queste operazioni.

Certo, tutto sarebbe avvenuto senza alcuna consapevolezza. Ora però lo studioso le avrebbe messe in luce. Tutto qui.

Solo una volta individuate queste operazioni, fra l’altro, era possibile considerarle quali funzioni di organi e passare ad una loro individuazione in termini di anatomia e di fisiologia.

Il programma di analisi non conteneva questa possibile espansione e, fra l’altro, sarebbe stato ben difficile[1] far dirigere allo specialista, orientato in direzione fisicalistica, la consapevolezza del mentale. Così avrebbe continuato a cercare le funzioni mentali nel[2] funzionamento fisico degli organi. Per esempio, l’arbitrio nei bottoni sinaptici. Né Silvio aveva più l’età per far proprie le conoscenze necessarie di anatomia e fisiologia.

Comunque, i tentativi in direzione collaborativa erano falliti.

Di una cosa Silvio si sentiva sicuro: se una parola è stata introdotta ed adoperata prima degli studi del neurologo, è escluso che si riferisca a ciò che egli ha scoperto in seguito alle sue osservazioni.

Deve quindi trattarsi di una attività svolta dalla mente, costitutiva, ben presente anche senza averne la consapevolezza, all’introduzione della parola adoperata.

Questo a cominciare da “mente”, “pensiero”, “percezione”, “rappresentazione”, etc.

 

Il sentire

Silvio era stato molto attratto dal campo del sentire. C’è un “caldo” e un “sento caldo”. Nel “sento caldo”, il caldo è psichico?

C’erano i problemi dell’ambiente. L’ambiente come percepito, l’ambiente come oggetto di applicazione di una nostra energia fisica, di una nostra energia mentale, della trasformazione inconscia e della trasformazione voluta. Volontà cosciente ed incosciente.

Questa mente, soggetto assegnato all’attività attenzionale, era emittente e ricevente, era ricevente di ciò che aveva emesso ed emittente di ciò che aveva ricevuto.

Nei suoi incontri con gli specialisti Silvio aveva ottenuto soltanto un consenso di “plausibilità”. Sì, le cose potevano stare così. Ma, come agganciare ad una base organica il singolo stato di attenzione e seguirne le combinazioni? Gli intrichi di intensità, durata, linee monodiche e polifoniche, giochi temporali e di ordine?

Per la plausibilità, bastava una raffigurazione della cellula, con il nucleo, le fibre afferenti e deferenti, etc. (Vedi fig. 2).

Anzi, la raffigurazione di qualsiasi meccanismo motore-mosso, prima assunto isolatamente e poi collegato in contesti sempre più ampi. Considerato quale sistema o quale organismo, acquistava una funzione globale suddivisa in più, ognuna quindi con un funzionamento ed una funzione convergenti.

Nell’uomo, prima la sua testa, il suo sistema nervoso centrale, poi periferico, poi l’intero organismo, poi, al di là della pelle qualsiasi ambiente, dalla stanza alle stelle. Un uomo al centro dell’universo, cioè di tutte le cose che egli si riuniva intorno, ed un universo incentrato nell’uomo.

Silvio era attratto dal facile raffronto fra le catene neuroniche ed i suoi nuclei combinatori. La prima volta ne era stato colpito, leggendo da ragazzo gli studi di Lorente de No. (Vedi fig. 3).

Come non pensare, per la prima catena al secondo nucleo combinatorio, del circuito in serie, dello stato di attenzione mantenuto all’aggiunta di un altro:

S – S

e come non pensare, per la seconda, al quarto nucleo,

S S ?

Raffronti forse dilettanteschi. Ma a Silvio bastavano le suggestioni che sprigionano dai raffronti. Egli non aveva alcuna intenzione e capacità per immergersi in quei domini.

Tutto doveva avvenire per via mentale. Per esempio chi dice “3”, riesce ad isolare le operazioni componenti, la strada percorsa per giungere a quel risultato? E se dice “III”, “trio”, “terzetto”, etc.?

Anche passando ai percepiti, si distingue una testa di cane da una di gatto, di lepre. Avviene forse di colpo; ma si è poi in grado di indicare le particolarità di ognuna. Come si corregge una analisi trovata sbagliata?

Importante, tuttavia, almeno per ora, era la dimostrazione della possibilità di una analisi del mentale e di una sua correzione. La ricerca di una base organica, vecchissimo sogno dello studioso era compito di altri, lui lo stava rendendo possibile.

Becker non avrebbe più potuto dire: “Non c’è alcuna ipotesi fisiologica che possa spiegare l’origine e le forme temporali della vita mentale; non c’è in verità alcuna ipotesi che possa nemmeno fare intravedere la possibilità di una tale spiegazione”.

 

Meccanica

Comunque, era aperta la strada che portava alla meccanica, alla mente artificiale, alla macchina cibernetica, e più precisamente alla macchina “logonica”. Nella cibernetica rientrano infatti tre branche: a) Copia dei risultati ottenuti dall’uomo senza tener conto della strada percorsa nell’ottenerli, o “automazione”; b) Copia dei risultati dell’anatomia e fisiologia del corpo umano, o “bionica” (da bios); c) Copia dei risultati ottenuti dall’analisi del mentale, o “logonica” (da logos).

Ovviamente si doveva scegliere come rappresentare nella macchina l’unità di partenza, l'”atomo” attenzionale. Non pretendendo da esso alcuna prestazione di collegamento con altro, la scelta era svariata: unità elettrica, pneumatica, idraulica, etc.

Fissare l’organo nel fabbricare la macchina è più semplice che non individuarlo con l’osservazione. Nella macchina, infatti è possibile tenere separato, per esempio, l’operare della macchina dalla sorgente di energia che la muova o che, tolta, l’arresti. Nell’organismo, l’individuazione dell’organo richiede il suo isolamento, spaziale per l’anatomia, e temporale per la fisiologia.

Silvio pensò ad un modello elettromeccanico di operazioni mentali, che fu chiamato Adamo II: vedi fig. 4. L’unità era rappresentata da un circuito elettrico aperto e chiuso, reso manifesto da lampadine accese e spente. I risultati si distinguevano per il numero degli stati della combinazione, e per il loro ordine di ingresso. Il combinatore era affidato a selettori a rotazione opportunamente programmati.

Silvio, e chi collaborava con lui, l’ingegnere Enrico Maretti, presentarono il modello un po’ emozionati, nel 1956. Erano contenti del loro lavoro, del vedere i pensieri prendere corpo (come il compositore emozionato la prima volta che le sue note, sgorgate dall’animo e fissate sulla carta, prendono corpo sonoro nella prova d’orchestra). Era avvenuta anche la prima sorpresa. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche aveva sollevato obiezioni ed ostacoli alla presentazione del modello alla Mostra dell’Automazione e Automatismo al Museo della Scienza e della Tecnica, a Milano. No, chiaramente non era desiderato. Soltanto la forza economica ed industriale dell’IRI, che aveva affittato lo spazio per conto della loro rivista, Civiltà delle Macchine, alla fine era prevalsa.

Incuriosì il pubblico dei visitatori, ed i giornali se ne interessarono.

Finita la Mostra, Adamo II doveva essere trasferito a Roma, alla sede della rivista. Non vi giunse mai; né fu fatta alcuna mossa per rintracciarlo. Quando un anno dopo esso fu richiesto per un’altra Mostra, all’EUR di Roma, al suo posto fu inviato lo spezzone televisivo, 12 minuti, girato a Milano. Anch’esso sparì, senza lasciare traccia.

Avremmo fatto noi qualcosa di così importante da suscitare tanta ostilità?

Non montarti la testa, Silvio, e non guardarti indietro, va avanti, va avanti.

Con qualche soldo americano e dell’Euratom, mi accinsi a progettare e realizzare un “cronista in miniatura”: vedi fig. 5. Ai primi riconoscimenti, i soldi furono sospesi.

Quale virus minacciava? Chi?

Sui due fronti si trovano presumibilmente:

  1. La trascendenza, soprattutto quella di valori religiosi, ideologici e giuridici, frutto di un filosofare conscio ed inconscio, di garanzia dell’assolutezza di risultati. È questa trascendenza ad essere minacciata dall’operare che legava [3]tre gradi di libertà, operare in qualche modo, ottenendo quei risultati, non operare, e vederli scomparire, operare diversamente, ottenendone altri, contiene anche l’invito ad una responsabilità. Chi la vuole?
  2. Tanti successi, riconoscimenti e glorie, intaccati.

Calcolo

All’inizio Silvio analizzava i contenuti mentali nei singoli stati di attenzione limitando la combinatoria al modulo della somma, il “+” dell’aritmetica, ed al raggruppamento binario. Ma spesso, anche nelle prime analisi, aveva l’impressione che la tavolozza fosse povera. Non riproduceva certe ricchezze avvertite, e soprattutto partendo da parole differenti, in qualche caso, i risultati coincidevano confusi.

Soprattutto un termine come “coscienza” scompaginava le carte: l’impressione era di un’attenzione che ritorna su se stessa.

Fu allora che, con il consenso della neurologia e della meccanica, Silvio si accinse ad apprestare le cinque possibilità combinatorie maturate nel sonno.

Tutte le cose designate vi avrebbero trovato posto? Calcolate a freddo quante e quali erano? Era impossibile che non venisse in mente la serie degli elementi di Mendeleev, con un arresto, sia pure anch’esso provvisorio, dovuto al numero di stati combinati. Silvio pensò di fermarsi a dodici. In un numero di stati maggiore si avrebbe avuta la spaccatura correlazionale del pensiero.

Già così, quante combinazioni? Anche eliminando programmaticamente l’intensità e la durata degli stati. Già con tre stati si arriva a settantacinque:

 

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Il seguito:

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Miliardi!

 

Silvio era sconcertato.

O O

Certo restava sempre problematica la corrispondenza di una certa parola con l’operare designato. Intanto, la simbiosi si era attuata da millenni. Le singole parole erano entrate a costituire i molteplici contesti, e questi a loro volta avevano contribuito ad arricchire il significato delle singole parole. La parola, cioè, era stata adoperata in occasioni ben differenti da quelle originarie, e ne aveva “risentito”. Poi, nell’espressione orale non erano soltanto le lettere dell’alfabeto in quella combinazione a rispondere del significato. Si aggiungevano le accentuazioni, le pause prima e dopo la sua emissione. L’uomo si esprime per eccellenza con la parola, ma essa è presente soltanto come la punta di un iceberg.

Certe scritture come quelle musicali, agevolano la comprensione di queste differenze. Ma i differenti sistemi di riferimento, possono rovesciare l’intendimento, l’uso. Per esempio, una stessa nota in una scala, può avere valore ascendente, ed in un’altra discendente. Solo nelle espressioni simboliche, i termini vengono definiti in modo da possedere un significato unico, ove il “più” diventa un “+”, il “meno”, un “-“.

Così, nello studio della semanticità attenzionale si teneva conto più dello scheletro che del corpo.

Bastava pensare alla parola “attento”. Indicava la semplice entrata in gioco dell’attenzione? O già un risveglio, o un mettere all’erta, od un richiamo. Si poteva avere la più semplice cronaca, in una frase come, “Non stava attento”, ma poi c’era l'”attento!” dell’imperativo, l'”attento…” della domanda, e poi l’ironia od il sarcasmo, infine un “attento” di circospezione, “at-tento”.

Nell’originario modulo di analisi, l'”ecco” si confondeva con l'”inizio”: i due stati di attenzione isolati seguiti da due combinati fra loro.

Un’esperienza semplice ed interessante si otteneva proprio da quell'”ecco” fatto seguire, e quindi di anticipazione, da una cosa positiva o da una negativa. Un “ecco” proiettato in avanti in un contesto come “ecco apparire i meravigliosi giardini” ed “ecco apparire le fumanti rovine”. Il primo “ecco” si espande, come è proprio dei valori positivi, il secondo si ritrae, come è dei negativi.

Quali “additivi” fisici e psichici, etc., distinguono i vari “ecco”? E se poi il flusso attenzionale non fosse solo “ad una voce”, ma polifonico?

L’abbondanza delle combinazioni attenzionali poteva preoccupare per la facilità di affidare all’una od all’altra l’esiguo numero delle parole-cose nominate. Il ricordo del personaggio di una commedia di Achille Campanile faceva sorridere. Un’Accademica per la Storia conosceva tutte le date. “Ne dica una, anche antica”. Rispondeva subito: “1311 a.C.”. Soltanto, essa non sapeva mai che cosa fosse successo.

Nel programmare una semantica, sarebbe stato opportuno distinguere almeno due modi di operare. Quello strettamente combinatorio, indispensabile per collegare la parola alla sua combinazione designata, e quello che l’avrebbe eventualmente accompagnato, seguito. Il primo più fisso, diffuso. Il secondo più originale, personale. Silvio chiamò: il primo “costitutivo” ed il secondo “consecutivo”. Così come si può decidere che il viaggio si fermi per esempio a Firenze, ma una volta a Firenze, che il viaggio continui.

O O

Ancora una volta, comunque, era forse utile che Silvio riprendesse tutto da capo, rivedendo le sue conquiste.

In primo luogo ovviamente veniva l’attenzione.

Ne erano state individuate le due funzioni principali:

A) quella di rendere presente mentalmente l’operato di altri organi, funzione suddivisa in presenziatrice, nella percezione, O&S, e presentatrice nella rappresentazione, S&O; e quella di cancellarla, O(S; B) quella di comporre le “categorie”, cioè le combinazioni di puri stati attenzionali, o attentivi, adoperabili sia da sole, sia applicate.

Dell’attenzione era stato assunto quale “atomo” lo stato di attenzione, isolato, vuoto, puro:

S

L’attenzione si rivelava funzione di un organo pulsante, con unità discrete che vanno, nei tempi “normali”, dal decimo di secondo al secondo e mezzo. Oltrepassati, se ne avvertivano ripercussioni sui circoli del respiro, del sangue, della conduzione cutanea, dei succhi gastrici, etc. A loro volta, essi, con una loro eccezionalità, sollecitavano l’attenzione.

L’attenzione, all’inizio della nostra vita, deve operare in simbiosi con il resto dell’organismo. Poi si stacca ed è allora che può sollecitare il resto dell’organismo, od esserne sollecitata. Siamo sorpresi e reagiamo: “che puzza!”, “che profumo!”. L’attenzione è così all’origine della sorpresa, ed anche della disattenzione. È l’attenzione di cui gli anatomo-fisiologi parlano spesso, di “processi attentivi” o “attenzionali”.

Allo staccarsi dell’operato di altri organi, l’attenzione ne fornisce la negazione.

Il singolo stato di attenzione assolve così anche alla funzione di “sgomberare la mente” di ogni contenuto percettivo-rappresentativo, anzi di ogni presenza al di fuori della sua.

Le differenti durate degli stati di attenzione ed anche delle articolazione percettive permettono la più grande varietà quantitativa dei collegamenti.

Così, fissando la durata di un tempo in una successione di note, per esempio tre note, esse potevano sia occuparne uno, le tre insieme, sia uno ciascuna, sia una occupandone due:

 

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Con la conseguenza di una congestione, stress, ingorgo, o di un allentamento, strascicamento, sino allo sbadiglio.

Appariva così sempre più chiaramente come le ripercussioni dell’operare mentale sul soma concorressero a dar vita alla psiche. La classica tripartizione dell’uomo in mente, corpo e psiche trovava la sua giustificazione: la psiche appariva quale effetto del mentale ripreso nel soma.

O O

Ora lo stato di attenzione veniva combinato con altri. Silvio si era servito della sua sensibilità analitica e cercava un aiuto anche nelle scritture, per lo scambio ben noto che si effettua fra la parola orale e scritta e fra queste e l’operare della mente.

Intanto avrebbe scritto, una dopo l’altra, ad eguale distanza una serie di S:

S S S S S S S S S

Nel programma di analisi, di composizione-scomposizione delle “categorie”, gli stati di attenzione andavano individuati: a) per numero, b) per ordine di ingresso nella combinazione, c) per i moduli combinatori adoperati.

Il procedere delle analisi avveniva almeno in tre stadi. 1) La prima impressione, nell’accingersi dell’analisi, 2) l’impressione ripetuta e controllata nella sintesi, nella ricostruzione, 3) i vari controlli di plausibilità, soprattutto ricorrendo agli esempi applicativi.

I due stati di attenzione, combinati nei cinque moduli, avrebbero fornito i nuclei, i pilastri, l’impianto dell’analisi. Intanto, come si era visto, gli S si sarebbero susseguiti indipendenti gli uni dagli altri, ognuno per sé, prima di ogni combinazione: “attento”, “attento”, “attento”, etc.

Subito, la combinazione avrebbe seguito le due possibilità opposte:

  1. I due stati combinati dopo una produzione indipendente

S / S

  1. Il secondo prodotto attraverso il primo:

S – S

Le due modalità circuitali, in parallelo ed in serie, sembravano reggere, ed anche le conoscenze neuronali.

Si aggiungeva un’esperienza. Va da sé che se il primo stato resta solo, non possa applicarsi né all’operato di altri organi, né a sé stesso. Non ha luogo cioè alcun presenziato. Ma questo non accade nemmeno se nella combinazione compare il secondo stato isolato. Si genera così una negazione interna della presenza, presente il flusso foriero di negazioni: “no”, “non”, “non c’è”, e simili.

Avviene il contrario se lo stato di attenzione precedente è mantenuto con il successivo, applicato a questo. L’attenzione riempie sé stessa nel modo più povero. Anche la parola che designa questa combinazione sarà la più povera di significato in rapporto alle altre.

Si era visto che questa parola era “cosa”, da parola appunto che non vincola in alcun modo la risposta nella domanda che la contiene.

Un’esperienza sempre valida consisteva nell’iniziare con un “attento!”, facendovi seguire la parola “cosa”. Chiamando in gioco il mondo percettivo si poteva cominciare e continuare a fischiare sovrapponendo al primo un secondo fischio. Silvio premeva un tasto del pianoforte e, senza staccare il dito, con un secondo ripremeva quel tasto. Certo non l’orecchio ma la mente ottenevano la “cosa”.

Dopo la combinazione dei due stati indipendenti, si procedeva applicando il primo al secondo. L’impressione era quella dell’azione, dell’apporto, energia, spinta, pulsione, impulso, bisogno, desiderio, interesse, dare, mettere, emettere, etc.

S S

Dopo la combinazione dei due stati indipendenti, si procedeva applicando il secondo al primo.

S S

L’impressione era quella di una presenza di sé a sé, un riprendere, cogliere, sentire, attingere, forse proprio la “coscienza”.

“E fu la coscienza”.

Infine, dopo la combinazione dei due stati indipendenti, si procedeva con la fusione dei due.

S + S

L’impressione era quella dell’unione, dell’accoppiamento, penetrazione, materia, arresto.

Nuclei di base, naturalmente, incorporati e nascosti sotto designazioni più ricche. La vita mentale si poteva immaginare quale fiume sotterraneo, e per di più in un impasto con quella percettiva, fisica e psichica, un fiume che poteva affiorare in ogni punto, almeno per la designazione.

Silvio ricordava un bambino che aveva pronunciato distintamente quale prima parola “acqua”, certo sentita ed appresa nei suoi momenti più importanti, del bere, chiesto e ricevuto, dell’immersione nel bagno, etc.

Da quei primi balbettii dei gesti e della bocca erano passati migliaia, milioni di anni.

Forse già i primi risultati percettivi erano stati differenti. Chi nell’abbaiare del cane aveva sentito il “can-can” chi il “dog-dog”, chi il “hund-hund”. L'”esse”, “ssss”, che esce dalla bocca era finito sia nel soffiare, espirare del vento, sia nel frusciare del serpente, nelle sue stesse spire, forse nello sparare e nello sparlare. Silvio era stato colpito dalla straordinaria storia della “pupilla”, sia parte dell’occhio che bambina, curiosa duplicità di significato in molte lingue, come il latino, il greco, il cinese, etc. Nei tempi più antichi quando presumibilmente ci si intendeva (più)[4] guardandoci negli occhi che scambiandoci parole, chi comunicava doveva aver visto sé stesso, impicciolito e riflesso nell’occhio dell’interlocutore.

Era allettante anche l’ipotesi che le parole avessero attinto tanto dall’uso della bocca e del fiato, lingua, labbra, palato, da portare ad una grande spartizione tra le due attività fondamentali di ogni vivente: il passaggio di qualcosa dall’esterno all’interno e dall’interno all’esterno, privilegiando le vocali per il primo e le consonanti per il secondo. Il primo così ben illustrato per esempio in un “in”, “entro”, ed il secondo in “sputare”, “sprout”, “spucken”, etc., operazioni certo eseguite prima di ogni lingua costituita.

 

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Note

  1. Cancellata la congiunzione “sia” presente nel testo originale.
  2. Nel testo originale la preposizione era “del”, corretta con una nota a margine scritta a mano.
  3. Sottolineato a mano nel testo originale.
  4. Aggiunto a mano a margine nel testo originale.