Tempo di lettura stimato: 23 minuti
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La storia di Desdemona: una psicoterapia con approccio PCP

The story of Desdemona: psychotherapy conducted with a PCP approach

di

Massimo Giliberto

Institute of Constructivist Psychology, Padova

 

Traduzione a cura di

Alessia Ranieri e Alessandro Busi

Abstract

Il presente lavoro si offre come l’esplorazione di una relazione cliente-terapeuta e la storia delle loro esperienze nel contesto della psicoterapia. Attraverso la narrazione del caso di una donna vittima di violenza domestica – che ha ripetutamente scelto uomini violenti come partner – viene indagato come, usando la Psicologia dei Costrutti Personali, il terapeuta possa comprendere la sua cliente e come questa comprensione canalizzi nuovi esperimenti nella stanza della psicoterapia e quindi nella vita della cliente stessa. Viene esplorato inoltre come queste nuove esperienze contribuiscano a cambiare costrutti identitari della cliente, aiutandola a muoversi dal ruolo di vittima per riprendersi la propria vita.

This presentation is an exploration of a client-therapist relationship and the story of their experiences in the context of psychotherapy. Through the case of a female victim of domestic violence – who repeatedly chose violent men as partners – it is an investigation into how, using Personal Construct Psychology, the therapist understands his client and how this understanding channels new experiments in the psychotherapy room and in the life of the client. It also explores how these new experiences contribute to changing the client’s identity constructs, helping her to change from the role of ‘victim’ to taking her own life back.

Keywords:
Socialità, ruolo, psicoterapia, esperienza, violenza domestica | sociality, role, psychotherapy, experience, domestic violence
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1. Introduzione

“Sviluppare socialità” non è soltanto il titolo della XIV Conferenza Biennale dell’Associazione Europea dei Costrutti Personali a Edimburgo; capire le costruzioni altrui, il loro sguardo, la loro comprensione di se stessi, degli altri e del mondo è – secondo la PCP – il focus principale della psicologia e, ovviamente, della psicoterapia[2]. Kelly (1991) considera lo sforzo di comprendere il punto di vista degli altri come “la base dell’interazione sociale” (p. 67). Ma, come Kelly stesso sottolinea, “ci sono diversi livelli a cui è possibile comprendere ciò che gli altri pensano” (ibidem) e, io aggiungo, fanno.

La relazione terapeuta-cliente è caratterizzata da una maggiore comprensione da parte di uno dei due membri. Man mano che un terapeuta arriva a sussumere il sistema di costruzione del cliente entro il suo, diventa sempre più facile sviluppare il proprio ruolo in relazione al cliente, permettendo che quest’ultimo possa operare cambiamenti utili per sé nell’ambito di un’impresa sociale condivisa. (Kelly, 1991, vol. 1, pp. 67-68)

Costruire il sistema di costruzione del cliente in terapia, avendo come bussola il Postulato Fondamentale, significa capire in quali esperimenti egli/ella è impegnato/a, sia nella vita che nella stanza della terapia. Ciò che è significativo per il cliente si pone quindi al centro del laboratorio terapeutico, nel quale il terapeuta cercherà di essere un partecipante attivo “in modo che il cliente, comprendendolo, possa sviluppare una base per comprendere altre figure nel suo ambiente con cui ha bisogno di acquisire delle abilità nel giocare ruoli interagenti” (Kelly, vol. 1, 1991, p. 68).

La storia della psicoterapia che segue è quindi la storia di una serie di esperimenti significativi per la mia cliente; esperimenti che, come in una struttura a matrioska, sono di volta in volta inseriti in altri esperimenti più grandi: imprese sociali condivise chiamate “psicoterapia” e “vita”.

Mi premono ancora due specifiche. In primo luogo, al fine di proteggere l’identità della mia cliente, le ho dato il nome fittizio di Desdemona e ho deliberatamente cambiato alcuni elementi non essenziali della sua storia. Naturalmente, anche gli altri nomi sono stati cambiati. Ad ogni modo, lei è stata informata riguardo a questo mio articolo e ha dato il suo consenso. In secondo luogo, anche se questa storia è presentata per quanto possibile in forma discorsiva e narrativa, uso in qualche punto alcune nozioni kelliane, dando per scontato che il lettore abbia familiarità con questi costrutti tecnici e professionali.

 

2. Breve storia di Desdemona

Quando la incontrai per la prima volta, qualche anno fa, nel mio ufficio presso l’Institute of Constructivist Psychology di Padova, Desdemona aveva 42 anni e mi era stata inviata dal suo psichiatra dopo essere stata ricoverata per circa un mese in una clinica per “grave depressione” e un tentato suicidio. Lo psichiatra mi disse che Desdemona era “un brutto caso di Disturbo Borderline di Personalità”. Desdemona mi era stata descritta come incline a improvvisi cambi di umore e impulsività; una persona con comportamenti e relazioni instabili, nonché con gravi difficoltà nell’organizzazione dei pensieri.

Desdemona era ed è madre di due figli: Antonio e Francesca, a quel tempo di sette e due anni. Era disoccupata e sposata con Lorenzo, un soldato di professione, appena più grande di lei. Bionda, di bassa statura, carina e gentile, indossava una tuta e mi trasmetteva un senso di trascuratezza e fragilità.

Durante la nostra prima conversazione mi disse che la ragione del suo ultimo ricovero era stata il suo tentato suicidio. Mi disse – con qualche difficoltà e solo alcune sedute dopo – che la sua volontà di uccidersi era seguita all’ennesimo abuso fisico da parte del marito[3]. Quest’ultimo episodio l’aveva fatta arrivare alla conclusione definitiva di non essere “in grado di affrontare la vita”.

Desdemona mi raccontò una storia rivelatrice. Lei era la più grande di tre figli e i suoi genitori si erano separati subito dopo la sua nascita. Sua madre aveva poi avuto molti partner e gli ultimi due figli avevano

padri diversi. Desdemona riferì che spesso questi uomini erano fisicamente e verbalmente violenti sia con sua madre sia con lei e che veniva coinvolta nel momento in cui cercava di proteggere – non sempre con successo – il fratello e la sorella più piccoli. La madre alternava comportamenti di protezione e rifiuto. Quando “le cose andavano bene”, mi disse Desdemona, sua madre la trattava come una prostituta. Mi disse: “Forse era gelosa. Mi dava spesso della stupida merda e della fottuta puttana”. Quando “le cose andavano male con i suoi partner”, invece, Desdemona veniva attaccata come se fosse colpa sua, oppure – inspiegabilmente per Desdemona – si ritrovava a dover essere “la madre di mia madre, poiché mia madre era troppo depressa”. Provò anche a ribellarsi a sua madre e alla situazione, cercando altrove “un po’ di sollievo” e qualcuno che l’avrebbe amata, ma questo la portava a “trovare solo uomini violenti che volevano cose da me” e “persone crudeli”. Perciò, ogni volta che se ne andava da casa, si sentiva poi costretta a tornare. Per di più, per un periodo aveva abusato di sostanze e alcol, fino a quando aveva incontrato suo marito, Lorenzo. Desdemona sposò Lorenzo sei anni prima del nostro incontro, quando il loro primo figlio aveva un anno. Molto presto anche “Lorenzo ha mostrato il suo vero sé” e ha iniziato ad essere violento. “Forse”, lei ipotizzava, “dal momento che io mi sono presa cura di nostro figlio, lui si è sentito ignorato e trascurato da me”.

 

3. Che tipo di approccio?

Il modo in cui ho presentato questa storia potrebbe essere usato per mostrare i problemi di Desdemona da molti punti di vista. In questo caso, vorrei illustrare in modo conciso come potrebbe essere condotta la psicoterapia in prospettiva PCP. Per fare ciò, può essere utile sottolineare alcune caratteristiche che differenziano questo approccio da altri.

a) In primo luogo, non ero assolutamente interessato a una “diagnosi corretta” del caso. In effetti, la diagnosi kelliana è molto diversa dalla diagnosi del DSM: non è semplicemente un modo per incasellare la persona in una costellazione di sintomi, ma piuttosto un tentativo di comprendere formalmente i processi di costruzione di quella persona. Quindi, come clinico, ero interessato allo specifico mondo di Desdemona, piuttosto che a ciò che lei avrebbe potuto avere in comune con altre persone, o ai suoi sintomi.

b) In secondo luogo, una delle nozioni fondamentali in PCP è quella di costrutto. È importante ricordare che un costrutto è un’azione, non un pensiero o una cognizione. Ciò implica che un costrutto si riferisca a se stesso e non sia collegato in maniera esplicativa ad altri elementi come “emozioni” o “percorsi neuronali”. Ciò implica inoltre che la psicoterapia non si concentri né sulla relazione tra i presunti sottosistemi[4] del cliente, né tantomeno sulla coscienza razionale, ma sulla sua intera esperienza (Giliberto, 2017). E il primo laboratorio per fare quell’esperienza è la stanza della terapia, la relazione terapeutica. In altre parole, comprendendo i suoi processi di costruzione, volevo fare qualcosa con Desdemona e non su Desdemona (Bannister & Fransella, 1980).

Pertanto, descriverò questo caso senza entrare troppo nei dettagli, mostrando sia alcune ipotesi che un terapeuta può fare sulle costruzioni che Desdemona ha del mondo, di se stessa e degli altri, sia quali esperimenti condivisi possono essere condotti durante una psicoterapia kelliana. In particolare, prenderò in considerazione alcune nozioni professionali: minaccia, allentamento – restringimento, costrizione – dilatazione, impulsività, colpa e aggressività. Sarà inoltre utilizzato il tema narrativo (Bregant, Orlando, Sandri, & Giliberto, 2011) come strumento per comprendere i processi di costruzione di Desdemona e i loro cambiamenti.

 

4. Diagnosi kelliana

 

4.1 Tema narrativo

Prima di tutto, cercai di capire il “colore” di sfondo che – dal suo punto di vista – aveva avuto la vita di Desdemona. Fu improvvisamente chiaro che il mondo per Desdemona era un luogo pericoloso e ostile. Aveva subìto, in maniera ricorrente, violenze e discredito della sua persona. Il rapporto con sua madre era un esempio di questo. Essere chiamata “fottuta puttana” e poi accusata di essere la causa del fallimento delle relazioni amorose aveva suggerito a Desdemona di essere lei stessa una cattiva persona, quindi degna di ricevere abbandono e sofferenza. I suoi tentativi di ribellarsi a questa situazione portavano però ad abbandoni e rifiuti ancora più pericolosi. Ad ogni tentativo di esplorare aggressivamente il mondo, Desdemona aveva trovato, da un lato, la minaccia di un nuovo (forse definitivo) fallimento e, dall’altro, il rischio di perdere la relazione con sua madre, la persona da cui dipendeva. Inoltre, questa struttura relazionale, questa esperienza, si era riproposta, in modo più o meno identico, nella relazione con i suoi partner e, soprattutto, con suo marito Lorenzo.

 

4.2 Il ruolo

Desdemona si stava muovendo su questo sfondo. Doveva trovare una posizione che le avrebbe garantito una sopravvivenza accettabile tra gli altri. I costrutti debole, sottomessa e vittima sembrano essere i ruoli che hanno permesso a Desdemona di gestire le sue relazioni, mantenendo una sufficiente anticipazione degli eventi. In altre parole, questi ruoli le hanno permesso di mantenere le relazioni e dunque garantirsi una protezione. In questa direzione, ad esempio, il suo modo di presentarsi trasmetteva un senso di fragilità e abbandono. Tuttavia, come vedremo in seguito, Desdemona si era costruita in modo allentato, muovendosi continuamente tra essere sottomessa e ribelle, vittima e persona cattiva, quindi era spesso confusa riguardo alla sua stessa natura.

 

4.3 Il filo rosso

A questo punto, ci potremmo porre la seguente domanda: qual è l’esperimento fondamentale in cui Desdemona è impegnata nella sua vita? Kelly (1991) chiama questa impresa costruzione del “ruolo di vita” (p. 170). Ascoltando la storia che Desdemona mi raccontò, emerse come il suo sforzo fondamentale, il fulcro della sua vita nel corso di molti anni, fosse stato conformarsi per essere accettata e protetta. Sfortunatamente, questo esperimento aveva sempre avuto un prezzo, che a un certo punto era diventato intollerabile: il momento in cui l’ho incontrata.

 

4.4 Le scelte

Come terapeuta ero interessato a comprendere le scelte di Desdemona e, soprattutto, la scelta ripetuta di uomini che erano anche violenti. Questa era una scelta apparentemente irragionevole. Ma, come suggerisce Kelly (1991): “Una persona sceglie per se stessa quell’alternativa in un costrutto dicotomico attraverso la quale anticipa le maggiori possibilità di estensione e definizione del suo sistema” (p. 45). Quindi, ho dovuto cercare il significato profondo di questa e di altre scelte.

Come ho detto prima, Desdemona aveva avuto, prima di suo marito, rapporti con altri partner violenti. Si descriveva come una persona instancabilmente dedita a quegli uomini, così dedita da annullarsi. Questo era un processo di costrizione nel quale Desdemona costringeva su molte parti di sé al fine di mantenere la relazione ed essere protetta. L’alternativa era, agli occhi di Desdemona, essere abbandonata e persa nel mondo: un’opzione che evidentemente non poteva accettare. Ma a volte questo continuo sforzo per soddisfare i partner semplicemente falliva. Altre volte, quando cercava di dilatare includendo altri suoi bisogni ed emozioni – come la rabbia – diventava, ai suoi stessi occhi, una persona cattiva. In entrambi i casi, la reazione del partner era violenta verbalmente o fisicamente.

Era una sorta di circolo vizioso, in cui Desdemona, come persona debole, sottomessa e vittima, sceglieva uomini descritti come forti, protettivi ma, purtroppo, violenti. Quando falliva nel suo sforzo di conformarsi, loro “mi trattavano come mia madre o i partner di mia madre”. Lo stesso accadeva quando non si sentiva protetta e amata: mostrava i suoi bisogni e la sua rabbia, si ribellava, ma poi la conseguenza era un conflitto che, ai suoi occhi, le confermava di essere una persona cattiva che, per meritare l’amore e non essere abbandonata, doveva tornare a essere sottomessa.

Come abbiamo ricostruito alla fine del nostro percorso terapeutico, Desdemona sceglieva partner dominanti e forti, che a loro volta la sceglievano perché vedevano la sua sottomissione come una conferma del loro sistema personale, e in particolare del loro ruolo nucleare “vero uomo”. Quando – per varie ragioni – lei diventava però meno sottomessa e non così obbediente, si sentivano minacciati e proteggevano le loro costruzioni nucleari con un’ostilità che, a volte, sfociava in violenza fisica. Desdemona pensava di non meritare nient’altro: era una vittima debole e – anche se in modo allentato – una cattiva persona. Nel suo mondo costretto, di volta in volta, nessun altro uomo l’avrebbe voluta e protetta. Di conseguenza, sentiva che “era meglio accontentarsi di ciò che hai già”.

Inoltre, come lei stessa mi disse, quando aveva scelto di essere una ribelle, iniziando a esplorare il mondo, usando droghe e alcol e allontanandosi dalla sua famiglia, Desdemona aveva sperimentato “risultati disastrosi”: il mondo esterno era assolutamente più ostile e pericoloso del suo mondo ristretto, sofferente ma prevedibile. Anche questo era prevedibile e, dopo tutto, rientrava nello schema delle cose.

Dunque, il cerchio era chiuso: un cerchio che può anche essere descritto come un dilemma implicativo (Hinkle, 1965; Ryle, 1979; Feixas, Saul, & Sanchez, 2000). Nonostante questa visione del mondo fosse più o meno sostenibile, c’erano di certo segni di sofferenza. Desdemona doveva affrontare continuamente la minaccia di essere abbandonata, di sentirsi indegna, oltre che di essere effettivamente una persona cattiva. Per fronteggiare questa minaccia, Desdemona operava costrizione e allentamento delle sue costruzioni. Segnali di costrizione erano i suoi tentativi – non sempre efficaci – di escludere molte emozioni dal suo campo percettivo, soprattutto la rabbia, e di limitare il suo spazio di vita alla famiglia e ai bambini. Per di più, era minacciata dalla sua aggressività, perché questa l’avrebbe potuta mettere in una brutta situazione, minacciando le sue relazioni ed esponendola a ulteriori invalidazioni. Desdemona, inoltre, allentava la sua costruzione di persona cattiva o incapace, per evitare di essere schiacciata dalla consapevolezza di essere un completo fallimento. In effetti, da un “completo fallimento” nessuno poteva aspettarsi nulla. Tuttavia, questo sistema e questa visione del mondo garantivano una precaria stabilità per cui Desdemona continuò a scegliere, nonostante la sua sofferenza, partner forti, protettivi ma violenti, finché qualcosa nel suo mondo non è cambiato.

 

4.5 Il problema: perché Desdemona è venuta in terapia?

La costrizione e l’allentamento avevano mantenuto una sorta di equilibrio nel sistema di Desdemona fino a quando non è diventata madre. Quest’area della sua vita era – ed è – un’area di aggressività[5]. Quando Desdemona parlava dei suoi figli, cambiava posizione sulla sedia, i suoi occhi diventavano più brillanti e il tono della voce più vivace. Ma, un anno dopo la nascita del primo figlio, suo marito cominciò a essere violento con lei e, dopo la nascita del secondo, divenne fisicamente violento anche con i bambini. Soddisfare non era sufficiente per proteggere i suoi figli, tutt’altro! Ciò implicava che se lei fosse rimasta debole e nel ruolo di vittima, avrebbe rischiato di diventare una cattiva madre, una “madre incapace di proteggere i suoi figli”. Desdemona si ritrovò in una specie di esilio anticipato dal suo ruolo nucleare di madre, una colpa anticipata.

Allo stesso tempo, Desdemona non poteva nemmeno essere completamente ribelle perché rischiava di diventare una puttana e perdere la protezione del marito per sé e i figli: c’era un grande mondo cattivo là fuori, un mondo che si riteneva incapace di affrontare. Ancora una volta, quindi, sarebbe stata una madre cattiva, una persona cattiva, in una situazione in cui sembrava che lei ci potesse solo perdere.

Così l’equilibrio precario del sistema si spezzò.

Negli ultimi anni erano infatti aumentati i segnali della costrizione, dell’allentamento e l’impulsività. Questo la spinse a chiedere aiuto a un certo numero di psichiatri, ma senza trovare soluzione. Inoltre, rischiava di essere considerata pazza e perdere i suoi figli. Pertanto, cercò in maniera impulsiva di commettere il suicidio assumendo delle pillole. In altre parole, restrinse fortemente il suo “campo percettivo al fine di minimizzare le incompatibilità apparenti” (Kelly, 1991, vol. 2, p. 6). Ma anche questa soluzione – come lei disse “in un momento di lucidità” – non sembrava accettabile per il suo essere madre, e all’ultimo minuto Desdemona cercò aiuto.

 

4.6 Il transfert

Le domande che mi ponevo erano: chi ci sarebbe stato lì per lei? Nella sua storia, a quanto pare, non c’erano molte persone di supporto. I suoi fratelli, che Desdemona aveva protetto dall’abuso, erano lontani, completamente disinteressati a lei. Sarei stato considerato un uomo violento, come gli altri uomini della sua vita? Sarei stato disinteressato a lei, come molte persone che aveva incontrato nella sua storia? L’avrei considerata una pazza? Sapevo che il primo passo era guadagnarmi la sua fiducia.

 

5. Il processo terapeutico come serie di esperimenti

Illustrerò ora cosa è successo in questa terapia nei termini di una sequenza di esperimenti condotti da me e Desdemona durante le nostre sessioni. Per motivi di sintesi, ho scelto solo quelli che mi sembrano esplicativi del processo terapeutico, saltando gioco forza molti passi e passaggi. La domanda principale che ho seguito è stata: “Cosa sta facendo Desdemona con me adesso?”.

 

5.1 Primo passo: la fiducia

In che modo Desdemona avrebbe testato la mia affidabilità?

Ero consapevole che Desdemona era minacciata da tutti, ma soprattutto da uomini e dottori. Anche se pensava che io fossi lì per aiutarla, aveva tutte le ragioni, pensando alla sua storia, per non fidarsi: avrei potuto costringerla ad ammettere la sua follia, il suo definitivo fallimento nella vita, e si aspettava di essere trattata come una paziente con problemi di salute mentale, quindi una donna incapace di essere madre.

Inoltre, Desdemona non aveva potuto operare un restringimento rispetto alle sue costruzioni di ruolo: era troppo pericoloso. In effetti, si spostava spesso tra i due poli delle sue costruzioni, diventando talvolta sottomessa e subito dopo ribelle, vittima o persona cattiva. Il costrutto madre era rimasto, come un fragile cristallo, sullo sfondo. Ed ero consapevole che non avrei dovuto invitarla a operare un restringimento in maniera prematura.

Questo mi spinse a evitare di mettere in luce i sintomi nelle nostre conversazioni. Ero davvero interessato alla sua storia, a tutta la sua storia (Tabella 1).

Il mio atteggiamento sorprese Desdemona: non ero né un persecutore né un protettore; non cercavo di distruggerla, né le imponevo le mie aspettative, come ad esempio il suggerimento degli altri dottori di lasciare suo marito Lorenzo. Ero semplicemente interessato a lei. Desdemona cambiò voce, alzò il viso e iniziò a guardarmi negli occhi. Stava lentamente iniziando a fidarsi di me.

Comportamento Significato Esperimento Verifica
Desdemona parla lentamente, con una voce mono tono. Racconta di esperienze terribili come fossero cose banali. Non ci sono emozioni. Sembra parli di un film, non di se stessa. Esporre me stessa è pericoloso. Come mi tratterai? Come una donna pazza? Posso fidarmi di te? Ero interessato alla sua storia, non le ho mai chiesto di cambiare argomento. Non ho mostrato particolare interesse per i suoi sintomi ma, al tempo stesso, quando non capivo bene qualcosa, le chiedevo chiarimenti.

Tab. 1: Esperimenti durante le prime sedute improntate sulla fiducia

Cosa avrebbe fatto adesso Desdemona? Si sarebbe domandata se non solo io, ma anche altre persone avrebbero potuto essere interessate a lei? Ci avrebbe permesso di rafforzare le sue costruzioni, per cercare delle alternative?

A questo punto, commisi un errore: le chiesi di dirmi qualcosa riguardo al punto di vista di suo marito nella sua storia. Desdemona interpretò questo invito come un modo per legittimare il punto di vista di Lorenzo. Se avessi legittimato la visione del marito, Desdemona sarebbe stata una persona cattiva e incapace. Ancora una volta, dovette mettere alla prova la mia fiducia. Volevo controllarla? Volevo costringerla a prendere una posizione contro se stessa? Era arrabbiata. E io ero pronto a fare un altro esperimento. Ma quale? La seduta successiva… (Tabella 2)

Comportamento Significato Esperimento Verifica
Silenzio (cinque minuti) Rabbia per affrontare una possibile invalidazione. Cercherai di forzarmi? Cercherai di controllarmi? Dopo il “ciao”, un rispettoso silenzio.

Tab. 2: Esperimenti durante la seduta successiva

Cinque minuti di silenzio sono una dura sfida per un terapeuta se non ne comprende il significato e quindi l’esperimento che sta prendendo luogo. Desdemona si aspettava da me una reazione di rabbia o un tentativo di ingannarla. La mia reazione fu, invece, ancora una volta, non esattamente quello che si aspettava. Da un lato la rassicurai, dall’altro la invitai a ricostruire il mio inatteso comportamento nel suo sistema. Quello che mi disse subito dopo il silenzio fu rivelatore (Figura 1).

Desdemona – Mi ha fatto arrabbiare. Voleva che io fossi d’accordo con lui.

Terapeuta – Non era questa la mia intenzione.

(Silenzio)

Desdemona – E allora qual era?

Terapeuta – Ero interessato alla sua opinione sul punto di vista di suo marito.

(Silenzio)

Desdemona – Non so se questo mi interessa, a questo punto.

Terapeuta – Cosa le interessa invece?

Desdemona – I miei figli. Solo loro.

Fig. 1: Estratto della conversazione con Desdemona

Dopo questa prima parte della conversazione, Desdemona si rilassò e parlò dei suoi figli. Questa area rimase un tema di conversazione per qualche tempo. Era ancora un’area in cui Desdemona poteva esplorare e sviluppare il suo ruolo, sebbene sotto minaccia, in maniera relativamente più semplice. In quest’area i suoi costrutti sembravano sufficientemente stretti e utili per un’esplorazione sociale. Desdemona si definiva nella relazione con i suoi figli come una buona giocatrice e riusciva a comprendere il punto di vista dei bambini. Mi disse che giocare era “l’attività più divertente ma anche la più seria e significativa per i bambini”. Mi chiedevo: era possibile usare alcune di queste costruzioni – ad esempio buona giocatrice – in altri campi della vita di Desdemona?

Stava sperimentando la sua agency non solo con i bambini ma anche con un adulto – per di più un uomo – per la prima volta. E io stavo diventando non solo una persona minacciosa in quanto uomo e dottore, ma anche un possibile alleato non contro qualcuno o qualcosa, ma “per qualcosa”; sebbene questo “qualcosa” fosse ancora vago anche perché ero molto attento a non esprimere nulla che Desdemona potesse interpretare come mia aspettativa. Cosa avrebbe fatto adesso? Avrebbe dilatato il campo del nostro esperimento portandolo fuori dalla stanza della terapia?

 

5.2 Secondo passo: dilatazione e aggressività

In questo periodo accaddero molte cose. Desdemona convinse Lorenzo che aveva bisogno di trovare un’occupazione a causa delle difficoltà finanziarie della famiglia. Così trovò lavoro come cameriera per qualche ora al giorno in un bar. Lavorava la mattina quando i bambini erano, rispettivamente, all’asilo e a scuola. Desdemona stava effettivamente trasferendo il laboratorio fuori dalla stanza di terapia (Tabella 3).

Comportamento Significato Esperimento Verifica
Un nuovo lavoro Dilatazione della agency fuori dalla stanza della terapia. Potrebbero considerarmi anche altre persone, oltre al mio terapeuta? Altre persone sono interessate a me.

Tab. 3: Esperimenti fuori dalla stanza di terapia

Ero consapevole del pericolo di questo esperimento. Se Desdemona avesse affrontato le vecchie costruzioni, avrebbe rischiato di cadere nel ruolo di persona cattiva e incapace. Allo stesso tempo, come avrebbe fatto fronte alla possibilità di avere una “buona reputazione” con le persone? Gli esperimenti nella stanza della terapia erano relativamente meno pericolosi di ciò che sarebbe potuto accadere all’esterno. Ancora una volta, era pronta a restringere le sue costruzioni, per cercare alternative? Ipotizzavo che la riduzione dei suoi sintomi, il cambio nel modo di vestirsi – ora più ordinato e femminile – e il suo diverso atteggiamento nei miei confronti, fossero segni indicanti una minor minaccia e una sperimentazione, da parte di Desdemona, di un’altra costruzione superordinata di sé. Potevo provare un cauto restringimento.

Nel suo lavoro, con i colleghi, Desdemona stava avendo successo sociale. Il capo la apprezzava e i colleghi la trovavano piacevole. A questo punto, riconsiderammo il tema dell’essere un buon giocatore (Figura 2).

Terapeuta – Crede ci sia un modo per essere un giocatore sufficientemente buono nella vita?

Desdemona – Cosa intende?

Terapeuta – Niente di più di ciò che mi ha detto riguardo il gioco con i suoi figli. Pensa che sia possibile in altre situazioni?

Desdemona – Le persone non son bambini; sono per lo più cattive e crudeli.

Terapeuta – Eppure avevo avuto l’impressione che lei in qualche modo giocasse con i suoi colleghi. Forse mi sbaglio.

(Silenzio)

Desdemona – Sì… Ma non tutti sono a giocare, a giocare con me.

Fig. 2: Estratto della conversazione con Desdemona

Desdemona stava prendendo in considerazione l’idea che le persone fossero diverse. Il costrutto prelativo altri – che era una specie di monolite – si stava frammentando, aprendo nuove possibilità nel campo sociale. Inoltre stava indagando seriamente questo nuovo costrutto: buon giocatore contro giocatore passivo (diverso dall’essere un perdente). Questo costrutto superordinato le avrebbe permesso una costruzione più proposizionale di sé, poiché alcuni degli elementi che erano in costruzione come sottomesso vs ribelle e vittima vs cattiva persona si stavano spostando sotto questa costruzione nuova e comprensiva, perdendo la maggior parte delle loro connotazioni negative. Un buon giocatore può perdere una partita ed essere comunque un buon giocatore. Questa costruzione le permetteva di lavorare sulle sue difficoltà senza crollare o essere costretta a definire se stessa come incapace o cattiva.

Desdemona, in ogni caso, stava affrontando una situazione difficile. Doveva sfidare il pericolo di accettare la buona considerazione delle altre persone, rischiando, allo stesso tempo, la perdita delle sue principali relazioni di dipendenza. Desdemona aveva scoperto che alcune persone la apprezzavano e rispettavano; come poteva allora spiegare il comportamento di quelli che erano cattivi, crudeli e violenti con lei? (Tabella 4).

Comportamento Significato Esperimento Verifica
Raccontare una storia da diversi punti di vista “interni” Mi piacerebbe rischiare e fare un’analisi della mia storia. C’è una storia che è più vera di un’altra? Una storia non è una sequenza di fatti ma qualcosa che cambia quando il punto di vista cambia.

Tab. 4: Raccontare una storia da diversi punti di vista

A questo punto, iniziai a provare ad affrontare la sua storia. Se fosse stata in grado di vedere la sua storia come una narrazione, che può cambiare se guardata da punti di vista diversi, anziché una serie di fatti incontrovertibili, avremmo potuto riconsiderare – sotto una minaccia relativamente ridotta – la posizione di ciascun attore. Promuovere la permeabilità del ruolo di ognuno ci avrebbe permesso di riconsiderare i rispettivi ruoli, Desdemona inclusa, in questa storia.[6]

Usammo alcune tecniche di role playing per fare questo lavoro insieme. La pluralità dei sé fu un esperimento molto importante per raccontarmi la sua storia: scoprì di aver interpretato molti ruoli, descritti come voci, diversi punti di vista, ma comunque tutte sue parti. Quindi la invitai a usare tutti quei ruoli per parlare della sua storia, sedendosi, di volta in volta, su una sedia diversa. Raccontare questa storia da diversi punti di vista, da diverse prospettive, le diede la possibilità sia di esplorare il punto di vista degli altri senza percepirlo come un giudizio assoluto, sia di percepire se stessa come “una persona che ha fatto e sta facendo del suo meglio”. Aveva iniziato a fare affidamento sulla sua esperienza anziché dipendere dal giudizio degli altri.

 

5.3 Terzo passo: la rivoluzione

Questa nuova dimensione di costruzione le permise di affrontare sotto una luce alternativa l’imprevedibilità (ansia) e le relazioni della sua vita. Riuscì ad affrontare il marito, informandolo della sua decisione di divorziare, in quanto, come lei disse: “Vorrei prendere la mia vita nelle mie mani”. Era spaventata dalla possibile reazione di Lorenzo, ma decisa. Lorenzo, in ogni caso, non fu fisicamente violento: mostrò solo disprezzo e “sembrava anche essere sollevato”. Mi disse che, forse, Lorenzo non la sentiva come ribelle e sfidante, come in passato, ma semplicemente come una persona che aveva preso una decisione; o, forse, preferiva pensare che fosse stata una sua scelta.

Desdemona dovette affrontare anche sua madre, che la accusò di essere “una puttana” per il divorzio, “una persona non in grado di tenersi il suo uomo”. Trovarsi di fronte a queste accuse era ancora troppo doloroso, ma anche stavolta era determinata nel suo obiettivo e decise che avrebbe chiarito con la madre in seguito.

Perfino sua madre e Lorenzo fecero ciò che potevano; stavano giocando nel miglior modo possibile.

In breve, Desdemona fu in grado di divorziare, mantenendo il suo lavoro e portando i suoi figli con sé.

 

5.4 Quarto passo: la conclusione

Durante il nostro percorso insieme, che incluse vari esperimenti sia all’interno della relazione con me che fuori dalla stanza della terapia, nella sua vita, Desdemona cambiò molte cose di sé. Lei cambiò molto. Era chiaro che la fine della terapia si stava avvicinando. Ne parlammo e, anche se era un po’ triste per questo, accettò. Ci fu da chiudere il ciclo di transfert.

Il seguente frammento di conversazione (Figura 3) potrebbe essere considerato indicativo di questo processo in cui lei sfidò in modo aggressivo e ironico il mio ruolo.

Desdemona – Lei è un buon giocatore?

Terapeuta – Lei cosa ne pensa?

Desdemona – Mi son spesso chiesta se mi prendesse in giro.

Terapeuta – Grazie per avermelo detto.

Desdemona (ridendo) – Prego!

Fig. 3: Estratto della conversazione con Desdemona

Stavamo, finalmente, elaborando il transfert. Le feci notare sia il numero di ruoli che mi aveva assegnato nelle nostre conversazioni sia il numero di sé che lei aveva interpretato con me. Eravamo molte cose, molte persone. La stanza della terapia era il laboratorio in cui avevamo sperimentato molte situazioni, lo specchio del mondo. Ora eravamo pronti a terminare il nostro viaggio.

Dopo tre anni di terapia, Desdemona iniziò una nuova vita. Riuscì a mantenere una relazione più o meno collaborativa con Lorenzo, in quanto entrambi genitori. In ogni caso, anche se cambiata, la loro relazione non si interruppe. Anche il rapporto con la madre migliorò. Cambiò lavoro, diventando segretaria nell’ufficio di un consulente fiscale, e iniziò una nuova relazione con un uomo divorziato e con un bambino, decidendo di vivere separatamente. Ora è anche una brava ballerina di tango.

Ciò che ho narrato è la sintesi di un lungo viaggio in cui sono successe molte altre cose. Ho fatto, ovviamente, anche alcuni piccoli errori. Non tutti i tentativi furono un successo e, per un certo periodo, Desdemona oscillò tra vecchie e nuove costruzioni. Qui ho voluto illustrare alcuni passaggi di questo lungo esperimento pieno di esperimenti, al fine di mostrare come può essere condotta la psicoterapia, seguendo una prospettiva kelliana.

In ogni caso, in psicoterapia – come in ogni relazione umana – non si può vedere e descrivere in modo chiaro tutto; qualcosa può essere semplicemente suggerito dalla poesia della relazione, visto negli occhi dell’altro o semplicemente respirato durante un incontro, tra le linee di una narrazione condivisa.

La psicoterapia è quindi, dal mio punto di vista, un magico mix tra logica e poesia, spiegazione e comprensione, in cui – come ci ricorda Miller Mair (1989) – “Siamo, in ogni momento, nel mezzo tra raccontare e ascoltare, affermare e chiedere, confermare e disconfermare” (p.2).

Probabilmente, il modo migliore per concludere questa narrazione del caso è usare le parole di Desdemona: “Ora sono una persona diversa, ma non è facile per me dire in che modo… Forse ho semplicemente accettato di essere imperfetta senza sentirmi sbagliata. E, probabilmente, sento gli altri allo stesso modo. In ogni caso la mia vita adesso è più complicata di prima – grazie dottore! – ma almeno respiro!”

 

 

Bibliografia

Bannister, D., & Fransella, F. (1971/1980). Inquiring Man: the theory of personal constructs. Harmondsworth: Penguin Books.

Bregant, I., Orlando, P., Sandri, G., & Giliberto, M. (2011). The “Narrative Theme” Method: Between Telling Observer and Observing Teller. Paper presented at the XIX International Congress on Personal Construct Psychology, Boston, USA.

Feixas, G., Saul, L. A., & Sanchez, V. (2000). Detection and analysis of implicative dilemmas: implications for the therapeutic process. In J.W. Scheer (Ed.), The Person in Society: Challenges to a Constructivist Theory (pp. 392-399). Giessen: Psychosozial-Verlag.

Giliberto, M. (2017). Theoretical identity is not just belonging. Personal Construct Theory & Practice, 14, 87-98.

Hinkle, D. (2010). The change of personal constructs from the viewpoint of a theory of construct implications. Personal Construct Theory & Practice, 7, Supplement 1, 1-61. (PhD dissertation, Ohio State University, 1965).

Kelly, G. A. (1991). The psychology of personal constructs (vol. 1-2). (2nd ed.). London: Routledge.

Mair, M. (1989). Kelly, Bannister and a Story Telling Psychology. International Journal of Personal Construct Psychology, 2, 1-14.

Ryle, A. (1979). The focus in brief interpretative psychotherapy: Dilemmas, traps and snags as target problems. British Journal of Psychiatry, 134, 46-54.

 

 

Note sull’autore

Massimo Giliberto

Institute of Constructivist Psychology

max.giliberto@gmail.com

Direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Costruttivista dell’Institute of Constructivist Psychology (ICP) di Padova (Italia). È psicoterapeuta, consulente e coach per aziende e organizzazioni private. Il focus d’interesse nel suo lavoro riguarda la psicoterapia, l’epistemologia, l’etica, il metodo didattico e la psicologia interculturale.

È co-fondatore dell’European Constructivist Training Network, membro dei comitati editoriali del Journal of Personal Construct Theory and Practice e del Journal of Constructivistist Psychology ed editore della Rivista Italiana di Costruttivismo.

 

Note

  1. Ringraziamo gli editori della rivista Personal Construct Theory & Practice e l’autore per aver gentilmente concesso la traduzione dell’articolo. L’originale è disponibile al link: http://www.pcp-net.org/journal/pctp19/giliberto19.pdf. Giliberto, M. (2019). The story of Desdemona: Psychotherapy with a PCP approach. Personal Construct Theory & Practice, 16, 72-81.
  2. Questo consente al terapeuta di giocare un ruolo col cliente, ovvero di “essere un terapeuta” anziché recitare semplicemente una parte.
  3. Una violenza che lei aveva taciuto alle autorità per evitare di danneggiare la carriera di lui.
  4. Come, ad esempio, fra “emozione” e “cognizione”.
  5. Nel regno delle possibilità individuali ci sono quelle aree in cui una persona è tendenzialmente più aggressiva che in altre. Queste sono le aree in cui una persona “fa cose”. Alcuni psicologi descrivono queste come “aree di interesse”. Entro queste aree, la persona non si presenta né timida né pigra, al contrario vi si muove con spirito di iniziativa e libertà (Kelly, 1991, vol. 1, p. 374).
  6. Un costrutto è permeabile se ammette nuovi elementi nel suo campo di pertinenza, che non sono ancora costruiti nella sua cornice. (Kelly, 1991, vol. 1, p.56)