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Una prospettiva sul percorso di affermazione di genere: intervista ad Andrea R.

A perspective on the gender affirmation: an interview with Andrea R.

a cura di

Camilla Sanna

Università degli studi di Padova

Abstract

Andrea R., classe 1995, è un musicista. Si è diplomato in flauto traverso presso il Conservatorio “C. Pollini” di Padova e successivamente ha conseguito il Master of Arts in Music Performance presso l’Hochschule der Künste di Zurigo (ZHdK). È stato membro della Berlin Opera Academy e si esibisce regolarmente in formazioni cameristiche. Quando non suona il flauto ama fare sport, passare il tempo al mare ed è appassionato di vini e Alfa Romeo.

Andrea R., born in 1995, is a musician. He graduated in flute at Conservatorio “C. Pollini” in Padua. He also took a Master of Arts in Music Performance at the Hochschule der Künste of Zurich (ZHdK). He’s a member of the Berlin Opera Academy, and he regularly exhibits in chamber groups. When he is not playing the flute, he loves playing sport and going to the sea. He has a passion for wines and Alfa Romeo cars.

Keywords:
Percorso di affermazione di genere, trans*, disforia di genere, identità | gender affirmation, trans*, gender dysphoria, identity
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Ciao Andrea, grazie per aver accettato di partecipare a questa intervista.
Inizio col chiederti com’è cambiata la percezione che hai di te e qual è l’esperienza di fondo che ti ha spinto a fare questo percorso?

Grazie a te per avermi coinvolto. È una sensazione che non so spiegare. Se da un lato sembra che sia cambiato tutto, dato che la mia vita è stata completamente stravolta, dall’altro è come se per me fosse sempre stato così. È mutata, soprattutto, la percezione che gli altri hanno di me. Questo cambiamento avvertito dall’esterno si riflette inevitabilmente anche su chi è coinvolto in prima persona.

 

E quindi cosa ti ha spinto a iniziare il percorso?

Non mi sentivo bene né nel guardarmi allo specchio, né nel sapere come ero visto dagli altri. Dunque, il motivo che mi ha spinto a fare questo percorso è stato principalmente sentirmi meglio con me stesso. La cosa che è cambiata più di tutte, in questi due anni e mezzo, è stato vedere mese per mese come cambiava la percezione degli altri nei miei confronti. Ogni cambiamento nella nuova direzione era una felice conquista e ciò che si rifletteva dall’esterno era un riscontro ancora più incoraggiante. Ovviamente, non significa che io abbia intrapreso questa strada condizionato da motivazioni esterne, queste hanno solo confermato quello che già sentivo dentro. Inoltre, il percorso non è uguale per tutti e ognuno lo vive in modo diverso e personale. Per quella che è stata la mia esperienza, sentivo di non rispecchiare la persona che ero, fisicamente soprattutto.

 

Cosa intendi per stare meglio con te stesso?

Direi sentirsi in armonia con se stessi ed essere soddisfatti del raggiungimento dei propri obiettivi personali.

 

Rispetto alle altre persone trans*, cosa pensi e, se ti sei confrontato con loro, cosa ne è emerso e che tipo di esperienza hai avuto dal confronto con loro?

Conosco persone che hanno avuto esperienze analoghe alla mia e altre che ne hanno avute di totalmente differenti. Devo dire che in un primo momento mi è stato molto d’aiuto frequentare persone che stavano affrontando un percorso che inizialmente poteva essere simile al mio. C’è chi si definisce non-binary, trans*non-binary, genderfluid e così via, chi ha intrapreso il percorso ormonale senza cambiare i documenti o chi segue un iter più “standard”, come ho fatto io. A mio parere il confronto è ancora più utile prima di iniziare il trattamento ormonale, per colmare i propri dubbi e prendere coraggio. Questa penso sia davvero una tra le cose più importanti.

 

Ritieni che il percorso di affermazione di genere sia differente per una persona AFAB (assigned female at birth) rispetto a quello di una persona AMAB (assigned male at birth)?

Sì, e credo che si debba parlare più in generale di un problema sociale che di “transizione” effettiva. Il percorso di affermazione di genere per le persone AFAB è meno conosciuto e tende a essere più accettato, in quanto è il passaggio a ciò che viene abitualmente definito il genere “forte” della società. Per le donne AMAB, invece, si parte da una posizione privilegiata e il percorso di affermazione di genere viene visto dalla società come una sorta di declassamento. Inoltre, è molto diffuso lo stereotipo secondo il quale le donne trans* vengono associate al mondo delle sex worker, con cui molto spesso non hanno niente a che fare.

 

In che senso non viene vista tanto bene dalla società? Come una perdita di status?

Nell’immaginario comune è un po’ come un portarsi a un livello inferiore.

 

Qual è stato l’aspetto più critico che hai attraversato nel percorso di affermazione di genere?

Per me è stato il periodo che è intercorso dal rinvio dell’udienza alla mastectomia (intervento demolitivo e ricostruttivo del petto maschile). Dopo un anno di ritardo per la rettifica dei documenti dovuto al Covid è saltata anche l’operazione che avevo programmato di fare. Il momento in cui ho realizzato di dover aspettare ancora così tanto tempo è stato veramente il momento più difficile che abbia mai passato finora. Inoltre, si stava anche avvicinando il periodo estivo, che è quello più complesso, questo perché spesso le persone AFAB indossano delle canotte contenitive (binder) che non sono salutari e causano molti problemi posturali, di respirazione e di stomaco.

 

Invece quello che ti ha entusiasmato di più?

Direi che vedere lentamente le trasformazioni del mio corpo è stato un processo davvero molto affascinante. Ho un ricordo molto bello anche dei miei primi mesi del trattamento ormonale, essendo andato a studiare all’estero in concomitanza con l’inizio del percorso, questo mi ha permesso di tuffarmi in un mondo completamente nuovo ed essere già da subito Andrea per tutti.

 

In che modo credi che le somministrazioni ormonali incidano sulla persona?

Gli ormoni hanno in generale un impatto veramente incredibile sulle persone. Nel mio caso ho notato come con il passare del tempo ho iniziato a percepire, in alcune circostanze, un grande sentimento di rabbia che non avevo mai provato prima. Inoltre, rispetto al passato piango molto raramente e anche il mio livello di eccitazione sessuale è cambiato. Ci sono tante persone trans* che, dopo l’inizio del trattamento ormonale, riscoprono o approfondiscono il loro orientamento sessuale. Può capitare che si riscoprano eterosessuali, omosessuali o bisessuali. A questo proposito tengo a precisare che l’orientamento sessuale non viene modificato da fattori esterni, ma un maggiore benessere derivante dal percorso può portare a riscoprirlo ed esplorarlo.

 

Cosa puoi raccontare del tuo orientamento sessuale?

Mi sono da sempre piaciute le donne. Da quando ho iniziato il percorso faccio forse più caso al fisico maschile, ma unicamente come “modello” da confrontare con me stesso. Personalmente non mi è mai successo di rivalutare il mio orientamento.

 

È cambiato qualcosa nel tuo modo di vivere le relazioni in seguito al percorso di affermazione di genere?

Credo proprio di sì. Confrontandomi con chi mi conosce bene ho potuto constatare che sono molto più rilassato nel relazionarmi con le altre persone, questo perché sono più a mio agio con me stesso. Soprattutto all’inizio, prima di intraprendere il percorso, potevo risultare timido e introverso; mi sentivo spesso a disagio nei grandi gruppi, soprattutto con tanta gente che non conoscevo. Non so fino a che punto sia merito del percorso che ho intrapreso, forse è anche grazie a una combinazione di più fattori che si sono influenzati a vicenda.

 

Qual è il tuo percepito rispetto alle tempistiche della burocrazia?

Premesso che ogni percorso è diverso e ogni persona ha bisogno del suo tempo, dal mio punto di vista l’iter è lentissimo, e il Covid non ha facilitato la situazione. In Italia non c’è una linea comune per quanto riguarda le tempistiche, dipende dalle regioni e dai tribunali, ma anche i casi più rapidi risultano lenti se posti in relazione ad altri stati europei. Io sono stato fortunato perché ho iniziato l’iter in Svizzera e ho potuto saltare la parte che solitamente antecede l’inizio del trattamento ormonale, anche se poi il Covid ha ritardato di quasi un anno la data della mia udienza in tribunale.

 

Puoi descrivere, sommariamente, l’iter?

Ogni persona affronta il percorso in modo personale. In Italia non esiste una prassi standard, ma esistono diversi protocolli e linee guida da seguire. Nel centro al quale mi sono rivolto per intraprendere l’iter legale, per esempio, si inizia generalmente con sei mesi di sedute psicologiche, al termine delle quali lo/la psicologo/a redige un documento per l’endocrinologo che autorizza l’inizio della TOS (Terapia Ormonale Sostitutiva). Solitamente, dopo alcuni accertamenti medici, l’endocrinologo/a individua e prescrive il farmaco più adatto per iniziare il trattamento ormonale. Dopodiché – sempre prendendo come riferimento lo stesso centro di cui parlavo prima – si prosegue per un anno con gli incontri psicologici, al termine dei quali lo/la psicologo/a consegna una relazione psico-clinica. Una volta ottenuta la relazione, e molti altri certificati, è possibile recarsi dall’avvocato, che nei mesi successivi emetterà il documento (“Atto di citazione per la rettificazione di attribuzione di sesso”) necessario per il procedimento davanti al tribunale. Dall’incontro con l’avvocato alla data dell’udienza presso il tribunale di residenza intercorrono solitamente circa 140-150 giorni (per legge devono passare non meno di 90 giorni da quando l’istanza viene depositata). Dopo l’udienza bisogna ancora attendere alcuni mesi (dipende esclusivamente dalla velocità del tribunale) e, se tutto procede per il meglio, si ottiene la sentenza con la quale si ha diritto a richiedere la rettifica del documento d’identità e l’autorizzazione agli interventi. L’iter italiano è molto incentrato sul binarismo di genere, infatti l’atto presentato dall’avvocato è basato sui cambiamenti dati dalla TOS. Ad esempio, fra i certificati richiesti sono presenti anche gli esiti delle analisi del sangue per dimostrare che i valori ormonali corrispondano a quelli di una persona cisgender.

 

Quindi, fondamentalmente, ci vogliono più di due anni…

Sì esattamente. L’aspetto peggiore in Italia, a mio parere, è che per legge non è possibile sottoporsi ad alcun intervento (sia nel pubblico che nel privato) senza aver ottenuto prima la sentenza del tribunale e alcune cliniche richiedono addirittura il documento d’identità già rettificato. Sono tempistiche molto più dilatate rispetto ad altri stati europei dove, in alcuni di questi, la rettifica anagrafica avviene d’ufficio e non viene richiesto nessun tipo di documento prima di sottoporsi a qualsiasi intervento. Considerando i due anni di iter legale e il fatto che in Italia le liste d’attesa per gli interventi sono molto lunghe (a volte anche di un paio d’anni) possiamo dire che il percorso diventa davvero molto impegnativo.

 

La figura dello psicoterapeuta che ruolo ha avuto nel percorso? E che ruolo pensi che potrebbe avere?

Forse il mio caso è un po’ insolito perché avevo già affrontato un mio percorso psicologico al di fuori dei centri specializzati per persone trans*. In quel periodo della mia vita è stato fondamentale avere il supporto di una psicoterapeuta, che mi ha aiutato ad approfondire alcuni aspetti della mia identità. La piena consapevolezza è arrivata solo dopo qualche anno, parallelamente al mio trasferimento in Svizzera. Ho iniziato, dunque, il trattamento ormonale e successivamente mi sono rivolto a un centro specializzato per intraprendere il percorso psicologico per poter avviare l’iter legale, ma non è stata un’esperienza molto fruttuosa. Penso che non sia corretto standardizzare il percorso con lo/a psicoterapeuta, semplicemente credo sia importante ricevere un supporto adeguato quando se ne sente il bisogno.

 

Quindi, in cosa non ti sei sentito supportato o cosa è venuto meno? Cosa ti aspettavi da questa figura?

Sinceramente non avevo grandi pretese. In quel periodo della mia vita non sentivo il bisogno di intraprendere un percorso psicologico e avevo soltanto voglia di godermi il momento. Fortunatamente, sia nell’ambiente universitario che al di fuori non ho mai subito alcun tipo di discriminazione. In Svizzera mi sentivo tutelato dalla mia Università: c’è un dipartimento per l’uguaglianza di genere molto attivo e la responsabile era sempre pronta a sostenermi, facendo anche da tramite con i docenti per assicurarsi che soprattutto all’inizio nessuno mi mancasse di rispetto, magari involontariamente. In quel periodo, inoltre, anche i miei studi stavano andando molto bene e forse questi fattori hanno fatto sì che non sentissi il bisogno di ricevere un supporto psicologico.

 

Rispetto a quello che avete approfondito, pensi che fosse utile oppure avresti voluto approfondire alcune tematiche?

Direi che non è stato particolarmente utile e io non avevo richieste specifiche. Credo ci sia sempre qualche aspetto da investigare, ma a mio parere da entrambe le parti non è stato fatto un grande lavoro. Altre tematiche sono apparse dopo qualche anno e infatti le ho affrontate con un’altra professionista.

 

Ad esempio, rispetto al dirlo alla famiglia, quell’aspetto è stato trattato?

Quando ho iniziato il percorso psicologico presso il centro specializzato per persone trans* avevo già fatto coming out con i miei genitori. Considerando tutto, è andata davvero bene, c’è stato solo qualche mese di shock iniziale da parte dei miei genitori. Da quel che ricordo con la psicoterapeuta ci eravamo concentrati sulle relazioni familiari e mi era stato proposto un gruppo di supporto per i genitori (chiamato gruppo A.M.A.), anche se per motivi logistici i miei genitori non ne hanno mai preso parte. Per trattare il tema con i miei genitori mi hanno aiutato, più che la psicoterapeuta, alcuni amici che avevano intrapreso il percorso prima di me.

 

Cosa e come cambieresti l’iter del percorso di affermazione di genere, anche in virtù di queste cose?

Secondo me potrebbe essere più breve, o meglio, meno complesso dal punto di vista burocratico. I tempi che antecedono la TOS, gli interventi, la rettifica anagrafica sono veramente soggettivi e non si possono standardizzare: anche io, quando avevo fatto il percorso psicologico, ho avuto bisogno di qualche anno prima di comprendere a pieno la mia identità di genere. Nel momento in cui però c’è chiarezza da parte della persona coinvolta potrebbe esserci una maggiore elasticità, dato che ci sono anche persone che vivono il percorso psicologico come una costrizione.

 

Ritieni che sia necessario fare coming out?

Dipende, se prima di iniziare il trattamento ormonale volevo che gli altri si rivolgessero a me con i pronomi corretti era l’unica soluzione. Con il passare dei mesi le persone hanno iniziato a vedermi per quello che ero e a sbagliare sempre più raramente, di conseguenza ho quasi smesso di condividere il mio percorso. In questo periodo di passaggio ho iniziato a sentirmi più rilassato perché non dovevo fare coming out continuamente, ma allo stesso tempo ho iniziato a provare dei sensi di colpa, come se stessi nascondendo un dettaglio fondamentale.

 

Perché ritieni che sia un aspetto che si debba condividere per forza? È interessante questa cosa che hai detto, il fatto di sentirsi in colpa di non dire qualcosa, cioè l’omissione.

Credo che ognuno sia libero di scegliere se condividerlo ed eventualmente con chi farlo. Ci è voluto del tempo ma adesso ho raggiunto una serenità tale da eliminare quella sensazione. Ho dei carissimi colleghi e amici a cui non ho mai raccontato il mio percorso, sebbene siano persone che non avrebbero nessun problema a comprendermi: solitamente è un dettaglio che non condivido con persone che fanno parte dell’ambiente musicale che frequento.

 

Quindi, tornando alla domanda sul tuo modo di stare nelle relazioni, pensi che sia una cosa che vada detta?

Non credo ci sia una risposta valida per tutte le situazioni e, soprattutto, per tutte le persone. Personalmente credo che ognuno debba sentirsi libero di fare ciò che lo fa stare meglio. Se condividerlo con gli altri è un modo per essere più sereni, allora è sicuramente la strada da seguire. Credo anche che, sebbene possa esserci chi si stupisce o chi ha bisogno di un po’ più di tempo, spesso le persone sono molto più aperte di quello che crediamo. Per quanto riguarda il mio ambito lavorativo invece, ovvero quello della musica classica, penso sia molto complesso emergere anche per le persone eterosessuali o cisgender, per questo motivo tendo a non raccontare la mia storia all’interno di questo contesto.

 

Volevo tornare un attimo sulla domanda su cosa e come cambieresti l’iter del percorso di affermazione di genere. Cosa puoi aggiungere?

Sono i tempi biblici che rendono la vita difficile. Dal sesto/ottavo mese del trattamento ormonale il fisico inizia a trasformarsi. Ovviamente i cambiamenti sono soggettivi, ma tendenzialmente si inizia a non assomigliare più alla foto della carta d’identità. Questa discrepanza causa momenti molto spiacevoli quando si è costretti a esibire i propri documenti. Inoltre, soprattutto da un punto di vista medico, non ritengo sia sano aspettare così tanto per l’intervento di mastectomia. Il binder fa male al nostro corpo, infatti raccomandano di indossarlo al massimo 6-8 ore al giorno con almeno due giorni di pausa a settimana, ma lavorando o studiando fuori tutto il giorno i limiti consigliati non vengono spesso rispettati. I primi mesi è sopportabile, ma dopo un po’ diventa doloroso e nell’ultimo periodo mi causava mal di stomaco subito dopo i pasti o mal di schiena dopo qualche ora. Nella maggior parte degli stati europei è possibile fare l’intervento prima di iniziare il trattamento ormonale o comunque senza dover produrre alcun certificato. Inoltre, questa procedura italiana esclude anche tutte le persone non binarie che magari desiderano cambiare il nome e il genere sui documenti, ma che non vogliono affrontare un percorso ormonale. Sempre riportando in esempio la Svizzera, ci vogliono dalle due settimane ai tre mesi per ottenere i documenti nuovi (l’iter legale non ha alcun legame con il trattamento ormonale) e attualmente stanno approvando una legge per la rettifica anagrafica d’ufficio. Per gli interventi, invece, è sufficiente avere una relazione psicologica che si può ottenere in un paio d’ore di colloquio.

 

Cosa cambieresti dell’iter giudiziario?

Abolirei il passaggio per il tribunale. L’atto di citazione è impressionante, è un documento in cui in poche parole viene scritto che la persona ha bisogno rettificare i documenti e avere accesso agli interventi per non incorrere in problemi psicologici.

 

Che metafora utilizzeresti per rappresentare questo tuo percorso? Il mio percorso è stato come…

Dal bruco alla farfalla. È stato un alleggerimento perché, nonostante sia stato scioccante per i miei genitori apprendere questa notizia, sono più che sicuro che con il passare degli anni abbiano realizzato tante cose del passato che non riuscivano a spiegarsi.

 

Vuoi aggiungere qualcos’altro?

Sì, per tornare al discorso di prima, ovvero di cosa cambierei nell’iter, darei maggiore importanza alla REL (real-life experience) all’interno delle istituzioni scolastiche. Per me è stato un passaggio fondamentale: oltre a farmi sentire benissimo è stata anche una conferma “concreta” prima di iniziare il trattamento ormonale. Se da adolescente ne fossi stato al corrente credo che la mia vita sarebbe stata un po’ più semplice. Investirei sulla possibilità di sperimentare la REL nelle scuole e la estenderei a tutte le fasce di età, anche alle scuole elementari, come accade in Spagna già da qualche anno. Trovo sia paradossale che per poterlo fare in alcune università italiane sia necessario aver già intrapreso il trattamento ormonale.

 

Come ti sei sentito durante questa intervista?

Molto a mio agio. Anche se non amo particolarmente le interviste, questo è un argomento di cui mi piace parlare!

 

Grazie per il tuo contributo.